Mercenari e pena di morte

1. La pena di morte andrebbe abolita

Devo esser sincero: per me fucilare dei mercenari in guerra non ha senso, tanto meno dopo un regolare processo, e meno ancora di fronte al loro pentimento (ancorché parziale). Come non ha senso che loro chiedano d’essere scambiati con dei prigionieri della parte avversa, a prescindere dall’entità dello scambio e da qualunque altra condizione.

Mi riferisco ai tre mercenari arruolati nel Battaglione Azov, di cui due britannici (Sean Pinner e Aiden Aslin) e un marocchino (Saadun Brahim), i quali, dopo essere stati catturati a Mariupol, hanno subìto il processo dal tribunale della repubblica di Donetsk, la cui Corte Suprema li ha condannati a morte, a causa delle loro atrocità volte a prendere il potere nella DPR. Il codice militare prevede l’appello nell’arco di un mese e che, nel caso in cui ottengano la grazia, abbiano, come massimo della pena, 25 anni di carcere. Naturalmente ai mercenari non si applica la Convenzione di Ginevra né alcun altro trattato previsto per i militari regolari (e in Ucraina quelli stranieri arrivati sin dall’inizio della guerra sono stati circa 6.500).

La ministra degli Esteri inglese, Liz Truss, che come al solito mostra di non aver competenza di nulla, ha denunciato la sentenza “come fasulla e assolutamente priva di legittimità”, in quanto per lei sono dei “prigionieri di guerra”. Come se avessero ucciso per la patria e non per denaro! Come se non fossero andati volontariamente ma mandati dal governo inglese! Chissà perché Johnson ha vietato di far vedere nel suo Paese i video delle interviste concesse alla televisione russa da parte dei due mercenari inglesi. Chissà perché nel 2017, dopo essere rientrato nel Regno Unito, Aslin venne arrestato per aver combattuto come foreign fighter.

Anche il ministro degli Esteri francesi ha parlato di “processo farsa” e ha chiesto che “i mercenari (privi dello status di combattenti) devono essere trattati in conformità al diritto internazionale”. Chissà perché la stessa cosa non l’ha chiesta per Vadim Shishimarin, quel 21enne russo condannato all’ergastolo per aver ucciso un civile (unico suo delitto) su ordine di un suo superiore.

Gli stessi mercenari inglesi non si rendono conto di quel che dicono quando chiedono al premier Johnson, loro che sono vili mercenari, d’essere scambiati con l’illustre prigioniero politico, Viktor Medvedchuk, deputato del parlamento ucraino (peraltro, da buoni razzisti quali sono, non hanno incluso neppure il marocchino nella trattativa).

Tuttavia Pinner ha affermato di vivere a Mariupol e di prestare servizio nei marines ucraini da circa 2,5 anni. Ha pure sposato una donna di quella città. Incredibilmente ha pure detto al corrispondente russo Roman Kosarev che aveva bisogno di un lavoro finché suo figlio non avesse finito la scuola! Un lavoro che evidentemente doveva essere piuttosto redditizio e con cui avrebbe potuto insegnare dei buoni princìpi a suo figlio…

Quanto a Aslin (pure lui dal 2018 nei marines ucraini), non ha escluso che il bombardamento delle aree pacifiche di Donetsk sia avvenuto per errore, in quanto l’esercito regolare ucraino gli pare avere, di regola, un basso livello di addestramento e poca disciplina. Ma non ha neppure escluso che l’abbiano fatto apposta a causa della russofobia.

In ogni caso i due inglesi sono stati reclutati da una rete di reclutatori, capeggiata da Alexander Tobius, che opera in tutto il mondo in qualità di tramite delle agenzie di intelligence occidentali.

I compiti di questi mercenari vanno dal fare gli istruttori al commettere attacchi terroristici. In genere sono gruppi separati di persone non incluse in alcuna struttura. È più conveniente, perché, a parte il passaporto, nient’altro le collega con lo Stato di appartenenza e coi servizi speciali. Questi stranieri non vogliono morire in terra straniera e sostanzialmente, quando la situazione appare loro disperata, si arrendono senza combattere, sempre che le forze armate ucraine glielo permettano, in quanto il comando di “resistere fino all’ultimo” implica nessuno di loro venga catturato dai russi.

2. Per che cosa uno fa il mercenario?

Un mercenario è uno che va in un teatro di guerra e uccide per denaro un qualunque nemico. E pur di salvare la pelle è disposto a compiere qualunque cosa.

Si può giustiziare un soggetto così cinico e crudele? un soggetto che magari è diventato così perché di fronte a sé era convinto di non avere alternative? un soggetto che diventa così senza sapere assolutamente nulla delle motivazioni che hanno scatenato un determinato conflitto e che, se le avesse conosciute, avrebbe anche potuto fare il mercenario per la parte opposta?

Se a un mercenario si chiedesse per che cosa combatte, quello risponderebbe: “per soldi”. Poi magari alla domanda: “solo per soldi?”, un inglese come Pinner o Aslin, influenzato da pregiudizi storici secolari di governi inglesi russofobici, aggiungerebbe: “perché i russi mi stanno antipatici”.

Il marocchino Brahim invece non saprebbe cosa aggiungere, non avendo mai visto in tutta la sua vita né un russo né un ucraino e non avendo subìto analoghi pregiudizi.

Dunque escludendo l’esecuzione capitale (che è in sé una barbarie, indegna di qualunque Paese civile), nonché lo scambio di prigionieri (essendo in questo caso troppo diverso lo status di chi combatte), e soprassedendo alle leggi che non permettono di riconoscere dei diritti ai mercenari (anche perché è difficile che qualche mercenario abbia potuto compiere qualcosa di più orrendo di ciò che han fatto, per cieca russofobia, i neonazisti dei vari battaglioni ucraini), cosa fare dei mercenari catturati?

Di sicuro non possono essere lasciati liberi, sia perché il loro pentimento va messo alla prova, in quanto potrebbe essere un atteggiamento strumentale deciso sul momento, cioè un espediente per ottenere uno sconto sulla pena; sia perché non si può escludere la reiterazione del crimine (i due inglesi avevano già combattuto in Siria e in Bosnia).

In fondo il mercenario non è che un killer a pagamento. Il fatto che sia andato a combattere in un teatro di guerra lascia pensare che provenga da ranghi di tipo militare, più o meno regolari. Non è un killer isolato (come quelli che si vedono nei film americani) o che fruisce di particolare protezione (come quelli dei servizi segreti o della criminalità organizzata).

Un soggetto così va rieducato esattamente come tutti gli altri prigionieri. Forse è più facile farlo con una persona che non nutre alcun odio personale nei confronti del nemico da uccidere. Rieducare un neonazista richiede sicuramente molto più tempo.

Un mercenario anzitutto va edotto sulle ragioni del conflitto. Non può trincerarsi dietro la sua ignoranza. Per rendersi conto in maniera adeguata delle mostruosità compiute, uno deve conoscere bene i motivi per cui si trovasse dalla parte sbagliata.

Capito questo, l’ex mercenario deve iniziare a frequentare le persone che voleva uccidere per soldi, proprio per capire ancora meglio l’insensatezza delle sue azioni.

Infine tutti i prigionieri, mercenari e non, dovrebbero contribuire a ricostruire ciò che han distrutto (come fecero i nazisti in Russia). Solo alla fine della ricostruzione potrebbero essere lasciati liberi.

Qui voglio concludere dicendo che l’industria mercenaria ucraina è diventata una delle maggiori fonti di mercenari al mondo, in quanto costano la metà di qualunque altro mercenario: da 5 a 10.000 dollari al mese. E gli americani li utilizzano parecchio.

L’insegnamento fondamentale del conflitto ucraino

Devo dire che questo conflitto russo-ucraino ha messo seriamente in crisi il rapporto idealistico (o filosofico) tra etica e politica.

Certo, in Italia non abbiamo solo una tradizione cristiana che, seppur in forma laicizzata, presume di dare un senso alla politica in nome dell’etica; ma abbiamo anche una tradizione machiavellica (cioè radical-borghese) che separa nettamente l’etica dalla politica, facendo di quest’ultima qualcosa di cinico, ai limiti della spietatezza, se e quando la ragion di stato lo esige.

Con questo conflitto però è successo qualcosa di inedito. Infatti chi sembra avere della politica una concezione cinica, Putin, dimostra d’avere ragioni più fondate, persino più etiche di Zelensky, che pur continuamente cerca di coinvolgere il mondo intero nella sua narrativa melodrammatica, che presume d’essere valida in sé, in quanto esprime la condizione d’uno Stato aggredito, vittima della protervia di uno aggressore, che vuole minare la sua sovranità e integrità territoriale.

Bisogna in effetti ammettere che il mondo intero (o meglio, quello occidentale) non ha avuto dubbi a chi dare tutte le ragioni, al punto che ha preferito soprassedere completamente sul fatto che il governo di Kiev, sin dal golpe del 2014, ha avuto esplicite connessioni con l’ideologia neonazista presente in Ucraina: un’ideologia che risale alla II guerra mondiale e ch’era stata soffocata sotto una cenere fumante nella fase del socialismo reale di marca sovietica.

Dunque in questo conflitto si sono, in un certo senso, ribaltati i criteri dell’etica e della politica, nel senso che non è affatto vero che ha sempre più ragioni chi viene aggredito.

Certo, uno potrebbe dire che l’aggressore, usando mezzi militari, si pone automaticamente dalla parte del torto. Ma non è sempre così. La Russia ha aspettato 8 anni prima d’intervenire. Putin è stato accusato dai “falchi” del suo regime d’aver troppo tergiversato, soprattutto nei confronti dell’espansione orientale della NATO.

In questo lasso di tempo si è dato spazio alla diplomazia (i due accordi di Minsk); si sono aiutati ufficiosamente le due repubbliche del Donbass a resistere ai continui attacchi militari dei neonazisti ucraini; si sono denunciati gli orrori nelle sedi opportune. Ma l’Europa, gli USA, la NATO e l’ONU non hanno mai fatto nulla di concreto per risolvere la situazione. Putin ha atteso 14.000 morti, più i tantissimi feriti delle due repubbliche prima d’intervenire in maniera ufficiale e definitiva. E quando l’ha fatto la prima cosa che ha detto è che non c’erano più alternative. La stessa Russia si sentiva seriamente minacciata dalla NATO, gestita da un segretario generale che non riesce a dire qualcosa di vero neanche per sbaglio.

La Russia ha dovuto usare metodi violenti suo malgrado, cercando di non infierire sulla popolazione e obbligando quindi i propri soldati a liberare con lentezza il Donbass russofono, anche a costo di subire gravose perdite.

Putin non ha fatto altro che usare la legittima difesa contro la violenza dell’indifferenza occidentale, contro la collusione nei confronti di una delle ideologie più violente della storia contemporanea, contro i tentativi sempre più pressanti e minacciosi di porre fine all’integrità territoriale del suo Paese.

Noi occidentali non siamo in grado di capire i russi, perché non disponiamo delle sufficienti coordinate culturali per non vederli come atavici nemici dell’Europa. Siamo troppo prevenuti per formulare giudizi obiettivi. Ecco perché questa guerra non può che decidersi sul campo di battaglia. La nostra diplomazia non vale assolutamente nulla. Non è nelle nostre corde, abituati come siamo a dominare il mondo, capire le ragioni altrui. Per noi la Russia va sconfitta militarmente e deve essere ripristinata la totale integrità territoriale dell’Ucraina, ivi incluso il rientro della Crimea. Non ci interessa l’autodeterminazione dei popoli, espressa dallo strumento del referendum popolare. Per noi la democrazia diretta, rispetto a quella delegata, non vale nulla.

La grande corruzione in Ucraina in un documento della Corte dei Conti europea

1. Introduzione alla corruzione ucraina

Esiste una “relazione speciale” del settembre 2021 scritta dalla Corte di Conti europea, avente per titolo: “Ridurre la grande corruzione in Ucraina: diverse iniziative UE, ma risultati ancora insufficienti” (Special Report 23/2021: Reducing grand corruption in Ukraine).

Viene detto che l’Ucraina è un partner geopolitico e strategico per la UE. È uno dei maggiori Paesi dell’Europa in termini geografici e demografici ed è anche uno dei vicini immediatamente confinanti.

Cioè si fa capire che sarebbe un vantaggio per la UE averla al proprio interno. Cosa che si cerca di fare dal 2003. Si dà ovviamente per scontato che abbia molte risorse naturali appetibili.

I rapporti commerciali hanno iniziato alla grande nel 2007, nell’ambito del Deep and Comprehensive Free-Trade Area, ma sono stati interrotti da Yanukovich nel 2013 (che ha preferito – aggiungiamo noi – fare affari con la Russia, ritenendo troppo onerosi quelli col FMI). Tale svolta ha scatenato la rivoluzione di Euromaidan del 2014, dopodiché i suddetti rapporti sono stati ripresi.

Chiaro il ragionamento? Non si è trattato di un “golpe” ma di una “rivoluzione”, che è stata fatta giustamente per ribadire l’intenzione dell’Ucraina di entrare nella UE. I neonazisti non c’entrano niente, e neppure le manovre degli americani.

E ora viene il bello. Nel 2014 la Russia ha annesso la Crimea e Sebastopoli e nell’Ucraina orientale ha avuto inizio un conflitto armato. Di conseguenza la UE ha adottato misure restrittive contro i responsabili di azioni volte a compromettere l’integrità territoriale, la sovranità e l’indipendenza dell’Ucraina.

Chiaro il concetto? La Russia ha “annesso” la Crimea, non è stata questa che con un referendum ha chiesto di staccarsi dal governo neonazista di Kiev e di passare sotto la Russia. Di conseguenza la guerra tra Kiev e le due repubbliche del Donbass è stata scatenata dalla Russia.

2. I motivi della corruzione

L’Ucraina ha un lungo passato di corruzione (iniziata prima del 2014) e si trova ad affrontare sia la piccola che la grande corruzione. La piccola corruzione è diffusa ed è accettata da gran parte della popolazione come se fosse quasi inevitabile. I cittadini spesso giustificano la loro partecipazione a questa piccola corruzione osservando che gli alti funzionari e gli oligarchi sono coinvolti nella corruzione a un livello di gran lunga superiore. Sembra che ci si riferisca all’Italia.

Come si articola questa grande corruzione? Si basa su connessioni informali tra funzionari pubblici, membri del parlamento, pubblici ministeri, giudici, autorità di contrasto, dirigenti di imprese statali e persone/imprese con legami politici. Situazione pesante, non esattamente paragonabile alla nostra.

Al vertice della grande corruzione ucraina stanno gli oligarchi, i quali: manipolano l’opinione pubblica attraverso la proprietà dei principali mezzi mediatici; influenzano a loro favore il processo legislativo tramite il finanziamento a vari partiti e a un gran numero di deputati; controllano l’amministrazione pubblica imponendo i loro candidati nei posti chiave; influenzano fortemente il sistema giudiziario, la magistratura inquirente e le autorità di contrasto; monopolizzano il mercato; esportano i loro capitali all’estero per non pagare le tasse e riciclano quelli sporchi.

Gli oligarchi hanno in mano lo Stato e non vogliono riforme contro i loro interessi. Cioè praticamente, potremmo dire, vivevano una situazione analoga a quella degli oligarchi russi al tempo di Eltsin.

La Corte dei Conti europea si duole di questa enorme e diffusa illegalità. Per motivi etici? No, semplicemente perché in una situazione del genere gli imprenditori europei non si fidano a fare investimenti in questo Paese.

3. Il ruolo dell’Unione Europea

A fronte di questa incredibile corruzione come si è comportata l’Unione Europea? Consapevole che quel Paese ha enormi risorse da sfruttare, ha fatto finta di niente e l’ha finanziato!

Siccome l’Ucraina è un Paese del partenariato orientale della UE, si è pensato di aiutarla, soprattutto dopo il 2014, in previsione di un prossimo ingresso nella stessa UE. E così la Commissione si è impegnata a versare oltre 12 miliardi di euro per vari programmi di assistenza (anche contro la corruzione), chiedendo in cambio un maggior rispetto dello Stato di diritto.

Ai neonazisti che componevano il governo e che avevano scatenato la guerra civile contro le due repubbliche del Donbass (dopo aver compiuto l’orrenda strage di Odessa), agli oligarchi che avevano in mano il Paese, la Commissione europea (presieduta prima da Barroso, poi da Juncker) chiedeva di rispettare le regole della democrazia, altrimenti il Paese non sarebbe potuto entrare nella UE.

4. Osservazioni della Corte dei Conti

La Corte dei Conti europea doveva mestamente constatare che tutti gli sforzi finanziari della UE per democratizzare l’Ucraina non erano serviti quasi a niente. Solo nel periodo 2018-20 più di 250 disegni di legge comportavano rischi di corruzione.

Cioè non era come da noi, ove vige il detto “fatta la legge, trovato l’inganno”, ma l’inganno, per non correre rischi, veniva codificato a monte. Tant’è che anche le imprese degli oligarchi soggette a rischio fallimento o al pagamento di grossi debiti pregressi beneficiavano di una moratoria praticamente illimitata.

Non solo, ma i grandi corruttori potevano circolare liberamente in Europa.

Nel 2014 lo stesso governo ucraino aveva osservato che il potere giudiziario (Corte costituzionale e Procura generale) era considerato una delle istituzioni più corrotte nel Paese (essendo totalmente subordinate a pressioni o decisioni politiche). Tuttavia lo stesso governo tendeva a far credere agli organi di controllo della UE che le riforme richieste erano state attuate a partire dal momento in cui veniva varata la legge richiesta, anche se poi la legge non veniva applicata quasi per niente sul piano amministrativo.

Un esempio eclatante del livello di corruzione è stata la dichiarazione di incostituzionalità (da parte della Corte costituzionale) di una legge del 2015 in cui si considerava reato l’arricchimento illecito. Poi però, per accontentare la UE, il parlamento ucraino approvò un nuovo disegno di legge nell’ottobre 2019 che reintrodusse la responsabilità penale per questo reato.

Un altro caso lo troviamo nella decisione della Corte costituzionale (ottobre 2020) di dichiarare incostituzionali i poteri di verifica dell’agenzia nazionale per la prevenzione della corruzione per quanto riguarda la dichiarazione della situazione patrimoniale (che se mendace andava giudicata penalmente responsabile). Poi però per soddisfare le richieste della UE il parlamento ha dovuto fare marcia indietro.

Paradossalmente non succedeva come da noi, quando la Corte costituzionale fa le pulci alle leggi del parlamento, ma, al contrario, era il parlamento, pressato dalla UE, a dover correggere l’arbitrio della Corte costituzionale.

La Commissione europea fu addirittura costretta ad annullare nel 2021 un progetto di gemellaggio con la Corte costituzionale ucraina a seguito della decisione adottata da quest’ultima nell’ottobre 2020 d’invalidare le riforme anticorruzione.

Quando la Commissione europea pretese che l’incarico di pubblico ministero fosse sottoposto a una pubblica selezione, i 1.800 che non superarono le prove fecero tutti ricorso. Questo perché veniva considerata dominante la “raccomandazione” anche per un ruolo così importante. Non a caso tra il 2016 e il 2020 il livello di fiducia nella Procura generale non superava il 20%. Ma anche la polizia nazionale e i servizi di sicurezza erano intorno a quella percentuale.

Altro paradosso: il governo aveva accettato la realizzazione di piattaforme digitali “ProZorro” e “DoZorro” per gli appalti pubblici, al fine di garantire trasparenza e monitoraggio (che peraltro non ha mai funzionato per la mancanza di controlli incrociati). Tuttavia non aveva fatto chiudere il sito dei neonazisti Myrotvorets, nato nel 2016, in cui si profilavano le persone da considerare indesiderate in quanto filorusse.

Si poteva far entrare in Europa uno Stato messo in queste condizioni? Evidentemente no, anche se la Commissione europea tendeva a minimizzare i problemi. Ora però che è stato attaccato dalla Russia, tutti i problemi sembrano essersi risolti magicamente.

5. Conclusioni della Corte dei Conti

Prima dello scoppio della guerra in Ucraina l’ente nazionale anticorruzione di quel Paese stava indagando su importanti sistemi di corruzione, come p.es. il caso di Privatbank (la più grande banca commerciale ucraina, di proprietà dell’oligarca sponsor di Zelensky, Ihor Kolomoyskyi). Tuttavia l’ente ha affermato d’essere stato a lungo ostacolato, nell’espletamento delle sue funzioni, dal servizio per la sicurezza nazionale dell’Ucraina, che vuole mantenere il controllo sulle intercettazioni e sull’accesso ai registri.

La Procura specializzata nella lotta alla corruzione, sebbene responsabile di adire la giustizia per i casi di corruzione ad alto livello, continuava a far parte della Procura generale e quindi non era del tutto indipendente. A tale proposito nel 2018 scoppiò lo scandalo delle intercettazioni, da cui emergeva che il responsabile di tale Procura specializzata avrebbe fatto pressione su pubblici ministeri e giudici.

Anche l’Alta Corte anticorruzione (nata nel 2019) era impossibilitata ad agire con sicurezza ed efficacia. Idem per l’agenzia per il recupero e la gestione dei beni, continuamente ostacolata dall’ostruzionismo delle autorità di contrasto.

La grande corruzione rimane un problema cruciale in Ucraina. La riforma giudiziaria è soggetta a battute d’arresto, le istituzioni anticorruzione sono a rischio, la fiducia in tali istituzioni rimane bassa e il numero di condanne per grande corruzione è modesto. Gli oligarchi e gli interessi costituiti in Ucraina sono la causa più profonda della corruzione e i principali ostacoli allo Stato di diritto e allo sviluppo economico del Paese.

Il Servizio europeo per l’azione esterna e la Commissione europea erano a conoscenza delle molteplici connessioni tra oligarchi, alti funzionari, governo, potere giudiziario e imprese statali, ma non hanno mai proposto alcun modello per limitare l’ingresso nella UE di cittadini ucraini sospettati di grande corruzione e impedire loro di utilizzare i propri beni nella UE. Anche se i principali documenti della UE menzionano la lotta alla corruzione, non vi è una strategia globale che affronti specificamente la grande corruzione.

Si sperava di migliorare la situazione ucraina entro la fine del 2022, ma la guerra ha dato una svolta in tutt’altra direzione. E comunque gli enti europei chiedevano insistentemente che il gran numero di imprese statali venissero privatizzate. Il che avrebbe inevitabilmente favorito proprio il sistema degli oligarchi che si voleva combattere.

L’assurdità della guerra moderna

In fondo le guerre odierne sono assurde, profondamente disumane, anche per una semplice ragione: basta un missile per distruggere completamente una casa che si è costruita dopo tanti anni di sacrifici. Tutto quello che si aveva sparisce in un attimo. Si deve ricominciare tutto da capo, e non sempre si ha un’età appetibile per il mercato del lavoro.

Come si fa a non desiderare la pace? A non essere disposti a cedere qualcosa pur di farla finita con questo scempio? Possibile che gli ucraini abbiano in testa solo l’aut-aut di Kierkegaard e non l’et-et di Hegel? Possibile che non conoscano parole come mediazione, compromesso…? Lo capisce anche un bambino che il Donbass e la Crimea sono un’altra cosa rispetto al resto del Paese, e quando non si è capace di rispettarsi, è meglio dividersi: si fanno meno danni.

Le armi sono talmente devastanti che, pur essendo convenzionali, ammazzano sul colpo o fanno restare gravemente menomati, al punto da desiderare la morte. E se anche non infieriscono, per puro caso, sul corpo, lo fanno nella psiche, nella mente, creando disturbi, disagi a non finire, ricordi indelebili, non facilmente risolvibili, soprattutto nei bambini.

Noi europei, pur avendo vissuto due guerre mondiali, prendiamo con troppa superficialità queste tragedie, forse perché la generazione che ha vissuto l’ultima, quasi non esiste più. C’è da dire anche che le guerre in genere avvengono lontano da noi: o per motivi logistici (vedi quelle in Medioriente, Afghanistan, Libia…), o per motivi ideologici (vedi quella contro il cosiddetto “terrorismo islamico” o contro la Jugoslavia socialista).

In presenza dell’attuale conflitto russo-ucraino abbiamo reagito istintivamente, alimentando una russofobia senza precedenti, analoga a certe ondate antisemitiche del nostro passato europeo. L’abbiamo fatto sostanzialmente per due motivi: gli ucraini sono europei come noi, anche sul piano somatico, sono fisicamente nostri confinanti e non sono né islamici né comunisti.

Neanche la Russia è islamica o comunista, ma siccome è molto grande ed è lontana, e nei suoi confronti abbiamo nutrito paura sin da quando ha compiuto la rivoluzione d’Ottobre, abbiamo deciso di dipingerla come il lupo delle fiabe che ci leggevano da bambini, che non era mai sazio di nulla e che le faceva di tutte pur di sfamarsi.

Ecco perché non abbiamo voluto sentire ragioni sulle motivazioni dell’operazione bellica scatenata da Putin. Le abbiamo ritenute a priori tutte sbagliate, frutto di una perversa propaganda, completamente falsa. Come manichei che vedono il mondo in bianco e nero, abbiamo deciso di credere senza discutere a tutto quanto dicevano gli ucraini, fossero popolani o politici.

Abbiamo riempito i telegiornali e i talk show di casi pietosi, abbiamo rincorso i profughi per intervistarli, abbiamo seguito, passo dopo passo, gli sforzi delle loro truppe militari, armandole e finanziandole come meglio potevamo. E in mezzo a tutto questo abbiamo fatto finta di non vedere né la guerra civile durata 8 anni, né il mancato rispetto degli accordi di Minsk, né la forte presenza dei neonazisti seguaci di Bandera, né i pericolosi laboratori biologici gestiti dagli americani, né l’uso strumentale dei civili come scudi umani, né la corruzione dilagante a livello istituzionale, né la sceneggiata di Bucha, né le tante madri surrogate e tante altre schifezze.

Tutte queste cose per noi erano o indimostrate o irrilevanti. Corriamo come cavalli coi paraocchi. L’importante è vincere il feroce orso russo, il mostro Putin, cui auguriamo tutto il male possibile, perfino che qualcuno nel suo Paese lo faccia fuori o che se lo porti via qualche tumore maligno. Siamo diventati folli come Orlando, il cui senno è addirittura finito sulla Luna.

Un’ipnosi collettiva in cui ci si giustifica a vicenda, come in certe sette religiose, che non mettono mai in discussione il verbo del leader carismatico, e dove si guarda con sospetto la minima dissidenza dalla narrativa ufficiale: ecco in quale tunnel ci siamo infilati.

Di fronte a un fenomeno così socialmente vasto e profondo è difficile pensare che riusciremo a venirne fuori una volta conclusa la pace. Sarà impossibile ammettere spontaneamente che si era presa una sonora cantonata. Meno che mai faranno autocritica i gestori del potere politico e mediatico. Ci vorrà un atto di forza, una spallata per togliersi di dosso questo insopportabile fardello, incapace di leggere il nuovo mondo multipolare che sta per nascere. Noi non possiamo rischiare che nel caso di un prossimo conflitto europeo o asiatico (vedi la questione di Taiwan), a qualcuno venga voglia di premere un bottone nucleare.

Molto pertinente il costituzionalista Ainis

1. Ineccepibile Ainis

Il costituzionalista Michele Ainis (che stimo moltissimo) ha parlato chiaro: l’art. 52 della Costituzione esclude categoricamente qualunque guerra che non sia quella di “difesa della propria Patria”. Detto altrimenti: “se adottiamo il punto di vista dei costituenti del 1947, non c’è dubbio che avrebbero fortemente dissentito da una co-belligeranza, anche se questa si traduce, come accade oggi, con l’invio di armi e non di eserciti. Questo è pacifico. Se andiamo a guardare i manuali di Diritto costituzionale del primo dopoguerra, è chiaro che l’unica guerra ammissibile è quella difensiva rispetto alla nostra integrità territoriale”.

Quanto alla cosiddetta “disciplina della neutralità” (cui sono dedicate la V e la XIII Convenzione dell’Aia del 1907), essa prevede “obblighi di astensione”, ossia di non impegnarsi nel conflitto armato in corso, e di “imparzialità”, ossia di trattare in modo uguale le parti del conflitto. Cosa che di sicuro non abbiamo fatto inviando armi al governo di Kiev.

Secondo Michael Bothe (docente di diritto pubblico all’Università Goethe di Francoforte) una violazione degli obblighi di neutralità, seppur motivata dalla volontà di prestare soccorso ad uno Stato aggredito, non si potrebbe giustificare “neppure sulla base di un diritto alla legittima difesa collettiva”. Chi viola la propria neutralità deve aspettarsi contromisure belliche, per cui l’escalation diventa inevitabile.

Peraltro non solo non c’è alcuna risoluzione dell’ONU che obblighi tutti gli Stati del mondo a porre fine al conflitto, ma l’Ucraina non appartiene neppure alla NATO. Che senso ha che un’alleanza del genere faccia di tutto per sostenerla militarmente? Alla fine la guerra diventa per procura tra NATO e Russia, in cui l’Ucraina viene usata solo come paravento.

2. Puntiglioso Ainis

Il costituzionalista Ainis sostiene che là dove nell’art. 11 della Costituzione è scritto che la Repubblica “consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie a un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo” – ciò non vuole affatto dire che viene giustificata qualunque limitazione alla sovranità della Repubblica. Cioè non ha alcun senso concedere una “delega in bianco” a favore del diritto internazionale.

Tutt’al più il nostro ordinamento finalizza “cessioni di sovranità” a organizzazioni che si prefiggono come scopo preciso “la pace e la giustizia fra le nazioni”.

Ma questo appunto significa che eventuali conflitti non potranno mai essere risolti attraverso lo strumento della guerra, proprio perché la nostra Repubblica “ripudia tale mezzo come risoluzione dei conflitti internazionali”. Non avrebbe alcun senso che l’“apertura” della Carta costituzionale al diritto internazionale possa essere talmente estesa da condurre al rovesciamento totale delle fonti del diritto, con relativa paralisi e svuotamento del diritto costituzionale.

In altre parole: la cessione di armamenti al governo di Kiev è anticostituzionale per definizione, per cui questo governo è fuorilegge e Mattarella non se n’è accorto, e tanto meno la Corte costituzionale.

3. Preoccupato Ainis

Va giù duro il costituzionalista Ainis col governo Draghi.

Deve infatti constatare che il ruolo del parlamento è stato completamente esautorato dalle sue funzioni di controllo.

Lo si è visto nel momento stesso in cui, per poter procedere all’autorizzazione dell’invio delle armi in Ucraina, il governo ha dovuto ricorrere all’emergenza e alla decretazione d’urgenza, financo a derogare alle leggi vigenti. Di fatto non si conoscono il tipo di armi inviate, la loro natura e nemmeno le modalità che sono state seguite per la loro fornitura.

È evidente che il Parlamento non ha esercitato la funzione di controllo che gli spetta.

Anche la costituzionalista Roberta Calvano ha dovuto constatare che il dibattito parlamentare è stato intenzionalmente evitato, e non si comprende perché “l’Italia debba applicare principi diversi che ci allontanano dalle democrazie parlamentari”. L’invio delle armi “dovrebbe essere l’extrema ratio e ridotto al minimo indispensabile in attesa della soluzione diplomatica, senza la quale l’invio incrementale delle armi non fa che assottigliare sempre più il margine di compatibilità costituzionale. Abbandonare la via diplomatica andrebbe di fatto contro la Costituzione”.

Insomma, secondo Ainis (e non solo lui) il nostro Paese sta abbandonando il diritto come strumento di soluzione delle controversie internazionali.

Fonte: https://www.lafionda.org/2022/05/31/questioni-sulla-legittimita-costituzionale-dellinvio-delle-armi-in-ucraina/

Ripudiare vuol dire ripudiare

Forse non ci è chiaro abbastanza il significato del verbo “ripudiare”, presente nell’art. 11 della nostra Costituzione.

La guerra non è solo da evitare o da condannare come strumento di risoluzione dei conflitti internazionali, ma è proprio da ripudiare. Cioè non è questione di verificare caso per caso, ma di affermare un principio in sé, che prescinde da tutto (come dire “le razze umane” non esistono, ce n’è una sola).

La guerra non può mai essere giustificata, non può essere in alcun modo presa in considerazione, a meno che non si tratti di difendere la propria nazione da un’aggressione esterna, come recita l’art. 52. Noi non potremmo neppure aiutare militarmente uno Stato aggredito, poiché ciò, anche se fatto con le migliori intenzioni, viola la nostra Costituzione. Cioè non potremmo in alcun modo fornire armi o forze armate sul campo, o istruttori o consulenza sulle operazioni militari.

Uno potrà dire che questa è una posizione astratta, di tipo filosofico, che non fa differenza tra guerre di liberazione e di oppressione, tra aggredito e aggressore. Eppure se fino adesso quell’art. non è stato modificato una ragione ci sarà. Noi possiamo partecipare alle guerre altrui solo offrendo aiuti umanitari. E dovremmo farlo nei confronti di tutti, aggrediti e aggressori, come se fossimo dei seguaci di Gandhi o di san Francesco o di Gino Strada.

Siamo buonisti? Sì, lo siamo. Almeno a livello teorico. E siamo anche convinti che se tutti si comportassero come noi, non ci sarebbe mai alcuna guerra, anche perché diminuirebbe di molto la necessità di armarsi, cioè ci si limiterebbe a dotarsi di armi puramente difensive.

Ma per comportarsi così, bisogna mettersi in testa che per risolvere qualunque conflitto ci vuole la trattativa, la mediazione, la diplomazia, un processo di distensione promosso da organismi super partes, internazionali. Tutte cose che andrebbero fatte non solo quando la guerra è in corso, ma anche e soprattutto prima che scoppi. Tutte cose che non possono venirci in mente appartenendo a un’alleanza militare così aggressiva e provocatoria come la NATO. Né possono essere adottate stando sottomessi alla narrativa guerrafondaia degli USA, che peraltro i livelli istituzionali della UE han fatto propria in maniera totalmente acritica e subitanea.

L’Italia sta assumendo atteggiamenti lontanissimi dalle intenzioni dei costituenti. Dobbiamo davvero ripensare la nostra appartenenza non solo alla NATO ma anche alla UE. Rischiamo di diventare il bersaglio militare di una grande potenza nucleare come la Russia. Ci stiamo isolando completamente dai mercati asiatici e quindi ci stiamo autocondannando a un ruolo marginale e di progressivo impoverimento. Non riusciamo minimamente a capire che si sta formando un nuovo mondo multipolare. Stiamo dimenticando molto pericolosamente le lezioni della storia.

Ma soprattutto ci stiamo mettendo nelle condizioni in cui l’unica alternativa alla irresponsabilità di chi ci governa sembra diventare quella di un rivolgimento istituzionale, di una rivoluzione popolare, persino di una guerra civile simile a quella che la stessa Ucraina ha vissuto per ben 8 anni.

Che armi stanno arrivando in Ucraina?

C’è una gran segretezza sul tipo di armi che gli occidentali stanno inviando in Ucraina, che sembra essere diventato un territorio in cui sperimentarne l’efficacia, a spese della stessa popolazione, come se fossimo in un videogioco.

Tuttavia ogni tanto trapela qualcosa. Per es. il presidente Macron, in un’intervista rilasciata il 21 aprile al quotidiano “Ouest-France”, ha detto che la Germania consegnerà i carri armati Leopard, mentre la Francia prevede i missili anticarro Milan e i cannoni Caesar, più missili anticarro Javelin e missili antiaerei a corto raggio Mistral. Per usare i quali ci si è dovuti impegnare in un addestramento specifico del personale militare ucraino.

L’idea (assurda) è sempre quella di non entrare in cobelligeranza. Il che penso voglia dire non inviare proprie truppe e soprattutto l’aviazione. Di qui la definizione di “guerra per procura”.

Ormai il supporto umanitario, militare e finanziario, fornito dai Paesi del G7 e della UE, è così grande che pare da escludersi l’ipotesi di un conflitto di breve durata e soprattutto che non veda vittorioso l’occidente. Ormai chiunque ha capito che questa non è una guerra tra Russia e Ucraina. Quest’ultima è solo un territorio casuale ma ideale, in quanto molto vasto (due volte l’Italia), difficile da essere controllato per intero. Se anche i russi avessero occupato Kiev nei primi giorni, avrebbero poi avuto a che fare con un governo e un comando militare che, fuggiti all’estero, avrebbero organizzato una guerriglia interna di lunga durata, come fecero i talebani in Afghanistan.

La Francia dispone anche di almeno tre satelliti di osservazione con cui fornisce immagini quotidiane allo stato maggiore ucraino.

La cosa più sconcertante di queste forniture è che i missili Milan e Javelin e i cannoni Caesar prevedono l’uso dell’uranio impoverito. Il che fa pensare che all’interno della NATO nessuno abbia sollevato obiezioni sull’uso di queste armi, i cui effetti (sempre di lunga durata) sono altamente nocivi per la salute e l’ambiente naturale. L’uranio impoverito produce una polvere di ossido che non deve essere inalata, poiché può portare a depositi di uranio nei linfonodi, nelle ossa, nel cervello e nei testicoli. Ciò comporta sempre un forte aumento di vari tipi di cancro, tumori al seno e linfomi, nonché gravi difetti alla nascita.

Anche gli effetti sulle truppe stesse sono endemici: malattie respiratorie devastanti, problemi gastrointestinali, disturbi neurologici, calcoli renali, problemi alla pelle e alla vista e varie forme di cancro. Un certo numero di morti per leucemia, tra i 60.000 soldati italiani in servizio in Kosovo, sono stati collegati proprio all’uranio impoverito, usato dagli americani tenendo all’oscuro i nostri soldati.

Questo perché questo tipo di materiale artificiale è mille volte più radioattivo dell’uranio che si trova nel suolo e nelle rocce. Anzi i missili anticarro a spalla MILAN (utilizzati dalle forze militari di terra in 40 Paesi) contengono torio-232, un metallo che emette particelle sei volte più pericolose per la salute umana rispetto a quelle dell’uranio impoverito.

Dunque questa sostanza non è che un sottoprodotto radioattivo dell’arricchimento dell’uranio naturale per il combustibile nucleare. È in grado di fornire maggiore potere di penetrazione a proiettili e bombe, soprattutto contro carri armati e bunker.

Tali munizioni sono già state utilizzate dalla NATO nelle due guerre del Golfo in Iraq e Kuwait, in Siria e nella ex Jugoslavia (Bosnia, Serbia e Kosovo) e probabilmente anche in Afghanistan.

La Coalizione internazionale per vietare le armi all’uranio (ICBUW) vieta l’uso di queste armi solo per proiettili di carri armati da 105 e 120 mm, e proiettili di piccolo calibro (15/25/30 mm), ignorando completamente le bombe sganciate dagli aerei (GBU), i missili da crociera e altri tipi di missili anticarro. In Francia le munizioni all’uranio impoverito vengono sparate regolarmente in uno dei campi di prova noto come Canjuers.

È difficile sapere quanto lo stato maggiore ucraino conosca la pericolosità di queste armi, che renderanno impossibile vivere per molto tempo nell’area ove vengono impiegate.

Anche il governo inglese ha donato all’Ucraina migliaia di missili guidati anticarro (ATGM) e di armi leggere anticarro (NLAW) che includono una notevole quantità di uranio impoverito.

Molte di queste armi vengono prodotte, più o meno segretamente, in Svezia, che non fa parte della NATO ma che ha già chiesto di potervi aderire.

Da notare che anche i missili aria-terra e le bombe contenenti fosforo sono vietati dal diritto internazionale, poiché rappresentano un un crimine contro l’umanità. Eppure la NATO non si fa scrupoli a fornirli ai militari ucraini.

Fonte: https://21stcenturywire.com/2022/05/03/revealed-are-france-and-nato-shipping-depleted-uranium-weaponry-into-ukraine/

La democrazia cleptocratica americana

Che quella statunitense sia una cleptocrazia non è da oggi che l’abbiamo capito. L’uso delle sanzioni che fa è qualcosa di assolutamente inconcepibile per un sistema democratico, ma nessuno lo mette in discussione.

Tuttavia che fossero dei ladri patentati gli stessi italiani han potuto sperimentarlo a loro spese.

Forse pochi sanno che un regista tedesco, Dirk Pohlmann, con un documentario di 51 minuti intitolato “Nazis in the CIA”, basato interamente su documenti declassificati e interviste ad alcuni protagonisti ancora in vita, rivelò come si comportarono i vincitori americani dopo il 25 aprile 1945. È stato originariamente pubblicato in tedesco nel 2013 come “Dienstbereit – Nazis und Faschisten im Auftrag der CIA” (che è la versione visualizzabile gratuitamente su YouTube www.youtube.com/watch?v=9It65Qb3EP8).

Il documentario mette in luce 5 cose sconvolgenti.

1) Il ruolo svolto dalla CIA nel dopoguerra al fine di reclutare non solo gli scienziati nazisti ritenuti utili per sviluppare le tecnologie militari, ma anche migliaia di ex nazisti e di ex fascisti da impiegare nella lotta al comunismo, compreso l’addestramento di gruppi militari clandestini per eventuali colpi di stato. I nazisti tedeschi venivano utilizzati come “pedine” nella Guerra Fredda. In cambio del silenzio sui dettagli del loro passato, gli americani non fecero alcuno sforzo per punirli per i loro crimini, anzi offrirono ai nazisti la possibilità d’essere pagati per i loro servizi nei campi della guerra psicologica e delle operazioni segrete. Cosa che hanno fatto anche oggi coi neonazisti ucraini.

2) Il ruolo svolto da Paul Dickopf, che nel 1968 era diventato capo dell’Interpol e fino al 1971 era stato considerato il maggior combattente contro il crimine in tutta la Germania. Egli aveva sempre sostenuto d’essere stato uno strenuo oppositore dei nazisti. Ma nel 1973, dopo la sua morte, si scoprì ch’era stato un convinto nazista e un membro delle SS. Poco prima della fine della guerra, Dickopf aveva preso a lavorare come spia degli americani, col nome in codice “Caravella”. Attività che continuò a svolgere per anni dopo la guerra, informando la CIA soprattutto sul cancelliere Willy Brandt e la sua Ostpolitik (apertura politica verso Est), malvista dagli USA. Uno degli amici chiave di Dickopf era il famigerato François Genoud, un finanziere nazista con sede in Svizzera, fan di Hitler. Genoud salvaguardò le fortune naziste e delle SS dopo il 1945. Ha pubblicato I Diari di Goebbels, i cui proventi servirono per pagare le spese legali di Adolf Eichmann e Klaus Barbie. Genoud finanziò anche numerosi attacchi terroristici, incluso il dirottamento di un volo Lufthansa, che provocò il pagamento di milioni di dollari in riscatto ai palestinesi, così come il massacro olimpico di Monaco del 1972, che provocò l’omicidio di 11 atleti israeliani.

3) Gli americani posero tra gli obiettivi primari del dopoguerra quello d’impadronirsi dell’oro custodito nelle riserve valutarie della Germania nazista. Dopo avere bombardato a Berlino nel marzo 1945 la Deutsche Reichsbank, grazie alle soffiate raccolte dall’agente Allen Dulles (il futuro capo della CIA), gli americani scoprirono che 360 tonnellate d’oro e 300 tonnellate d’argento erano state trasportate e nascoste in parte a Merker, nella Turingia, e in parte a Monaco di Baviera. Impadronirsi dell’oro a Monaco, città finita sotto il controllo USA, fu facile (grazie al nazista Kurt Georg Kiesinger, che sarebbe poi diventato Cancelliere della Germania Ovest). Più complicato fu invece mettere le mani sull’oro nascosto in una miniera di sale della Turingia, zona d’occupazione sovietica. Ma con un blitz, prima che i russi se ne avvedessero, le forze armate USA presero possesso della miniera e di tutto ciò che vi era dentro: oltre all’oro della Reichsbank, trovarono numerosi tesori d’arte e le riserve auree dell’Italia. Gli USA non hanno consegnato il bottino ai parenti delle vittime dei nazisti tedeschi e dei fascisti italiani (o ai sopravvissuti), e neppure han restituito il capitale sequestrato alla Germania e all’Italia. Quello fu un atto di saccheggio puro e semplice, un “bottino di guerra”, di cui gli USA si servirono, in parte, per pagare le spese del Piano Marshall, sfamando italiani e tedeschi. E nessuno seppe mai nulla.

4) Ampio spazio è dedicato al reclutamento da parte della CIA di spie fasciste in Italia e alle interferenze USA sulle elezioni politiche. L’agente della CIA James Angleton elaborò i piani per un colpo di stato nel caso in cui il partito comunista avesse vinto le elezioni del 1948. Angleton, coi soldi ricevuti dagli USA, arruolò come agente Junio Valerio Borghese, ex capo della Decima Mas fascista, col quale formò una milizia anticomunista chiamata Gladio, sotto il comando CIA. Negli anni ’60 la CIA arruolò anche il neo-fascista Stefano Delle Chiaie. Fu quest’ultimo a preparare il tentato colpo di stato fascista del 1970, messo in atto da Borghese mentre Delle Chiaie era all’estero, e finito con un fiasco per l’opposizione del democristiano Giulio Andreotti e di Licio Gelli (capo massonico e agente della CIA), che allertarono la sesta flotta USA, volendo dimostrare agli americani di contare più dei golpisti, e ci riuscirono. In ogni caso a partire dagli anni ’60 in Italia si sono verificati numerosi attentati terroristici, che hanno causato centinaia di vittime. Sebbene inizialmente si attribuì la colpa a gruppi di sinistra, ora è noto che gli attacchi sono stati effettuati da gruppi terroristici di destra sostenuti dagli USA.

5) Anche le Brigate Rosse, che uccisero Aldo Moro, fautore di una “terza via” sgradita agli americani (né con gli USA né con l’URSS), benché considerate una banda di terroristi di sinistra, per il documentario erano in realtà manovrate dietro le quinte da agenti della CIA e di Gladio. Moro fu ucciso perché non si lasciò impressionare dalle minacce del Segretario di Stato americano Henry Kissinger, per il quale s’egli non avesse rinunciato al non allineamento, l’Italia avrebbe fatto la fine del Cile nel 1973 (golpe contro il governo di Salvador Allende).

Fonte: https://zeroanthropology.net/2019/03/29/on-duty-for-the-cia-german-nazis-and-italian-fascists/

Manca un’alternativa al socialismo reale

Ormai si è capito che in origine (mille anni fa) esisteva un unico popolo russo ortodosso del Granducato di Kiev. Che poi si suddivise in tre parti: bielorusso, ucraino e russo.

Tutti e tre i rami in epoca medievale persero la loro sovranità: bielorussi e ucraini si trovarono nella struttura del pagano granducato di Lituania, e poi come parte del regno cattolico polacco-lituano; i russi del potere granducale di Vladimir e poi di Mosca erano direttamente subordinati all’Orda d’oro tataro-mongola.

Accadde però che mentre i mongoli di Gengis Khan rispettavano le tradizioni ortodosse dei russi, invece i bielorussi e gli ucraini si trovavano discriminati sotto i polacco-lituani: diventarono una specie di gruppo etnico oppresso, soprattutto sul piano religioso.

Più tardi una parte degli ucraini passò sotto il dominio islamico dell’impero ottomano e poi sotto quello cattolico dell’impero asburgico, perdendo sempre più la propria identità slavo-ortodossa e acquisendo soprattutto quella cattolico-europea, fortemente proselitistica nei confronti delle culture slave.

L’integrazione in questa cultura cattolica fu favorita dal fenomeno dell’uniatismo, creato dalla Chiesa romana per indurre gli ortodossi (autorizzati soltanto a conservare il rito slavo) a sottomettersi al papato.

La forza dell’ortodossia si concentrò unicamente tra i russi di Mosca, soprattutto dopo che si liberarono dal giogo mongolo. E furono loro che diventarono un grande impero, creando una nuova civiltà.

Col tempo il regno di Mosca cominciò a sottrarre i territori bielorussi e ucraini al regno polacco-lituano e, attraverso le guerre russo-turche, a riportarli alle loro tradizioni slavo-ortodosse.

Solo i territori della Galizia-Volinia e della Bucovina settentrionale (inclusi nella parte austriaca dell’Austria-Ungheria) e della Transcarpazia (dentro la corona ungherese) rimasero fuori dal contesto tutto russo.

Poi, dopo la I guerra mondiale, la Galizia-Volinia divenne parte della rinata Polonia, mentre la Bucovina settentrionale divenne parte della Romania, e la Transcarpazia entrò in Cecoslovacchia. Tutte queste terre furono riunite al resto della Russia sovietica negli anni della II guerra mondiale, una volta vinto il nazismo.

Ma la Russia sovietica era ideologicamente atea, del tutto indifferente alla religione, e comunista, cioè avversa al capitalismo. Fu accettata questa cosa? Fino a un certo punto. Infatti nel 1956 si ribellò la cattolica Ungheria, nel 1968 la protestante Cecoslovacchia, ai primi anni ’80 la cattolica Polonia, finché, con l’avvento di Gorbaciov, crollò anche il muro di Berlino, e col successore Eltsin implose la stessa URSS.

Che è successo dopo il 1991? Successe che i Paesi ex sovietici, dopo aver abbandonato il socialismo di stato, e quindi il suo ateismo, cominciarono a guardare favorevolmente allo stile di vita occidentale, a valorizzare le proprie tradizioni religiose e a perseguitare tutto quanto si rifaceva alla cultura russa (ivi inclusa la lingua e la religione).

E la Russia reagì con la forza militare, per proteggere i russofoni e/o i filorussi. Lo fece in Georgia, in Cecenia, ha sventato due colpi di stato in Bielorussia e Kazakistan, sostenuti dagli occidentali. Non ha potuto far nulla contro quello del 2014 in Ucraina, ma oggi sta recuperando il tempo perduto, tendendo a dividere il Paese in due parti.

Qual è il problema? Il problema è che dal 1991 ad oggi non si vede da nessuna parte una vera alternativa al socialismo e all’ateismo di stato. Certo il neonazismo ucraino, strettamente intrecciato con l’americanismo, è un’autentica vergogna dell’umanità, ma non sarà certo usando la forza militare che lo si potrà superare. Qui è la cultura laica e la politica democratica che mancano. E mancano in tutti: Russia, Europa, Stati Uniti e Ucraina.

Cosa rappresenta l’Ucraina?

L’Ucraina rappresenta uno Stato molto simile ad altri Stati dell’Europa orientale, generalmente ex sovietici. Nel senso che storicamente non ha le tipiche caratteristiche di un compiuto Stato democratico-borghese. Odia troppo l’ideologia socialcomunista per essere definito tale (un’ideologia che nell’Europa occidentale ha fatto la storia, prima ancora del marxismo). Odia troppo il Welfare State e la dialettica parlamentare. Tant’è che oggi i filorussi di tutti questi Paesi ex comunisti appartengono soprattutto ai ceti meno abbienti.

Questi sono tutti Stati autoritari, molto corrotti nei loro vertici politici, economici e militari, sempre favorevoli alla formazione di oligarchie, tendenzialmente fascisti o neonazisti, amatissimi dagli USA, che li preferiscono a quelli euroccidentali, poiché li possono manovrare meglio in funzione antirussa: è sufficiente elargire fiumi di capitali.

Tutto ciò stupisce alquanto, almeno di primo acchito, visto che per mezzo secolo sono Stati che han preteso di costruire un socialismo ideologicamente superiore al liberismo e liberalismo occidentale. Evidentemente il socialismo statale era stato avvertito come un’imposizione esterna, innaturale, da cui ci si sarebbe dovuti liberare senza tanti ripensamenti, proprio per poter abbracciare totalmente lo stile di vita occidentale. Di qui l’odio feroce nei confronti dello Stato che più ha impedito loro di emanciparsi in maniera borghese: la Russia.

Questi pseudo Stati borghesi sono quasi passati dal feudalesimo al socialismo statale, saltando quella lunga fase capitalistica che ha caratterizzato noi euroccidentali, e che loro stanno invece recuperando oggi, molto in fretta, lasciandosi colonizzare dalle potenze occidentali, che sfruttano le loro risorse, offrendo in cambio uno stile di vita privilegiato a poche categorie di persone.

Questi Stati han vissuto per molto tempo, come minoranze etnico-nazionali o regionali, all’interno di grandi regni o imperi più o meno feudali: lituano-polacco, austro-ungarico, russo e ottomano (e in parte anche quello prussiano, il più borghese di queste entità tardo-feudali).

Al tempo di questi regni e imperi non esistevano nell’Europa dell’est gli Stati democratico-borghesi, ma sistemi monarchici para-feudali, guidati da antiche dinastie e dall’aristocrazia agraria e militare. Erano sistemi nettamente condizionati dal capitalismo delle potenze occidentali, in primis da Francia e Regno Unito.

Quando nella I guerra mondiale tutti questi regni o imperi sono stati spazzati via, al loro posto si sono formati gli Stati democratico-borghesi. I quali però avevano tutti tendenze fortemente autoritarie, poiché a livello sociale mancava la mentalità borghese vera e propria, favorevole alla democrazia, seppur soltanto formale (quella delle libere elezioni, del libero mercato, del diritto civile e costituzionale, della separazione dei tre poteri fondamentali, della libertà di religione ecc.).

Di fronte alle contraddizioni sociali questi nuovi Stati borghesi, le cui Costituzioni erano state disegnate dalla Francia, usavano le maniere forti. Essendo stati abituati all’autoritarismo dei regni o imperi tardo-feudali, questi Stati, una volta divenuti capitalistici, non erano capaci di molta diplomazia. Di qui il loro centralismo esasperato e l’emarginazione se non la persecuzione delle minoranze.

Questa situazione è andata avanti fino a quando nel corso della II guerra mondiale il tentativo della Germania di far diventare la Russia bolscevica una propria colonia si è rivelato del tutto fallimentare. La Russia feudale-zarista era già colonizzata dal capitalismo europeo, ma la Russia stalinista non era un colosso dai piedi d’argilla. Non solo si difese ma inglobò anche quasi tutti quegli Stati neo-borghesi che si erano sviluppati tra le due guerre mondiali sulle ceneri degli antichi imperi tardo-feudali. E impose il socialismo statale, cioè il collettivismo forzato, che alcuni Stati arrivarono a rifiutare in maniera eclatante: Ungheria nel ’56, Cecoslovacchia nel ’68, Polonia nei primi anni ’80, fino alla caduta del muro di Berlino.

Il crollo dell’URSS ha ridato la possibilità a questi Stati di tornare ad essere borghesi. Di qui le rivoluzioni arancioni, i colpi di stato, le adesioni alla UE e alla NATO, il ritorno a ideologie anticomuniste, più o meno nazionalistiche e nazifasciste. In tutti questi Stati ex sovietici la russofobia è una costante ideologica molto netta, poiché la Russia viene accusata di aver interrotto brutalmente un processo lineare verso il capitalismo. Ecco perché questi Paesi non hanno dubbi nel sostenere gli USA e la UE per abbattere definitivamente la potenza russa. S’illudono di poter trovare nel capitalismo privato un’alternativa al socialismo statale.

Dunque cosa sta insegnando questa guerra all’Ucraina e in fondo al mondo intero? Fondamentalmente due cose, che se vuoi essere uno Stato borghese, non puoi esserlo senza rispettare le minoranze al tuo interno, né puoi pensare, aderendo alla NATO, di minacciare la sicurezza della Russia senza pagarne gravi conseguenze.

Il socialismo statale non esiste più in quasi nessuna parte del mondo. È stata un’esperienza fallimentare, che gli stessi russi han pagato in maniera molto tragica. Nutrire sentimenti antirussi a causa di un passato che non esiste più, è quanto di più stupido vi possa essere. Dietro questa assurda russofobia si nasconde in realtà il desiderio d’impadronirsi delle risorse di quell’immenso Paese. Tale atteggiamento neocolonialistico ci riporta ai secoli peggiori del protagonismo mondiale dell’occidente, prima europeo poi americano. Un protagonismo unipolare che non può più esistere, poiché vi si oppongono con successo non solo la Russia ma anche la Cina, l’India e altri Stati che non vogliono farsi mettere i piedi sulla testa.

Quali alternative aveva Putin?

Supponendo che la Russia abbia ragione quando sostiene che se non fosse intervenuta militarmente, prima o poi l’avrebbe fatto la NATO, una volta insediatasi in Ucraina. Che alternative c’erano a una soluzione del genere?

È chiaro infatti che l’esercito di Kiev stava per attaccare il Donbass e riprendersi la Crimea. È altresì evidente che se la Russia l’avesse lasciato fare, ci sarebbe stato un bagno di sangue, oltre che una vittoria degli ucraini e un sicuro ingresso nella NATO. A quel punto la situazione per la Russia sarebbe stata drammatica. Mosca è troppo vicina al confine ucraino per restare indifferente.

Dunque perché Putin sostiene che non avevano altra scelta? Il motivo sta nel fatto che l’Europa occidentale (prima ancora che diventasse UE) non si è mai opposta, neanche una volta, all’espansione della NATO verso est. Putin sapeva che se anche avesse lanciato l’allarme, nessuno l’avrebbe ascoltato. Ha temuto una riedizione di quella situazione anteriore alla II guerra mondiale, quando la Russia di Stalin, non trovando alcun Paese europeo disposto a stipulare un’alleanza per fermare l’espansione del nazismo, fu indotta a firmare il trattato di non belligeranza Ribbentrop-Molotov, che ancora oggi, ipocritamente, viene considerato dalla storiografia occidentale come il lasciapassare per l’occupazione tedesca della Polonia.

La Russia non si sentiva pronta da sola a fronteggiare la Germania. Poi Stalin, facendo uno dei suoi soliti calcoli sbagliati, si convinse che Hitler, avendo firmato quel trattato, non avrebbe mai attaccato la Russia.

Ecco, probabilmente, vedendo che la NATO, nonostante tutte le promesse di non farlo, era col tempo arrivata a insediarsi in ben 30 Paesi europei (invece di sciogliersi come il Patto di Varsavia), Putin ha avuto paura che la parte occidentale dell’Europa, tradizionalmente bellicosa, e ancor più pericolosa proprio in forza della NATO, avrebbe potuto sferrare un nuovo attacco, e questa volta letale.

La Russia è un impero: di fronte ai grandi pericoli che han messo in forse la sua esistenza ha sempre reagito con lentezza. E ne è sempre uscita a testa alta. Ora per la prima volta con Putin ha giocato d’anticipo, prendendo in contropiede i suoi storici avversari: USA e UE. I quali hanno avuto una reazione scomposta, compiendo un atto illegale dietro l’altro, sul piano economico e finanziario, e minacciandola continuamente di voler portare l’umanità alle soglie d’un conflitto nucleare mondiale.

Gran parte del mondo s’è lasciato convincere dalla narrativa occidentale, maestra nello stravolgere la realtà dei fatti, secondo cui l’attacco russo all’Ucraina non aveva alcuna giustificazione. Questo dimostra che dal 1991 (anno dell’implosione dell’URSS) ad oggi, le preoccupazioni della Russia nei confronti della NATO non sono mai state prese in considerazione. Addirittura all’Europa occidentale non è mai interessato né che col golpe del 2014 si sia insediato a Kiev un governo filonazista, né che questo governo abbia scatenato contro il Donbass una guerra civile durata 8 anni che ha comportato 14.000 morti. Né all’ONU sono mai interessati i report allarmanti dell’OSCE sulla situazione del Donbass. Né Francia e Germania si sono mai preoccupate di verificare i motivi per cui gli accordi di Minsk non venivano rispettati da Kiev.

A questo punto appare del tutto comprensibile che Putin abbia deciso d’intervenire militarmente. Non gli era stata data alcuna alternativa. La Russia peraltro sapeva benissimo dell’esistenza di infrastrutture militari clandestine in Ucraina, gestite dalla NATO, con cui venivano addestrati i neonazisti, e che gli USA stavano aiutando quel Paese nella ricerca di armi biologiche e nucleari. E soprattutto sapeva bene che gli USA, non avendo mai accettato l’idea di non utilizzare per prima l’arma nucleare (esattamente come è disposta a fare la Russia), sono in grado d’impedire un colpo di ritorsione.

Ora è evidente che se non si accettano queste premesse per capire il conflitto ucraino, non si esce dal mero ambito della propaganda. In un certo senso si potrebbe dire che è stato proprio questo intervento preventivo a porre un freno all’espansione del neonazismo in Europa e all’escalation della NATO verso una guerra mondiale. Certo è che se l’intero occidente continua a inviare armi ai neonazisti, mirando altresì a far entrare nella NATO anche Svezia e Finlandia, il rischio di una catastrofe nucleare resta elevatissimo.

Ho amato e odiato la Russia

Ho amato la Russia quando Mosca disse, vedendo il tradimento teologico della Roma cattolica (con la sua idea di “primato petrino”) e di quello politico della Roma bizantina (che cercava appoggi antiturchi a Roma invece che in Russia), che lei era diventata la “terza Roma”.

Poi ho odiato lo zarismo perché opprimeva i contadini e le popolazioni tribali della Siberia.

Ho amato la Russia quando fece fuori l’autocrazia zarista e creò il primo Stato socialista della storia, esaltando il ruolo degli operai e dei contadini.

Ma poi l’ho odiata quando ha trasformato questa vittoria in un mostruoso socialismo statale, in mano a un’intellighenzia politica, amministrativa e ideologica.

Ho amato il popolo russo quando ha resistito alle orde barbariche dei Mongoli, degli Svedesi, dei Teutonici, dei Polacchi-Lituani e dei nazisti. E ho sempre pensato che Napoleone, per quanto espressione di una cultura più avanzata di quella zarista, non avesse il diritto d’imporla con la forza degli eserciti, per cui fui contento della sua sconfitta.

Ho amato la Russia quando si è liberata da sola dello stalinismo e della successiva stagnazione.

Ma poi l’ho di nuovo odiata quando ha rinunciato all’idea di socialismo democratico che voleva realizzare Gorbačëv. La Russia di El’cin, di Putin e degli oligarchi, privati e statali, non mi è mai piaciuta. Passare dal socialismo statale al capitalismo privato e statale è stato un grave errore.

La Russia ha tradito se stessa, anche se è stata grande nel non far pagare ad altri il peso delle sue contraddizioni, cioè le conseguenze della sua dissoluzione.

Ha sciolto il Patto di Varsavia, sopportando il vergognoso ampliarsi della NATO. Ha permesso alle Repubbliche federate della ex URSS di scegliere liberamente il loro destino. Si è limitata a soccorrere militarmente le comunità russe perseguitate nelle ex Repubbliche sovietiche. In ciò ha dato l’impressione di voler ricostituire il passato impero zarista. Ma non ha alcun bisogno di farlo, poiché, rispetto alla sua enorme estensione, ha ben pochi abitanti. Chiede solo maggiore sicurezza ai propri confini.

Oggi il capitalismo mondiale la vuole morta. Non gli è bastato che diventasse capitalistica. La vogliono smembrare e privarla dei suoi beni. È infatti evidente che il vero problema non è Putin. Non è certo per colpa sua che gli USA han deciso di circondarla con le loro basi militari.

Con le sanzioni economiche che le hanno imposto, la Russia rischia di diventare un Paese autarchico, obbligato a basarsi unicamente sulle proprie risorse. Il che non sarà un male. In fondo la vera alternativa al capitalismo qual è? L’autoconsumo, cioè la fine della dipendenza dai mercati.

Come uscire dal conflitto ucraino?

Il mondo non capisce Putin. Lo fa passare per un cinico, un uomo senza scrupoli. Un anno fa Biden lo definì un “assassino”. L’odio nei confronti della Russia è troppo antico per poterla pensare diversamente. Prima della rivoluzione d’Ottobre si temeva lo zarismo perché soffocava le rivendicazioni borghesi contro l’oppressione aristocratica; dopo quella rivoluzione si temeva il bolscevismo perché appoggiava le rivendicazioni operaie contro l’oppressione borghese.

Oggi la Russia fa paura perché è troppo vasta geograficamente, possiede immense riserve energetiche in Siberia ed è dotata di un imponente arsenale nucleare. E non si pensa che i veri dominatori del mondo sono gli Stati Uniti, che controllano tutti i mari e che hanno basi militari sparse quasi ovunque.

Putin vuol tutelare i filorussi del Donbass, ma, usando mezzi e metodi incompatibili col fine, s’è messo dalla parte torto. Anche ammesso che per la questione del Donbass abbia ragione, di fatto ha usato una reazione spropositata, simile peraltro a quella che ebbero gli Stati Uniti nella ex Jugoslavia.

L’occidente pensa che sia più importante tutelare dei confini nazionali piuttosto che impedire il genocidio di una popolazione territoriale. Già con la questione catalana si era capito che il concetto di “nazione” è sacro, anche se nessuno ebbe da dire nulla sulla separazione della Cekia dalla Slovacchia. Il prossimo anno vedremo come ci comporteremo se la Scozia deciderà di staccarsi dal Regno Unito per rientrare nella UE.

I tanti negoziati non sono serviti a nulla, e neppure gli otto anni trascorsi dal 2014. Dall’ONU, dalla UE, dagli USA, dal governo di Kiev nessuna proposta realistica, accettabile. Non si è pensato neppure a una forza d’interposizione neutrale e armata che tutelasse il Donbass dagli attacchi dei neonazisti. L’OSCE è disarmata e non ha mai potuto impedire la violazione del cessate il fuoco. E dei suoi rapporti allarmistici, che denunciavano gli abusi di Kiev, all’occidente non è mai importato nulla.

Si è rifiutata l’idea di uno Stato federale, né si è concesso uno Statuto di effettiva autonomia alle due repubbliche popolari di Doneck e di Lugansk. Si sono imposte solo vessazioni, persecuzioni, abusi a non finire, anzi veri e propri crimini, tanto che tra morti e feriti si contano decine di migliaia di persone, per non parlare dei tantissimi profughi.

La Russia rappresenta sempre “l’impero del male”, nonostante si sia liberata dal socialismo statale, senza far pagare a nessuno le conseguenze di questa decisione.

Dopo lo smantellamento del Patto di Varsavia, la NATO, invece di sciogliersi, si è estesa a 30 Paesi europei, e ora la circonda quasi completamente.

Tutto ciò all’Unione Europea appare normale, poiché non ha una propria visione delle cose: la sua politica estera, la sua geopolitica è sostanzialmente quella americana. Vive di riflesso.

Ora però bisogna uscire da questo incubo, anche perché non si può offrire agli Stati Uniti il pretesto per scatenare una guerra mondiale.

Una clausola del negoziato in corso potrebbe essere questa. Nel caso in cui Kiev si arrenda, Mosca assicura che a tutti i filorussi del Donbass verrà data facoltà di espatriare in Russia, dove saranno sicuramente ben accolti. In attesa che lo facciano, il Donbass resterà sotto occupazione russa.

In cambio Kiev, libera di entrare nella UE, rinuncia a chiedere di entrare nella NATO e riconosce alla Russia il possesso della Crimea.

Nel caso invece in cui Kiev non si arrenda, sarebbe meglio dividere l’Ucraina in due, lungo il fiume Dnepr e prepararsi al peggio.

Le dimissioni di Schönbach e la pericolosità della NATO

Sono passate quasi ignorate le recenti dimissioni di Kay-Achim Schönbach, capo della Marina tedesca. Aveva semplicemente detto, in un think tank a Nuova Delhi, che Putin merita rispetto, proprio perché governa un Paese importante, che potrebbe essere un alleato contro lo strapotere economico della Cina. Poi aveva aggiunto che la Crimea va considerata persa per gli ucraini, perché troppo strategica per i russi. Un’affermazione in netta controtendenza rispetto alle posizioni di USA e UE.

Durissime anche le sue parole contro i cinesi, accusati di prestare soldi a vari Paesi, anche guidati da “dittatori, assassini e criminali”, solo per sfruttare le loro materie prime e intrappolarli nella politica del debito.

Mi pare comunque più sensato lui del nostro ministro degli Esteri, che, quando dice che l’Ucraina è libera di entrare nella NATO, non si rende conto che la Russia non può tollerare che la NATO installi i propri missili nucleari così vicini a Mosca. Non riesce a capire che quando gli USA entrano in uno Stato, possono installare qualunque tipo di arma, esattamente come han fatto in altri Paesi europei. Come faccia a non vedere che non sono stati i russi ad arrivare ai confini degli USA, lo sa solo lui. Non c’è alcun bisogno, per un Paese che voglia aderire alla UE, che sia anche costretto a entrare nella NATO. Austria, Svezia, Finlandia e Irlanda non ne fanno parte. E la Svizzera, che ha sempre voluto restare neutrale, non è forse un Paese europeo?

Il Patto di Varsavia (istituito nel 1955) per contrapporsi alla NATO (istituita nel 1949) è stato sciolto nel 1991. Perché la NATO non ha fatto altrettanto, ma anzi ha cercato di espandersi sempre più, approfittando della debolezza della Russia?

La NATO è un’organizzazione pericolosa, poiché ha l’art. 5 che prevede l’immediato coinvolgimento bellico di tutti i Paesi membri a sostegno del Paese che viene attaccato militarmente in una sua qualunque proprietà o giurisdizione. Non viene specificato il tipo di arma che si può usare. Viene solo detto che l’intervento del Paese può essere anche a titolo individuale e senza bisogno di consultare il Consiglio di sicurezza dell’ONU.

Che cos’è l’islam politico?

L’islam politico è nato dopo la fine dell’impero ottomano (1922), e la sua radicalizzazione anti-occidentale è una conseguenza dell’atteggiamento prevaricatore di Francia, Regno Unito e Stati Uniti in Medio Oriente e, più in generale, nel mondo islamico. Mustafa Kemal Atatürk pose fine al Califfato ottomano (ultimo riconosciuto al mondo) nel 1924, creando uno Stato laico, che però oggi Erdoğan ha messo in discussione.

Islam politico non necessariamente vuol dire terrorismo o sharia, però certamente non vuol dire democrazia. E anche la sua concezione dei diritti umani (soprattutto nei confronti delle donne) contiene aspetti che il mondo occidentale giudica molto primitivi.

L’islam politico può riguardare gli Stati islamici oppure i gruppi e movimenti che lottano per avere un ruolo governativo all’interno dei loro Stati. In ogni caso sia gli uni che gli altri usano la loro religione come uno strumento politico con cui difendersi dalle mire colonialistiche e imperialistiche dell’occidente capitalistico.

L’islam politico è un mondo incredibilmente vasto e complesso, ma in generale si può sostenere che l’ideologia di fondo contiene tre princìpi standard:

- la volontà di organizzare l’intera società e la politica sulla base della religione islamica (è il fondamentalismo o integralismo religioso);

- una condivisa mitizzazione del passato che porta a idealizzare la purezza del primo islam, considerato come modello ideale di riferimento (il che comporta la subordinazione di qualunque minoranza);

- l’obiettivo di purificare la società musulmana dalle contaminazioni culturali importate dall’esterno, considerate motivo del declino dell’islam (di qui l’acceso nazionalismo).

Naturalmente i modelli europei sono stati adottati da molti leader islamici al momento della costruzione dei rispettivi Stati, non solo per costrizione esterna, ma anche perché parte delle élites erano convinte che l’arretratezza dei loro Paesi fosse dovuta proprio alle strutture sociali, economiche e politiche dell’islam.

Era piuttosto l’ortodossia islamica di matrice clericale a ritenere che la “modernità” occidentale avrebbe allontanato la comunità musulmana dalla pratica dell’islam.

Purtroppo è stato il generale fallimento del modello occidentale nei Paesi islamici che ha indotto a cercare dei modelli alternativi basati sui princìpi islamici, in grado di fornire tutte le risposte alle necessità dei nuovi Stati-nazione mediorientali.

È in questo contesto che nasce il primo movimento islamista, la Fratellanza Musulmana, fondata in Egitto nel 1928. Pur essendo repressa da Nasser (1954-70), essa si è presto diffusa in Siria, Giordania, Tunisia e nei territori palestinesi.

Poi, nella seconda metà del ‘900 sono comparse organizzazioni jihadiste, e il fenomeno ha conosciuto una deriva armata e violenta. Tuttavia laddove l’islam politico è riuscito a entrare nei sistemi di governo (p.es. in Tunisia o in Marocco), si è rivelato totalmente incapace a esercitare il potere e a gestire gli affari nazionali.

A tutt’oggi il risultato più significativo e duraturo è stato ottenuto dalla Repubblica Islamica dell’Iran, con la rivoluzione teocratica compiuta da Khomeini nel 1979, che ha deposto lo scià filo-occidentale Reza Pahlavi. Per l’ayatollah sciita Khomeini “L’islam o è politica o non è nulla”. E i talebani afghani la pensano come lui. Infatti han preso l’Iran come modello.