Dall’Italia della Perdonanza allo Strapaese della Mignottanza. Dove il mese di agosto è stato chiuso degnamente dalla denuncia di Berlusconi contro il giornale la Repubblica, che ha tutta la nostra solidarietà

C’era una volta l’Italia, detta anche il Belpaese, oggi invece c’è lo Strapaese. E l’agosto dello Strapaese registra ovviamente avvenimenti da Strapaese, alcuni davvero straordinari. Il più straordinario di tutti è andato in vacca perché Vittorio Feltri, neo ri-direttore de Il Giornale di Berlusconi, da bravo zelante più realista del re, ha sferrato un tale attacco a Dino Boffo,  direttore del giornale dei vescovi L’Avvenire d’Italia, da far fare marcia indietro alla piccola Canossa del Chiavalier Berlusconi Silvio. Niente cena di pubblica assoluzione per il sempre più impresentabile nostro primo ministro al desco del segretario di Stato vaticano, cardinale Tarcisio Bertone, per l’annale festa della Perdonanza del 28 agosto a L’Aquila. La cena è saltata, però il miserabile mercanteggiamento in scena da molti giorni è comunque riuscito a trasformare la Perdonanza in Mignottanza. Ma andiamo per ordine. E con calma.

Alla famosa Noemi, caricatura partenopea dei sogni neppure a metà strada tra Lolita e Sophia Loren, ma tuttalpiù tra Cuccarini e “meteorine”, il premio ridicolo e scalcinato “Per il talento che verrà”. Al suo mentore, ganimede e papi, cioè a Silvio Berlusconi, il premio, mancato all’ultimo minuto, “Per i talenti che già vengono e che anche verranno”, ove per talenti in questo caso si intendono però non tanto le capacità personali quanto invece, e  non solo, quelli d’argento, cioè a dire i quattrini e i privilegi. Il mercato delle vacche – è il caso di dirlo – per poter esibire l’ex marito di Veronica Lario e nostro capo di governo intento a mangiare e ridere beato a L’Aquila con la buona forchetta – ed eterno sorriso a 32 denti – cardinal Bertone passerà alla storia come l’avvenimento che è riuscito a trasformare dopo 700 anni la Perdonanza in Mignottanza. Del resto alla base del premio per ora mancato a Berlusconi e di quello di consolazione a Noemi c’è la stessa sostanza: la furbizia bottegaia che tutto afferra per trarne profitto “particulare“, l’ipocrisia senza crepe e la morale da marciapiede che da sempre caratterizza gran parte del mondo della Chiesa e qualunque potere terreno. Continua a leggere

La truffa elettorale di Kabul è più buona di quella di Teheran. E i cattolici filo clericali sono come i fumatori incalliti: devono assolutamente imporre il velenoso fumo passivo anche agli altri. La Lega ci sprofonda nel guano mentre un libro di Maria Latella dimostra che il Chiavaliere è davvero malato

E adesso? Due Ahmadinejad imbroglioni elettorali a Kabul anche se filo occidentali? Eravamo e siamo ancora talmente presi dalle accuse ad Ahmadinejad di avere commesso giganteschi brogli elettorali, accuse peraltro finora non provate, da non avere messo nel conto che i tanto deprecati brogli potessero entrare a vele spiegate proprio nell’Afganistan da noi più che democratizzato semplicemente occupato. Occupato e da troppo tempo vittima di invasioni e invadenze di Paesi stranieri: dagli inglesi ai sovietici fino agli americani, talmente cinici e imprudenti da avere finanziato, armato e allevato sia Bin Laden che i taliban illudendosi di poterli scaricare dopo averli allattati e usati contro l‘Unione sovietica. Ci troviamo nella molto imbarazzante situazione di scoprire che entrambi i candidati alla presidenza dell’Afganistan si accusano gagliardamente l’un l’altro di brogli elettorali e hanno anche tentato il colpo di mano di attribuirsi a razzo la vittoria e perciò il diritto a dirigere o a tentare di dirigere il loro Paese. Per non parlare dell’affluenza alle urne piuttosto fallimentare. La molto bassa affluenza sarà anche colpa delle minacce dei taliban, resta però il fatto che le democratiche elezioni presidenziali, assai poco democraticamente imposte manu militari da noi occidentali, si sono rivelate se non una farsa, termine che non uso per rispetto verso chi comunque ha avuto il coraggio di andare a votare, almeno la classica montagna che s’è ridotta a partorire il classico topolino. Continua a leggere

La truffa multipla delle ronde e dell’allarme contro gli immigrati. In realtà, ecco dove vogliono arrivare


Mi ha sempre colpito nelle foto di presentazione delle divise delle ronde non solo la faccia da beota, tipo Alberto Sordi quando faceva il rintronato, degli aspiranti rondisti in divisa, ma anche e soprattutto l’abbondanza di simboli “volitivi” e chiaramente di ispirazione militare nelle divise stesse. Aquile e minchiate simili abbondano facilmente, assieme all’immancabile cappellone con visiera che farebbe felice uno sfigato generale russo o egiziano o l’ex presidente della nostra Repubblica Francesco Cossiga.
A Milano esistono da tempo i “City’s angels”, il cui capo ho conosciuto qualche anno fa a un dibattito a Telelombardia ricavandone una non ottima impressione: diciamo che non gli affiderei mai un bambino né un ragazzino. Ma a parte questa mia impressione, forse fallace, non capisco perché debbano andare in giro con un basco in testa a mo’ di carabinieri o parà, anche se il casco è blu anziché nero o amaranto, e comunque abbigliati con una divisa che sa più di militare che di civile. Perché non mandarli in giro con una tuta da operai o semplicemente in giacca e cravatta, così da dare anche il buon esempio contro lo sbarco (anche) del vestire? Per distinguersi potrebbero benissimo avere un semplice distintivo costituito dalla scritta del proprio nome e da quello della loro associazione oppure da una fascia catarifrangente come quella di chi lavora alla riparazione delle strade.

E’ anche strano che in una città come Milano, che comincia ad abbondare di nuovi untori, non più manzoniani ma “linguistici”,  contro tutto ciò che non sia il micragnoso dialetto, il nome di tale associazione sia inglese, “City’s angels”, anziché in un più corretto e locale italiano, “Angeli della città”, o in milanese, che non so come si scriva e pronunci. Immagino che l’inglese sia stato scelto perché comprensibile anche ai non italiani, dai turisti ai manager agli immigrati extracomunitari, ma ciò significa ammettere che il dialetto è ancor più una roba da buzzurri quando usato fuori dal proprio cortile o ambito familiar paesano.

I problemi seri però sono altri: Continua a leggere

Antisemita a chi?

Un ebreo nella direzione di al-Fatah. Per la prima volta il partito fondato da Arafat prende una decisione di questo tipo. Uri Davis, 66 anni, insegna sociologia all’università Al Qods a Gerusalemme est. Il professore è stato uno dei primi obiettori di coscienza di Israele e si considera “un palestinese che parla ebraico”.

RAMALLAH (CISGIORDANIA) – Svolta storica per al-Fatah. Per la prima volta un ebreo è stato eletto nella direzione del partito dell’attuale presidente dell’Autorità nazionale palestinese Abu Mazen (Mahmud Abbas). Uri Davis, questo il nome del neoeletto, ha 66 anni ed è un professore di sociologia all’Università Al Qods di Abu Dis, alla periferia di Gerusalemme est.

“Sono di nazionalità israeliana e britannica, ma mi considero innanzitutto un palestinese che parla ebraico”, ha dichiarato Davis all’agenzia Afp prima della sua elezione, avvenuta domenica scorsa ma resa nota solo oggi. Il militante antisionista, iscritto ad al-Fatah dal 1984 (il partito venne fondato nel 1959 da Yasser Arafat), è stato uno dei primi obiettori di coscienza di Israele e ora dichiara di voler rappresentare in seno al partito “centinaia di militanti non-arabi che hanno partecipato alla lotta palestinese”.

Utopia e libertà di coscienza. Sette spunti per un film di fantascienza

Una società utopica o extraterrestre deve necessariamente essere una società in cui tempo e spazio sono assolutamente relativi, nel senso che la loro dimensione dev’essere relativa al desiderio dell’essere umano di poter rivivere o quanto meno di rivedere qualunque passato e di essere presente in qualunque luogo.

L’unica cosa impossibile, in quanto illecita, è quella che nega la libertà di coscienza, e cioè la previsione del futuro. Il futuro non è prevedibile, se non nel senso generico che se non si rispettano determinate condizioni fondamentali per la libertà di coscienza, si formeranno situazioni favorevoli alla alienazione della persona.

Deve dunque esistere una sorta di macchina del tempo, che permetta di vedere il passato per quello che è stato. E deve esistere una macchina, nel presente, la cui velocità sia pari al desiderio della coscienza di poter essere in ogni luogo e di incontrarsi con chiunque e di utilizzare qualunque mezzo utile alla comunicazione.

Se non vengono soddisfatte queste due condizioni, non ha senso parlare di società “utopica”, cioè posta fuori dalle condizioni terrestri.

Non va tuttavia negata solo la previsione del futuro, ma anche la pretesa di un rapporto unilaterale con qualcuno. L’incontro deve essere fondato sul desiderio reciproco, altrimenti viene di nuovo violata la libertà di coscienza.

Poste queste due condizioni, la società utopica deve prevederne altre due. La prima riguarda il fatto che noi, essendo prodotti di natura, non possiamo fare a meno di questa e con questa dobbiamo avere un rapporto naturale. Umanità e Naturalità devono andare di pari passo, valorizzandosi a vicenda.

Scienza e tecnica devono basarsi sulle esigenze riproduttive della natura, che sono poi quelle che permettono un’adeguata riproduzione umana.

La seconda condizione (che è poi la quarta) è che in una società utopica si deve avere la possibilità di riprendere in qualche modo il cammino che la morte terrena aveva interrotto. Il modo in cui il cammino va ripreso è in rapporto alla realizzazione di sé, alla comprensione della verità delle cose, che è insieme verità soggettiva e oggettiva, relativa e assoluta.

Se si è iniziato un percorso, la società utopica deve indicare le condizioni in cui poterlo proseguire in maniera conforme alle esigenze di Umanità e Naturalità. Ma per far questo, occorre la possibilità in tempo reale di verificare l’attendibilità delle proprie ricerche, cioè una compatibilità tra teoria e prassi, adeguata alle esigenze umane e naturali: un adeguamento della prassi proporzionato alle aspettative, alle pretese della teoria, al proprio desiderio di essere.

Ecco queste quattro condizioni sono quanto di meglio si possa desiderare in una società utopica. Sono condizioni preliminari, non le uniche possibili, ma certamente quelle che rendono possibili tutte le altre.

La quinta condizione da rispettare è l’espressività riproduttiva, per la realizzazione di sé. L’arte di fare le cose è una forma progressiva di apprendimento, in cui ognuno si misura con quel che è, in previsione di quel che può diventare.

La sesta condizione riguarda inevitabilmente la riproduzione dell’essere umano stesso, strettamente connessa alla differenza di genere, che è universale, e che è connessa anche alla trasformazione perenne della materia, non meno universale.

Poiché in origine non esiste l’uno che si compiace di sé, assolutamente autosufficiente, ma esiste l’uno che si sdoppia in elementi che insieme sono opposti e complementari, la riproduzione umana non può restare che patrimonio della coppia.

La settima e ultima condizione è relativa al modo di gestire tutte le altre. La migliore gestione dell’Umanità e Naturalità della società utopica è l’autogestione. La consapevolezza che la gestione delle cose appartiene a se stessi è la migliore garanzia di democraticità.

Per autogestione s’intende quella delle cose che permettono la propria esistenza in vita, che è produzione di espressività e riproduzione di sé.

Il Tar del Lazio fa perdere il senso della misura, e della decenza, agli stessi vescovi italiani assai prudenti con gli scandali di Berlusconi. Che aveva promesso le “tre i” per tutti (“internet, inglese, impresa”), ma ora rischia di rifilarci invece il pugno di mosche strapaesane dei dialetti a scuola e la “i” di imbecillità e ignoranza anziché di inglese e italiano

Bieco Illuminismo!”. La cosa più divertente della nuova uscita da energumeni facinorosi dei vescovi italiani provocata questa volta dalla ovvia e dovuta sentenza del Tar del Lazio contro l’invadenza dei “professori” (?) di religione – gente senza qualità scaricata dagli stessi vescovi sul gobbo della scuola pubblica e delle finanze italiane – è l’accusa di “bieco illuminismo”. Evidentemente lor signori, che campano pure loro con i nostri soldi, preferiscono il bieco oscurantismo papalino che fu la molla che scatenò, per fortuna, l’Illuminismo, parola che il clero mai dovrebbe pronunciare per il semplice motivo che non ne è degno. Non ci fosse stato l’Illuminismo, vivremmo ancora nel brago e nell’ignoranza, vale a dire nell’Oscurantismo, voluto e alimentato dai privilegi del clero per continuare a vivere sulle spalle altrui.

Fa ridere anche l’indecorosa accusa degli stessi vescovi contro il Tar del Lazio colpevole nientepoppodimmenocché di essere entrato “a gamba tesa” su una materia che secondo il delirio vescovile non è di competenza della magistratura italiana bensì di santa madre Chiesa… Mah. Capisco la caldana estiva e i suoi effetti sulle menti deboli, ma qui si esagera. A entrare a gamba tesa in affari che non li riguardano sono semmai – come al solito – i vescovi, certo non la magistratura italiana.

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La terna in azione contro l’unità e le libertà dell’Italia

Non vorrei essere allarmista, ma ho l’impressione che si stia sottovalutando l’effetto globale del combinato disposto rappresentato dalla terna Berlusconi-Lega-Chiesa, terna da qualche settimana entrata in una fase particolare, ossessiva temo non solo a causa del solleone.

1 – Le minacce al mondo della comunicazione giornalistica da parte di Berlusconi sono decisamente inaccettabili in qualunque Paese occidentale democratico, negli Usa addirittura impensabili. Tant’è che Obama è inerte sotto la marea di accuse, falsi e calunnie vomitatagli ormai quotidianamente addosso dal mondo dei repubblicani e dell’imprenditoria orfana dei Bush ben deciso a far fallire anche il suo progetto di assistenza sanitaria, oltre a quello della pace in Medio Oriente e di un accordo o almeno modus vivendi decente con l’Iran. Continua a leggere

BASTA ESPULSIONI DI PALESTINESI DA GERUSALEMME EST

Come ho solo accennato giorni fa, sono stato una settimana a Gerusalemme e in Palestina, cioè nei Territori Occupati (da Israele). Sono rimasto talmente sconvolto da come ho visto vengono trattati i palestinesi, perfino dichiarati maggiorenni a 16 anni, con il risultato anche di metterli in galera con adulti quando per un qualunque motivo vengono arrestati, che ho deciso di non scriverne a botta calda. Mi limito, per ora, a pubblicare un appello-denuncia contro la strategia degli sfratti e delle demolizioni di case di palestinesi (anche) a Gerusalemme per sostituirli con israeliani di solito ebrei ortodossi. Le famiglie citate nell’appello come vittime della ennesima cacciata, cioè le famiglie al Ghawi e al Hanoun (vedi foto qui in basso a sinistra), le ho conosciute, sono andato a far loro visita mentre erano in attesa della demolizione o “semplice” cacciata con la forza, infine arrivata nonostante le proteste del quasi l’intero mondo diplomatico.

Nello stesso spiazzo dove si affacciavano le loro case c’era sul lato opposto anche la tenda della signora Um Kamel (vedi foto qui in basso), che, prima che gliela distruggessero pochi giorni fa, vi abitava, in compagnia di alcuni pacifisti internazionali, per protesta contro l’essere stata cacciata dalla sua abitazione lì vicino per far posto a un israeliano ebreo ortodosso, seguito come al solito da altri per allargare l’insediamento, oltretutto illegale anche secondo il diritto internazionale.

Durante la cacciata il marito della signora è morto di infarto, altro particolare che alle autorità israeliane non interessa un fico secco. E non solo alle autorità. Ho visto con i miei occhi passare con la più grande indifferenza davanti alla tenda l’israeliano, che potete vedere nella foto, con tanto di enorme cappello e vestiario tradizionale vecchio di secoli, che ora abita proprio nella casa della donna buttata fuori con la forza e rimasta vedova. Ho anche visto passare con tanto di cipiglio di sfida una giovane israeliana abbigliata con le gonne lunghe e l’abbigliamento che credo sia delle ebree ortodosse.

Per ora non faccio commenti.

Ecco il testo dell’appello-denuncia, che chi vuole può sottoscrivere rivolgendosi ai recapiti di posta elettronica indicati.

BASTA ESPULSIONI DI PALESTINESI DA GERUSALEMME EST

Al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano (presidenza.repubblica@quirinale.it)

Al Ministro degli Affari Esteri Franco Frattini (gabinetto@esteri.it)

All’Ambasciatore d’Italia a Tel Aviv Luigi Mattiolo (luigi.mattiolo@esteri.it)

Al Console Generale d’Italia a Gerusalemme Luciano Pezzotti (luciano.pezzotti@esteri.it)

Domenica 2 agosto e’ stato reso esecutivo l’ordine di sfratto pendente su due famiglie palestinesi di Sheikh Jarrah a Gerusalemme Est. Alle prime ore del mattino i soldati dell’IDF (Israeli Defence Forces) hanno costretto con la forza le famiglie al Ghawi e al Hanoun, gia` profughi nel `48, a lasciare le loro case nel quartiere di Sheikh Jarrah, dove risiedevano dal 1956. Al loro posto sono gia’ entrati nelle abitazioni coloni israeliani.

Da settimane la presenza di cittadini e attivisti per i diritti umani palestinesi, israeliani ed internazionali ha sostenuto la determinazione delle famiglie a non lasciare le proprie case e a non divenire vittime delle politiche di pulizia etnica dello Stato di Israele. Continua a leggere

Anche Scalfari teme per la nostra unità nazionale. Mentre la Chiesa sul Chiavaliere svicola o divaga, in Israele anche l’impresentabile ministro degli Esteri rischia di finire sotto processo

Ricorderete forse che poco tempo fa ho parlato della possibilità che l’unità d’Italia vada in frantumi nel giro di 5 o 10 anni, a causa del federalismo d’accatto voluto dalla Lega. E ho aggiunto  che la Comunità Europea prenderebbe al volo l’occasione per buttarci fuori dall’euro, perché la Germania, che nell’euro non ci voleva, e la Francia vedono ormai come un peso morto la nostra presenza. Beh, mi ha fatto una certa impressione leggere il fondo domenicale di Eugenio Scalfari di apertura della prima pagina di Repubblica 2 agosto, perché parla anche lui esplicitamente del pericolo di sfascio dell’unità nazionale e ne elenca i vari motivi, anche se a mio avviso ne ha dimenticati qualcuno. Scalfari lo sfascio lo vede possibile a meno dei 5-10 anni da me ipotizzati (toccando ferro). Per fortuna non parla della possibilità che ci caccino dall’euro, e quindi almeno su questo posso pensare che sbaglio e sono un visionario.

Scalfari punta il dito soprattutto contro la Lega, che dallo sfascio dell’unità dello Stivale crede di avare tutto da guadagnare. Là dove non sono riuscite le Brigate Rosse, il vario terrorismo rosso e quello nero, che – alimentato da gangli dello Stato – è stato il padre di tutti i terrorismi, sta riuscendo egregiamente il leghismo, anche se l’obiettivo è diverso. I lati comici di questa faccenda sono almeno due, anzi tre. Continua a leggere