Questa volta Calderoli ha ragione: la democrazia non si esporta, specie con le armi. Berlusconi e Gheddafi riedizione di Mattei e Mossadeq?

Per una volta l’improponibile Roberto Calderoli ha detto una cosa giusta, anzi sacrosanta: “La democrazia non si esporta!”. Seguito a ruota da Umberto Bossi, grande ammiratore di Luisa Corna, anche lui dell’idea che in Afganistan e in Iraq non c’è proprio nessun motivo per il quale ci debbano stare i soldati italiani. E poiché in Afganistan i soldati occidentali, compresi quelli italiani, ci stanno per (tentare di) tenere sotto tiro delle armi da fuoco e cioè a bada i talebani, che sono afgani a casa loro e non italiani o americani in trasferta, ecco che i titoli dei giornali italiani a me pare siano sballati, l’esatto contrario della realtà: “Soldati italiani sotto tiro in Afganistan”.

Berlusconi nonostante i rischi fatti correre ai “nostri ragazzi” – che se non vestono la divisa e non rischiano la pelle sono sì ragazzi, ma dei quali non frega nulla a nessuno, e meno che mai a Berluscin&C – ha subito ribattuto al duo Calderoli/Bossi dichiarando che “la nostra presenza in Afganistan è irrinunciabile”, seguito dal blablà del ministro degli Esteri, il molto docile Franco Frattini, al quale sarebbe francamente preferibile per vari motivi la Carfagna, che s’è sentito subito in dovere di assicurare che “ai nostri soldati daremo la copertura dei Tornado”. Bravo! Così faremo anche noi, come gli americani, centinaia di vittime civli che non c’entrano niente, in modo da farci odiare pure noi. Un bel risultato, non c’è che dire.
Però Berlusconi ha ragione, la nostra presenza militare in Afganistan è davvero irrinunciabile. Per lui. Se infatti si azzarda a dire all’inquilino della casa Bianca, quale esso sia, che non solo non gli dà gli altri mille soldati chiesti per l’Afganistan, ma ritira pure quelli che già ci sono, ecco che dai capaci archivi della Cia e affini potrebbero (uso diplomaticamente il condizionale…) saltar fuori altro che i nastri della D’Addario o gli scatti del fotografo sardo o le ricevute di Mills.
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