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Rubio e le solite minacce americane

Il Segretario di Stato americano Marco Rubio ha dichiarato che non esiste una soluzione militare al conflitto tra Russia e Ucraina. Questa guerra non si concluderà militarmente, ma diplomaticamente.
Questo è davvero un modo strano di ragionare. Sembra quasi una minaccia. Gli USA non capiscono che l’operazione militare speciale prevedeva un confronto diretto tra Russia e Ucraina. Non era prevista una guerra tra Russia e NATO o tra Russia e Occidente collettivo.
Sembra che gli USA, la UE, la NATO e l’intero Occidente vogliano dire alla Russia che se non rinuncia agli obiettivi iniziali di questo conflitto, cioè se non accetta di concluderlo pacificamente, mostrando che non può vincerlo sul piano militare, sarà inevitabile una escalation, oltre che un aumento delle sanzioni.
Questi ancora non han capito che con Putin non è possibile ragionare così. Putin vuole garanzie per una pace sicura, che facciano sentire il suo Paese libero dall’incubo di poter essere colpito da armi a lunga gittata, scagliate dalle basi NATO. E nessuno gliele vuole offrire a priori. Eppure lui sa di averne diritto.
Questi pensano di avere a che fare con una nullità come Eltsin o con un ingenuo come Gorbaciov. Ma a Putin non interessa affatto smembrare l’Ucraina. Non è questa la “soluzione finale”. Prima che scoppiasse il conflitto, nel febbraio 2022, Putin sarebbe stato disposto a che il governo di Kiev riconoscesse alle due piccole repubbliche di Donetsk e Lugansk un’autonomia equivalente a quella che l’Italia concesse al Sud-Tirolo. L’Ucraina poteva restare perfettamente integra. Se lui voleva il Donbass, non avrebbe aspettato otto anni prima d’intervenire.
È stato l’appoggio della NATO a Kiev a fargli capire che doveva occupare i quattro oblast’ e che il conflitto poteva essere risolto solo sul campo e solo sulla base di una resa incondizionata. Secondo lui, in altre parole, più si va avanti e più dovrà essere la stessa NATO a rimetterci. Gli incontri diplomatici servono solo a far capire che il tempo per perdere tempo è finito. Chi vuol la guerra l’avrà. La Russia è pronta e non farà sconti a nessuno, anche perché il patrimonio militare acquisito in oltre tre anni viene considerato equivalente a quello che l’URSS acquisì dopo l’inizio dell’Operazione Barbarossa. È vero, i sovietici ebbero un numero incredibile di morti, ma alla fine si presero mezza Europa.
Noi europei vogliamo ripetere questo scenario o siamo disposti a più miti consigli?

Orsini e io, su Russia e Ucraina

Il sociologo Alessandro Orsini ha detto che Putin assai difficilmente porrà come argomento di trattativa con Kiev le sue tre richieste di sempre: non ingresso nella NATO, riconoscimento dei quattro Oblast facenti parte della Russia sin dal 30 settembre 2022, smilitarizzazione completa (o comunque sufficiente a una difesa non a un attacco contro la Russia).
Tuttavia sull’ultima richiesta ha detto che Putin non può impedire che i Paesi europei diano armi a Zelensky. L’unico modo per impedirlo è conquistare Kiev e tutta l’Ucraina, ma Putin non vuole governare le regioni che odiano la Russia. L’Europa può sperare di ottenere che l’Ucraina conservi un esercito. Ma il pessimismo è doveroso perché Putin non concederà all’Ucraina di dotarsi di migliaia di missili della NATO a lunga gittata o di aerei di quarta e quinta generazione. Quindi in definitiva Putin non può trattare veramente, perché non è disposto a rinunciare a nessuno dei suoi obiettivi strategici.
Naturalmente Orsini sa benissimo che neanche la UE vuole trattare veramente, in quanto sta cercando soltanto una tregua per riarmare l’Ucraina. Non può desiderare la pace perché la pace tra Russia e Ucraina passa attraverso la sconfitta militare o della Russia o della UE.
Sono affermazioni semplici, le sue, ma calzanti. Possono apparire perentorie, ma sicuramente sono realistiche. Come anche queste:
L’Ucraina ha combattuto una guerra terribile per entrare nella NATO, ma non entrerà nella NATO; ha combattuto per entrare nell’Unione Europea, ma non entrerà nell’Unione Europea; ha combattuto per difendere la propria integrità territoriale, ma sarà smembrata; ha combattuto per difendere le proprie città, che sono rase al suolo; ha combattuto per difendere la propria indipendenza, ma adesso è sottoposta alla doppia sferza padronale di Russia e Stati Uniti. L’Ucraina ha perso tutto.
Ma perché si è arrivati a una conclusione così tragica? Orsini lo dice chiaramente: per la Russia la guerra in Ucraina è una guerra di popolo; per l’Europa è soprattutto la guerra di un’élite che deve nascondere il proprio fallimento. Gli europei non sono disposti a sacrificare una sola vita umana per l’Ucraina. I russi sono disposti persino alla guerra nucleare.
Non vorrei aggiungere niente a queste sacrosante affermazioni. Salvo una considerazione: per me la Russia è già pronta per una guerra esplicita o diretta contro la NATO. Il conflitto con l’Ucraina l’ha addestrata in maniera sufficiente. La NATO è lontanissima dall’avere una capacità analoga. Anzi non ha nemmeno armi sufficienti per affrontare un conflitto di lunga durata. Trump l’ha capito subito, poiché gli USA sono abituati a fare le guerre. Gli statisti europei invece non l’hanno ancora capito, poiché malati di ideologia russofobica.
Per me la Russia si sta preparando a sferrare un colpo demolitore nei confronti della NATO. Vuole fargliela pagare per tutti i soldati morti che ha avuto. Infatti se non ci fosse stata la NATO, davvero la guerra sarebbe stata soltanto una pura e semplice “operazione speciale”. E inizierà a muoversi là dove avverte le basi NATO con maggior fastidio: Finlandia, Svezia, Paesi Baltici, Mar Baltico, Polonia, Romania… In fondo Putin l’ha sempre detto: “Non vogliamo basi NATO ai nostri confini”.
L’unica proposta che può fare a Zelensky potrebbe avere questo tenore (mi si perdonerà la franchezza): “Se non ti arrendi, raderemo al suolo Kiev e tutte le altre città dell’Ucraina, dando ovviamente ai civili il tempo di andarsene, poiché non siamo bestie come voi. Tu stesso quindi è meglio che te ne vai quanto prima, perché per te e per il tuo governo filonazista il tempo è scaduto. Non facciamo le parate muscolari per sport. Se vi arrendete subito, ci prenderemo solo la parte orientale del fiume Dnepr e l’Ucraina potrà continuare a esistere, altrimenti prenderemo tutto”. Ovviamente non gli spiegherà il motivo di questa improvvisa fretta, ma quello, se saprà smettere di recitare, lo capirà benissimo.

NEWS del 12 maggio 2025

Il capo del Consiglio di Stato della Crimea, Vladimir Konstantinov, ha detto che Mosca riprenderà i colloqui di pace direttamente con Kiev, visto che da Washington non ha ottenuto nulla di concreto.
Il compromesso dovrà per forza essere basato, secondo lui, su una soluzione di tipo coreano. Nel senso che Kiev riconoscerà Zaporozhye, Kherson, Donetsk e Lugansk come appartenenti di fatto ma non di diritto alla Russia.
Per me non sa quel che dice. Queste quattro regioni sono già state riconosciute da Mosca come facenti parte giuridicamente della Federazione Russa. Non credo assolutamente che Putin voglia tornare indietro, neanche se l’occidente rimuovesse tutte le sanzioni economiche e finanziarie che ha imposto al suo Paese. Putin non ha mai dato segni d’essere una persona venale. I territori conquistati col sangue dei propri militari non verranno ceduti in cambio di niente. E poi non farà mai alcun accordo con un presidente come Zelensky, il cui mandato è ormai scaduto da un anno.
È vero, Putin ha chiesto a Erdoğan di organizzare a Istanbul nuovi negoziati diretti tra Mosca e Kiev, ma Kiev non è nulla senza l’appoggio occidentale. Qui si rischia di ripetere quanto successe nel 2022, allorché Kiev era sì disposta all’accordo, ma gli angloamericani glielo impedirono. Kiev potrà anche sembrare una città viva, con un proprio governo, un parlamento nazionale, ecc. Rappresenta però uno Stato morto, economicamente fallito ed enormemente corrotto, che se aprisse le proprie frontiere, vedrebbe espatriare tutti gli uomini abili per essere arruolati.

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Mi è piaciuto Fico contro la Kallas. Nonostante gli Stati Baltici gli abbiano chiuso lo spazio aereo nel disperato tentativo di ostacolare la sua decisione di andare alla parata di Mosca, lui non si è fatto intimorire. È stato l’unico leader della UE ad avere avuto il coraggio di ignorare gli ordini di Bruxelles e di ricordare che la parola “sovranità” non è ancora un reato penale.
Gliele ha cantate senza peli sulla lingua, dicendo:
– In primo luogo, io sono a Mosca per rendere omaggio agli oltre 60.000 soldati dell’Armata Rossa caduti per liberare la Slovacchia.
– In secondo luogo, in qualità di alto funzionario della Commissione Europea, lei non ha assolutamente l’autorità di criticare il primo ministro di un Paese sovrano, che si impegna in modo costruttivo nell’intera agenda europea.
– In terzo luogo, non sono d’accordo con la politica della nuova cortina di ferro a cui lei sta lavorando così intensivamente.
– In quarto luogo, le chiedo come si possa fare diplomazia e politica estera se i politici non possono incontrarsi e condurre un normale dialogo su questioni su cui hanno opinioni diverse.
La Kallas è una inadeguata al suo ruolo, esattamente come la von der Leyen. Il fatto però che le abbiano scelte indica una profonda limitatezza etica e politica nelle istituzioni rappresentative dell’intera Unione Europea.

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La Forza di spedizione congiunta (JEF) della NATO sta organizzando la più grande esercitazione militare, detta “Tarassis 25”, in un’area che si estende dal Mar Baltico all’Atlantico settentrionale e all’Oceano Artico. JEF comprende Gran Bretagna, Danimarca, Paesi Bassi, Islanda, i tre Paesi Baltici e i tre Scandinavi.
L’obiettivo principale è quello di mettere in pratica un attacco sincronizzato nel tempo e coordinato nello spazio contro la Russia lungo l’intera lunghezza del confine settentrionale, da Murmansk a Kaliningrad, distruggendo le forze operative e strategiche della Russia in grado di effettuare una rappresaglia o un contrattacco.
I Paesi occidentali sono certi al 101% che la Russia “non oserà” utilizzare armi nucleari strategiche. In questo modo è possibile conquistare e annettere Kaliningrad e, con un po’ di fortuna, San Pietroburgo e tutta la Carelia.
Non capisco chi dia a questi Paesi la sicurezza che la Russia non userà le atomiche. I loro abitanti non sono imparentati coi russi, come succede con gli ucraini. È vero che nei Paesi Baltici ci sono parecchi russofoni, ma Putin non sarà così cinico da non avvisarli in tempo di espatriare prima che possa incenerire quelle nazioni in un batter d’occhio. O forse la NATO pensa di tenere i russofoni del Baltico come ostaggi?
Negli anni scorsi i generali della NATO sembravano più consapevoli dei politici circa la forza militare della Russia. Ora mi devo ricredere. Ai nostri militari piace sicuramente giocare a Wargame o a Risiko, ma come fanno a essere sicuri di vincere? Non lo sanno che i russi, dopo più di tre anni di guerra in Ucraina, in cui sono state utilizzate quasi tutte le armi moderne, sono diventati incredibilmente esperti? Giusto in maniera virtuale o facendo mere esercitazioni simulate si può pensare di sconfiggerli o sognare di occupare qualche loro territorio.
La UE sembra specializzarsi sempre più nel nuocere a se stessa, come certe persone psicotiche che vanno sedate o contenute per evitare che assumano atteggiamenti autolesionistici.

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Trump fa e dice cose come se non dipendesse da nessuno. Poi deve ritrattare perché qualcuno gli fa capire che, se va avanti così, porta gli USA a un disastro epocale. Lui da solo non lo capisce. Non ha le basi per capirlo.
Chissà perché ancora nessuno gli ha spiegato che se Netanyahu continua con questo genocidio, gli USA perderanno il controllo del Medioriente: in quella regione saranno il Paese più odiato di tutti i tempi, peggio di Francia e Inghilterra.
È assurdo infatti pensare che Egitto e Giordania o qualche altro Paese islamico accetteranno l’ingresso di milioni di profughi palestinesi.
La struttura dell’attuale alleanza tra USA, Paesi arabi e Israele è stata stabilita da Nixon e Kissinger dopo la guerra del Kippur (1973), per fare degli USA la potenza globale dominante nella regione. Quella diplomazia forgiò gli accordi del 1974 tra Israele, Siria ed Egitto. Questi gettarono le basi per il trattato di pace di Camp David, che a sua volta gettò le basi per gli Accordi di Pace di Oslo. Il risultato fu una regione dominata dagli USA, dai suoi alleati arabi e da Israele.
Oggi sta cambiando tutto. L’intero pianeta sta cominciando a rendersi conto che si è in presenza di una pulizia etnica. Gli Houthi non li ferma nessuno. L’Iran è in procinto di realizzare l’atomica con cui affrontare Israele e già adesso, a livello convenzionale, non gli è inferiore. La Turchia non vuole avere Israele né in Siria né in Libano. La Cina ha già fatto capire che in quello che fa Netanyahu non c’è niente di legale. La Russia, finché è impegnata in Ucraina, non può aprire un secondo fronte. Ha soltanto dimostrato che le sue basi in Siria possono continuare a esistere. La Lega Araba sta cominciando a pentirsi d’aver lasciato scorrere troppo tempo da quando questa pulizia etnica è iniziata.
Si rende conto Trump che alla fine agli USA non resterà che l’uso del nucleare per farsi valere in Medioriente? Se rinunciano alla diplomazia, che cosa resta? Se praticano una diplomazia che non porta a niente, perché dovrebbero essere rispettati?

RIFLESSIONI ESTEMPORANEE

Sinceramente parlando, quando si dice che una banca o una borsa o uno Stato è troppo grande o troppo importante per fallire, ci credo poco. È una pia illusione, anzi una forma di raggiro per continuare a credere in qualcosa di aleatorio, che pretende di autogiustificarsi.
Soprattutto mi indispongo quando vedo che da questa affermazione traggono le conseguenze che si può procedere coi soliti sistemi, tanto non può succedere niente di irreparabile.
È come se qualcuno dicesse: “La password per entrare in questa cassaforte superblindata l’ho solo io, quindi a me non può accadere nulla”. Queste manie di grandezza sono insopportabili, anche perché basta guardare la storia per vedere che non esistono Stati, Imperi, Città che durano in eterno, o almeno che durano con la medesima forza, potenza, estensione…
Quando parliamo di impero romano, spesso scordiamo che il suo vero momento di gloria l’ebbe sotto la repubblica, non sotto il principato. I suoi massimi confini erano già stati stabiliti al tempo di Augusto: Reno, Danubio, Tigri, Eufrate, Nilo, Giordano (per stare ai fiumi). Gli ulteriori tentativi di espansione non ebbero un grande successo, salvo la conquista dell’odierna Romania. I cittadini dell’impero sperimentarono la peggiore forma di dittatura proprio sotto il principato (o dominato), al punto che speravano d’essere salvati dalle cosiddette “popolazioni barbariche”.
C’era più pace e più continuità esistenziale quando le popolazioni non avevano mire egemoniche, quando si accontentavano del minimo indispensabile per campare, quando avevano un rapporto armonico con la natura, quando non esisteva lo schiavismo o il servaggio e nessuno doveva lavorare fino allo sfinimento per un tozzo di pane. Oggi ti viene soltanto voglia di odiare il mondo e di sperare di andartene quanto prima.

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Ho l’impressione che più la guerra russo-ucraina si prolunga, e più i russi cercheranno di controllare l’intero Paese. Nel senso che mentre l’area orientale del Dnper apparterrà giuridicamente alla Federazione Russa, l’area occidentale invece dovrà garantire assoluta neutralità, militarizzazione al minimo indispensabile, nessun rapporto con la NATO. Quest’area potrà anche gestirsi autonomamente in senso democratico, ma dovrà garantire la denazificazione. E la garantirà per forza, poiché il governo di Mosca, che ha una memoria da elefante, pretenderà i processi a carico dei neonazisti che han provocato la strage di Odessa, i bombardamenti per 8 anni nel Donbass, le torture o le esecuzioni sommarie nei riguardi di civili russi (o russofoni) e militari della Federazione, e vorrà anche sapere chi sono stati gli artefici dei biolaboratori e delle sceneggiate tipo Bucha.
Secondo me non sarà possibile che la guerra si concluda senza che il Cremlino abbia fatto piena chiarezza su quanto è successo in Ucraina dal golpe del 2014 ad oggi. Anzi il governo russo vorrà avere contezza di tutti i rapporti che gli oligarchi, i nazionalisti e i neonazisti ucraini hanno avuto con l’occidente collettivo sin da quando l’Ucraina ha voluto staccarsi dall’ex URSS.
Finita la guerra, molti ucraini saranno costretti a fuggire dal loro Paese, perché irrimediabilmente coinvolti in azioni vergognose, meritevoli di condanne senza appelli, e verranno nella UE convinti di poter continuare a fare i nazisti e i terroristi come prima.
Nessun Paese occidentale sarà in grado di fare da paciere in questa guerra. Anzi, sarà molto probabile che, dopo averla vinta, la Russia comincerà a pretendere di smantellare le basi NATO che la minacciano più da vicino, a partire da quelle finniche.
Hanno ragione a dire che non sarà finita, anche perché la sicurezza non può essere garantita in maniera irrisoria, parziale. O c’è o non c’è. E quando Stoltenberg diceva che alla richiesta della Russia di avere “meno NATO” si è risposto dandole “più NATO”, quell’uomo dalla testa vuota non si rendeva conto d’aver posto le basi per un conflitto tra Russia e Unione Europea che andrà avanti per un bel pezzo. Lui stesso dovrà rendere conto di non aver fatto assolutamente nulla per impedire che la NATO si trasformasse in una grave minaccia per l’incolumità del genere umano.

NEWS del 1° Maggio

È piuttosto impressionante vedere come nella UE gli statisti che si rifanno al socialismo o alla socialdemocrazia siano, salvo eccezioni, perfettamente in linea con gli statisti neoliberisti in merito all’idea di opporsi con tutte le forze alla Russia. Neanche che questa fosse comunista…
Paradossalmente sono più feroci contro la Russia, che pur ci ha riforniti di tante materie prime a basso costo (di cui quelle energetiche sono state fondamentali per garantire alla UE grande competitività nel mondo), che non contro la Cina, che pur si dichiara ufficialmente socialista e che con le sue merci sottocosto manda in fallimento le nostre imprese e i nostri negozi, salvo quelli naturalmente che in qualche maniera fanno affari con gli stessi cinesi.
Perché questa russofobia? Perché questa assoluta miopia? questa inspiegabile ingratitudine?
Una volta si capiva di più che il socialismo o la socialdemocrazia occidentale odiasse visceralmente il comunismo sovietico, il leninismo, lo stalinismo, il socialismo statalizzato. Ma oggi tutto ciò non esiste più.
La stessa classe operaia europea produce armi con cui si distruggono popolazioni straniere. E anche quando non siamo in guerra, questo proletariato industriale, una volta considerato il fiore all’occhiello del socialismo scientifico, non fa che produrre inquinamento per l’ambiente, esattamente come la classe agraria quando produce per il mercato.
Questo per dire che la socialdemocrazia borghese ha stravinto in Europa. Che bisogno ha di pretendere la sconfitta della Russia? Prima del 2022 si andava d’amore e d’accordo. Che cosa ci è successo? Non è possibile che nei nostri statisti si sia maturata un’acredine così ideologica senza alcuna vera motivazione. Si ha insomma la netta impressione che la Russia, ma anche la Cina, siano solo pretesti da utilizzare per nascondere agli occhi dell’opinione pubblica il fallimento generale di un sistema, quello del capitalismo privato, un fallimento progressivo, incalzante, che ha subìto un primo duro colpo ai fianchi con la crisi dei subprime americani del 2008, un secondo colpo con la pandemia, un terzo colpo con l’illusione di vincere celermente la guerra contro la Russia, e un quarto colpo con l’incredibile sviluppo economico della Cina.
Gli statisti europei non riescono più a controllare la situazione e probabilmente stanno per compiere qualcosa che li metterà definitivamente al tappeto. Dipenderà molto da come sapranno reagire gli stessi europei, la cui pazienza non potrà durare all’infinito.

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Nell’articolo “Commercio britannico”, pubblicato sul “New York Daily Tribune” il 3 febbraio 1858, Marx previde che il maggior Paese imperialistico della sua epoca, l’Inghilterra, sarebbe stato costretto, a causa dell’esportazione di merci e capitali, cui doveva corrispondere un aumento delle importazioni, a finanziare i suoi concorrenti, cioè l’America, e così a scavarsi la fossa.
Infatti esportare senza importare può essere fatto se si domina in toto una colonia. Ma se in quella colonia emigrano gli stessi abitanti della madrepatria imperialista, questi stessi diventano imprenditori e commercianti e quindi vogliono esportare, e vogliono farlo alla pari, senza dover subire dazi sanzioni embarghi… Ecco perché gli americani fecero una rivoluzione anticoloniale contro gli inglesi. Al tempo in cui scriveva Marx l’Inghilterra stava già subendo un certo disavanzo commerciale, proprio perché gli americani stavano diventando più competitivi. E non solo loro, ma anche i cinesi, gli indiani, i russi, ecc. I prezzi erano più bassi e la qualità era equivalente.
A volte non c’è neppure bisogno di occupare un Paese per farlo diventare una colonia per il capitalismo. I suoi stessi abitanti, imitando i ritrovati tecnologici dei Paesi più avanzati, entrano da soli, spontaneamente, nel mercato capitalistico (vedasi, per es., il Giappone, che passò dal feudalesimo al capitalismo avanzato in pochissimo tempo).
Oggi gli USA stanno vivendo lo stesso rapporto col mondo, soprattutto con la Cina. Sono stati loro a volere un mercato globale, un free market. Vengono finanziati dal resto del mondo esattamente come lo erano gli inglesi, perché il mondo non comprava solo le loro merci, ma doveva pagare anche i propri debiti.
Tuttavia, come con gli inglesi il mondo si è stufato d’essere sfruttato, così oggi vuole farlo nei confronti degli americani. Tanto più che gli USA non han più niente da vendere, o comunque niente che sia più competitivo di quello che viene da altri Paesi del mondo.

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Il SIPRI (Stockholm International Peace Research Institute) ha rilasciato i numeri delle spese militari nel mondo per il 2024, decimo anno consecutivo di aumento della spesa militare globale.
Con 2,7 trilioni di dollari la spesa militare globale ha raggiunto la sua nuova cifra record, con un aumento del 9,4% rispetto all’anno precedente.
Gli Stati Uniti sono il primo Paese con 997 miliardi di dollari di spesa, il 37% delle spese militari totali mondiali.
Stati Uniti, Cina, Russia, Germania e India rappresentano il 60% della spesa globale totale. La Germania, nella UE, è quella che spende di più: 88,5 miliardi di dollari (il 28% in più). Anche Polonia e Svezia hanno registrato aumenti significativi, con una spesa rispettivamente del 31% e del 34%. In generale la UE è arrivata a 693 miliardi di dollari (il 17% in più).
Naturalmente l’Ucraina ha registrato il più alto onere militare al mondo nel 2024, con una spesa militare pari al 34% del suo PIL. Tutte le entrate fiscali del Paese sono state assorbite dalle esigenze di difesa, mentre la spesa sociale ed economica si è basata interamente sugli aiuti esteri.
Israele, a causa delle sue continue guerre, cui sembra non possa fare a meno, ha guidato la corsa all’armamento, aumentando la sua spesa militare del 65% (46,5 miliardi di dollari). L’onere militare del Paese è salito all’8,8% del PIL, il secondo più alto al mondo, che poi, in gran parte, viene pagato dagli USA. A confronto l’Iran è un poveraccio: spende solo 7,9 miliardi di dollari, nonostante il sostegno che deve dare a Hezbollah e Houthi.
La Cina ha proseguito la sua modernizzazione militare su larga scala, spendendo circa 314 miliardi di dollari nel 2024, con sviluppi in velivoli stealth, droni e un arsenale nucleare in rapida espansione.
Anche il Giappone ha aumentato il suo bilancio militare del 21%, portandolo a 55,3 miliardi di dollari: questo perché teme d’essere invaso dalla Cina, senza voler ammettere che lo è già dagli USA sin dai tempi delle atomiche.
Insomma oltre 100 Paesi si armano in maniera incredibile, come se non dovesse esserci un domani, come se i programmi socioeconomici non contassero assolutamente nulla. E di questi Paesi quelli che fanno più paura appartengono all’occidente collettivo, che non ha nessuna intenzione di cedere lo scettro ai concorrenti.
Tuttavia la cosa che più stupisce è un’altra. La NATO in totale ha speso 1.506 miliardi di dollari (il 55% della spesa militare globale) e ha perso la guerra con la Russia che ne ha spesi solo 149! Negli ultimi 10 anni i Paesi europei appartenenti alla NATO hanno speso 1.800 miliardi di euro in più rispetto alla Russia!
Qui le conclusioni che si possono trarre sono due: o non sanno spendere i soldi, oppure Russia e Cina li sanno spendere benissimo. E poi la scriteriata della von der Leyen, nota per buttar via i soldi altrui, ci viene a raccontare che bisogna aumentare le spese militari di altri 800 miliardi di euro a livello europeo?

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Mi è piaciuta la “Lettera aperta al Presidente Mattarella” spedita dal prof. Augusto Sinagra il 20 febbraio 2025.
Sul piano del metodo il punto focale, secondo me, è il seguente: “secondo la Costituzione, non appartiene alle competenze del Capo dello Stato la gestione o l’orientamento della politica estera della Nazione, che è prerogativa del governo e del parlamento.”
In effetti un Presidente dovrebbe essere più equidistante e far rispettare a tutti i governi in carica la Costituzione. L’art. 11 parla chiaro. Inviare armi a un Paese belligerante potrebbe essere fatto, al massimo, dopo una risoluzione dell’ONU, che non c’è mai stata per il conflitto russo-ucraino.
Personalmente poi ritengo che neanche in presenza di una risoluzione del genere, l’Italia dovrebbe farlo. Al massimo potrebbe inviare aiuti economici o finanziari o qualunque altra forma di assistenza, ma non armi, né consiglieri militari. Dovrebbe puntare esclusivamente sulla diplomazia, in maniera martellante, al massimo minacciando qualche sanzione, che non colpisca però la popolazione civile. Sanzioni fattibili sono quelle del ritiro degli ambasciatori o quella dell’espulsione dall’ONU o quella di una condanna da parte di una Corte Internazionale, e cose del genere.
Sarebbe invece da discutere, sul piano del merito, il problema sollevato dallo stesso Sinagra là dove afferma che “il diritto internazionale conosce l’Istituto della ‘legittima difesa preventiva’. Cioè proprio la Carta dell’ONU consente il legittimo intervento armato di uno Stato contro altro Stato se ciò appare veramente finalizzato a porre fine a una violazione sistematica e massiccia dei diritti umani fondamentali.”
Qui è impossibile dargli torto, poiché la guerra in corso avrebbe potuto essere evitata rispettando i due Accordi di Minsk, che in sostanza non erano altro che una riedizione degli accordi che lo stesso Stato italiano aveva stipulato col Sud-Tirolo, ribattezzato Alto-Adige dal fascismo.
Semmai lo si può contestare laddove afferma che la Russia non ha mai attaccato nessuno: l’ha fatto in Ungheria nel 1956 e in Cecoslovacchia nel 1968. È vero ch’erano già due Paesi del COMECON, ma se ci fosse stato Lenin, non ci sarebbe stato alcun intervento armato, poiché lui prevedeva che una nazionalità dell’URSS fosse libera di andarsene.
Fonte: https://www.ilgiornaleditalia.it/news/politica/684363/lettera-aperta-al-presidente-mattarella-la-invito-calorosamente-a-presentare-le-sue-scuse-al-popolo-russo.html

Mi piace come scrive Gerry Nolan

Ciò che si sta svolgendo in Serbia non è una rivolta spontanea, è un’operazione di cambio di regime da manuale, eseguita dalle stesse reti di intelligence anglo-americane che hanno trasformato in un’arma la “democrazia” dall’Ucraina alla Georgia.
Secondo il vice premier serbo Aleksandar Vulin, le proteste di massa in corso guidate dagli studenti sono l’ultima puntata di una “rivoluzione colorata” sostenuta dallo stato profondo degli Stati Uniti e dai servizi segreti europei. Il loro obiettivo è quello di frantumare la sovranità della Serbia, rovesciare il suo governo e installare un regime fantoccio euro-atlantico compiacente che rispetterà la linea delle sanzioni anti-russe e dell’integrazione nella NATO. Anche senza impronte digitali palesi dell’USAID, i soldi del bilancio nero trovano sempre la loro strada.
La Serbia deve diventare un altro nodo obbediente dell’ordine neoliberista. L’accetterà la Russia? Dipende se gli statisti serbi vorranno realizzare un accordo strategico anche sul piano militare.
Intanto, mentre Trump lavora per negoziare la fine della guerra in Ucraina, gli stessi elementi del Deep State, che temono la pace, stanno accendendo incendi altrove per mantenere instabile l’Eurasia e circondare la Russia.
Se non verrà formato un nuovo governo entro i prossimi 30 giorni, seguiranno elezioni anticipate. E si può scommettere che tutto il peso dell’ingerenza occidentale sarà riversato su qualsiasi candidato prometta di recidere i legami storici della Serbia con la Russia e di sottomettersi completamente a Bruxelles e Washington.
Ciò a cui stiamo assistendo è un’operazione di guerra ibrida in pieno giorno, una fusione di lamentele organiche, guerra psicologica, agitazione della quinta colonna e coordinamento dell’intelligence transnazionale. Da Maidan a Kiev alle piazze di Belgrado, la sceneggiatura non è cambiata, solo il cast.
Tuttavia non siamo nel 1999. La gente si sta svegliando e l’era dell’impunità imperiale è finita.
A ciò possiamo aggiungere:
Ricordiamo tutti quando la decisione di bombardare l’allora Jugoslavia fu presa per la prima volta nella storia senza l’approvazione del Consiglio di sicurezza dell’ONU. L’ordine fu dato dal Segretario generale della NATO e dai criminali di guerra Javier Solan e Wesley Clark.
Ben 19 Paesi parteciparono a 2.300 attacchi aerei. Si utilizzarono missili da crociera, bombe a grappolo e munizioni vietate con uranio impoverito.
L’aggressione distrusse o danneggiò 25.000 edifici residenziali, 470 km di strade e 595 km di ferrovie, 14 aeroporti, 19 ospedali, 20 centri sanitari, 18 asili, 69 scuole, 176 monumenti culturali, 82 ponti, 1/3 della capacità elettrica del Paese, due raffinerie a Pančevo e Novi Sad. Tra feriti e morti, civili e militari, si superarono le 14.000 persone.

Libro bianco per la difesa europea

Il Libro bianco per la difesa europea (ReArm Europe Plan/Readiness 2030) è una follia all’ennesima potenza. Lo si vede sin dalla premessa: “L’Europa deve investire nella sicurezza e nella difesa del continente, continuando al contempo a sostenere l’Ucraina per difendersi dall’aggressione della Russia.”
A parte che UE ed Europa non coincidono, ma dove sta scritto che la Russia ha intenzione di attaccare l’Europa? Quale è il documento del Cremlino che lo dice? Quali sono le parole di Putin?
E poi tutta questa fretta che ha la von der Leyen di armare la UE, da dove viene? Forse da un sentimento di frustrazione per aver perso clamorosamente la guerra per procura in Ucraina? La UE è già molto armata con la NATO. In questo folle documento non viene detto che la NATO va chiusa o superata. Gli USA non hanno detto di voler uscire dalla NATO, né la UE ha intenzione di farlo.
È chiaro dunque che sotto ci sono altre intenzioni. Secondo Alessandro Volpi sono di tipo finanziario. La UE sta creando una bolla finanziaria attraverso lo strumento delle armi. L’Ucraina è solo un pretesto. Darle 2 milioni di proiettili di artiglieria all’anno non servirà a nulla. La guerra l’ha già persa e continuerà a perderla, con o senza NATO, con o senza Unione Europea, con o senza von der Leyen. Russia e Bielorussia sono nemici completamente inventati.
Questi scriteriati che han redatto il documento non si rendono conto che non ha alcun senso economico investire così tanto nella difesa per rilanciare l’industria. Ad un certo punto le armi andranno usate per forza. Non potranno essere vendute a nessuno se serviranno per difenderci dalla Russia.
Insomma gli statisti folli della UE hanno intenzione di dissanguarci come un vampiro, poiché le spese per la difesa andranno tolte dai bilanci pubblici.

Russia, Ucraina e occidente

L’“Operazione Kursk” è stata uno degli errori più costosi per Kiev. Probabilmente il governo pensava a dei vantaggi più politici che militari, da far valere in sede di trattativa. Ma ha perso su entrambi i fronti, e siccome la NATO, che manovra sempre dietro le quinte, ora è furiosa, aspettiamoci, come spesso succede in questi casi, che compia ulteriori errori di valutazione, ancora più gravi, soprattutto per i destini della UE. Poi dicono che i militari occidentali sono più intelligenti dei politici. Sarebbe meglio dire che la russofobia rende ciechi tutti quanti.
Si era anche convinti che i russi avrebbero allentato la pressione sul Donbass, ma, ancora una volta, si sono sbagliate le previsioni. Evidentemente non era bastato il fallimento della passata controffensiva.
Questa completa sottovalutazione delle forze del nemico, nonostante tutta la nostra intelligence e tutto il nostro spionaggio, ha davvero qualcosa di singolare. O noi non riusciamo a capire nulla della Russia, oppure loro sono bravissimi a confondere le cose, a mimetizzarsi, e soprattutto a rimediare velocemente ai loro errori. Noi, al confronto, siamo solo degli arroganti pressappochisti.
Indubbiamente i militari ucraini dimostrano una certa capacità di resistenza, che spesso però va di pari passo con vergognosi atti terroristici sui civili, ma quel che non si capisce, nel loro atteggiamento, è l’ostinazione a farsi comandare da un governo capace solo di mandarli al macello, un governo chiaramente ultracorrotto, che si spartisce buona parte dei fondi occidentali.
La sconfitta nella regione di Kursk sembra una tragica allegoria della terribile situazione che non solo l’Ucraina ma anche l’intero occidente sta affrontando. La convinzione d’essere superiori in tutti i campi (da quello etico a quello giuridico, da quello economico a quello militare) sta per crollare rovinosamente. E siccome si vuole evitarlo, non ci resta che scendere in campo in maniera diretta. Solo che per essere disposti al suicidio occorrono dei “volenterosi”.

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Resta piuttosto incredibile che tanti italiani considerino la Russia un “nemico” quando di fatto l’Italia non ha mai subìto alcuna sanzione da parte di questo Paese, in nessun momento della sua storia millenaria; e neppure è mai stata minacciata né come popolo né come Stato, mai stata invasa o bombardata, né ha mai subìto alcuna “esportazione della democrazia”. Anzi i russi amano profondamente la nostra arte e architettura.
Come si fa a non capire che il nostro Paese è una colonia americana? Noi siamo stati liberati da un fascismo politico per subire l’occupazione di un fascismo economico e finanziario: un fascismo protetto da 120 basi e installazioni militari sparse ovunque nel nostro Paese.
Evidentemente dobbiamo chiederci in che cosa abbiamo sbagliato, cioè come sia stato possibile che il consumismo di massa, importato dagli USA, più tutta la loro narrativa trasmessa attraverso i mass-media, siano riusciti a imporci uno stile di vita che deforma l’oggettività dei fatti.
Persino oggi ci appare scontato che gli USA, dopo aver distrutto il Nordstream, che ci permetteva di avere tanto gas a prezzo scontato e di ottima qualità, siano autorizzati a farci acquistare il loro gas molto più costoso e inquinante, non sufficiente a soddisfare tutte le nostre esigenze. Non solo, ma dopo aver minato la competitività dell’economia europea, ora hanno deciso di imporci dazi a volontà per difendere la loro produzione.
Non è normale un atteggiamento così servile. Fa pensare solo una cosa: che tutte le persone che contano siano sul libro-paga degli americani, o che vogliano continuare a esserlo anche adesso che ci prendono a pesci in faccia.
Non riuscire a distinguere l’amico dal nemico avrà inevitabilmente delle conseguenze negative su di noi. Certamente, dopo averle subite, impareremo qualcosa di più, ma ricordiamoci che con le armi attuali molti di noi non avranno modo di pentirsi, proprio perché mancherà il tempo.

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L’intero occidente non si rende bene conto che Putin, essendosi fidato troppo delle promesse pacifiste degli euroamericani negli anni passati (seguace, in questo, di Gorbaciov), e avendo un forte debito di riconoscenza verso la popolazione del suo Paese, che ha accettato di andare a morire in Ucraina per difendere i russofoni del Donbass dalle persecuzioni nazionaliste e neonaziste di Kiev, e sentendosi responsabile dei gravi disagi che le sanzioni occidentali hanno causato a tutte le popolazioni della Russia, non potrà mai accettare alcuna tregua militare finché non verranno conseguiti tutti gli obiettivi prefissati all’origine di questa operazione speciale.
Ormai questo conflitto, ampiamente sostenuto dalla NATO (che fino adesso si è limitata a combattere per procura), si basa su questioni di principio inderogabili, che non possono essere soggette ad alcuna trattativa: 1) nessuna adesione alla NATO per l’Ucraina; 2) nessun peacekeeper della NATO in Ucraina; 3) Ucraina denazificata e smilitarizzata; 4) regioni del Donbass riconosciute come territori russi, più la Crimea.
Qualunque tentativo di non tener conto di tutti i suddetti obiettivi, non porterà a nulla. Anzi, quanto più si cercherà, da parte dell’occidente, di non ammettere l’evidenza delle cose, tanto più Mosca si convincerà che il ricorso al nucleare sarà, in ultima istanza, la soluzione più idonea per far capire agli Stati sponsor del terrorismo che il loro tempo è finito. Le trattative potranno essere fatte solo dopo che l’occidente avrà smesso di armare e finanziare il governo di Kiev e dopo che questo avrà accettato la resa incondizionata.
Se continuiamo a provocare militarmente la Russia, inducendo Putin a pentirsi: 1) di aver lasciato che l’Ucraina invadesse il Donbass; 2) di aver accettato gli accordi di Minsk; 3) di aver aspettato fino al 2022 prima di iniziare l’operazione militare; 4) di non aver organizzato subito la mobilitazione generale, gli occidentali non potranno poi meravigliarsi che Putin dica: “Noi siamo fortemente imparentati con gli ucraini e per niente con voi”.

Russia, Bielorussia e Ucraina

La Bielorussia sta diventando un partner strategico-militare della Russia sempre più importante. Lukashenko e Putin han finalizzato i piani per posizionare i missili ipersonici Oreshnik sul suolo bielorusso entro la fine dell’anno.
Mosca aveva già dimostrato la grande efficienza di questo sistema missilistico in un attacco a una fabbrica militare ucraina nello scorso novembre, aggirando completamente le difese aeree occidentali.
L’impiego di queste armi ipersoniche è una risposta diretta all’incoscienza della NATO, che ha autorizzato il governo di Kiev a compiere attacchi terroristici all’interno della Russia, dotandola di armi in grado di raggiungere Mosca e San Pietroburgo.
Ora è l’Europa a essere indifesa. Il sistema Oreshnik rende obsoleti gli scudi di difesa missilistica della NATO e può colpire in pochi minuti Berlino, Varsavia e Londra. Ormai non si tratta più solo dell’Ucraina, ma del nuovo equilibrio militare in Europa dettato da Mosca.
La stessa BBC ha ipotizzato un “endgame 2025” per l’Ucraina. A dir il vero la stessa macchina della propaganda occidentale, incapace di negare l’inevitabile, è arrivata alla fine dei giochi. Sta per crollare l’idea di una guerra per procura progettata sulle spalle degli ucraini, cui era stato detto che stavano combattendo per la democrazia, e che però stanno morendo per l’arroganza della NATO.
Ora nessuno si faccia illusioni: non sarà Trump a decidere la pace né Kiev in grado di fare pressioni su Mosca affinché faccia delle concessioni.
Persino Podolyak, consigliere di Zelensky, ha ammesso tacitamente che “non può aver luogo alcun processo di negoziazione”.
Per quanto tempo ancora il mainstream occidentale potrà impedire di credere che questa disfatta totale non sia un’umiliazione cosmica creata dallo stesso occidente? L’impero delle bugie sta crollando in tempo reale.

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Nel centro di Odessa è stato ucciso a colpi di pistola l’attivista ultranazionalista Demyan Ganul, ex membro di Settore Destro, uno degli organizzatori dell’incendio doloso della Casa dei sindacati il 2 maggio 2014, dove morirono circa 50 persone.
Zelensky ha detto che l’assassino del neonazista è stato arrestato.
Ganul aveva già pubblicamente affermato di non considerare “persone” le vittime di Odessa ed era noto per aver picchiato i residenti quando parlavano russo; aveva anche distrutto diversi monumenti sovietici e russi in città.
Sarà bene ricordare che il principale organizzatore del massacro fu Andrej Parubij, ex presidente del parlamento ucraino.
Questo per dire che se il governo ucraino non si sbriga ad arrendersi, ora che ha l’esercito in rotta, le vendette private per i torti subiti dopo il 2014, saranno all’ordine del giorno, anche perché nessun neonazista è mai stato condannato per le atrocità commesse. Nel luglio 2024 a Leopoli è già stata uccisa Irina Farion, le cui attività avevano in gran parte portato all’emergere delle basi ideologiche dell’attuale regime di Kiev.
Va poi detto che, sullo sfondo di numerose leggi discriminatorie, frontiere chiuse e rapimenti di uomini da mandare al fronte, saranno in molti, tra gli ucronazisti, a rischiare la pelle. Queste vendette private le abbiamo già viste anche in Italia, quando crollò il fascismo.
Insomma, se a Kiev, città del golpe, va ripristinata la democrazia, a Odessa, città della prima strage degli ucraini filorussi, va ripristinata la giustizia.

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A quanto pare non è affatto vero che le forze armate ucraine si stiano “ritirando” da Kursk come gesto di distensione in vista dei colloqui di pace. Quella in realtà è una specie di Caporetto. Migliaia di soldati sono rimasti intrappolati nella rocambolesca avanzata russa a Sudzha. Circa 67.000 erano già morti negli scontri precedenti.
Verrebbe quasi da ridere, se non ci fosse da piangere, al pensiero che l’impresa di Kursk doveva essere, nelle intenzioni di Zelensky (che poi in realtà erano quelle della NATO), una grande operazione di scambio di territori tra Mosca e Kiev e un’importante leva contrattuale per l’Ucraina nella fase dei negoziati.
Ora Trump, sapendo bene che tra gli ucraini molti fanno parte della NATO, sta chiedendo a Putin di risparmiare la vita ai sopravvissuti. Ma molti di loro si sono resi responsabili di crimini orrendi. Putin potrà evitare di fucilarli sul posto, ma non può certo esimersi dal sottoporli a giudizio, anche perché, secondo il Codice penale russo, vengono tutti considerati terroristi. Quindi l’unica alternativa che hanno è quella di arrendersi.
Insomma Zelensky se ne deve andare, poiché ha combinato in tre anni una serie incredibile di drammi e tragedie. Se si limitava a fare il comico, sarebbe stato molto meglio per lui. Ora se gli USA non lo fanno fuggire, col suo entourage neonazista, sa bene cosa l’attende: un nuovo processo di Norimberga. E in questo processo non potrà dire d’essere stato ingannato da chi gli prometteva una facile vittoria; dovrà anche ammettere d’essersi comportato come una persona cinica e crudele, falsa e ipocrita, e soprattutto ladra.

Situazione critica in Bosnia-Erzegovina

In Bosnia-Erzegovina, dove sono concentrate grandi forze della NATO, la situazione è in procinto di esplodere. La Corte costituzionale ha sospeso una serie di leggi proposte dal Presidente serbo-bosniaco Milorad Dodik della Repubblica Srpska, all’interno della parte del Paese controllata dai serbi. Sono leggi che respingono l’autorità della polizia e della magistratura centrali.
Le due entità che compongono il Paese hanno forze di polizia e sistemi giudiziari distinti, ma la magistratura centrale è responsabile nei casi di criminalità organizzata, corruzione, crimini di guerra e attacchi all’ordine costituzionale. Tuttavia nel 2023 la Repubblica Serba aveva già respinto l’autorità della Corte costituzionale. Ora vieta anche tutte le attività del Tribunale e della Procura della Bosnia-Erzegovina. I dirigenti bosgnacchi considerano questa decisione come un colpo di stato, in quanto l’entità della Republika Srpska si sarebbe di fatto staccata dalla Bosnia-Erzegovina.
Putin condivide la posizione di Dodik e ha detto che non può accettare interferenze esterne, visti i legami storici con la Serbia. È molto probabile che anche Ungheria e Slovacchia finiscano per condividere le posizioni serbe; anzi Orbán ha già inviato decine di forze speciali a Banja Luka, pronte a esfiltrare Dodik in caso di suo arresto.
La UE, gli USA e la NATO invece sono molto preoccupati, perché le considerano “leggi separatiste”. Invieranno ulteriori rinforzi militari. È chiaro che hanno intenzione di distruggere la Repubblica Serba di Bosnia-Erzegovina. Dodik è già stato condannato in primo grado a un anno di prigione e al divieto di attività politica per sei anni. Nel 2017 fu sanzionato da Washington per le sue posizioni separatiste.
Insomma se c’è un modo per scatenare una guerra nei Balcani in questo momento, è proprio quello di smantellare la fragile Confederazione della Bosnia-Erzegovina, che è essenzialmente un protettorato dell’Unione Europea con un quasi-dittatore nella persona dell’illegittimo Alto Rappresentante Christian Schmidt, che svolge funzioni di gestore esterno della Repubblica.
Schmidt viene considerato illegittimo da Russia e Cina perché il Consiglio di sicurezza dell’ONU non ha adottato una risoluzione sulla sua approvazione per questo incarico: il corrispondente progetto russo-cinese è stato bloccato. Il tedesco Schmidt è sempre stato in contrasto con Dodik, anche perché si comporta come un colonialista europeo del XIX sec., disprezzando apertamente tutti i serbi. Mosca ha già esplicitamente avvertito che una condanna al carcere per Dodik avrebbe conseguenze disastrose per la regione dei Balcani.
Tuttavia la von der Leyen soffia sul fuoco, essendo piuttosto favorevole a organizzare un golpe all’interno della stessa Serbia, per sostituire il Presidente Vučić.

Guerra russo ucraina: Lucio Caracciolo, direttore di Limes, ci chiarisce un po’ le idee

https://www.repubblica.it/esteri/2022/11/25/news/intervista_lucio_caracciolo_limes_geopolitica-376008334/

Fuori dai mondiali, i commissari tecnici del bar sotto casa sono diventati esperti di geopolitica: in strada, in ufficio e nei talk show, tutti a spiegare e discutere di Ucraina, di Taiwan… La scuola di Limes, la rivista fondata da Lucio Caracciolo divenuta la casa europea per capire le relazioni tra piccole o grandi potenze, ha appena aperto le iscrizioni ed è già sommersa da richieste. 

Direttore, ma la geopolitica non era un tabù? Cos’è cambiato? Da cosa nasce questa passione?

“Sì, geopolitica era un termine proscritto fino a pochi anni fa. Era considerata materia nazistoide, per ragioni note (alla fine della Seconda guerra mondiale era ritenuta la materia con cui erano state modellate le mire imperialiste che avevano sconvolto il mondo, ndr). Ma finalmente hanno capito che non è una scienza sulfurea e diabolica; che non parte con un giudizio morale ma dall’analisi dei punti di vista differenti, e degli interessi delle parti che si confrontano. Questo tipo di approccio è un esercizio sempre importante: ti aiuta a comprendere anche chi è lontano da te. Studiamo i codici negoziali e l’importanza degli stereotipi nelle culture di riferimento: sono i meccanismi per i quali tu pensi di dire “a” e l’altro capisce “b””.

Perché ci sono decine di guerre ma ne vediamo solo una?

“Per il bene della nostra salute mentale. E poi obiettivamente è sempre stato così. Ti interessano i problemi e le opportunità in aree geografiche o culturali che possono toccarti. È chiaro che un conflitto mostruoso come quello in Congo, che va avanti da un’infinità di anni provocando milioni di morti, è sottovalutato. Siamo molto più attenti ad altri conflitti con meno morti ma più vicini a noi, come quelli balcanici o arabo israeliani. La guerra in Ucraina ha assunto dimensioni mondiali perché vede coinvolte, direttamente o indirettamente, tutte le maggiori potenze”.

Quali sono i nodi per uscirne negoziando? 

“Il punto di vista degli americani non è certamente quello degli ucraini. Per l’americano medio l’Ucraina è una nebulosa, sanno a malapena dove sia; il governo Usa invece aveva due obiettivi: interrompere l’interdipendenza energetica russo-tedesca e russo-europea, ed è stato raggiunto. E indebolire la Russia separandola da Pechino, ed è in parte ottenuto. L’obiettivo ucraino invece è sopravvivere, e se possibile riprendere tutto quello che i russi gli hanno sottratto”. 

È raggiungibile?

“Lo stesso capo delle forze armate Usa lo ritiene molto improbabile. La preoccupazione Usa è che la guerra si allarghi, e hanno dato segnali molto chiari di volerlo evitare. Ma i russi non riuscendo ad avanzare più di tanto sul terreno infieriscono sulla società ucraina, per spingerla a negoziare. Se dovesse continuare questa strategia, qualche problema di tenuta del fronte ucraino penso emergerà. La guerra non sono centimetri quadrati persi o presi, ma chi dura di più”.

La Turchia colpisce i curdi e minaccia di entrare in Siria e Iraq. Erdogan si gioca la rielezione?

“La geopolitica turca non cambia molto con Erdogan o senza: c’è forte consenso sulla sua politica estera, a cominciare dalle forze armate. Sulla questione curda, è chiaro che la Turchia vuole dare un segno sia sul fronte siriano che iracheno: quella è la sua sfera di interesse, e non vuole altre potenze tra i piedi. È un segnale inviato anche agli Usa, che direttamente o meno hanno sempre appoggiato i curdi del Pkk”. 

Attaccheranno in forze?

“Bisogna capire se ne hanno i mezzi, per una penetrazione. Sia lì che in zona balcanica”.

Intanto l’Italia è lacerata: tu stesso sei stato accusato di simpatie filorusse. 

“Lo scenario ucraino è coinvolgente, ci tocca da vicino ed è un eccellente rilevatore delle faglie che attraversano il nostro mondo. Io devo essere contemporaneamente filorusso, filoucraino e italiano: non puoi non capire tutte le follie delle parti in causa, altrimenti fai propaganda. E non è il mio mestiere”.

Torniamo alla scuola di Limes: la definite una “non accademia”. Cosa significa?

“Si chiama proprio “Scuola di Limes – non accademia di geopolitica e di governo”, perché non facciamo le cose che vengono fatte normalmente nelle università. Il metodo geopolitico studia i contesti, non i modelli. Non pretendiamo di definire e applicare leggi universali e algoritmi, ma studiamo i fenomeni nel loro specifico; nel loro ambiente geografico, socio economico e storico. Andiamo in profondità, facciamo archeologia del potere”. 

Chi si iscrive alla scuola di Limes?

“Ci sono due gruppi: giovani appassionati e persone con competenze. Si viene per passione ai temi geopolitici, ma può servire a procedere meglio nella carriera. Il nostro approccio è sempre più richiesto dai decisori, soprattutto economici. Non facciamo politologia, non pretendiamo che il diritto internazionale regoli il mondo. Qui si impara a dirigere e a decidere sporcandosi le mani”.

 

Il silenzio degli innocenti. Come funziona la propaganda. Quella che ci sta ingannado anche sulla guerra in Ucraina

Il silenzio degli innocenti. Come funziona la propaganda
(di John Pilger)
Negli anni settanta ho incontrato Leni Riefenstahl, una delle principali propagandiste di Hitler, i cui film epici glorificavano il nazismo. Ci capitò di soggiornare nello stesso hotel in Kenya, dove lei si trovava per un incarico fotografico, essendo sfuggita al destino di altri amici del Führer. Mi disse che i “messaggi patriottici” dei suoi film non dipendevano da “ordini dall’alto” ma da quello che lei definiva il “vuoto sottomesso” del pubblico tedesco.
Questo coinvolgeva la borghesia liberale e istruita? Ho chiesto. “Sì, soprattutto loro”, rispose.
Penso a questo quando mi guardo intorno e osservo la propaganda che sta deteriorando le società occidentali.
Certo, siamo molto diversi dalla Germania degli anni trenta. Viviamo in società dell’informazione. Siamo globalisti. Non siamo mai stati così consapevoli, così in contatto, così connessi.
Lo siamo? Oppure viviamo in una Società Mediatica in cui il lavaggio del cervello è insidioso e implacabile e la percezione è filtrata in base alle esigenze e alle bugie del potere statale e del potere delle imprese?
Gli Stati Uniti dominano i media del mondo occidentale. Tutte le dieci principali società mediatiche, tranne una, hanno sede in Nord America. Internet e i social media – Google, Twitter, Facebook – sono per lo più di proprietà e controllo americano.
Nel corso della mia vita, gli Stati Uniti hanno rovesciato o tentato di rovesciare più di 50 governi, la gran parte democrazie. Hanno interferito nelle elezioni democratiche di 30 Paesi. Hanno sganciato bombe sulla popolazione di 30 paesi, la maggior parte dei quali poveri e indifesi. Hanno tentato di assassinare i dirigenti politici di 50 paesi. Hanno combattuto per reprimere i movimenti di liberazione in 20 paesi.
La portata e l’ampiezza di questa carneficina è in gran parte non riportata, non riconosciuta; e i responsabili continuano a dominare la vita politica anglo-americana.
Negli anni precedenti la sua morte, avvenuta nel 2008, il drammaturgo Harold Pinter pronunciò due discorsi straordinari, che ruppero il silenzio.
“La politica estera degli Stati Uniti”, disse, “è meglio definita come segue: baciami il culo o ti spacco la testa. È così semplice e cruda. L’aspetto interessante è che ha un successo incredibile. Possiede le strutture della disinformazione, dell’uso della retorica, della distorsione del linguaggio, che sono molto persuasive, ma in realtà sono un sacco di bugie. È una propaganda di grande successo. Hanno i soldi, hanno la tecnologia, hanno tutti i mezzi per farla franca, e la fanno”.
Nell’accettare il Premio Nobel per la Letteratura, Pinter ha detto questo: “I crimini degli Stati Uniti sono stati sistematici, costanti, feroci, senza remore, ma pochissime persone ne hanno veramente parlato. Occorre riconoscerlo all’America. Ha esercitato una manipolazione affatto patologica del potere in tutto il mondo, mascherandosi come forza per il bene universale. È un atto di ipnosi brillante, persino spiritoso e di grande successo”
Pinter era un mio amico e forse l’ultimo grande saggio politico, cioè prima che la politica del dissenso si fosse imborghesita. Gli chiesi se la “ipnosi” a cui si riferiva fosse il “vuoto sottomesso” descritto da Leni Riefenstahl.
“È la stessa cosa”, ha risposto. “Significa che il lavaggio del cervello è così accurato tanto che siamo programmati a ingoiare un mucchio di bugie. Se non riconosciamo la propaganda, possiamo accettarla come normale e crederci. Questo è il vuoto sottomesso”.
Nei nostri sistemi di “democrazia delle grandi imprese”, la guerra è una necessità economica, il connubio perfetto tra sovvenzioni pubbliche e profitto privato: socialismo per i ricchi, capitalismo per i poveri. Il giorno dopo l’11 settembre i prezzi delle azioni dell’industria bellica sono saliti alle stelle. Stavano per arrivare altri spargimenti di sangue, il che è ottima cosa per gli affari.
Oggi le guerre più redditizie hanno un proprio marchio. Si chiamano “guerre eterne”: Afghanistan, Palestina, Iraq, Libia, Yemen e ora Ucraina. Tutte si basano su un cumulo di bugie.
L’Iraq è la più famosa, con le sue armi di distruzione di massa che non esistevano. Nel 2011 la distruzione della Libia da parte della Nato è stata giustificata da un massacro a Bengasi che non c’è stato. L’Afghanistan è stata una comoda guerra di vendetta per l’11 settembre, la qual cosa non aveva nulla a che fare con il popolo afghano.
Oggi, le notizie dall’Afghanistan parlano di quanto siano malvagi i talebani, e non del fatto che il furto di 7 miliardi di dollari delle riserve bancarie del paese da parte di Joe Biden stia causando sofferenze diffuse. Recentemente, la National Public Radio di Washington ha dedicato due ore all’Afghanistan e 30 secondi al suo popolo affamato.
Al vertice di Madrid di giugno, la Nato, controllata dagli Stati Uniti, ha adottato un documento strategico che militarizza il continente europeo e aumenta la prospettiva di una guerra con Russia e Cina. Il documento propone “un combattimento bellico multidimensionale contro un contendente dotato di armi nucleari”. In altre parole, una guerra nucleare.
Dice: “L’allargamento della Nato è stato un successo storico”.
L’ho letto con incredulità.
Una misura di questo “successo storico” è la guerra in Ucraina, le cui notizie per lo più non sono notizie, ma una litania unilaterale di sciovinismo, distorsione, omissione. Ho raccontato diverse guerre e non ho mai conosciuto una propaganda così generalizzata.
Nello scorso febbraio, la Russia ha invaso l’Ucraina come risposta a quasi otto anni di uccisioni e distruzioni nella regione russofona del Donbass, al suo confine.
Nel 2014, gli Stati Uniti hanno sponsorizzato un colpo di stato a Kiev per sbarazzarsi del presidente ucraino democraticamente eletto e favorevole alla Russia, insediando un successore che gli americani stessi hanno chiarito essere il loro uomo.
Negli ultimi anni, missili “di difesa” americani sono stati installati in Europa orientale, Polonia, Slovenia, Repubblica Ceca, quasi certamente puntati contro Russia, accompagnati da false rassicurazioni che risalgono alla “promessa” di James Baker a Gorbaciov, nel febbraio 1990, secondo la quale la Nato non si sarebbe mai espansa oltre la Germania.
L’Ucraina è la linea del fronte. La Nato ha di fatto raggiunto la stessa terra di confine attraverso la quale l’esercito di Hitler irruppe nel 1941, causando più di 29 milioni di morti in Unione Sovietica.
Lo scorso dicembre, la Russia ha proposto un piano di sicurezza per l’Europa di vasta portata. I media occidentali lo hanno respinto, deriso o soppresso. Chi ha letto le sue proposte passo dopo passo? Il 24 febbraio, il presidente ucraino Volodymyr Zelenskyy ha minacciato di sviluppare armi nucleari se l’America non avesse armato e protetto l’Ucraina. Questa è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso.
Lo stesso giorno, la Russia ha invaso l’Ucraina – secondo i media occidentali, un atto non provocato di infamia congenita. La storia, le bugie, le proposte di pace, gli accordi solenni sul Donbass a Minsk non hanno contato nulla.
Il 25 aprile, il Segretario alla Difesa degli Stati Uniti, il generale Lloyd Austin, è volato a Kiev e ha confermato che l’obiettivo dell’America è quello di distruggere la Federazione Russa – la parola che ha usato è “indebolire”. L’America aveva ottenuto la guerra che voleva, condotta per procura da una pedina sacrificabile, finanziata e armata dall’America stessa.
Quasi nulla di tutto ciò è stato spiegato alle opinioni pubbliche occidentali.
L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia è sconsiderata e imperdonabile. Invadere un paese sovrano è un crimine. Non ci sono “ma” – tranne uno.
Quando è cominciata l’attuale guerra in Ucraina, e chi l’ha iniziata? Secondo le Nazioni Unite, tra il 2014 e quest’anno, circa 14.000 persone sono state uccise nella guerra civile del regime di Kiev nel Donbass. Molti degli attacchi sono stati condotti da neonazisti.
Guardate un servizio di ITV News del maggio 2014, realizzato dal veterano dei reporters James Mates, il quale viene bombardato, insieme ai civili nella città di Mariupol, dal battaglione Azov (neonazista) dell’Ucraina.
Nello stesso mese, decine di persone di lingua russa sono state bruciate vive o soffocate in un edificio dei sindacati di Odessa, assediato da teppisti fascisti, seguaci del collaborazionista e fanatico antisemita Stephen Bandera. Il New York Times ha definito i teppisti “nazionalisti”.
“La missione storica della nostra nazione in questo momento critico”, ha dichiarato Andreiy Biletsky, fondatore del Battaglione Azov, “è quella di guidare le Razze Bianche del mondo in una crociata finale per la loro sopravvivenza, una crociata contro gli Untermenschen (sottouomini) guidati dai semiti”.
Da febbraio, una campagna di autoproclamati “news monitors” (“osservatori delle informazioni”), per lo più finanziati da americani e britannici aventi legami con i governi, ha cercato di sostenere l’assurdità secondo la quale i neonazisti ucraini non esistono.
Il ritocco delle fotografie, un termine un tempo associato alle purghe staliniane, è diventato uno strumento del giornalismo dominante.
In meno di un decennio, la Cina “buona” è stata “ritoccata” e la Cina “cattiva” l’ha sostituita: da laboratorio e fabbrica del mondo a nuovo Satana emergente.
Gran parte di questa propaganda ha origine negli Stati Uniti ed è trasmessa attraverso vari intermediari e vari “think tank”, come il famoso Australian Strategic Policy Institute, voce dell’industria delle armi, e da giornalisti zelanti come Peter Hartcher del Sydney Morning Herald, che ha etichettato coloro che diffondono l’influenza cinese come “ratti, mosche, zanzare e passeri” e ha auspicato che questi “parassiti” vengano “estirpati”.
Le notizie sulla Cina in Occidente riguardano quasi esclusivamente la minaccia proveniente da Pechino. “Ritoccate” sono le 400 basi militari americane che circondano la maggior parte della Cina, una collana armata che si estende dall’Australia al Pacifico e al sud-est asiatico, al Giappone e alla Corea. L’isola giapponese di Okinawa e quella coreana di Jeju sono armi cariche puntate a bruciapelo sul cuore industriale della Cina. Un funzionario del Pentagono ha descritto questa situazione come un “cappio”.
La Palestina è stata raccontata in modo errato da sempre, a mia memoria. Per la Bbc, c’è il “conflitto” tra “due narrazioni”. L’occupazione militare più lunga, brutale e illegale dei tempi moderni è innominabile.
La popolazione colpita dello Yemen esiste a malapena. È un “non-popolo mediatico”. Mentre i sauditi fanno piovere le loro bombe a grappolo americane, con i consiglieri britannici che lavorano a fianco degli ufficiali sauditi addetti al bombardamento, più di mezzo milione di bambini rischiano di morire di fame.
Questo lavaggio del cervello per omissione ha una lunga storia. Il massacro della prima guerra mondiale è stato cancellato da reporter che sono stati insigniti del cavalierato per il loro impegno e che hanno poi confessato nelle loro memorie. Nel 1917, il direttore del Manchester Guardian, C. P. Scott, confidò al primo ministro Lloyd George: “Se la gente sapesse davvero [la verità], la guerra verrebbe fermata domani, ma non sa e non può sapere”.
Il rifiuto di vedere le persone e gli eventi come li vedono gli altri paesi è un virus mediatico in Occidente, debilitante quanto il Covid. È come se vedessimo il mondo attraverso uno specchio unidirezionale, in cui “noi” siamo morali e benigni e “loro” no. È una visione profondamente imperiale.
La storia quale presenza viva in Cina e in Russia è raramente spiegata e raramente compresa. Vladimir Putin è Adolf Hitler. Xi Jinping è Fu Man Chu. Risultati epici, come lo sradicamento della povertà in Cina, sono a malapena conosciuti. Quanto è perverso e squallido tutto ciò.
Quando ci permetteremo di comprendere? La formazione dei giornalisti in laboratorio non è la risposta. E nemmeno il meraviglioso strumento digitale, che è un mezzo, non un fine, come la macchina da scrivere con un solo dito e la macchina per linotype.
Negli ultimi anni, alcuni dei migliori giornalisti sono stati espulsi dai media dominanti. “Defenestrati” è il termine usato. Gli spazi un tempo aperti ai cani sciolti, ai giornalisti controcorrente, a quelli che dicevano la verità, si sono chiusi.
Il caso di Julian Assange è il più sconvolgente. Quando Julian e WikiLeaks erano in grado di conquistare lettori e premi per il Guardian, il New York Times e altri autodefiniti importanti “giornali di cronaca”, venivano celebrati.
Quando lo Stato occulto si è opposto e ha chiesto la distruzione dei dischi rigidi e l’assassinio del personaggio di Julian, egli è stato reso un nemico pubblico. Il vicepresidente Biden lo ha definito un “terrorista hi-tech”. Hillary Clinton ha chiesto: “Non possiamo silenziarlo proprio questo tipo?”.
La seguente campagna di abusi e di diffamazione contro Julian Assange – il Relatore sulla Tortura delle Nazioni Unite l’ha definita “mobbing” – ha condotto la stampa liberale al suo minimo storico. Sappiamo chi sono. Li considero dei collaborazionisti: giornalisti del regime di Vichy.
Quando si solleveranno i veri giornalisti? Un samizdat ispiratore esiste già in Internet: Consortium News, fondato dal grande reporter Robert Parry, Grayzone di Max Blumenthal, Mint Press News, Media Lens, Declassified UK, Alborada, Electronic Intifada, WSWS, ZNet, ICH, Counter Punch, Independent Australia, il lavoro di Chris Hedges, Patrick Lawrence, Jonathan Cook, Diana Johnstone, Caitlin Johnstone e altri che mi perdoneranno se non li cito qui.
E quando gli scrittori si alzeranno in piedi, come fecero contro l’ascesa del fascismo negli anni trenta? Quando si alzeranno i registi, come fecero contro la guerra fredda negli anni quaranta? Quando si solleveranno gli autori della satira, come fecero una generazione fa?
Dopo essersi immersi per 82 anni in un profondo bagno di perbenismo, la versione ufficiale dell’ultima guerra mondiale, non è forse giunto il momento che coloro che sono destinati a dire la verità dichiarino la loro indipendenza e decodifichino la propaganda? L’urgenza è più grande che mai.
Questo articolo è una versione modificata di un discorso tenuto al Trondheim World Festival, Norvegia, il 6 settembre 2022. Titolo originale “The Silence of the Lambs. How Propaganda works”.L’originale in inglese di questo articolo lo trovate con https://mg.co.za/opinion/2022-09-15-silencing-the-lambs-john-pilger-on-how-propaganda-works/?fbclid=IwAR12ybZI17DbWToUJB3KeXN-Jgj6KhIp-fkdZU3-kjgzpMN0fspY36Crvlw

L’immaturo Giletti intervista la portavoce di Lavrov

Massimo Giletti rappresenta la quintessenza del giornalista italiano medio: moralismo di bassa lega, psicologismo d’accatto, cultura limitata, geopolitica da strapazzo, manie di protagonismo ecc. Quando ha intervistato Maria Zakharova, politico molto competente, come in genere lo sono tutti quelli che in Russia esercitano ruoli di alta responsabilità, non si è mai reso conto del livello della persona con cui aveva a che fare.

La Zakharova esordisce dicendo che mentre parlava con lo staff di Giletti, le avevano chiesto se i russi erano consapevoli di stare interrompendo tutti i rapporti con l’occidente. Al che lei risponde che non è la Russia a mettere sanzioni contro l’occidente ma il contrario e non da oggi, almeno sin da quando gli USA non davano alla Russia la possibilità di costruire i gasdotti diretti verso l’Europa. Infatti per “occidente” lei intende anzitutto gli USA, che dominano nettamente la UE. Poi parla della possibilità di alleggerire il regime dei visti tra Russia e UE, di cui Giletti ignora del tutto l’esistenza: anche questa è una richiesta ventennale, che funziona però solo per la Moldavia.

Poi lui la interrompe con una domanda idiota: “Questo vuol dire che la guerra all’Ucraina è stata fatta in forma preventiva, temendo che la NATO entrasse in Ucraina?”. La domanda è insensata proprio perché Giletti non riesce ad accettare una cosa scontata, e cioè che la NATO si è estesa a est, minacciando seriamente i confini della Russia. Non è una guerra preventiva, ma è una legittima difesa che va avanti dalla fine del Patto di Varsavia.

Lei ha buon gioco ribattendo che la guerra nel Donbass dura da 8 anni, non è successa nel febbraio di quest’anno. E si meraviglia che in tutto questo tempo i giornalisti europei non abbiano detto assolutamente nulla in merito. Eppure vi erano state 13.000 persone assassinate.

Lui a questo punto ammette le colpe degli europei, dicendo che il mainstream è stato zitto anche nella guerra in Siria e in Cecenia. Falso. In realtà sia nell’uno che nell’altro caso ci siamo messi contro i russi e i loro alleati.

Fa autocritica solo per accusare i russi di non aver fatto valere le loro ragioni con la dialettica, ma solo con le armi. Tuttavia la Zakharova insiste nel dire che la colpa sta nei ministri degli Esteri europei, che sono sempre stati in contatto con Lavrov, che li rendeva edotti di tutto. Quanto poi alla Cecenia e alla Siria, i russi sono andati persino all’ONU proponendo di combattere insieme l’ISIS, ma la UE si oppose.

Qui Giletti la interrompe di nuovo, com’è solito fare con chiunque (e non solo lui), ricordandole che Aleppo è stata distrutta dai russi. Non sa che gli stessi americani (tra cui il colonnello e senatore Richard Black) han testimoniato che i russi sono intervenuti nella città solo dopo quattro anni di duri combattimenti tra l’ISIS e l’esercito di Assad, per cui la città era già completamente distrutta. Lei lo rimprovera per la sua ignoranza. Lui se ne risente e le fa presente che la Russia si è allargata di molto in Medioriente, sostituendosi agli americani (sic!). E lo vuol fare anche in Mali, poiché ciò fa parte della proiezione di potenza della Russia nel mondo (sic!). Come se la Russia avesse basi militari all’estero in conseguenza di un proprio attacco contro uno Stato sovrano!

Ma è la Zakharova a ricordargli che nel Mali è esistito per molto tempo un ruolo distruttivo da parte della Francia. Dopodiché lo invita a essere più serio e a informarsi meglio sul colonialismo europeo.

Lui ammette che francesi, inglesi e italiani sono stati colonialisti, ma poi (quando non ha argomenti) la interrompe di nuovo, dicendole di stare allo scopo dell’intervista, che è la guerra ucraina. Lei però insiste precisando che mentre gli USA cambiano i regimi e uccidono premier e presidenti senza rendere conto a nessuno, la Russia non lo fa mai, poiché interviene solo su richiesta del governo in carica.

Gli USA, con la UE, la Polonia e il consenso implicito dell’Italia hanno avuto tale atteggiamento aggressivo anche in Ucraina – aggiunge la Zakharova –, sostituendo con un golpe il governo legittimo di Yanukovich. Dopodiché nessuno ha applicato sanzioni al regime di Kiev.

Giletti si difende ammettendo le colpe dell’Europa, ma le spalma anche su Mosca, dicendo che ha aiutato militarmente i filorussi del Donbass. Poi, con un’iperbole, paragona quella guerra civile allo scontro tra nordisti e sudisti negli USA, cioè tra popoli fratelli! Due cose, in realtà, completamente diverse. Infatti in Ucraina è stata la parte più arretrata del Paese ad attaccare quella più industrialmente sviluppata. Ed è stata un’ideologia neonazista a farlo, che negli USA, se fosse possibile fare paragoni storicamente azzardati, avrebbe potuto trovare un’affiliazione con l’ideologia schiavista degli agrari del sud.

Dopodiché, di scemenza in scemenza, passa a fare il patetico e a interpretare il conflitto ucraino in maniera meramente moralistica, senza alcuno spessore politico, senza alcuna nozione storicamente fondata. Come se non sapesse che la Russia ha cercato per 8 anni di risolvere la guerra civile di Kiev contro le due repubbliche del Donbass con la trattativa. Anche la Germania e la Francia avevano il dovere di risolvere il conflitto, ma non hanno mai fatto nulla.

Giletti ragiona coi criteri manichei dell’aggredito giusto e dell’aggressore ingiusto e non vede più in là del suo naso. E si meraviglia che i russi, invece di limitarsi al Donbass, abbiano subito deciso di circondare anche Kiev e di bombardare anche il nord del Paese.

Lei trasecola e gli dice chiaro e tondo che non gli sembra un cittadino italiano, ma che sia giunto da Marte nell’ultima settimana. Poi gli ricorda che l’Italia, come tutta la NATO, è entrata a Baghdad distruggendo tutto e ammazzando molti civili. Quanto all’Ucraina, se non ci fossero gli USA, a quest’ora la trattativa con Kiev sarebbe già stata fatta. Gli stessi europei, che forniscono armi a Kiev e pongono sanzioni a Mosca, non possono poi pretendere d’intavolare dei negoziati.

Lui di nuovo si sente offeso per la battuta su Marte e dice che la storia la sa, e fa l’esempio del bombardamento della NATO su Belgrado, che abbiamo chiamato “missione di pace”. Fosse stato solo quello!

Giletti insiste nel dire che è la Russia a non volere la pace, non l’occidente. Lei però gli ricorda che poco prima di quella intervista i Paesi che circondano la Serbia hanno impedito all’areo di Lavrov di utilizzare lo spazio aereo di quel Paese.

La vera stoccata finale la Zakharova, quella che avrebbe atterrato un bisonte, la dà quando accusa l’occidente di non avere alcuna memoria storica, senza la quale non è possibile risolvere in maniera efficace alcun serio problema. Fare dei negoziati con uno smemorato è impossibile, meno che mai quando questo soggetto ritiene d’essere al centro del mondo.

Poi dice chiaro e tondo a Giletti che l’unico vero scopo degli USA è sia quello di isolare la Russia per poterla distruggere, sia quello di danneggiare la UE, impedendole di commerciale con la Russia. Ma la Russia, inevitabilmente, tenderà ad avvicinarsi sempre più alla Cina.

Giletti però, siccome è andato a Mosca come esponente del giornalismo nazionale (e forse persino occidentale), non ci sta a sorbirsi delle critiche. Sicché si sente in dovere di precisare che lo stalinismo ha fatto fuori 30 milioni di persone, e anche gli zar non erano così “perfetti”. Dove avrà tirato fuori quella cifra lo sa solo lui. Basta andare su Wikipedia, che certo non è né comunista né filorussa, per sapere che nel periodo 1921-53 i condannati a morte per controrivoluzione furono approssimativamente 340.000 persone, di cui circa 225.000 durante il periodo delle purghe staliniane 1936-39. Troppo poche? Bene, secondo Vladimir Kriuchkov, direttore del Kgb, tra il 1930 e il 1953 vennero incarcerate 3,8 milioni di persone, di cui 786.000 condannate a morte. I numeri che danno Aleksandr Solzhenytsin e Roy Medvedev non stanno né in cielo né in terra.

Insomma la Zakharova è costretta a dire a Giletti che ragiona in maniera molto semplificata, come fanno i bambini. E lei, pur dichiarandosi pacifista, deve purtroppo ammettere che ragionare con un occidente militarista, incapace di dimostrare la propria coerenza tra le parole e i fatti, è molto difficile. Poi coglie la palla al balzo e ricorda a Giletti che proprio l’occidente ha sostenuto, considerandoli eroi, i separatisti ceceni contro la Russia.

E qui la stoccata finale con una domanda da un milione di dollari: perché non dite le stesse cose nei confronti dei filorussi del Donbass che si sono dati due repubbliche autonome? Peraltro, aggiunge, questi filorussi non volevano affatto staccarsi dall’Ucraina, ma avere soltanto i loro diritti (p.es. parlare la loro lingua madre, festeggiare le loro feste…). E quando han fatto il referendum per affermarsi come repubbliche autonome, la Russia non le ha riconosciute: ci ha messo 8 anni prima di farlo.

Poi Giletti conclude nella maniera più stupida possibile: “Oggi cosa chiedete per intavolare delle trattative serie?”. Ma lei risponde: “La quantità di bombardamenti del regime di Kiev era aumentata tantissimo nell’ultimo periodo, prima del 24 febbraio, e l’ONU non ha mai fatto nulla. Noi non abbiamo la bacchetta magica e voi non volete vedere cose ovvie”.

È che Giletti, di questa guerra, teme che le conseguenze abbiano ricadute sulla UE, sull’Italia, sul mondo intero. Vuoi non dargli ragione? Solo che non capisce che sono le sanzioni alla Russia, più che la guerra in Ucraina, a provocare gravi disastri economici all’umanità.

Tuttavia la Zakharova gli ricorda che è stato Josep Borrell in persona a dire che non c’è spazio per le trattative e che tutto si deciderà sul campo di battaglia. L’occidente non vuole la trattativa, se non dopo una vittoria militare.

Lo sprovveduto Giletti però non s’accontenta e vuol sapere quali sono gli obiettivi militari di Putin. È proprio un ingenuo! T’immagini se un generale va a raccontare al nemico come intende regolarsi sul campo di battaglia?

La Zakharova ha dovuto congedarlo rimproverandolo di non capire nulla della situazione del Donbass: “Voi vedete i profughi ucraini da pochi mesi, noi li vediamo da 8 anni e li sosteniamo”. E gli obiettivi sono già stati detti da Putin: demilitarizzazione e denazificazione. La UE purtroppo ha perso l’occasione per svolgere il ruolo di paciere.

E lui, con un certo disappunto: “Guardi che i morti in Ucraina li ho visti coi miei occhi”. Povero essere. Anche la von der Leyen ha visto i morti di Bucha coi suoi occhi, ma non ha capito niente da chi sono stati ammazzati!

Poi ha chiuso nella maniera più squallida possibile: “Devo purtroppo lasciarla perché la pubblicità incombe”!

Fonte: https://www.youtube.com/watch?v=cpQlJvDwOnY

L’insegnamento fondamentale del conflitto ucraino

Devo dire che questo conflitto russo-ucraino ha messo seriamente in crisi il rapporto idealistico (o filosofico) tra etica e politica.

Certo, in Italia non abbiamo solo una tradizione cristiana che, seppur in forma laicizzata, presume di dare un senso alla politica in nome dell’etica; ma abbiamo anche una tradizione machiavellica (cioè radical-borghese) che separa nettamente l’etica dalla politica, facendo di quest’ultima qualcosa di cinico, ai limiti della spietatezza, se e quando la ragion di stato lo esige.

Con questo conflitto però è successo qualcosa di inedito. Infatti chi sembra avere della politica una concezione cinica, Putin, dimostra d’avere ragioni più fondate, persino più etiche di Zelensky, che pur continuamente cerca di coinvolgere il mondo intero nella sua narrativa melodrammatica, che presume d’essere valida in sé, in quanto esprime la condizione d’uno Stato aggredito, vittima della protervia di uno aggressore, che vuole minare la sua sovranità e integrità territoriale.

Bisogna in effetti ammettere che il mondo intero (o meglio, quello occidentale) non ha avuto dubbi a chi dare tutte le ragioni, al punto che ha preferito soprassedere completamente sul fatto che il governo di Kiev, sin dal golpe del 2014, ha avuto esplicite connessioni con l’ideologia neonazista presente in Ucraina: un’ideologia che risale alla II guerra mondiale e ch’era stata soffocata sotto una cenere fumante nella fase del socialismo reale di marca sovietica.

Dunque in questo conflitto si sono, in un certo senso, ribaltati i criteri dell’etica e della politica, nel senso che non è affatto vero che ha sempre più ragioni chi viene aggredito.

Certo, uno potrebbe dire che l’aggressore, usando mezzi militari, si pone automaticamente dalla parte del torto. Ma non è sempre così. La Russia ha aspettato 8 anni prima d’intervenire. Putin è stato accusato dai “falchi” del suo regime d’aver troppo tergiversato, soprattutto nei confronti dell’espansione orientale della NATO.

In questo lasso di tempo si è dato spazio alla diplomazia (i due accordi di Minsk); si sono aiutati ufficiosamente le due repubbliche del Donbass a resistere ai continui attacchi militari dei neonazisti ucraini; si sono denunciati gli orrori nelle sedi opportune. Ma l’Europa, gli USA, la NATO e l’ONU non hanno mai fatto nulla di concreto per risolvere la situazione. Putin ha atteso 14.000 morti, più i tantissimi feriti delle due repubbliche prima d’intervenire in maniera ufficiale e definitiva. E quando l’ha fatto la prima cosa che ha detto è che non c’erano più alternative. La stessa Russia si sentiva seriamente minacciata dalla NATO, gestita da un segretario generale che non riesce a dire qualcosa di vero neanche per sbaglio.

La Russia ha dovuto usare metodi violenti suo malgrado, cercando di non infierire sulla popolazione e obbligando quindi i propri soldati a liberare con lentezza il Donbass russofono, anche a costo di subire gravose perdite.

Putin non ha fatto altro che usare la legittima difesa contro la violenza dell’indifferenza occidentale, contro la collusione nei confronti di una delle ideologie più violente della storia contemporanea, contro i tentativi sempre più pressanti e minacciosi di porre fine all’integrità territoriale del suo Paese.

Noi occidentali non siamo in grado di capire i russi, perché non disponiamo delle sufficienti coordinate culturali per non vederli come atavici nemici dell’Europa. Siamo troppo prevenuti per formulare giudizi obiettivi. Ecco perché questa guerra non può che decidersi sul campo di battaglia. La nostra diplomazia non vale assolutamente nulla. Non è nelle nostre corde, abituati come siamo a dominare il mondo, capire le ragioni altrui. Per noi la Russia va sconfitta militarmente e deve essere ripristinata la totale integrità territoriale dell’Ucraina, ivi incluso il rientro della Crimea. Non ci interessa l’autodeterminazione dei popoli, espressa dallo strumento del referendum popolare. Per noi la democrazia diretta, rispetto a quella delegata, non vale nulla.