Utopia e libertà di coscienza. Sette spunti per un film di fantascienza

Una società utopica o extraterrestre deve necessariamente essere una società in cui tempo e spazio sono assolutamente relativi, nel senso che la loro dimensione dev’essere relativa al desiderio dell’essere umano di poter rivivere o quanto meno di rivedere qualunque passato e di essere presente in qualunque luogo.

L’unica cosa impossibile, in quanto illecita, è quella che nega la libertà di coscienza, e cioè la previsione del futuro. Il futuro non è prevedibile, se non nel senso generico che se non si rispettano determinate condizioni fondamentali per la libertà di coscienza, si formeranno situazioni favorevoli alla alienazione della persona.

Deve dunque esistere una sorta di macchina del tempo, che permetta di vedere il passato per quello che è stato. E deve esistere una macchina, nel presente, la cui velocità sia pari al desiderio della coscienza di poter essere in ogni luogo e di incontrarsi con chiunque e di utilizzare qualunque mezzo utile alla comunicazione.

Se non vengono soddisfatte queste due condizioni, non ha senso parlare di società “utopica”, cioè posta fuori dalle condizioni terrestri.

Non va tuttavia negata solo la previsione del futuro, ma anche la pretesa di un rapporto unilaterale con qualcuno. L’incontro deve essere fondato sul desiderio reciproco, altrimenti viene di nuovo violata la libertà di coscienza.

Poste queste due condizioni, la società utopica deve prevederne altre due. La prima riguarda il fatto che noi, essendo prodotti di natura, non possiamo fare a meno di questa e con questa dobbiamo avere un rapporto naturale. Umanità e Naturalità devono andare di pari passo, valorizzandosi a vicenda.

Scienza e tecnica devono basarsi sulle esigenze riproduttive della natura, che sono poi quelle che permettono un’adeguata riproduzione umana.

La seconda condizione (che è poi la quarta) è che in una società utopica si deve avere la possibilità di riprendere in qualche modo il cammino che la morte terrena aveva interrotto. Il modo in cui il cammino va ripreso è in rapporto alla realizzazione di sé, alla comprensione della verità delle cose, che è insieme verità soggettiva e oggettiva, relativa e assoluta.

Se si è iniziato un percorso, la società utopica deve indicare le condizioni in cui poterlo proseguire in maniera conforme alle esigenze di Umanità e Naturalità. Ma per far questo, occorre la possibilità in tempo reale di verificare l’attendibilità delle proprie ricerche, cioè una compatibilità tra teoria e prassi, adeguata alle esigenze umane e naturali: un adeguamento della prassi proporzionato alle aspettative, alle pretese della teoria, al proprio desiderio di essere.

Ecco queste quattro condizioni sono quanto di meglio si possa desiderare in una società utopica. Sono condizioni preliminari, non le uniche possibili, ma certamente quelle che rendono possibili tutte le altre.

La quinta condizione da rispettare è l’espressività riproduttiva, per la realizzazione di sé. L’arte di fare le cose è una forma progressiva di apprendimento, in cui ognuno si misura con quel che è, in previsione di quel che può diventare.

La sesta condizione riguarda inevitabilmente la riproduzione dell’essere umano stesso, strettamente connessa alla differenza di genere, che è universale, e che è connessa anche alla trasformazione perenne della materia, non meno universale.

Poiché in origine non esiste l’uno che si compiace di sé, assolutamente autosufficiente, ma esiste l’uno che si sdoppia in elementi che insieme sono opposti e complementari, la riproduzione umana non può restare che patrimonio della coppia.

La settima e ultima condizione è relativa al modo di gestire tutte le altre. La migliore gestione dell’Umanità e Naturalità della società utopica è l’autogestione. La consapevolezza che la gestione delle cose appartiene a se stessi è la migliore garanzia di democraticità.

Per autogestione s’intende quella delle cose che permettono la propria esistenza in vita, che è produzione di espressività e riproduzione di sé.