Schiavismo e religione

Mi è stato chiesto di delineare i rapporti organici tra schiavismo e religione. Ma su questo argomento esiste già molta pubblicistica in giro, anche in rete: p.es. quest’ottimo intervento di Odifreddi

www.materialismo.it

In sintesi si potrebbe dire che la religione nasce con lo schiavismo come forma di compensazione astratta a una concreta libertà perduta. Ci si inventa un padre generoso e comprensivo nei cieli quando sulla terra si è dominati da un padrone avido e crudele. E il dio-padre diventa tanto più duro nel far rispettare la propria volontà, quanto più l’interpretazione della stessa viene sottratta al popolo e delegata a un personale specializzato (i sacerdoti), che pretende di stabilire in proprio il confine tra bene e male.

Nel Genesi appare chiarissimo che in assenza di schiavismo il dio non è altro che un compagno dell’uomo e della donna, uno che passeggia tranquillamente nel giardino insieme a loro.

Ma la cosa più interessante su cui riflettere è in realtà un’altra: l’ateismo del Cristo.

Su questo tema rimando a un commento scritto non molto tempo fa e dove dimostro non solo che Cristo era ateo ma anche che ebraismo e cristianesimo sono, seppure in parte e nei limiti epistemologici della religione, due forme di ateismo.

CRISTO ATEO O FOLLE?

Commento al capitolo V del vangelo di Giovanni

www.homolaicus.com/nt/vangeli/cristo_ateo.htm

A quali condizioni è possibile un ritorno al comunismo primitivo? (VIII)

Bisogna fare attenzione a distinguere non solo l’economico dall’ecologico, non solo il sociale dall’economico, ma anche il sociale dallo statale. Quando il “socialismo reale” parlava di “Stato di tutto il popolo” non si rendeva conto di affermare una contraddizione in termini: un popolo padrone dei propri mezzi produttivi non ha bisogno di alcuno Stato, essendo in grado di autogestirsi.

Bisogna fare attenzione a questa differenza, proprio perché mentre si parla di “socialismo statale” si può negare completamente la democrazia. Anzi, bisogna addirittura stare attenti che la democrazia che si vive al proprio interno sia effettivamente un prodotto autoctono e non il frutto di un rapporto di sfruttamento con l’esterno.

Sarebbe davvero curioso vedere una comunità dividere equamente i redditi al proprio interno, mentre al proprio esterno compie un’opera di saccheggio o di sfruttamento di comunità più deboli. Sotto il capitalismo vi sono p.es. alcuni paesi in cui il pil pro-capite è molto elevato e la disoccupazione praticamente nulla, soltanto perché essi costituiscono dei “paradisi fiscali” per altri paesi molto più forti sotto vari indici.

Insomma, basta poco per capire che non è possibile testare il livello di democraticità di una comunità senza considerare i suoi rapporti con realtà ad essa esterne. Eppure uno dei limiti del Capitale di Marx è stato proprio quello di non aver messo subito in relazione la nascita del capitalismo in Europa occidentale con la nascita del colonialismo nei continenti extra-europei.

E’ vero il capitalismo non nacque nei primi due moderni paesi colonialisti: Spagna e Portogallo, in quanto senza riforma protestante esso avrebbe fatto fatica a svilupparsi, checché ne pensasse Marx, che tutta la vita si chiese il motivo per cui a parità di condizioni materiali favorevoli al valore di scambio, il capitalismo finì coll’imporsi solo in Europa occidentale. Egli in realtà aveva intuito che doveva esserci un legame con la riforma protestante, ma si astenne dall’approfondirlo.

Tuttavia il limite di fondo del Capitale non sta solo in questo mancato approfondimento culturale, ma anche nel fatto che non si mise sufficientemente in luce che senza il colonialismo, il capitalismo non avrebbe potuto avere l’impeto che ebbe. Nel suo Imperialismo Lenin si guardò bene dal tenere separati capitalismo e colonialismo.

Con la riforma protestantica il capitalismo poté affermarsi a livello nazionale, ma senza colonialismo sarebbe presto collassato a causa delle proprie interne contraddizioni. Sono state infatti le colonie ad assorbire le maggiori contraddizioni europee, con la differenza che mentre le cattolicissime Spagna e Portogallo, col loro background feudale, non seppero approfittarne per compiere una rivoluzione borghese, viceversa Olanda, Francia e Inghilterra poterono iniziare da qui, grazie anche alla riforma protestante, il loro dominio mondiale, e l’avrebbe fatto anche la Germania, se invece di reprimere le rivolte contadine le avesse favorite contro i feudatari.

Quando lo sviluppo capitalistico degli ultimi paesi europei che avevano raggiunto l’unificazione nazionale: Italia e Germania soprattutto, rese indispensabile rivedere la ripartizione delle colonie, operata da Francia e Inghilterra (seguita da Stati Uniti e Giappone), inevitabilmente scoppiarono ben due guerre mondiali.

Questo per dire che un qualunque sviluppo capitalistico interno a una nazione ha necessariamente un riflesso nei rapporti che questa nazione ha con l’esterno, ed è un riflesso particolarmente negativo per le esigenze della pace. Un paese capitalistico è necessariamente un paese sfruttatore di risorse che non gli appartengono o comunque di risorse che, se anche gli appartengono per motivi storici, non dovrebbe sfruttare senza alcun rispetto per l’ambiente.

Non a caso quando un paese s’accorge che lo sfruttamento indiscriminato delle risorse interne non è più sufficiente per garantire un certo sviluppo del capitale, scatta necessariamente l’esigenza di conquistare territori altrui. Russia Cina India Brasile… si stanno in questo momento candidando per far scoppiare una nuova guerra mondiale: l’intenso sfruttamento delle loro risorse interne, per quanto grande sia l’estensione dei loro territori, non potrà certo essere illimitato.