“La ManifestA”: donne + musica per Il Manifesto

Vanilla Associazione Culturale

 presenta

La ManifestA

 

Serata di donne in  musica a sostegno della campagna FATECI USCIRE per “Il Manifesto”

venerdì 3 aprile, circolo Banale di Padova

 

  

Venerdì 3 aprile sarò al Banale di Padova su invito dell’associazione Vanilla per dare una mano a raccogliere fondi per Il Manifesto. Dj set e poi pop e techno dal vivo, il tutto rigorosamente declinato al femminile. A Padova saranno le donne a dare una mano a “Il Manifesto”: ma niente banchetti in piazza né dibattiti né sottoscrizioni. Lo faranno a suon di musica rock, pop e techno con l’associazione culturale Vanilla, per una serata di musica a tutto ritmo, dal vivo e non, venerdì 3 aprile  al circolo Banale di Padova, a sostegno della campagna “Fateci Uscire” ideata dal quotidiano che sta attraversando un periodo molto critico e rischia di sparire dal panorama editoriale italiano.La serata si aprirà alle 21.30 con  dj musiCat, continuerà poi alle 22.30 con il live di Capitalism Made Me Rich, combo padovano techno-pop; alle 23.30 salirà sul palco con la sua band electro-pop Tying Tiffany: padovana di nascita, ma bolognese d’adozione, negli ultimi anni ha riscosso numerosi successi nella scena  europea della musica indipendente. Durante la serata sarà presente uno stand informativo del quotidiano e l’incasso sarà interamente devoluto a “Il Manifesto” (ingresso 8 euro, riservato soci Csen). 

Programma:

ore 21.30 dj-set a cura di musiCat

ore 22.30 Capitalism Made Me Rich concerto di techno-pop

ore 23.30 Tying Tiffany concerto di electro-pop

 Biglietto d’ingresso € 8

 Vanilla associazione culturale & circolo Banale, via Bronzetti 8 (porta Trento), Padova, www.myspace.com/banale

 info vanillaufficiostampa@yahoo.it +39 347 0976350 ; +39 340 3031736

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Si incrina il servilismo verso Israele, inchiodato dalle accuse dei suoi stessi soldati? (A parte il ministro Frattini, ovviamente) In ogni caso, come era già ben chiaro, fine della Palestina

L’aria in apparenza nuova tra Israele e la Siria potrebbe far pensare all’inizio della soluzione dei vari problemi in Medio Oriente, ma in ogni caso si tratta in realtà della liquidazione definitiva dell’ipotesi di uno Stato palestinese, ipotesi mai realmente esistita perché mai in realtà accettata specialmente dai sionisti arabofobi fin dalla decisione dell’Onu della creazione sia dello Stato palestinese che di quello israeliano. La apparentemente strana alleanza di governo tra un semifascista come Netanyau e un “laburista” (?) come Barak si spiega bene solo con il comune rifiuto di risolvere il problema palestinese con la creazione di un altro Stato. In definitiva si tratta solo di un’altra risoluzione Onu tra l’ottantina in totale gettate nella carta straccia dai governi israeliani. E che siano animati, tanto per cambiare, dalla più decisa opposizione alla creazione dello Stato palestinese lo dimostra l’assegnazione della poltrona di ministro degli Esteri a una figura impresentabile e fascistoide come Avigdor Lieberman, il nuovo teorico – dopo quelli della bibbia – della più radicale pulizia etnica tramite cacciata in blocco di tre milioni di esseri umani che tanto non fanno farte del “popolo prediletto da Dio”. Il sugello di Lieberman è confermato da un’altra indecorosa presenza nel governo, vale a dire quella di Eli Ishai, capoccia del partito religioso (!) ultraortodosso Shas,  al quale è stato dato addirittura il ministero degli Interni onde rendere ben chiaro che i palestinesi, gli arabi cittadini israeliani e i pacifisti ebrei israeliani sono in una morsa di ferro. Normalizzare le relazioni con la Siria, asse portante per soluzione di qualunque problema del Medio Oriente a partire dalla legittimizzazione dello Stato di Israele, significa di fatto gettare definitivamente a mare i palestinesi. Tempo pochi anni, avremo quindi solo una di queste tre realtà: una nuova guerra, capace di inghiottire anche noi; uno Stato israeliano binazionale; una pulizia etnica definitiva e su vasta scala.

Intanto però la domanda è: e adesso? Che diranno adesso i sempre pronti a spaccare i capelli in quattro pur di dare sempre e comunque ragione a Israele? Ragione sempre e “a prescindere”, come diceva Totò. Che faccia faranno i cialtroni – transitati anche per i miei blog – sempre pronti a sparare in faccia l’accusa di “antisemitismo” a chi osa non allinearsi automaticamente alle versioni fornite dal governo o dallo stato maggiore militare israeliano? Che faccia faranno i mascalzoni e gli azzeccagarbugli da quattro soldi – ma spesso da trenta denari – sempre pronti a dare addosso ai palestinesi con argomenti del menga tipo “la colpa dei bombardamenti su Gaza è loro perché hanno votato Hamas”? Che diranno i fini sofisti del cavolo che amano blaterare di “prove scientifiche” per negare tutto ciò che di orribile a volte anche Israele commette, compreso il provatissimo e quindi innegabile uso del bestiale fosforo bianco contro i civili a Gaza? Che diranno le facce come il culo, anzi peggio, sempre scettiche, pronte a negare qualunque porcheria israeliana con la bella scusa che “non ci sono testimoni credibili”? Gente strana questi scettici, perché in compenso sono sempre pronti a credere a qualunque balla tragica sul Tibet, da amplificare anzi al massimo, eppure se c’è un posto dove di testimoni non ne è mai esistita neppure l’ombra è proprio il Tibet. Questa volta le accuse e le prove piovono a dirotto direttamente dagli israeliani, soprattutto dai soldati israeliani. Continua a leggere

Le amnesie angolane di Ratzinger a proposito di schiavismo

“La cupidigia riduce in schiavitù. Aiutiamo l’Africa assetata di giustizia”, ha scandito papa Ratzinger in Angola. Giusto! Solo che tanto per cambiare il papa di turno ha anche lui il vuoto di memoria di turno. A ridurre l’Africa in schiavitù non è stata infatti la cupidigia dei nostri giorni, ma Santa Romana Chiesa per mano di un collega di Ratzinger. Correva infatti l’anno di grazia 1452 quando il pontefice Nicola V emanò la bolla “Dum Diversas”, che in base alla teologia cattolica dell’epoca rese legittimo il commercio di schiavi, peraltro legittimato in pieno da S. Paolo quando rispedì al padrone Filemone lo schiavo Onesimo, scappato e rifugiatosi da Paolo, che l’aveva anche battezzato. La bolla di Nicola V autorizzò i portoghesi a ridurre in schiavitù i non cristiani. Come se non bastasse, tre anni dopo, cioè nel 1455, lo stesso pontefice si premurò di riaffermare la legittimità della schiavitù degli “infedeli” con una nuova bolla, intitolata “Romanus Pontifex”. E così Santa Romana Chiesa fece nascere il colonialismo europeo – durato fino a pochi decenni or sono e di fatto ancora oggi perdurante sia pure mutata mutandis almeno negli effetti – e fornì le basi “religiose” (!!!) per i secoli  della tratta dei neri da usare come schiavi soprattutto nelle Americhe. Infine, con la santificazione della riduzione in schiavitù dei nativi americani che non si convertissero al cattolicesimo e con la annessa confisca delle terre non cristiane nacque la schiavizzazione non solo degli africani, ma anche degli indigeni del cosiddetto Nuovo Mondo. Continua a leggere

Vite e morti da cani. Con gli “Amici della vita” a quanto pare più amici dei cani che degli umani

Ieri ho pubblicato su Giornalettismo un articolo che ha suscitato alcuni commenti particolarmente significativi (del degrado e del declino che viviamo). Perciò lo ripropongo qui con qualche aggiunta.

Strano (si fa per dire), ma in questi casi gli “Amici della vita” e i censori di Facebook modello senatore Gianpiero D’Alia latitano a tutta manetta. E dire che NON si tratta di proteggere ovuli fecondati, morule, feti variamente disgraziati, cadaveri tenuti in vita artificiale per mungere i soldi pubblici (quanti? Nessuno indaga…), non si tratta neppure di proteggere un luogo “virtuale” da immoralità o coglioneria altrettanto virtuale. Sabato 14 è stata una giornata per certi versi storica, da annali neri. Da una parte una strage del sabato sera più pesante del solito: otto giovani morti! E dall’altra un bambino di 10 anni sbranato dai cani, più un bambino di 9 ridotto male e un 40enne spedito in ospedale dagli stessi cani. Che tre giorni hanno ridotto in fin di vita un’altra persona, questa volta una turista di 24 anni, cui hanno anche strappato un occhio, e ferito un paio di carabinieri. Non solo non c’è nessun D’Alia che abbai contro gli sbranamenti da cani, ma il ministero della Sanità ha vietato al prefetto di abbattere quelle belve “miglior amico dell’uomo”: “Vanno catturate con l’anestetico”, ha solfeggiato suaviter il sottosegretario alla Sanità Francesca Martini. Perché invece di dire cazzate non va  a farsi anche lei una passeggiatina in borgata Sampieri, il luogo in Sicilia dello scempio a quattro zampe, magari senza scorta per meglio godersi il proprio sbranamento? Continua a leggere

Il diritto a una morte naturale

La sinistra marxista non ha mai affrontato adeguatamente il problema della morte. Nel timore di cadere nelle trappole idealistiche o religiose, ha preferito sostenere la tesi secondo cui l’argomento non rientrava nel materialismo storico-dialettico, anche a costo di confondere le proprie posizioni con quelle del materialismo volgare.

Eppure i classici del marxismo han sempre affermato l’infinità e l’eternità dell’universo, l’automovimento della materia. Non ci sarebbe stato motivo di escludere il genere umano da una co-partecipazione alle caratteristiche dell’universo. Nessuno obbliga la sinistra a dover fare delle concessioni alle visioni ultraterrene delle religioni solo per il fatto di voler parlare di “vita oltre la vita”.

In fondo è stato proprio il marxismo a parlare di “trasformazione perenne della materia”. E nel concetto di “materia” non dovremmo forse includere anche l’umano, che di essa è parte senziente e pensante? E questo non vuol forse dire che è impossibile mettere un’ipoteca su una qualunque interpretazione di ciò che ci attende dopo la nostra morte?

Posta come assodata la critica alle religioni, che trasferiscono nell’aldilà quello che secondo loro non si può assolutamente ottenere sul nostro pianeta, facendo della perfezione divina l’obiettivo storicamente irraggiungibile dall’imperfezione umana, quale analisi si può elaborare in maniera da non travalicare i confini dell’umanesimo laico?

Da un lato infatti non è più possibile limitarsi a sostenere (proprio perché questo viene fatto anche dalle religioni) che la morte è importante soltanto quando, in nome di un ideale supremo, si accetta di sacrificare volontariamente la propria vita.

Dall’altro non è possibile continuare a sostenere che la morte sia un falso problema, poiché in tal modo o si fa il gioco dei clericali, che su un argomento così limite basano tutta la loro astratta diversità, o si fa il gioco della borghesia, che, occultando la realtà della morte, induce a credere con ottimismo ingiustificato nel proprio futuro, a vivere con beata spensieratezza, al di sopra delle proprie possibilità, fidando nel fatto che scienza e tecnica saranno in grado di risolvere qualunque problema e che l’economia di mercato è in grado, sempre e comunque, di autoregolamentarsi, con tutta la “magia” di cui dispone.

Nei periodi rivoluzionari, quelli in cui la crisi del sistema è molto forte, si può anche propagandare l’idea che il proletariato, non avendo nulla da perdere, può anche rischiare la propria vita pur di migliorare le cose. Marx ne parlò nel 1848, Lenin nel 1917.

Forse ora è giunto il momento di spendere una parola in più sull’argomento della morte. Non è più sufficiente sostenere che chi si sacrifica, lo fa per aiutare i sopravvissuti a proseguire meglio sulla strada della trasformazione umana e democratica della realtà terrena. Al singolo può non apparire sufficiente annullarsi per il bene della parte migliore dell’umanità. Alla coscienza del singolo bisogna che sia chiara l’idea che l’umano è il fine dell’universo e non semplicemente una caratteristica che riguarda il nostro pianeta.

La realizzazione della dimensione umana, distinta per genere sessuale, è un compito dell’intero universo. Il nostro pianeta non è altro che un’enorme incubatrice in grado di sfornare miliardi di esseri umani, il cui compito fondamentale sarà quello di popolare l’intero universo. Cosa che già stiamo facendo adesso con le esplorazioni nello spazio cosmico, anticipando indebitamente il nostro futuro lavoro (indebitamente in quanto in questo momento lo spazio cosmico non è la nostra dimensione naturale).

A forza di spingere la conoscenza scientifica verso traguardi sempre più lontani dal comune sentire, in totale dispregio dei problemi che affliggono la nostra condizione terrena, aumenta l’impressione (ovvero si vuol far credere) che il nostro pianeta non sia più adeguato alle nostre esigenze vitali, quando invece, al momento, alternative non ve ne sono.

Noi occidentali abbiamo l’assurda pretesa di poter fare a meno, in nome dello sviluppo tecno-scientifico, della interdipendenza che lega uomo e natura, cioè siamo convinti che la nostra superiorità intellettuale ci autorizzi a considerare irrilevanti le condizioni naturali della nostra esistenza. Ci illudiamo di poter supportare la consapevolezza interiore della superiorità umana (rispetto a quella animale e naturale) grazie unicamente agli strumenti esteriori della scienza e della tecnica, quando in questo momento la sintonia tra coscienza umana e realtà universale può avvenire soltanto in una dimensione interiore. Andando avanti di questo passo finiremo col considerare inutile, obsoleto, il nostro stesso pianeta, al punto di non avere più alcuna preoccupazione per la sua salvaguardia ambientale.

E’ vero, siamo come un feto nel grembo di una madre, destinato inevitabilmente a crescere, a svilupparsi e quindi sempre più desideroso di sperimentare nuove condizioni di vita. Ma i tempi vanno rispettati, le stesse condizioni per sperimentare nuove dimensioni vitali non possono essere ottenute a prescindere dal bene collettivo dell’intera umanità, il primo dei quali è quello di un’esistenza dignitosa. Il progresso non può essere deciso da un’infima minoranza che ne fa pagare i costi materiali a una maggioranza che non avrà modo di beneficiarne.

Esiste un processo storico oggettivo che porta verso obiettivi indipendenti dalla volontà umana, in quanto propriamente naturali, di cui l’uomo è essenza. Cioè l’essere umano è parte di un processo naturale oggettivo, da cui non può prescindere, in quanto è destinato ad essere quel che è. E tuttavia il percorso di questo processo non è indipendente dalla volontà umana: esso infatti può essere lineare o tortuoso, liberale o illiberale… Non è indifferente il modo in cui si raggiunge l’obiettivo dell’essere quel che si è.

E’ possibile ritardare il percorso del processo storico-naturale verso l’autoconsapevolezza umana, ma non è possibile interromperlo senza pagarne le conseguenze; è possibile deviarlo, ma non per un tempo illimitato. Le rivoluzioni aiutano a recuperare il tempo perduto, a riprendere il cammino sulla giusta strada, oppure possono essere utilizzate nell’illusione di fare effettivamente questo. In ogni caso la storia andrà avanti con o senza rivoluzioni e chi non avrà rispettato le condizioni umane dell’esistenza, i valori umani universali, non verrà certo ricordato per il contributo che ha dato all’umanità di trovare l’identità di sé.

Apriamo ora una breve parentesi sul suicidio. Chi rifiuta, col suicidio, una determinazione di vita, non compie un gesto insensato (poiché ogni azione, anche la più folle, ha sempre un senso e persino delle giustificazioni), ma compie un gesto inutile. Infatti non esiste la “non-vita” quand’essa viene posta, ma solo la sua trasformazione. La vita può soltanto essere. La “non-vita”, una volta posta in essere come vita, esiste solo come “malattia mortale”, cioè come “disperazione”.

Noi siamo destinati a esistere: dobbiamo soltanto trovare il modo migliore di farlo e questo non può essere fatto come meri individui singoli, ma solo come membri di un collettivo, proprio perché la persona è l’insieme dei rapporti sociali che vive. L’identità di un collettivo, se è vera, lo è sul piano universale. Ecco perché parliamo di valori umani universali. Chiusa la parentesi.

In astratto ci si può chiedere quale sia il modello di vita da realizzare non solo sul nostro pianeta ma anche nell’intero universo. Al momento stiamo sperimentando delle soluzioni che vanno bene soltanto a una ristretta parte dell’umanità, quella che dispone di più capitali, di più tecnologia, di più armamenti.

Col “socialismo reale” si sono anche sperimentati gli effetti nefasti di un’ideologia di stato, di una stretta identificazione tra partito e Stato, tra ideologia e politica, tra politica e amministrazione, tra società civile e Stato, in cui quest’ultimo giocava il ruolo del padre-padrone.

Sono questi i modelli che vogliamo esportare nell’universo? Al momento sappiamo con certezza che al di fuori dell’essere umano non esiste alcun dio che ci può dire quale sia o quale sarà il modello giusto. L’unico dio dell’universo è l’uomo.

Noi non sappiamo dove siano gli esseri umani che ci hanno preceduti, ma possiamo tranquillamente ipotizzare che non stanno facendo nulla contro la loro volontà. La libertà, come la verità, la giustizia, l’uguaglianza, l’amore, sono leggi dell’universo, esattamente come quella naturalistica dell’attrazione e repulsione degli opposti, o come quella dello sdoppiamento automatico dell’uno, della simmetria imperfetta ecc. Nessun essere umano, che tale voglia restare, ne può fare a meno.

Se dunque vogliamo prepararci a vivere al di fuori del nostro pianeta, dobbiamo anche avere, da subito, la consapevolezza che tutto quanto contraddice queste leggi dell’universo ci fa soltanto perdere tempo. Nessuno potrà essere costretto a fare nulla contro la propria volontà. Dunque tutto quanto contraddice questo principio va decisamente superato, e già su questa Terra.

L’uomo ha bisogno di morire in pace, non solo per aiutare i sopravvissuti a proseguire sulla strada della umanizzazione dei loro rapporti, ma anche per aiutare se stesso ad affrontare adeguatamente il destino che l’attende nell’universo.

La Terra è un pianeta ove possiamo sperimentare, in anteprima, quanto poi dovremo realizzare in tutto l’universo, che è infinito, nello spazio e nel tempo, o, se si preferisce, illimitato, stando alle conoscenze di cui disponiamo. Chi ostacola questo processo, storico e naturale, va messo in condizione di non nuocere.

Musica che stimola lo stomaco e la testa: fuori i nomi

L’altro giorno leggo una recensione che attira la mia attenzione, anche perchè non conosco l’oggetto di cotanta attenzione: Jackie Leven. Ma ormai non mi fido più di chi scirve di musica per mestiere e così contatto il fido Michele B. Non sempre siamo d’accordo (vedi PJ Harvey, che io adoro, anche se ammetto che le ultime cose al pianoforte se le poteva risparmiare), ma vale sempre la pena di seguire i suoi consigli. E allora vi giro, pari pari, la sua risposta. Contiene un sacco di notizie utili e qualche dritta che voglio condividere con chi ama la Musica come me.

“Cara Caterina, avevo otto anni quando mia madre mi regalò i miei primi due dischi. Due 45: Get Back dei Beatles e Guajira dei Santana. Quasi quarant’anni dopo, il mio palato s’è fatto ancora più fine e adesso uso un semplicissimo metro per misurare la musica che mi entra in casa. C’è quella bella, quella brutta, quella irritante e fastidiosa e quella completamente inutile… almeno per le mie orecchie. Ecco, Jackie Leven l’ho sempre trovato inutile. In questi anni, sedotto da alcune recensioni, gli ho fatto il piacere di acquistargli un paio di dischi che però non hanno mai retto la prova di un mese sul mio stereo. La sua è una musica banalotta, che sembra suonata apposta per arrivare alla radio. Non mi ha mai toccato alcuna corda particolare. Neppure la sua voce. So che in UK ha un certo seguito, ma credo soprattutto per i suoi testi. Quindi se vuoi un consiglio, lascialo perdere. Non ti cambierebbe la vita.

Se invece sei alla ricerca di qualcosa che ti stimoli lo stomaco e la testa segnati questi nomi (se già non li conosci):

KAREN DALTON “It’s so hard to tell….”. Lei è morta da poco e visto che di recente l’hanno riscoperta gente come nick cave e devendra banhart hanno pensato bene di ristampare i pochi dischi che s’è lasciata dietro. Se sei fortunata di trovarlo ancora in giro ti consiglio il primo cd con il dvd in regalo. La Dalton era stata scoperta da Fred Neil e Dino Valenti e Dylan, nelle sue memorie se la ricorda così: “era la mia preferita. una cantante di blues bianca, alta terragna scheletrica e focosa. Aveva una voce come billie holiday, suonava la chitarra come jimmy reed e ci metteva l’anima”. Grande voce e grande musica davvero.

RICHARD HAWLEY (del quale ti consiglio caldamente il primo e il terzo cd) s’è scoperto cantante solo da qualche anno, dopo aver prestato la sua chitarra agli oasis, ai pulp e a gran parte dell’ultimo rock britannico. Voce particolare, ottimi arrangiamenti e belli i testi delle sue canzoni. L’hanno paragonato a roy orbison  in qualche modo gli si avvicina. Se riesci ancora ad innamorarti, questa è la tua giusta colonna sonora. Level avrebbe molto da imparare da lui.

Prima ti dicevo della musica irritante e fastidiosa che a volte mi tocca sentire. La tua pj harvey appartiene a questa schiera e guarda che a giorni esce il suo nuovo disco con JOHN PARISH che invece è uno dei miei musicisti preferiti. E di PARISH, se non ce l’hai già, ti consiglio HOW ANIMALS MOVE. Musica per palati fini e per chi ama le sonorità cinematografiche e i suoni di Howe Gelb che poi in questo cd ci suona pure dentro. Al fianco della stessa Harvey che qui canta una bellissima Airplane Blues.

STEVEN BERNSTEIN “Diaspora Soul” Bernstein presta la sua tromba al rock del giro di antony e di banhart, ma lui è soprattutto un jazzista e a volte lavora pure per hollywood. Della serie DIASPORA, composta di quattro capitoli, ti consiglio il SOUL, ottimo miscuglio di jazz, colonne sonore e musica yiddish. Lo senti una volta e te lo scarichi subito sull’ipod.

MARK HOLLIS “MARK HOLLIS” lui è il leader dei celebri talk talk. Te li ricordi? Bene, qualche anno fa s’è ritirato dalle scene, stanco della musica e di ciò che le gira attorno e nessuno sa neanche più che fine abbia fatto. ma prima di sparire ci ha lasciato questo piccolo gioiello, musica sussurrata e notturna. capace di farti sanguinare il cuore. SPLENDIDO!

DINO VALENTI “DINO VALENTE”. Valente con la E perchè dando alle stampe l’album l’ufficio stampa della casa discografica non sapeva neanche come si chiamava il loro artista. Lui è il fondatore dei quicksilver messenger service solo che non potè gustarsi il successo perchè, mentre il gruppo veniva lanciato, lui veniva arrestato per droga e finiva dentro per qualche tempo. Alla sua uscita, un vecchio contratto lo legava ancora alla sua casa discografica e così gli fecero incidere il suo unico disco solista prodotto da Bob Johnston, il fido collaboratoe di dylan. ma non asopettarti una copia di dylan. questa è musica altra. Psichedelia, ballate, jazz e chi più ne ha più ne metta. il disco ha 40 anni e sembra inciso oggi.

Questi sono alcuni dei venti cd che stazionano sul mio comodino in camera da letto. Se già non ce l’hai ti consiglio pure tool box dei calexico”

Cosa unisce l’Italia e il Quirinale dei Napolitano a quella dei Berlusconi? Nulla. Ed è il nulla sul quale siamo pericolosamente sospesi

Cosa hanno in comune Giorgio Napolitano e Berlusconi? O meglio: cosa hanno in comune l’Italia rappresentata dall’attuale presidente della Repubblica e quello che aspira a diventare il prossimo? Assolutamente nulla, a quanto pare. La transizione appare quindi un azzardo, un doppio o triplo salto mortale sul vuoto, sull’abisso, sul vasto nulla che hanno in comune queste due Italie. La prima in consunzione, la seconda in ascensione. La prima Italia sintomaticamente rappresentata da un uomo più che anziano, anagraficamente vecchio, il cui mondo è franato col franare delle illusioni legate all’Urss e dintorni, comunismo molto mal realizzato compreso. Un mondo che però prima di crollare ha contribuito a formare la democrazia e il benessere di cui godiamo ancora oggi. Di cui ha goduto e gode anche Berlusconi. La seconda Italia altrettanto significativamente rappresentata da un finto giovane come Berlusconi, 70 anni alle spalle, la prostata asportata e il medico sempre appresso. Berlusconi, avvero un furbo di tre cotte che ha fatto fortuna  comprando e usando maniglie e protezioni nel mondo e nel sottobosco dei partiti oltre che nel mondo molto poco trasparente degli amici della peggiore massoneria, tipo P2, e degli amici degli amici.
Poiché tra queste due Italie in mezzo non c’è nulla, assolutamente nulla, i casi sono solo due: o l’Italia sta correndo verso il baratro o ci sta correndo Berlusconi.
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Fare lobby. I 50 gay, lesbiche, bisessuali più potenti nella politica inglese

Chi studia la società GLBT, sa che esistono individui e organizzazioni che tutelano la propria e altrui condizione sessuale, anche attraverso il potere che possono esercitare.  Questi  individui  e organizzazioni si battono per dare a tutti la possibilità di accedere a diritti fondamentali, spesso negati, che qualunque società democratica dovrebbe far propri senza l’innesto di una battaglia civile. L’esempio che la popolazione glbt ha diritti negati, nonostante si stia parlando di un paese democratico, è l’Italia, uno Stato più confessionale che  laico ed europeo. Continua a leggere

Festa della donna e pensione a 65 anni. Con la medicina predittiva che farà vivere tutti 100 anni e in buona salute

Le nozze con i fichi secchi devono essere una specialità nostrana. Non vorrei guastare (anche) la Festa della Donna dell’8 marzo, ma c’è qualcosa che non torna nelle polemiche di questi giorni contro la (timida) idea del ministro Brunetta di elevare entro il 2018 l’età pensionabile anche delle donne a 65 anni, così come è avvenuto per gli uomini. Da notare che il provvedimento riguarderebbe le sole donne impiegate dello Stato, non quelle delle aziende private. In Inghilterra il traguardo della pensione a 65 anni anche per le donne sarà raggiunto nel 2020, cioè due anni dopo l’Italia, ma riguarderà tutte le lavoratrici, non solo quelle del settore pubblico. Il problema comunque è molto semplice. Anno più, anno meno,  le donne italiane vivono in media 84 anni, 6 più degli uomini. Il fatto che le donne vadano in pensione 5 anni prima degli uomini, cioè a 60 anni, significa che sul sistema pensionistico “pesano” 11 anni più degli uomini. Infatti i 6 anni di maggiore longevità sommati ai 5 di andata in pensione prima dei maschi dà per totale 11. Una donna vive quindi per ben 24 anni a “spese” del sistema pensionistico, vale a dire quasi il 29% dell’intera sua vita. Per carità, saremmo tutti felici se ci fossero i soldi (e il lavoro per gli uomini) sufficienti per mandarle in pensione magari anche prima dei 60 o dei 50 o dei 40 anni. Il problema è che i quattrini non ci sono più….. A furia di scialare siamo alla frutta. E con il debito pubblico che aumenta di nuovo…. Continua a leggere

Autodenunciamoci tutti come complici dell'”assassino” Beppe Englaro. Diciamo basta all’indecente ipocrisia dei cosiddetti “amici della vita”, filoclericali scatenati in realtà indifferenti perfino alle stragi di bambini provocate dal dilagare della mania del cane feroce

Dopo il calvario, l’insulto e le beffe. Beppino Englaro, il papà di Eluana, è indagato con altre 14 persone per il reato di omicidio volontario nei confronti della figlia! La sporcizia e l’ipocrisia dei benpensanti e degli “amici della vita”non ha fine, la loro prepotenza non si arrende. Al punto da tentare di trasformare in omicidio volontario quella che in realtà è stata solo la fine di un calvario durato anche troppo, 17 anni di non vita per Eluana e di dolore diventato strazio per i suoi. Naturalmente i disonesti, usi a mentire in quanto appunto disonesti e quindi convinti che mentano e siano disonesti anche gli altri, accusano il padre di Eluana di avere detto il falso riguardo la volontà espressa da sua figlia quando era viva e sana, vale a dire di poter morire in santa pace senza accanimenti neppure più terapeutici nel caso le fosse capitato di ridursi come in seguito è stata purtroppo effettivamente ridotta da un incidente d’auto il 18 gennaio del ’92. Continua a leggere

“La zolfa”: l’rriverenza di Heman Zed al potere

Perché scrivere di narrativa in questa rubrica dedicata alla musica? I motivi sono almeno tre. Primo perché lo scrittore in questione, ovvero Heman Zed (Emanuele Zanon, padovano, 42 anni), è anche batterista. Secondo perché il suo prossimo romanzo, appena consegnato alla casa editrice “Il maestrale”, titolo provvisorio “Dreams and drums, uscirà nell’estate 2010 abbinato ad un cd, una colonna sonora con hit degli anni Sessanta, gli stessi citati nella storia. Per l’occasione Heman ha ripreso in mano dopo tredici anni le bacchette (come il protagonista del libro, un batterista), affiancato dalla moglie Laura al basso, da Roberto Barani Vannucchi, ex Blumercado, alla chitarra e da Umberto Casadei, altro scrittore padovano, alla voce. In scaletta “classici garage e beat rivisitati in chiave rokkettona – mi racconta Heman – tipo “1-2-5” degli Haunted, “Goo goo muck” di Ronnie Cook, “99th floor” dei Moving Sidewalks, “As time’s gone” dei Tropics e “Making time” dei Creation”. Mi ha mandato oggi una demo e devo dire che i ragazzi (Heman ha superato i 40 ma non trovo un altro termine più azzeccato) vanno forte…. Terzo motivo, molto più semplice, è che mercoledì 4 marzo alle sei del pomeriggio Heman mi ha invitata a presentare il suo ultimo libro, “La zolfa” , alla libreria Melbookstore di Padova.

E’ il suo secondo lavoro, pubblicato di fresco. Il debutto è invece del 2007, l’avvincente “La cortina di marzapane” (e anche qui gli agganci alla musica non mancano). Sta per uscire una versione sia in audiolibro (la voce è quella di Roberto Ceccato) sia per il grande schermo. Rai Cinema ha infatti tutta l’intenzione di trasformare in un film le disavventure di Tito, innamorato pazzo di tutto quanto succede oltre la cortina di ferro, possibilmente agganciandosi quest’anno al ventesimo anniversario del crollo del muro di Berlino. In attesa del film consiglio vivamente il libro, soprattutto a chi ha vissuto da ragazzo gli anni Ottanta.

Ma torniamo al presente e a “La zolfa”, divertente e beffardo: il titolo riprende il nome di un condominio di svitati stravaganti, capitanati dal cavalier Girolamo Pistone, pronti all’insurrezione pur di non darla vinta alle ruspe e all’arrivo di un centro commerciale. Un’armata Brancaleone disposta a tutto, persino ad un colpo di Stato, pardon di paese, con l’occupazione del municipio di San Pinerlo: “I personaggi sono quelli della farsa, buffoni di corte irriverenti, quelli che infastidiscono davvero il potere, simili più a Daniele Luttazzi (vicino ai miei personaggi anche per la grevità del linguaggio) che non a Fabio Fazio. Questi poveri mentecatti riescono a ribadire il loro esistere, irridendo il potere attraverso il loro incredibile capobranco”. Ne succedono di tutti i colori, in situazioni al limite dell’inverosimile, le risate (e le ghignate) non mancano. Innumerevoli gli agganci alla realtà e ai soprusi del potere, economico e politico: “La distribuzione pubblica tra i rivoltosi dell’acqua minerale, imbottigliata a San Pinerlo dall’azienda del commendator Adeneo Gorgosasso, vuol ribadire che l’acqua è un bene di tutti, un diritto e non un bisogno com’è stato deciso nel forum mondiale del 2001”. Chiarissimo anche il rimando alla proliferazione incontrollata dei centri commerciali, al potere della televisione – nascita e morte della Repubblica comunale di San Pinerlo vengono puntualmente riprese da Telebronco - e all’ingerenza del Vaticano nella vita politica italiana: nella “Zolfa” è l’invasato cardinale di Bourguignonne, erede degli inquisitori e di Girolamo Savonarola, a cercare di mandare a casa i ribelli a colpi di scomuniche e penitenze. Invano.