Il muro di Berlino è crollato, l’ipocrisia e il doppiopesismo invece no. Mentre Berlusconi trasforma sempre più l’Italia in una repubblica della banane, uno dei principali responsabili del suo successo, Uòlter Veltroni, scrive romanzi buonisti continuando a ignorare la realtà. E i propri giganteschi errori

Trovo francamente strano che si festeggi la caduta del muro di Berlino senza spendere neppure una parola sul fatto che esiste il Muro della Palestina. I politici più coraggiosi si sono spinti a dire che “nel mondo esistono però altri muri che un giorno si spera vengano abbattuti”, ma nessuno – ripeto: nessuno – ha nominato il Muro della Palestina. Mi si dirà che sono due cose molto differenti, non paragonabili tra loro. E’ vero. Ma solo fino a un certo punto. Vediamo perché.
Israele ha imposto e costruito il Muro con la motivazione che era necessario come filtro per arginare gli attentati dei palestinesi, diventati troppo facili a causa della loro libertà di movimento, per quanto già ben lontana da essere comunque priva di filtri come le centinaia di i check point. La Germania Est aveva costruito il Muro con pretesti simili: non si trattava di attentati con bombe, ma comunque di attentato alla sua integrità da parte della Germania Ovest tramite le lusinghe di una migliore tenore di vita e di una maggiore libertà di movimento, lusinghe che spingevano molti tedeschi dell’Est a fuggire all’Ovest. Insomma, ognuno accampa le sue ragioni. Nel caso della Germania Est c’è però da aggiungere che  la faccenda era complicata dal fatto che l’Unione Sovietica e la Russia erano state invase dall’Occidente almeno due volte, prima da Napoleone e poi dalla Germania nazista. Entrambe le invasioni sono state devastanti, ma la seconda in particolare ha massacrato almeno 20 milioni di russi (pari a quasi quattro Shoà) e distrutto l’80% dell’apparato produttivo sovietico.
Comprensibile quindi che Mosca volesse garantirsi contro una eventuale terza invasione, sia con la fascia di sicurezza dei Paesi “fratelli”, cioè in realtà Paesi “satelliti”, sia con la divisione della Germania e sia infine con una più rigida linea di  demarcazione, il Muro appunto, tra la Germania dell’Est e quella dell’Ovest.  Teniamo presente che la Francia dopo la prima guerra mondiale aveva prudentemente costruito la linea Maginot, una  lunghissima e formidabile trincea corazzata nata come vero e proprio Muro contro eventuali nuove infusioni germaniche. Muro che come è noto non è servito a nulla perché Hitler ebbe l’idea di aggirarlo invadendo la Francia non dalle proprie frontiere.

E’ senza dubbio un bene che Israele abbia ridotto il rischio di attentati contro i suoi cittadini, ma non si può nascondere che sono aumentate a dismisura le sofferenze dei palestinesi imposte dal nuovo Muro, sofferenze che comprendono molte decine di morti per le cause più diverse: dai parti che troppo spesso non possono avvenire in ospedali per la lentezza di movimenti e itinerari assurdi imposti dal Muro e annessi controlli fino ai decessi per impossibilità di ricoverate tempestivamente malati o feriti in incidenti di varia natura. Bene che si impedisca di uccidere israeliani, ma male che si permetta di lasciar crepare in vario modo palestinesi, nonché odiosa la responsabilità dei parti che finiscono subito in lutto anziché essere motivo di felicità come invece dovrebbe essere anche per i palestinesi.
Questi dunque i motivi per cui la celebrazione della caduta del Muro di Berlino mi è parso inficiata da una buona dose di ipocrisia. In definitiva è della Germania la responsabilità anche della Shoà e quindi anche di buona parte di ciò che ne è seguito a spese di chi non c’entrava assolutamente nulla come i palestinesi.

Chi c’era mi ha riferito che durante Silvio Berlusconi è rimasto assopito durante tutti i 40 minuti della solenne cerimonia di Berlino alla presenza dei vari capi di governo.  Forse l’età, forse lo stress per l’approssimarsi di vari nodi giudiziari uno più compromettente e vergognoso dell’altro, forse una qualche forma di malattia. Come che sia, quei 40 minuti sono anche una metafora della brutta situazione in cui Berlusconi è venuto infine a trovarsi nonostante si sia fatto confezionare alcune leggi su misura per i propri interessi giudiziari. E appena tornato in Italia il Chiavaliere ha immediatamente messo alla frusta i suoi fidi per farsi confezionare altre leggi ancor più su misura per sfuggire ad altri e ancor più vergognosi nodi giudiziari, vale a dire a inevitabili condanne. Solo degli imbecilli o dei venduti possono continuare a sostenere che in Italia la magistratura di ogni ordine e grado di varie città ha organizzato – da oltre 20 anni! – un complotto per far fuori un Berlusconi innocente. E solo nello Strapaese degli Azzeccagarbugli possono essere dei Ghedini che si prestano ad acconciarsi a massacrare la Giustizia per permettere al proprio cliente straricco – che paga loro grasse parcelle – di farla franca.

Berlusconi è appannato e azzannato dai problemi, e quindi i vili e i profittatori di professione ne approfittano. Ecco che la Lega vuole la sua parte di bottino. Ed ecco il Vaticano che in cambio della solita assoluzione, cioè dell’appoggio elettorale del proprio gregge, più che mai di pecore e pecoroni, dice chiaro e tondo che vuole più soldi per le sue scuola private e leggi che limitino la libertà di scelta dei cittadini italiani in campi quali il diritto a morire dignitosamente, a riconoscere dignità legale ai rapporti di convivenza omosessuale e non trovarsi tra i piedi i crocifissi anche nella scuola pubblica e negli altri spazi di competenze della Repubblica italiana, laica per Costituzione. Non insisterò mai abbastanza sull’ipocrisia e la faccia di bronzo del Vaticano e dei cattolici papalini, che fanno finta non ci sia già il segno della croce perfino in ogni giorno del calendario, visto che ogni giorno è dedicato almeno a un santo e che ci sono perfino giorni di festa nazionale per ricorrenze che sono della Chiesa, dal Natale alla Pasqua fino all’Ascensione di Ferragosto. Per non parlare della festa settimanale, che casca di domenica anziché di venerdì o di sabato proprio perché calcata su un calendario imposto dalla Chiesa anziché dall’islam, la cui festa settimanale è il venerdì, o dall’ebraismo, la cui festa è lo shabbat, cioè il sabato.

A fronte di tutto ciò trovo ancor più imbarazzante lo strombazzamento che si fa dell’ultimo romanzo di Uòlter Veltroni, “Noi”, compreso il fatto che a quanto pare è avviato a qualche premio letterario la cui giuria è composta da noti “veltroniani” di varia natura. Già ad agosto ho letto con un certo fastidio le interviste a Uòlter che parla di “Noi”. Per carità, l’idea del romanzo, cioè la sua trama, è buona e ottima è l’intenzione, ovvero il messaggio che vorrebbe trasmettere, vale a dire il bisogno di una identità collettiva e l’inevitabile disastro se essa va perduta e sostituita dall’egoismo trionfante dell’Io. Disastro che nel romanzo, la cui vicenda narrata inizia nell’estate del 1945, viene dato per realizzato e “a regime“ nel 2025. Sulla capacità di scrittura e stile narrativo sorvolo, non sono infatti un critico letterario. Forse mi sento un po’ chiamato in causa perché, guarda la combinazione, nell’estate del 1945 sono nato io e il 2025 potrebbe essere, stando alle statistiche, l’anno della mia dipartita per le celesti praterie, sempre che la nera signora con la falce non si presenti prima.
Trovo un po’ troppo scontato e buonista, ma potrei aggiungere sfacciatamente pubblicitario o ruffiano, che Veltroni faccia sapere che l’idea del romanzo gli è venuta nel corso di una visita ad Auschwitz. Ormai l’Africa non serve più, Uòlter il missionario mancato non ne ha più bisogno, la può gettare nella spazzatura. Resto a bocca aperta quando definisce Vittorio Foa, un politico e un intellettuale onesto e di buona levatura, addirittura “l’Omero del nostro Novecento”. Una definizione che oltre ad essere esagerata, se non ridicola, appare anche scopertamente interessata –  al pari della asserita concezione ad Auschwitz del romanzo stesso – quando Veltroni dice che da “Vittorio” ha imparato un paio di cose “di sinistra” e si è sentito vaticinare che “un giorno toccherà a te e non potrai tirarti indietro”. A parte il fatto che un Omero – anche fosse il proprio fratello, e comunque non è questo il caso – andrebbe citato rispettosamente per cognome e non confidenzialmente per nome, il problema è che di fronte al suo asserito vaticinio non si può fare a meno di sorridere. No comment. I problemi sono altri. Vediamo quali.

Comincio col togliermi una spina che mi sta sul garganozzo da vari mesi. Avrei potuto parlarne nel pezzo, molto critico, che scrissi quando Uòlter si dimise da segretario del Partito Democratico, ma ho preferito non calcare la mano. Non si sferrano pedate a un leone morente, tanto meno a un non leone. Anche se a dire il vero non si tratta di una pedata, ma di una semplice richiesta di chiarimento, possibilmente documentata, sulla faccenda dell’appartamento da lui comprato a Manhattan, New York, per regalarlo alla figlia, Martina che studia cinematografia nella Grande Mela. Veltroni si affrettò a dire o a far dire che si tratta “di un piccolo appartamento” e che era stato pagato “con i proventi dei diritti d’autore” dei suoi libri. Mi pare che la cifra ufficialmente indicata per l’acquisto sia di 250 mila euro. Mah. Ragioniamo: cifre di questo genere le guadagnano solo gli autori di best seller. Veltroni autore di best seller? Per carità , può darsi. Beato lui. Ho provato a chiedere lumi alla Siae, ma non sono stato molto illuminato. Si noti che la Siae è la società che mette i suoi bollini, debitamente numerati, a (quasi) tutti i libri editi in Italia proprio per sapere quanti ne vengono venduti. Ho anche provato a procurarmi le varie dichiarazioni dei redditi di Veltroni, ma poi ho lasciato perdere. Non per disinteresse, per carità, ma solo perché sono sicuro che chiedendogli lumi pubblicamente il pupillo dell’”Omero del nostro Novecento” saprà rispondere da par suo: non dovrebbe infatti “tirarsi indietro”, stando al vaticinio da lui stesso citato. E mostrerà sicuramente di avere indicato al fisco anche le cifre che lo hanno portato a poter regalare – beato lui – un appartamento a Manhattan alla su’ figliola.

Voglio essere chiaro e non lasciare adito ad ambiguità: immagino che Veltroni un appartamento a NY, e neppure piccolo, lo possa comprare con: 1) i soldi e la liquidazione e la pensione da giornalista, anche direttore, se non ricordo male, del quotidiano l’Unità; 2) l’eventuale eredità paterna, visto che il padre era un giornalista della Rai e anzi mi pare fosse tra i suoi fondatori; 3) i non pochi soldi e le altre facilitazioni ricevute con i molti stipendi mensili da parlamentare di lungo corso. Come si vede, non nomino neppure il soldo ricevuto come sindaco di Roma.
Ma proprio perché Veltroni è certamente in grado di comprare almeno un appartamento a NY con i quattrini incassati come giornalista e parlamentare, non vedo perché abbia detto o fatto dire che l’ha acquistato invece con i proventi da diritti d’autore. Attendiamo dunque fiduciosi che la nostra lacuna informativa venga cortesemente colmata. O no?

Ma torniamo alle interviste di Veltroni. A pagina 16 del Venerdì di Repubblica datato 21 agosto ho letto queste sue parole: “Di Berlusconi e del berlusconismo si possono dire tante cose, raccontarne lo scandalo, ma l’essenza di quanto è avvenuto in Italia negli ultimi anni sta nel trionfo dell’individualismo e nella cancellazione stessa di interesse e progetto collettivo”. Giusto. Bravo Veltroni! Ma…. dove vivevi nel frattempo? In Africa? Su Marte? Nell’eremo delle Meteore? A Manhattan alla ricerca di casa per Martina? Oltre ai vaticini omerici potresti per cortesia accennare a eventuali tue responsabilità e magari anche a quelle del tuo  partito, man mano passato da Pci a Cosa occhettiana, Quercia, Pds, fino al PD di oggi?
Giustappunto l’intervistatore, Curzio Maltese, non manca di chiedere se la sua condizione di ex (ex sindaco di Roma ed ex segretario del PD) non gli permetta “di leggere meglio gli errori del passato”. E qui la risposta di Veltroni mostra tutto l’abisso di incapacità e assoluta mancanza di senso delle responsabilità di un dirigente politico che non poco spazio ha occupato, purtroppo, nella vita politica italiana e nelle sorti del Belpaese diventato Strapaese. Risponde infatti Veltroni: “Sì. Per esempio, l’incapacità di cogliere l’importanza di alcune battaglie democratiche, come la legge sul conflitto d’interessi”.

Sogno o son desto? Scherza o dice sul serio, Veltroni? Per una tale “incapacità di cogliere”, cioè per avere lasciato libero il campo alla marcia su Roma, e non solo, di Berlusconi, Veltroni dovrebbe morire di vergogna, o almeno avere il pudore di dimettersi da tutto e sparire dalla circolazione. Dico Veltroni, ma ci aggiungerei anche D’Alema e compagnia cantante. La sinistra italiana si è suicidata nel momento in cui NON ha saputo, perché NON ha voluto, far rispettare la legge che vieta l’ingresso nella politica attiva a chi, come Berlusconi, è titolare di una concessione da parte dello Stato. E Berlusconi è, da oltre 30 anni, concessionario di radiofrequenze.  Preziose radiofrequenze. Il governo Prodi si è sparato non solo a un piede, ma anche direttamente alle gonadi, quando come primo atto NON ha fatto rispettare questa legge e NON ha voluto impicciarsi del legiferare sul conflitto di interessi sul quale Berlusconi, as usual, ha preso per il sedere l’intero Belpaese, dal parlamento agli elettori ai cittadini tutti. Dov’era Veltroni quando il governo Prodi dormiva? E dov’era prima, nel precedente governo Prodi, nel governo D’Alema e comunque nell’opposizione ai governi del centrodestra e, prima ancora, del centrosinistra?

Come se non bastasse, ecco che in una intervista al Resto del Carlino il buonista Veltroni oltre a parlare delle proprie passioni letterarie, ovviamente per promuovere il suo romanzo, ci tiene a far sapere che “non tutto il male è colpa di Berlusconi”. Vero. Anzi, verissimo. Il male infatti è anche dei vari e troppi Veltroni, oltre che di Bettino Craxi che, gratificato dall’amico Silvio con un bel pacco di miliardi e da un bel rifornimento di donnine allegre arruolate tra le sculettanti in tv, ha mandato al diavolo la legge e ne ha immediatamente confezionata una su misura per il caro e molto riconoscente amico. Uòlter però con il Resto del Carlino  ci tiene a chiarire che lui ha provato per due anni, con la parola d’ordine “dialogo”, a trasformare il “nemico”, cioè Berlusconi, in “avversario”, “smontando un meccanismo molto in voga, quello di “demonizzare” Silvio Berlusconi”. Il fallimento del “dialogo” Veltroni dice che è colpa “di Di Pietro e di molti dirigenti del PD”. Può darsi. Ma, a parte il fatto che Berlusconi NON ha mai molto dialogato con nessuno, preferendo più che altro comandare, il problema è che non si doveva permettere che Sua Emittenza si mettesse sotto i tacchi anche la legge e si buttasse quindi in politica. Voglio essere chiaro, onde evitare le bischerate accusatorie alla Feltri: ovviamente anche Berlusconi aveva tutto il diritto di darsi alla politica, ma solo DOPO essersi disfatto della gestione (ho detto della gestione, NON della proprietà) del suo enorme impero mediatico e finanziario. Né più e né meno come si usa fare negli altri Paesi civili, con in testa il “blind trust” imposto ai ricchi che si danno alla politica in quegli Stati Uniti tanto cari al Uòlter del “we can”, ennesima sua previsione sballata. Molto sballata.

Devo purtroppo ricordare che Veltroni non solo glissa un po’ troppo limitandosi a parlare soavemente – riguardo il conflitto di interessi – di “incapacità di cogliere”, ma è anche il massimo responsabile della fortuna di Berlusconi. Perché? Perché – come ho già avuto occasione di spiegare – è stato lo sciagurato inventore dello sciaguratissimo referendum, mi pare 20-25 anni fa, contro l’interruzione dei film in tv con gli spot pubblicitari. Idea balzana suggeritagli dal giornalista televisivo e membro del parlamento Beppe Giulietti. Idea neppure “biecamente illuminista”, per usare un recente esilarante termine vescovile, ma semplicemente cervellotica, se non demenziale. Visto che gli italiani NON avevano mai reclamato né manifestato in piazza né fatto le barricate contro gli spot che scadenzano i film in tv, e visto che se ne erano infastiditi potevano tranquillamente cambiare canale, andava da sé che il referendum era perso in partenza. Ma avere perso QUEL referendum significa avere legittimato lo strapotere di Berlusconi in fatto di spot televisivi, cioè di pubblicità, cioè di quattrini. Si è cioè legittimata alla grande, addirittura con un referendum!, la base del potere di corruttela e di condizionamento e di interdizione di Berlusconi.
Il buon Uòlter avrebbe dovuto togliere il disturbo già allora, cioè 20-25 anni fa. A nulla poteva valere lo slogan ammiccante che aveva coniato per quel mortale referendum: “Non si interrompe una emozione”, con chiara allusione al coitus interruptus per pizzicare le corde più facili degli italiani, quelle del sesso. Strano che il Veltroni dell’intervista al Resto del Carlino non sapesse che da quando impazzano anche i canali berlusconiani gli italiani più che darsi a certe “emozioni”, cioè al sesso, se ne stanno seduti a guardare proprio la tv…. E a farsene un po’ troppo condizionare, se non ipnotizzare, anche in fatto di idee, visione della vita, politica e, dato che ci siamo, in fatto di passaggio dal Noi al disgregante ed egoista Io: proprio quell’Io che il nostro caro Uòlter vuole denunciare col suo romanzo.

Che Veltroni abbia un orizzonte culturale modesto e fin troppo provinciale lo si ricava anche dalla sua affermazione, a Curzio Maltese, che “diciamo la verità, Villa Borghese è il più bel posto del mondo”. Mah. No comment. E’ meglio. Il guaio è che il ragazzo aveva le idee arretrate già all’epoca di quel decisivo referendum, quando fiero della sua passione per i film e la cinematografia, voleva combattere la tv di Berlusconi puntando appunto sui film e riempendosi la bocca coi nomi di Anna Magnani, Federico Fellini, ecc. Tralasciamo il fatto che Veltroni come scuole medie superiori ha dovuto ripiegare su un corso di cinematografia perché disastrosamente bocciato fin dal primo anno di liceo scientifico, ma il problema è che in un’epoca di mass media, cioè, come dice la parola stessa, di mezzi di comunicazione di massa, il cinema è perdente rispetto la tv. Così come la tv è perdente, almeno spero, rispetto Internet, che forse sarà la tomba di Berlusconi perché probabilmente finirà col sottrargli le nuove generazioni, più incline a darsi da fare su Internet anziché rimbecillirsi davanti alla tv. Come il cinema si basa sulla socializzazione, così la tv si basa sulla de-socializazzione dello starsene chiusi ognuno a casa sua seduto davanti al teleschermo, spettatore passivo da ingozzare di pubblicità, e subcultura adeguata, per trasformarlo il più possibile in guardone  consumatore. Trasformarlo cioè da cittadino, capace magari di proteste, a docile consumatore. Per giunta, un consumatore al quale far credere, come si è riusciti a far credere, che siamo assediati di nuovo dai barbari e che i nostri principali problemi sono gli immigrati e gli zingari. Esattamente come un altro Cavaliere, in camicia nera anziché azzurra, aveva convinto quasi tutti che il pericolo principale erano gli ebrei e, off course, i rossi. Anche per Internet si sta seduti davanti a uno schermo, ma non come spettatore solo ed esclusivamente passivo. “Navigando” in qualche modo si socializza, non sempre e non solo in modo virtuale, e ci si sgancia abbastanza dal pattume pubblicitario e dalla “mignottocrazia” televisiva, per rubare un termine a Paolo Guzzanti. In caso di manifestazioni di massa per un qualche malcontento, Internet diventa un formidabile strumento di circolazione delle idee, degli appuntamenti, delle aggregazioni, come si è visto intanto in Iran. Caratteristica che la tv non ha neppure da lontano. Ma non divaghiamo.
Disgraziatamente, Veltroni ha voluto invece trasformare una bocciatura asinina in una sorta di marcia in più per essere passato a studiare cinematografia. Lo facesse Renzo Bossi, il figlio asino del senatùr, insorgerebbero tutti o rideremmo a crepapelle. Invece lo ha fatto Veltroni e tutti ad applaudire….

Devo ricordare che Veltroni e/o il suo partito di allora sono stati anche tra i massimi responsabili della trasformazione di quello che era solo Sua Emittenza, il padroncino di tre reti tv solo commerciali, nel più grande editore giornalistico europeo. La solita furbata del menga è stata infatti il far finta di voler combattere Sua Emittenza e la sua visione commerciale della tv e della vita non ridimensionandolo e obbligandolo a rispettare la legge, ma imponendogli di trasmettere anche i telegiornali! I camerlenghi alla Emilio Fede e gli altri dalla schiena prona sono la diretta conseguenza dell’avere voluto fare di Berlusconi il massimo editore europeo di giornalismo televisivo, poi lui ha provveduto anche a quello su carta stampata, ovviamente adeguandolo al pattume da supermarket televisivo. E i risultati infatti si sono visti.

Ricordo inoltre il cinguettio di amorosi sensi tra Berlusconi e Veltroni a un loro dibattito a una Festa dell’Unità alla Montagnola di S. Siro: grandi riconoscimenti al futuro Caimano, in cambio di mano libera su Raitre nell’interesse del partito, che allora mi pare si chiamasse ancora Partito comunista italiano.

Questa faccenda dello spianare la strada a Berlusconi, e poi continuare a tenergliela spianata con altre “incapacità di cogliere”, mi fa venire in mente Massimo D’Alema che a suo tempo s’è sentito in dovere alla vigilia delle elezioni di andare negli studi Mediaset a rassicurare che “Mediaset è un patrimonio dell’Italia, patrimonio da preservare”. Sfido che poi, anche a non voler tener conto di “eventuali” corruzioni e mercati delle vacche sotto banco, dilaghi “l’incapacità di cogliere l’importanza di alcune battaglie democratiche, come la legge del conflitto d’interessi”. Per giunta, il geniale D’Alema, “il più intelligente di tutti”, s’è fatto fregare da Berlusconi, che s’è messo sotto i tacchi anche il “patto della crostata” apparecchiato a cena dal suo fido Gianni Letta senior, così come s’era già fatto fregare da Umberto Bossi quando questi gli ribaltò il tavolo della Bicamerale che, presieduta da D’Alema, aveva un obiettivo storico: impostare le ormai escatologiche riforme del Belpaese, delle quali già si cianciava da oltre vent‘anni.

Il buonismo di Veltroni è arrivato a dare la cittadinanza onoraria di Roma a un papa come Wojtyla, ponendo così le premesse anche delle “visite” di un papa addirittura in parlamento – e poi di un altro al Quirinale – nonostante i papi siano il nemico numero uno della laicità della Repubblica italiana e della autonomia dello Stato rispetto la Chiesa, laicità e autonomia che proprio il parlamento dovrebbe rappresentare e difendere a spada tratta. Come se non bastassero già i Rutelli, le Binetti  e i Fioroni…. Convinto di poter trarre profitto dai Berlusconi e dai Wojtyla, oltre che da slogan tipo lo “yen, we can” di Obama, Veltroni mostra tutta la patologia del suo buonismo ecumenico con una frase al Resto del Carlino, parlando off course di Berlusconi: “Non credo che con lui scompariranno anche l’egoismo e l’individualismo”. Sì, ma che c’entra questo con la politica? In un Paese di individualisti sfegatati, tra i quali Cristoforo Colombo, Galileo Galilei, Leonardo da Vinci, ecc., un dirigente politico non dovrebbe inserire l’individualismo e l’egoismo del nostro dna in un progetto politico che li metta a frutto per il bene collettivo anziché per la rovina collettiva? Chissà, forse Veltroni, romanziere e buonista, ma politico fallimentare da sempre, sogna un Paese dove siano tutti non egoisti e non individualisti….. Mah. Che stia parlando dell’”Isola che non c’è“, cara a Umberto Eco? Oppure del Paese delle Meraviglie, quello di Alice? Beh, certo, in posti come quelli Uòlter le elezioni le vincerebbe a man bassa, governerebbe ottimamente e tutti “vissero felici e contenti“. Qualcuno dovrebbe avvertire Veltroni che lui vive però in Italia. Possibile che chi è stato sindaco di Roma non se ne sia accorto o lo abbia già dimenticato?

Ironie a parte, resta il fatto che Veltroni e D’Alema, per una ventina d’anni i due campioni della sinistra italiana, hanno avuto entrambi “l’incapacità di cogliere” che fare patti col lupo, fidarsi di lui e pure favorirlo, non è una forma di intelligenza politica, ma di imprudenza suicida. Suicida per sé, ma omicida per il Paese. E di vaselina che ha facilitato la transizione dal Noi all’Io di cui proprio Veltroni si accorge e si lamenta candidamente, ma fuori tempo massimo.
Non vorrei infierire: non è stato Veltroni a dire che dopo avere fatto il sindaco di Roma se ne sarebbe andato in Africa, a occuparsi della sua infanzia denutrita e piagata, “a meno che mi si chieda l’assunzione di altre e più impegnative responsabilità”? Che si trattasse di uno spottone auto pubblicitario a base di buonismo a buon mercato, e che in Africa Veltroni col cavolo che ci sarebbe mai andato, era chiaro fin dalla formulazione della frase. Infatti è rimasto in Italia, ha contribuito a far nascere il PD e lo ha guidato, male, come sappiamo. Però, ora che può stare tutto il tempo che vuole ai giardinetti di Villa Borghese, che secondo lui è “il più bel posto del mondo”, perché non si trasferisce finalmente in Africa per davvero? Potrebbe farcisi portare in barca da D’Alema, e magari approfittarne per convincerlo a restare in Africa anche lui.

Che Vittorio Foa non fosse Omero, sia pure “solo” del Novecento, lo si ricava proprio dall’asserito vaticinio a Veltroni. Infatti, fosse stato Omero, alle parole “un giorno toccherà a te, e non potrai tirati indietro” ne avrebbe sicuramente aggiunte altre: “Sarà però meglio per tutti se invece ti tirerai indietro”.
Ma poi: tirarsi indietro per scrivere romanzi non è niente male. Visto infatti che, anche se a giudicare dalle statistiche ufficiali non sembrerebbe, con i diritti d’autore il buon Veltroni riesce a comprarsi appartamenti a New York. Magari piccoli, ma, beato lui che, comunque ci riesce. Sempre più italiani invece fanno fatica ad arrivare a fine mese.

108 commenti
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  1. AZ Cecina Li
    AZ Cecina Li says:

    Probabilmente ci sono anche altre parole invise all’antispam del blog quando capita di veder sparire i commenti ricopiateli e con un po’ di pazienza proviamo ad inserire le parole non comuni una alla volta per indviduare quali sono.

    Antonio

  2. Pino Nicotri
    Pino Nicotri says:

    x AZ

    Strano. Non c’è infatti nessun motivo. Non è che non passano le parole o i commenti, è che da qualche settimana qualcosa nel blog non funziona a dovere. Mi ricorda i tempi peggiori del blog che avevo a L’Espresso.
    Comunque, ripeto anche a te: mandami il comento via e-mail che te lo posto io a tuo nome.
    Ora però ho appena inserito il nuovo argomento per la nuova puntata.
    ‘Notte.
    pino

  3. AZ Cecina Li
    AZ Cecina Li says:

    So che alcuni antispam rifiutano parole troppo lunghe, serie di parole con punti e virgole prive di spasio successivo potrebbero essere interpretate come parole uniche.

    So,che,alcuni,antispam,rifiutano,parole,troppo,lunghe.
    serie,di parole,con,punti,e,virgole,prive,di…………….
    Antonio

  4. Cerutti Gino
    Cerutti Gino says:

    Si parla che a Falluja, la città irachena bombardata con il fosforo bianco dai “portatori di democrazia by Geoge W(isky) Bush”, i neonati venuti al mondo malformati sono 15 volte di più che prima della guerra.
    Kissà kosa ne pensa la komare Anita, tutta presa di “law and order, patria e onore”.
    Si, onore, proprio quello.
    màh..
    C.G.

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