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Trump e le infrastrutture: chiacchiere o quale modello di investimento?

Trump e le infrastrutture: chiacchiere o quale modello di investimento?

Mario Lettieri* e Paolo Raimondi**

Ancora non si conosce il vero orientamento del presidente Trump per i settori dell’economia reale degli Usa.  

Cancellando le poche regole introdotte a suo tempo dal presidente Obama per contenere le spinte speculative, le sue decisioni riguardanti il mondo bancario e finanziario hanno deluso quanti si aspettavano i cambiamenti promessi in campagna elettorale.

Dubbi e perplessità sorgono anche per quanto riguarda il finanziamento del vasto programma infrastrutturale annunciato, che prevede ben 1.000 miliardi di dollari di investimento.    

Si farà ricorso ad obbligazioni e a fondi pubblici mirati a specifici progetti a beneficio degli utenti, oppure verranno messi in campo dei partenariati pubblico-privati (PPP) in cui si garantiscono maggiori privilegi alla parte privata?

Potrebbe sembrare una domanda secondaria ma non lo è per niente.

Se il governo si farà carico dell’intero investimento, lo Stato evidentemente si aspetterà di essere ripagato attraverso una maggiore efficienza dei settori produttivi e dai tributi fiscali derivanti dall’aumento dei redditi e dei consumi. Se si privilegiano i partenariati, gli investitori privati incasseranno le tariffe pagate dai consumatori e, forse, giovandosi anche di una rilevante garanzia pubblica.

In Italia si conosce bene la differenza in quanto negli anni, si è, purtroppo, in gran parte privatizzata la distribuzione dell’acqua, che da bene pubblico è sempre più diventato un servizio gestito da privati. Lo stesso avviene per la gestione delle autostrade che hanno portato ricchi introiti ai privati a fronte di scarsi investimenti e di insufficienti manutenzioni della rete.  

Lungi da noi l’intento di criminalizzare il modello dei partenariati. Al contrario, esso può essere uno strumento molto valido se ben utilizzato e ben controllato. Occorre però riconoscere che non è il toccasana alternativo per tutti gli investimenti pubblici.

Negli Stati Uniti si stima che la componente privata degli investimenti nei servizi di interesse pubblico produce su base decennale in media un profitto annuo tra l’8 e il 18%.

Sono soprattutto i fondi di “private equity”, controllati dalle banche, ad operare in questi settori. Molte città americane, come è noto, in passato hanno “delegato” ai privati la gestione di molti servizi pubblici.

In una situazione di tassi di interesse zero, le banche e i fondi finanziari scalpitano per investire nei progetti infrastrutturali e in certi servizi pubblici. Ecco perché il programma di Trump suscita grandi consensi da parte del sistema bancario.

Indubbiamente la materia è complessa e ha notevoli riverberi. E’ noto, per esempio, che ogni investimento pubblico nelle infrastrutture genera un aumento del valore di mercato dei terreni e degli immobili già esistenti nella zona, generando effetti perversi nell’aumento dei prezzi delle case e degli affitti.

Si ricordi che Trump è un immobiliarista che ha accumulato le sue ricchezze in questo settore. Perciò non vorremmo che in futuro gli Usa diventassero un gigantesco fondo di investimento immobiliare.

Comunque speriamo che il presidente americano ci sorprenda positivamente e fughi con le sue scelte le non poche perplessità circolanti sulla natura del suo governo.

*già sottosegretario all’Economia  **economista

 

Come prevedibile, le agenzie di rating sono tornate al centro della scena in modo irritante: e hanno declassato il sistema Italia al livello BBB.

Le agenzie di rating e le responsabilità della Bce

Mario Lettieri* e Paolo Raimondi **

Come prevedibile, le agenzie di rating sono tornate al centro della scena in modo irritante. Seguendo l’esempio delle famose ‘tre sorelle’, la Standard & Poor’s, la Moody’s e la Fitche, anche la Dbrs canadese si è autonomamente assunta l’autorità morale e politica e ha declassato il sistema Italia al livello BBB.

Allo stesso tempo l’americana Moody’s sta patteggiando con il dipartimento di Giustizia americano il pagamento di una multa di ben 846 milioni di dollari per aver gonfiato le sue stime sui titoli tossici, a suo tempo legati ai mutui immobiliari, che contribuirono alla grande crisi finanziaria. E’ noto che in precedenza la stessa S&P aveva patteggiato una multa simile per 1,37 miliardi di dollari.

La decisione della Dbrs, già Dominion Bond Rating Service, è stata motivata con la solita “lista della spesa”: incertezza politica, debolezza del sistema bancario, alto livello delle sofferenze creditizie, crescita bassa e alto debito pubblico, ecc. L’analisi negativa è infarcita anche di semplicistiche e banali riflessioni sulla nuova legge elettorale e sulle future elezioni. Ovviamente avrà un ulteriore e concreto impatto negativo sulla credibilità dell’Italia. In particolare, quando le banche italiane chiederanno un prestito alla Bce dovranno portare in garanzia beni, titoli di stato, in quantità maggiore rispetto a prima. Il declassamento certifica l’aumento del “rischio paese” con conseguenti effetti sui mercati, sui titoli obbligazionari e sulla propensione a investire.

In verità, la cosa più irritante è il comportamento della Bce e delle altre istituzioni europee che tacciono sulle nuove evoluzioni delle suddette agenzie.

Negli anni passati si è molto parlato della necessità di creare un’agenzia di rating europea indipendente. Alla fine non se ne è fatto niente.

Nonostante il fatto che varie commissioni d’indagine del Congresso americano avessero denunciato le tre grandi agenzie di rating americane per complicità, corruzione, conflitto di interesse e per tante altre malefatte in relazione alla bolla dei mutui subprime e a quella dei derivati finanziari ad alto rischio, la Bce non ha mai volute mettere in discussione la credibilità delle “tre sorelle”. Ha solo deciso nel 2008 di affiancare loro la Dbrs, volendo forse farci illudere che, in quanto canadese, essa sarebbe potuto essere realmente indipendente. Niente di più errato. Purtroppo è proprio la Bce a conferire alle quattro agenzie di rating l’autorità di interferire pesantemente con l’andamento economico dei paesi europei.

Per qualche ragione inspiegabile la Bce e altri istituti europei sono stati e sono ancora meno critici e più tolleranti verso l’operato delle agenzie di rating rispetto alle stesse autorità americane. E’ il momento che Francoforte dia qualche spiegazione.

La Dbrs, creata nel 1976, ha il suo quartier generale a Toronto, in Canada, ma oggi è forse la più americana di tutte. Dal 2015 essa è controllata da un consorzio di interessi, guidato dal The Carlyle Group di Washington e dalla Warburg Pincus di New York.

La Carlyle è il più grande private equity al mondo coinvolto soprattutto nei settori della difesa e degli investimenti immobiliari. Si ricordi che il private equity è un fondo che di solito raccoglie capitali privati con l’intenzione di acquisire imprese non quotate in borsa. La Carlyle è impegnata in numerosi fondi di investimento e anche in hedge fund speculativi. Fino al 2008 era conosciuta come la multinazionale che vantava stretti rapporti politici, in particolare con la famiglia Bush e con la casa reale saudita. Una sua controllata, la Carlyle Capital Corporation, che si era specializzata nella speculazione finanziaria con derivati emessi sui mutui subprime e sulle ipoteche, nel 2008 divenne insolvente (in default) per oltre 16 miliardi di dollari!

Anche Warburg Pincus è un fondo di private equity frutto della fusione di due banche. Esso è grandemente impegnato nei settori dei servizi finanziari, dell’energia e delle tecnologie dell’informazione e delle comunicazioni. Il suo presidente attuale è Timothy Geithner, già ministro del Tesoro dell’Amministrazione Obama, che ha coordinato tutte le operazioni di salvataggio finanziario delle banche e delle assicurazioni in crisi dopo il 2008.

E’ doveroso chiedere alla Bce di rendere conto delle ragioni della grave decisione di sottoporre governi e istituti creditizi alla valutazione di agenzie di rating non affidabili, forse politicamente condizionate e sicuramente interessate agli andamenti di borsa.

*già sottosegretario all’Economia **economista

OBAMA IN GERMANIA HA PARLATO DI TUTTO, MA NON DEI RISCHI SISTEMICI E DEI GUAI GIUDIZIARI DELLA DEUTSCHE BANK.

Deutsche Bank: banca a rischio sistema

Mario Lettieri* e Paolo Raimondi**

Negli incontri del presidente Obama con la cancelleria Merkel e con gli altri capi di governo europei i temi in discussione sono stati indubbiamente diversi, come il terrorismo, le sanzioni contro la Russia ed il futuro dell’Unione europea. Forse del più preoccupante, almeno nel breve periodo, pare che non si sia parlato: la crisi finanziaria e il ruolo della Deutsche Bank, il marchio tedesco che dovrebbe essere sinonimo di affidabilità.

La banca, infatti, sarebbe coinvolta in circa 6000 casi legali, tra i quali alcuni davvero dirompenti.

Sembra che, nelle stesse ore in cui Obama elogiava la Merkel, si sia scatenato un duro scontro all’interno della DB su che dire alle agenzie internazionali di controllo relativamente alle sue responsabilità nella manipolazione del tasso Libor (London Interbank Offered Rate) e dei prezzi dei metalli preziosi. Si ricordi che il Libor è il tasso di riferimento per centinaia di trilioni di transazioni finanziarie a livello mondiale, dai derivati alle più semplici operazioni bancarie.

In passato la banca è stata al centro di grandi scandali e anche ora si vorrebbe chiudere questi casi pagando semplicemente una multa in cambio del blocco delle indagini.

Il Serious Fraud Office (SFO) di Londra ha recentemente emesso mandati di cattura nei confronti di 5 cittadini europei, di cui ben 4 della DB, accusati di cospirazione e frode nella manipolazione dell’Euribor (la versione dell’euro interbank offered rate). Anche la Corte Suprema inglese ha preso posizione contro la DB e altre banche europee per aver cercato di evadere il pagamento delle tasse sui bonus erogati agli alti manager sottoforma di azioni di imprese offshore create ad hoc.

 

L’anno scorso la maggiore banca tedesca ha pagato ben 2,5 miliardi di dollari di multa per chiudere il caso dei tassi manipolati. Ha inoltre versato 258 milioni di multa alle autorità americane per aver violato le sanzioni Usa nei confronti di Paesi come la Siria e l’Iran.

E’ da notare che dall’inizio dell’anno a oggi le azioni DB hanno perso il 25%, toccando ribassi anche del 40%. Per dimostrare solidità, la banca, nel mezzo della tormenta di qualche settimana fa, annunciò l’intenzione di comprare circa 5 miliardi di euro delle sue stesse obbligazioni.

Ma il problema più esplosivo per la DB in quanto banca sistemica e quindi pericolosa per l’intera finanza globale è ancora una volta la dimensione della sua bolla di derivati finanziari otc che, in valore cosiddetto nozionale, è pari a circa 55 trilioni di euro. Si tratta di circa 20 volte il pil tedesco e di quasi 6 volte quello dell’intera eurozona. In questo settore è di fatto la banca più esposta al mondo.

I timori di potenziali perdite fanno tremare i polsi a tutti, al management, agli investitori, ai clienti e finanche ai governi e alle banche centrali. Tanto che qualcuno incomincia a paragonare la DB alla Lehman Brothers, il cui collasso nel 2008 diede il via alla più devastante crisi finanziaria globale tuttora irrisolta.

Indubbiamente la DB ha criticità molto importanti. Il suo debito in circolazione si avvicinerebbe ormai ai 150 miliardi. Si parla di almeno 32 miliardi di euro in titoli altamente tossici e ad altissima leva finanziaria. Sarebbero titoli difficilmente solvibili. Avrebbe una montagna di obbligazioni convertibili largamente già svalutate, quelle che in caso di crisi potrebbero essere trasformate in azioni e utilizzate per i necessari pagamenti richiesti dal nuovo sistema del bail-in.

Infatti il problema della leva finanziaria, come per altre banche too big to fail, per la DB è molto rilevante. Esso indica quanto capitale ha la banca per ogni euro di asset posseduto. Oggi per un euro di capitale ha circa 20 euro di asset, cioè titoli di vario tipo, escludendo di derivati otc tenuti fuori bilancio. Come è noto, maggiore è la leva e maggiore è il rischio in caso di riduzione del valore degli asset e di conseguenza il rischio di perdita del valore della banca stessa.

Se si considera la gravità della situazione della BD è davvero strano che Berlino possa continuare ad ergersi come unico garante della stabilità europea e della giustezza delle sue politiche economiche.

L’Unione europea e l’Italia, se davvero hanno a cuore il loro futuro e la crescita, non possono continuare ad ignorare una situazione così grave che potrebbe riverberare effetti devastanti sull’economia europea e sul sistema bancario e finanziario.

*già sottosegretario all’Economia **economista
 

 

 

L’ARABIA SAUDITA FINAZIA IL TERRORISMO? COMPRESO l’11 SETTEMBRE DELLE TWIN TOWERS di NEW YORK?

USA: declassificare i documenti sui finanziatori dell’11 Settembre

 

Paolo Raimondi* Mario Lettieri** 

 

Il 7 gennaio, mentre a Parigi i giornalisti di Charlie Hebdo venivano massacrati dai terroristi islamici, a Washington si teneva un’importante conferenza stampa sulla necessità di rendere pubbliche le 28 pagine della Relazione d’Inchiesta del Congresso americano del 2002 che rivelerebbero i finanziamenti dell’Arabia Saudita ai terroristi dell’11 Settembre. Queste pagine furono secretate dal presidente George Bush. Purtroppo lo sono ancora.

La citata conferenza stampa è stata tenuta dall’ex senatore democratico Bob Graham insieme a due deputati, il repubblicano Walter Jones e il democratico Stephen Lynch, e alla co-presidente dell’Associazione delle Famiglie e dei Sopravvissuti dell’11/9, la signora Terry Strada.

Secondo noi si tratta di un evento politico di grandissima rilevanza che può contribuire a rendere più efficace la lotta al terrorismo e al fondamentalismo. Purtroppo la grande stampa europea ed internazionale lo ha ignorato. E’ davvero singolare se si considera che si dice a gran voce di voler colpire alla radice i sostenitori ed i finanziatori del terrorismo.

Bob Graham, che è stato anche governatore della Florida e membro del Senato Federale per tre mandati, nel 2001-2 era presidente della Commissione d’Intelligence del Senato.

Dopo l’attentato alle Torri Gemelle fu copresidente della Commissione d’Indagine conoscitiva attivata dalle Commissioni di Intelligence del Senato e della Camera.

Nel dicembre del 2002 venne redatto un rapporto di oltre 800 pagine. Quando però sei mesi dopo tale documento fu declassificato, si scoprì che 28 pagine mancavano. Proprio quelle che spiegavano il ruolo dell’Arabia Saudita nel finanziamento dei terroristi e dell’attentato dell’11/9.  

Va sottolineato che allora una maggioranza bipartisan di senatori e deputati, tra cui anche Joe Biden, attuale vice presidente, John Kerry, oggi Segretario di Stato e Hillary Clinton, si appellarono a Bush affinché le rendesse pubbliche, in quanto non pregiudizievoli per la sicurezza nazionale. Non vi riuscirono.

Perciò in questi anni il senatore Graham non ha mai smesso di chiederne la pubblicazione. Egli ne conosce bene il contenuto avendolo redatto e sottoscritto. Più volte ha portato alla luce dettagli importanti del coinvolgimento saudita nell’11/9. Ma, fintanto che il Presidente americano non le rende pubbliche per decreto, egli è tenuto al segreto sul contenuto delle 28 pagine.

Sic stantibus rebus, reputiamo che il contributo migliore alla verità sia citare parti dell’intervento svolto a Washington dal senatore Graham. “I Sauditi, ha detto, sanno quello che hanno fatto. Non sono persone che non conoscono le conseguenze delle azioni del loro governo. I Sauditi sanno che noi sappiamo quello che hanno fatto. Persone del Governo americano hanno letto le 28 pagine e hanno letto anche tutti gli altri documenti che sono stati fino ad oggi secretati. E i Sauditi lo sanno.”

“Quale potrebbe essere la reazione dei Sauditi che osservano come gli USA abbiano assunto una posizione di passività o di vera ostilità a che questi fatti siano resi pubblici? ”, ha chiesto il senatore.

“Bene, ha aggiunto Graham, per prima cosa essi hanno continuato e forse accresciuto il loro sostegno allo wahabismo, una delle forme più estremiste dell’Islam, a livello mondale ed in particolare nel Medio Oriente. In secondo luogo hanno sostenuto il fervore religioso delle organizzazioni che portavano avanti queste forme estreme di Islam con appoggi finanziari e di altro tipo. Queste comprendono moschee, madras e strutture militari. Al Qaeda era una creatura dell’Arabia Saudita e gruppi regionali come quello di Shabaab, (la cellula somala di Al Qaeda) sono stati in gran parte creature dell’Arabia Saudita; e adesso l’ISIS è l’ultima creatura… l’ISIS è una conseguenza non una causa, è una conseguenza dell’espandersi dell’estremismo in gran parte sostenuto dall’Arabia Saudita:.” Il senatore americano ha poi detto: ”La conseguenza della nostra passività nei confronti dell’Arabia Saudita ha fatto anche tollerare una moltiplicazione di organizzazioni violente, estreme e fortemente dannose per la regione mediorientale e una minaccia a tutto il mondo, come abbiamo visto questa mattina a Parigi.”

Trattasi di accuse molto gravi che, data l’autorevolezza della fonte, richiedono il massimo di chiarezza.

Alla conferenza i deputati Jones e Lynch hanno annunciato di aver presentato alla Camera una risoluzione, la H Res. 14, per richiedere al Presidente Obama di togliere il segreto alle suddette 28 pagine.

Sia il testo della legge che il video della conferenza stampa sono disponibili sui siti dei due parlamentari, www.jones.gov e www.lynch.gov .

La signora Terry Strada, da parte sua, ha ribadito che “tutti sanno che Al Qaeda e Osama bin Laden ci hanno attaccato l’11/9, ma questa è solo metà della verità. Crediamo che l’altra metà stia nelle 28 pagine redatte dalla Commissione d’Inchiesta”. “Dobbiamo declassificarle e denunciare i finanziatori dell’attacco terroristico e intraprendere azioni contro di loro”, perché, ha aggiunto, “le famiglie delle vittime e dei sopravvissuti dell’11/9 hanno il diritto di conoscere la verità”.

A questo punto sarebbe opportuno che non solo i singoli Stati ma anche l’Unione Europea sollecitassero l’Amministrazione Obama per ottenere il massimo di trasparenza su una vicenda tanto dolorosa quanto inquietante.

*Economista

**già Deputato e Sottosegretario all’Economia

A che punto sono i progetti che unirebbero Europa e Asia rilanciandone alla grande lo sviluppo

Il summit dell’Asia-Europe Meeting (ASEM) di Milano, cioè la conferenza dei capi di Stato e di governo dell’Asia e dell’Europa, è passata. Il premier Renzi ha fatto una veloce comparsa, ha detto delle belle parole, ma nicchia: lui preferisce l’accordo con gli Usa, che in pratica abolisce le dogane tra Usa ed Europa. Accordo sul quale punta molto Obama. ma che conviene molto di più agli Usa che all’Europa. Per esempio, tale accordo demolirebbe tutte quelle regole e garanzie che nel delicato settore alimentare ci mettono al riparo da quella lunga serie di porcherie, è l’unico termine adatto, che caratterizzano i cibi statunitensi.  Se tale unione doganale si dovesse fare mangeremmo anche noi il trash food, cioè il cibo spazzatura, molto spesso geneticamente modificato. che è ormai padrone della cucina a stelle e a strisce e che causa non pochi disastri nella salute, diffusione dei tumori compresa.

Intanto la crisi dei rapporti della Comunità Europea con la Russia e le relative sanzioni decise dalla Comunità Europea a causa del contenzioso russo con l’Ucraina per la Crimea hanno provocato per noi italiani un aumento, giustificato o no,  della bolletta del gas e dell’elettricità.  Alla lunga, rischia anche di compromettere la partecipazione italiana ed europea, e i relativi notevoli vantaggi, al gigantesco progetto di sviluppo russo chiamato, che in russo significa appunto sviluppo e del quale abbiamo già scritto. Poiché i mentori italiani del progetto Razvitie sono  l’ex sottosegretario all’Economia del governo Prodi, Mario Lettieri, e l’economista Paolo Raimondi, entrambi collaboratori del nostro blog, li abbiamo intervistati.

- Ci sono novità riguardo il progetto Razvitie?

R: Gli sviluppi più importanti riguardano i contatti con la Cina, attività anche a seguito alle decisione dei Paesi dell’Unione Europea di seguire la linea americana di sanzioni contro la Russia. Vladimir Yakunin, presidente delle Ferrovie Russe, è andato due volte in Cina: a Shanghai in luglio e a Lanzhou in settembre, dove ha presentato il Progetto Razvitie nel contesto delle discussioni relative alla realizzazione delle Vie della Seta che dovrebbero collegare la Cina con l’Europa. Infine alla conferenza annuale del World Public Forum Dialogue of Civilizations di Rodi a fine ottobre Yakunin ha riproposto il piano strategico del Razvitie e nella sessione dedicata alle grandi infrastrutture, a cui abbiamo partecipato, il Prof. Li Xin  Direttore del  Center for Russian and Central Asian Studies del Shanghai Institute for International Studies, ha proposto un collegamento infrastrutturale tra il corridoio del Razvitie e quello delle Vie della Seta.

- I russi hanno già individuato dove far nascere le almeno 20 nuove grandi città previste dal piano Razvitie?

R: Gli studi dovrebbero essere avanzati ma non vi sono ancora decisioni ufficiali. Per esempio, noi siamo stati qualche tempo fa coinvolti in discussioni su progetti concreti relativi alla costruzione nella regione di Kazan di una nuova città dedicata alle nuove tecnologie e all’informatica che dovrà avere almeno 200.000 abitanti.

- Verranno create anche nuove Università e centri di ricerche? Dove e riguardanti quali ricerche?

R: Certamente. Il Razvitie infatti non è un semplice corridoio di transito di merci e di persone ma è una “cintura” di sviluppo che coinvolgerà direttamente un territorio largo almeno 2-300 km, dove dovranno sorgere delle nuove città, dei nuovi insediamenti urbani e agroindustriali con università e centri di ricerca mirati alle specifiche linee di sviluppo delle regioni interessate. In alcuni casi si tratterà di vere proprie città della scienza e delle tecnica. Continua a leggere

L’economia Usa è malata. Con rischio di collasso

di Mario Lettieri* e Paolo Raimondi**

Lo “shutdown”, che è scattato all’inizio di ottobre con la chiusura di settori importanti della pubblica amministrazione, è la più evidente dimostrazione della patologica crisi sistemica dell’economia e della finanza degli Stati Uniti. Il governo di Washington è senza soldi in quanto ha utilizzato tutte le disponibilità di bilancio approvate dal Congresso. Per continuare con l’attuale ritmo di spesa previsto dovrebbe “sfondare” il tetto del debito pubblico prestabilito. Come è noto, ogni anno e da tempo si ripete lo sfondamento del limite massimo del debito, un’operazione che richiede però l’approvazione del potere legislativo.

Nel frattempo oltre 800.000 dipendenti federali che lavorano in alcuni settori amministrativi, nella gestione del territorio e dei parchi e perfino nel settore spaziale e dell’intelligence sono da giorni a casa e senza stipendio. Naturalmente la sospensione dal lavoro di centinaia di migliaia di impiegati comporta una perdita di reddito pari a circa 200 milioni di dollari al giorno che inevitabilmente genera una riduzione dei consumi mettendo in crisi anche settori del commercio. Continua a leggere

I paragoni impossibili di Obama e Kerry per spingere ad aggredire (anche) la Siria

In questa tragica e oscura vicenda siriana credo proprio sia il caso di dar retta a quanto dice Papa Francesco. E non solo perché, come giustamente ha detto,  le guerre portano solo altri morti e servono per far lucrare l’industria degli armamenti, oggi più formidabile che mai in tutto il mondo (e asse trainante della ricerca e dell’industria degli Usa), ma anche per altri motivi che inducono tutti a concludere che la prudenza non è mai troppa. Non a caso il Papa alla preghiera domenicale  dell’Angelus ha aggiunto: “No all’odio fratricida e a menzogne di cui si nutre”.
Cominciamo col dire che comunque il problema in Siria non sono tanto i 1.600 uccisi dal gas, chiunque li abbia usati, quanto gli almeno 100.000 morti, la massa di feriti e mutilati, le distruzioni e i milioni di sfollati collezionati dall’inizio della rivolta. Che, è doveroso dirlo chiaramente, è stata voluta e viene foraggiata dalle pessime monarchie saudita e del Golfo con il non disinteressato aiuto di Paesi occidentali. Detto questo, ammettiamo che i gas li abbia davvero usati l’esercito di Assad, come sostengono in molti, ma finora senza prove, anziché i ribelli e i mercenari, provocando la morte di 1.600 siriani. Basta questo per sostenere che “Assad è come Hitler”, cioè come l’inventore e il capo del nazismo che ha scatenato la seconda guerra mondiale e fatto ricorso ai campi di sterminio provocando in totale la morte di 40-50 milioni di persone? Basta questo per dire che “bisogna evitare una nuova Monaco”? Vale a dire, un nuovo accordo come quello che venne firmato da Inghilterra, Francia e Italia con la Germania nazista nel settembre del 1938, un anno prima che la Germania iniziasse la guerra. Basta questo per dire che “il mondo è in pericolo”?  O che “è in pericolo la sicurezza nazionale degli Stati Uniti”?
Evidentemente no, non basta neppure alla lontana. Eppure è quanto hanno sostenuto e sostengono il presidente Obama e il suo segretario di Stato John Kerry a partire dalla recente riunione del G 20, come si chiama il consesso del 20 Paesi più sviluppati del mondo. Continua a leggere

Dopo l’Iraq e la Libia, ora tocca alla Siria. In attesa di poter colpire di nuovo l’Iran. Intanto con la politica monetaria strangoliamo anche le economie emergenti

Paragonare il siriano Assad, o chiunque altro, a Hitler è solo da ignoranti, cinici, bari e quindi disonesti. Eppure è  il comportamento del Segretario di Stato Usa John Kerry, nonostante che lui la sua signora con Hitler-Assad ci abbiano beatamente cenato qualche anno fa. Tanta cialtroneria da parte di Kerry è solo il patetico tentativo di ipnotizzare di nuovo gli americani e il mondo come già fatto a suo tempo per poter invadere l’Iraq. Questa volta però non potendo ripetere la gigantesca balla e il gigantesco inganno, al proprio popolo di statunitensi e al mondo intero, delle “bombe atomiche e altre armi di distruzione di massa di Saddam” ecco che si ripiega sull’uso dei gas attribuito ad Assad. Anche questa volta sono stati subito scoperti dei falsi, per esempio l’uso di una foto che mostra decine di cadaveri già usata per accusare di stragi Saddam ora usata di nuovo per accusare di stragi Assad.

Domanda: cosa può fare Kerry, oltre a fregare ancora di più i palestinesi, nella sua veste di asserito mediatore negli incontri da lui voluti tra palestinesi e israeliani per la ormai mitologica ricerca di un accordo di pace?

E’ particolarmente vergognoso che a mentire pur di arrivare a colpire militarmente un altro Paese sia un premio Nobel per la Pace qual è Obama. La vergogna è doppia perché a colpire la musulmana Siria, sempre con l’obiettivo di fondo di colpire infine l’Iran per accontentare il governo israeliano, sia lo stesso Obama che all’inizio del suo primo mandato ha promesso in un discorso a Il Cairo “un’era di rapporti nuovi con il mondo islamico”. S’è visto…. E teniamo presente che gli Usa hanno già colpito pesantemente l’Iran due volte: la prima volta quando organizzarono il colpo di Stato contro il democraticamente eletto presidente Mossadeq, la seconda quando aiutarono in tutti i modi l’Iraq di Saddam nella sanguinosa guerra, qualche milione di morti, contro l’Iran.

E’ infine raccapricciante che a fare la voce grossa e a minacciare sfracelli per l’asserito uso di gas da parte del governo  siriano  siano quegli Usa che oltre a usare il gas per eseguire le sentenze di condanne a morte dei propri cittadini sono gli stessi Usa che aiutarono Saddam a sterminare col gas almeno quattro volte migliaia di iraniani durante la guerra Iraq-Iran. Gli Usa infatti fornirono  all’Iraq le informazioni di intelligence per poter colpire senza errori le truppe iraniane. E quando gli iraniani inviarono vari rapporti ai servizi segreti Usa per denunciare l’uso dei gas da parte degli iracheni i servizi segreti statunitensi fecero vergognosamente finta di niente. Da notare che una ricerca ha dimostrato vari anni fa che almeno il 10% delle condanne a morte negli Usa colpiscono innocenti. Cittadini statunitensi gasati quindi benché innocenti. Esattamente come farebbe Saddam stando a quanto affermano Kerry e Obama. Ma cos’è più grave? L’eventuale uso di gas da parte di Assad che avrebbe ammazzato 1.500 siriani o l’uso delle menzogne sulle “bombe atomiche irachene” da parte di Bush junior che mandò così a farsi ammazzare ben più di 1.500 soldati statunitensi? Per una guerra, si noti, che ha provocato centinaia di migliaia di morti tra gli iracheni e, da parte deglle truppe Usa, anche l’uso delle armi al fosforo bianco proibite esattamente come i gas.

La realtà è che gli Usa e l’Europa, cioè l’Occidente, non intendono accettare che i popoli sfruttati prima col colonialismo e poi con il neocolonialismo e imperialismo possano dotarsi di Stati unitari, e di economie ben sviluppate, che non siano regimi orribili e fanatici in fatto di religione come l’Arabia Saudita o le monarchie del Golfo. Orribili, ma felici di incassare e godersi le cifre gigantesche ricavate con le  vendite di petrolio all’Occidente, che sulle loro malefatte, in primo luogo il trattare le donne come oggetti privi di ogni diritto, chiude entrambi gli occhi pur di essere rifornito di petrolioe sogna che restino solo i nostri serbatoi di oro nero. E anzi mostra felice alle proprie opinioni pubbliche le enormi Disneyland quali sono di fatto le capitali del Golfo, tacendo da cosa sono corcondate nel resto del territorio. Tutti gli Stati laici, dall’Iran di Mossadeq alla Libia di Gheddafi passando per l’Iraq di Saddam, sono stati combattuti e frantumati spingendoli verso il tribalismo e il fanatismo religioso. Gli Usa e l’Europa al mondo islamico che non si piega sanno offrire solo la fine fatta fare agli indiani d’America, agli indios del Centro e Sud America e agli aborigeni australiani. Ma sperare in un bis del successo di quella ricetta è forse illusorio, in un mondo decisamente cambiato e nel quale crescono giganti economico militari che non hanno nessun motivo per amarci. Avanti di questo passo, con il continuo trasferimento di richezza finanziaria verso i “Paesi produttori”, è più probabile che faremo la fine dell’impero romano: da una parte rovinato dalla bella vita e dai vizi, dall’altra impoverito per il continuo trasferimento della massa monetaria, vale a dire oro e argento,  verso l’Oriente produttore di ogni  ben di Dio, dalle spezie alle sete e ale pietre preziose, ben di Dio che costava sempre più caro, ma senza il quale i romani non sapevano più vivere. Il ben di Dio che forse ci colerà a picco è quell’energia elettrica e quella benzina che, ricavate dal petrolio che non possediamo a sufficienza, sono ormai alla base dell’intera nostra vita.

Da una parte lo strangolamento politico militare. Dall’altra, come dimostra l’articolo di Raimondi e Lettieri che segue il mio, lo strangolamento monetario e finanziario delle economia emergenti.

Ma torniamo alla situazione siriana. Continua a leggere

Aspettando Godot: una banca per lo sviluppo e bond per la crescita

Una banca per lo sviluppo e bond per la crescita

Mario Lettieri* e Paolo Raimondi**

Per il nuovo governo le priorità sono chiare e non eludibili: crescita economica e occupazione. Del resto questo è stato un mantra da tutti ripetuto nella campagna elettorale. La sfida vera però è nei modi e nei tempi delle scelte.  Le ricette non mancano. Comunque, se necessario, si può trarre ispirazione da qualche recente iniziativa internazionale. Dopo un lungo periodo di paralisi politica, l’inizio del secondo mandato del presidente Barack Obama sembra dare qualche esempio di “good practice”. La Casa Bianca ha appena reso pubblico un programma in tre punti per investimenti nelle infrastrutture.

Il primo prevede un piano finanziario di 50 miliardi di dollari per riparare, rinnovare o ammodernare le infrastrutture nei settori dei trasporti. Sull’intero territorio statunitense ci sarebbero infatti  circa 70.000 ponti che richiedono urgenti interventi di riparazione.

Il secondo punto prevede la creazione in tempi brevi di una Banca Nazionale per le Infrastrutture al fine di raccogliere e mobilitare capitali pubblici e privati e sulla base dei quali emettere obbligazioni per la ricostruzione dell’economia reale.

Il terzo aspetto mira ad una immediata semplificazione delle procedure burocratiche per far sì che i progetti possano realmente partire in tempi brevissimi e così avviare il motore della ripresa e dell’occupazione. Continua a leggere

IN ARRIVO DAGLI USA UNA VALANGA DI DEBITI?

In arrivo dagli Usa una valanga di debiti!

Mario Lettieri* e Paolo Raimondi**

L’accordo di capo d’anno per scongiurare che il fantomatico “fiscal cliff” potesse portare ad uno choc fiscale, alla recessione e al blocco del bilancio dello stato federale Usa, non è una vittoria della stabilità. Dovrebbe invece essere considerato un rischio ulteriore di instabilità per il resto del mondo, in primis per l’Europa. L’evento ha una valenza tutta americana, molto importante per i giochi di potere interni. Sancisce però una politica complessivamente fallimentare, sia dei democratici che dei repubblicani, nella gestione della finanza. Si sono trovati i 600 miliardi di dollari necessari per evitare, almeno sulla carta, che alcune spese per il welfare vengano automaticamente bloccate e alcune agevolazioni fiscali siano cancellate. In realtà l’accordo “partorisce” un aumento del debito per ben 4.000 miliardi di dollari nel prossimo decennio!. La stima non è fornita da una qualche fucina ideologica neoliberista anti Obama, bensì dal prestigioso e indipendente Congressional Budget Office.

Come noto, il Cbo è un’istituzione finanziata dal Congresso per analizzare i costi delle politiche di bilancio. Il suo direttore viene nominato congiuntamente dai presidenti della Camera e del Senato. L’attuale direttore, Douglas Elmendorf è stato scelto nel gennaio 2009 quando entrambi i presidenti erano democratici.

l “fiscal cliff” quindi non è la vera emergenza finanziaria americana. Si è trattato piuttosto di un “preparativo” psicologico. La vera emergenza che gli Usa devono affrontare è invece lo sfondamento del tetto del debito pubblico!  A fine anno infatti il debito pubblico americano ha raggiunto il “ceiling”, cioè il tetto massimo stabilito dalla legge finanziaria di bilancio che è di 16.400 miliardi di dollari, equivalente al 103% del Pil. Sarebbe dovuto bastare fino al 30 settembre 2013, cioè fino alla scadenza del bilancio annuale. Ma così non sarà.

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Mario Monti l’Arcitaliano

E dunque alla fine Mario Monti nonostante il loden e la valigia con il trolley si è rivelato più italiano che anglosassone. Anzi, s’è rivelato proprio il classico Arcitaliano, per usare un termine caro a Giuliano Ferrara, che di arcitalianità se ne intende al punto da avere coniato il termine e da usarlo come suo soprannome nella sua rubrica sul settimanale Panorama. Arcitaliano e quindi anche discretamente vanesio. Chi accetterebbe che il dentista una volta quasi completati i lavori per i nostri denti pretendesse di continuare a occuparsene anche se abbiamo forse deciso di cambiare dentista cercandone uno più bravo e/o meno costoso? E chi accetterebbe che l’architetto o l’impresario edile una volta quasi terminata la ristrutturazione della nostra casa pretendesse di continuare a occuparsene, per giunta in coabitazione con noi, anche se abbiamo deciso di cercarne di meglio o meno cari? Certamente nessuno accetterebbe tali eventuali invasioni di campo, decisamente impensabili. Mario Monti invece più o meno questo sta facendo. Il che dimostra che non è del tutto vero che lui è un tecnico prestato alla politica per necessità di quest’ultima. Se lo fosse accetterebbe di passare la mano, con i nostri sentiti ringraziamenti, accettando quanto deciso dai padroni della dentatura e di casa con annesso guardiano, vale a dire dal parlamento e dal presidente della Repubblica. Invece ha deciso di restare in politica e mettere in piedi una coalizione di centro. Che porterebbe via voti sia alla sinistra che alla destra e lo metterebbe forse in grado di restare a palazzo Chigi. Evidentemente a Monti il premio d’ingaggio pagato come anticipo per le sue prestazioni da tecnico, cioè la nomina a senatore a vita, non è bastato.

Il primo anno di vita del governo dei tecnici, cioè della famosa “società civile”.

E dunque venerdì prossimo, 16 novembre, il governo Monti compie un anno. L’entusiasmo con il quale venne accolto alla nascita si è spento. Al punto che nessuno vuole resti in carica dopo le prossime elezioni, che si terranno forse il 7 aprile dell’anno prossimo. A Mario Monti ogni tanto scappa detto “Se necessario sono disposto a restare”, ma nessuno raccoglie: un modo silenzioso per dire che necessario proprio no, non lo è più. Anche il presidente della Repubblica, quel Giorgio Napolitano che lo ha voluto insediare forzando un po’ la mano all’ortodossia istituzionale, non si spende più molto per lui. Ormai il premier docente di economia pare un meccanico che riparata l’auto in panne viene ringraziato dai padroni del veicolo in modo che sia ben chiaro che deve mollare il volante, e senza neppure dargli il tempo di rodare le riparazioni.

Monti ha detto – a Bruno Vespa – di “aver sottoposto il Paese a dosi di riforme mai viste in passato”. Sì, ma sono servite a risolvere i problemi per i quali era stato chiamato e di fatto imposto? Ha saputo riparare l’auto in modo che non vada rapidamente in panne di nuovo? Ai posteri – e agli elettori – l’ardua sentenza. Per ora, dopo un anno di vita, il governo dei tecnici somiglia molto a un insieme di volenterosi dilettanti più o meno allo sbaraglio. L’uscita dal guado, dalla crisi economica e finanziaria, dalla voragine del debito pubblico, dalla troppa disoccupazione non solo giovanile e dal pericolo di bancarotta nazionale, viene sempre data al condizionale: speranza certa, ma non ancora realizzata, traguardo possibile, quasi certo ma non certo, a portata di mano ma non ancora acchiappato con le mani. Verbi al condizionale o al futuro, con le stesse parole dei primi giorni di governo Monti. Intanto come al solito sono bastonati abbastanza cinicamente i meno fortunati e molto poco colpiti i privilegiati e gli arricchiti. Continua a leggere

La rielezione di Obama dimostra che anche sui torti peggiori si può voltar pagina. Volendo. Le balorde accuse dei sionisti antisemiti

Bene. Obama è stato rieletto. Gli Usa hanno avuto dunque presidenti non solo wasp  – acronimo delle parole white, anglo, saxon, protestant – ma anche di religione cattolica e perfino di “razza” nera, la “razza” dei milioni di esseri umani importati a forza come schiavi e discriminati con un apartheid tanto laido quanto legale fino a pochi ani fa. Anzi, il presidente di “razza” nera è stato pure rieletto. Per giunta battendo un concorrente di “razza” bianca ed esponente di una religione che più statunitense di così non si può, dato che i mormoni sono un prodotto made in Usa, nato direttamente nella Grande Mela, cioè a New York. La loro nascita e il loro consolidamento non sono stati affatto facili, combattuti come sono stati per un bel pezzo all’inizio. Tralascio il fatto che il mormonismo si basa su miti, frottole e truffe fin troppo evidenti, perché questa è una caratteristica di tutte le religioni di successo, specie se c’è di mezzo la bibbia, che in quanto a miti e falsi storici credo ne detenga il record mondiale. Il mormonismo infatti si chiama così perché deriva da Mormon, nome del profeta (!) al quale viene attribuito il Libro di Mormon, che il fondatore delle nuova religione, Joseph Smith, pubblicò nel marzo del 1830 dichiarando di averlo tradotto da una antica e sconosciuta lingua… No comment. Se Maometto sognava Dio che gli dettava tutto di notte, Smith aveva invece molte “visioni angeliche”, in base alle quali il 6 aprile 1830 fondò con altre cinque persone nei paraggi di New York la Chiesa di Cristo, come se di Chiesa di Cristo non ci fosse già da un bel pezzo il cristianesimo. Anche qui, no comment. In seguito il nome mutò in Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni, e ovviamente neppure tra i mormoni mancarono rivalità e scismi, tanto per cambiare. E tanto per cambiare la donna era considerata un oggetto sottomesso, molto sottomesso, a partire dalla poligamia, ovviamente senza poliandria. Continua a leggere

Attacco aereo di Israele all’Iran? Tecnicamente impossibile: può servire solo a voler costringere gli Usa a intervenire militarmente

Le guerre peggiori scoppiano d’estate. Forse perché il gran caldo fa impazzire non solo le menti deboli. La prima guerra mondiale iniziò il 28 luglio, la seconda il 1° settembre, l’invasione israeliana del Libano che portò alla mattanza di Sabra e Chatila scattò il 6 giugno. Sta dunque per esplodere anche la guerra di Israele contro l’Iran? Quasi tutti lo danno per certo. Netanyahu, Barak, Lieberman e il loro rabbino di riferimento Josef Ovadia, che prega per “la distruzione dell’Iran”, forse hanno tutte le rotelle a posto, ma sono spinti da uno zelo politico “religioso” (!) tipico dei fanatici pericolosi sotto ogni cielo. E in effetti il governo israeliano sta costruendo caparbiamente la legittimità morale della sua guerra contro Teheran senza tenere in conto – almeno in apparenza – neppure i sondaggi che dimostrano come la gran parte degli israeliani sia contro questa nuova guerra: 42% di no contro il 32 di sì, il resto è incerto. Se poi si dovesse tener presente il parere dei palestinesi che di fatto vivono insaccati in enclave interne a Israele, pari a 2,1 milioni di persone, e quello degli arabi con cittadinanza israeliana, il 20% della popolazione israeliana, pari a quasi un altro milione e mezzo di persone, ecco che quel 42% schizzerebbe molto più in alto. Ma in Israele i non ebrei non hanno molta voce. E la stampa è impegnata a suonare la grancassa a favore del governo  in modo da coprire o diluire le voci critiche. Eccone un buon campionario, scelto non da me, ma da chi è per Israele senza se e senza ma, sempre e comunque, e come se non bastasse spinge anche per la guerra all’Iran: http://www.israele.net/articolo,3513.htm .

Senza contare l’atteggiamento di parte di alcune comunità all’estero, come quella che in Italia si riconosce nella linea isterica di  Informazione Corretta, il cui motto è in pratica l’allucinante e allucinato “Armiamoci e partite”, con la strana pretesa di insegnare agli israeliani cosa devono fare e di spingerli alla guerra restandosene però loro comodamente al calduccio e al sicuro in Italia e altrove lontano da Israele. Continua a leggere