I buchi neri dell’Italia

Siamo sempre più convinti che se il socialismo burocratico ha avuto al proprio interno le forze sufficienti per ripensarsi globalmente, per rimettersi completamente in discussione, il capitalismo invece è ancora ben lontano da questa prospettiva; anzi, piuttosto che ripensarsi, è incline a scatenare guerre di conquista, crociate contro nemici esterni (gli ultimi sono i terroristi islamici, come se l’aggettivo “islamico” fosse ormai sinonimo di “terrorista”), ovviamente propagandando l’esigenza di esportare in tutto il mondo la cosiddetta “democrazia occidentale”, come al tempo dei romani si esportava il corpus del diritto.

La propaganda borghese è riuscita a farci odiare non solo le aberrazioni del socialismo (com’era giusto che fosse), ma anche qualunque idea di socialismo, persino quelle più umanistiche e democratiche, al punto che oggi non riusciamo a intravedere altra soluzione alle classiche contraddizioni del capitale (lo sfruttamento dell’uomo e della natura in nome del profitto) che non sia la mera rassegnazione, quella che poi si dirama in tanti rivoli destinati solo a peggiorare la situazione, come la frode, la corruzione, l’immoralità, gli eccessi dell’individualismo… Si pensa di poter sopravvivere generalizzando i metodi che un tempo appartenevano solo a una certa categoria di persone.

Da questo punto di vista si può dire che l’Italia sia un paese privo di un’identità precisa. Ci trasciniamo da troppo tempo problematiche irrisolte, come il rapporto neocoloniale tra nord e sud all’interno del nostro stesso paese, esito di una rivoluzione tradita, i cui obiettivi: unificazione nazionale, mercato unico, Stato centralista, hanno portato beneficio solo alle classi proprietarie, non certo a quella agricola o a quella operaia.

Se l’Europa di oggi, che è giovane rispetto alle nazioni che continuano ad opporle i privilegi acquisiti in secoli di dura lotta per l’egemonia, è destinata a ripercorrere, su scala più grande, il medesimo cammino delle nazioni, la prospettiva diventa inevitabilmente quella di vedere acuirsi le contraddizioni a livelli sempre più elevati e quindi quella di veder spostarsi verso un futuro molto incerto il compito delle loro soluzioni.

In Italia i nodi rimasti irrisolti sono ancora molti e, non essendo mai stata spezzata la linea di continuità tra liberalismo – fascismo – democrazia cristiana – polo delle libertà, si è di fatto impedito di far luce sui tanti misteri che circondano le azioni delittuose degli apparati dello Stato, partendo anzitutto dai suoi servizi segreti.

La stessa presenza anomala di uno Stato nello Stato, quello del Vaticano, sancita dalla Costituzione e ribadita dall’ultima revisione concordataria, ci tiene costantemente legati ai retaggi del fascismo.

Continua a prevalere nettamente nel nostro paese l’idea che sia meglio uno Stato centralista di uno federalista; parole come decentramento, autonomia regionale, autogoverno degli enti locali territoriali o vengono usate in maniera retorica, per dimostrare che sotto il capitalismo si può essere più democratici e più efficienti, o addirittura si temono, poiché si preferisce continuare a dirigere la cosa pubblica dall’alto e ad “assistere” chi sta in basso, oppure vengono usate come uno strumento per permettere al capitale d’essere più aggressivo e dispotico. Nessuno associa federalismo a socialismo.

Gli storici italiani non sono mai stati capaci di produrre un senso o una mentalità comune sull’interpretazione da dare all’Italia repubblicana. La sudditanza ai valori occidentali dell’americanismo (consumismo ad oltranza, anticomunismo viscerale ecc.) ha impedito di delineare una visione critica del dopoguerra.

Noi oggi non siamo neppure capaci di fare dei discorsi ecologisti o ambientalisti correlati a quelli economici per una transizione verso il socialismo democratico. Pretendere di migliorare i rapporti uomo-natura in un contesto in cui i rapporti interumani sono caratterizzati dallo sfruttamento più vergognoso, è semplicemente utopistico.

Con la svolta della perestrojka gorbacioviana si era per un momento creduto possibile realizzare il socialismo dal volto umano sulle rovine di quello statale, ma oggi la disillusione è grande. Abituati per 70 anni a obbedire, i popoli est-europei hanno atteso dall’alto, ancora una volta, la realizzazione della nuova sociètà, e invece è arrivato lo smantellamento di qualunque idea di socialismo, a tutto vantaggio del sistema economico oggi prevalente nel mondo.

Sicuramente è aumentata la secolarizzazione e la laicizzazione nella società civile e anche nelle istituzioni, ma laicizzazione di per sé non vuol dire umanizzazione. Se la laicizzazione s’identifica col materialismo volgare della società borghese, basata su profitto e consumismo, è facile ch’essa degeneri in disumanizzazione, e non a caso è su queste incoerenze che la religione trova linfa vitale per tornare alla ribalta.

L’esplosione di Internet degli anni Novanta, che ha fatto seguito a quella informatica degli anni Ottanta, ha catapultato nel protagonismo anarchico, spontaneistico, moltissime persone non legate a partiti, sindacati, movimenti della vita reale, e ha aiutato queste stesse realtà ad ampliare i consensi e le iniziative.

Ma Internet è una realtà relativamente fragile, che sta peraltro diventando sempre più costosa, la cui evoluta tecnologia può essere bersagliata da attacchi virulenti di molestatori che possono inibire o scoraggiare l’uso costante o progressivo della rete, anche perché, per potersi difendere dai loro attacchi, occorrono non poche competenze, che l’utente finale, spesso unico vero difensore di se stesso, non sempre è in grado di avere.

Sicuramente oggi si può affermare che il sociale sia, nella sensibilità delle gente, considerato più importante del politico; i movimenti, l’associazionismo, il no profit vengono considerati più coinvolgenti dei partiti e persino dei sindacati. Ma nonostante questo il loro peso istituzionale è alquanto risicato. Essi non hanno alcuna rappresentanza parlamentare che non sia mediata dagli stessi partiti, i quali, inevitabilmente, tendono a strumentalizzare ogni cosa per esigenze di puro potere. E questo significa che l’associazionismo deve materialmente contare solo sulle proprie forze.

La caduta delle ideologie può aver indotto una certa disillusione riguardo all’impegno politico. Oggi abbiamo una generazione molto informatizzata o tecnologizzata, ma praticamente analfabeta sul piano politico e con scarse cognizioni culturali. Tuttavia è un bene che oggi il concetto di “alternativa al sistema”, quando viene propagandato, si caratterizzi anche sul piano etico e non solo su quello politico. Non basta la piattaforma programmatica per dimostrare la propria diversità, occorre anche mostrare, da subito, che si è capaci di “umanità”, cioè di mettere in pratica i “valori umani” (quei valori p.es. che nessun partito politico seppe dimostrare in occasione del delitto Moro).

L’Italia non ha mai fatto i conti col suo passato. Siamo ancora troppo pieni di buchi neri. Non vogliamo affrontare i tradimenti degli ideali borghesi di democrazia e di libertà d’iniziativa per tutti semplicemente perché ciò c’indurrebbe a riprendere temi scomodi, quali appunto il socialismo, la cooperazione, il decentramento ecc. Il capitalismo non può sopportare le alternative che lo negano. E così oggi l’Italia si trova ad affrontare non un dibattito approfondito su quale tipologia di socialismo occorra adottare, ma una vexata quaestio circa la presunta superiorità del capitalismo su ogni altro sistema produttivo.

Discutiamo ancora di cose che Marx considerava superate 150 anni fa. Il capitalismo non ha futuro e non è il crollo del comunismo da caserma che può mettere in discussione questa realtà, già abbondantemente dimostrata dai classici del marxismo. Se partissimo dall’esigenza di trovare un’alternativa praticabile, smetteremmo di dire che non abbiamo un’identità nazionale, che gli storici peraltro, succubi come sono dell’anticomunismo imperante, non sono mai stati capaci di promuovere.

Noi ci sentiamo troppo debitori nei confronti degli Usa, non riusciamo a scrollarci di dosso miti come l’aiuto bellico contro i nazisti (risoltosi in un’occupazione dell’Italia per mezzo delle basi Nato), il generoso piano Marshall (che ci legò le mani economiche a quella che era diventata la potenza più forte del mondo), la superiorità tecnologica degli Stati Uniti (utilizzata prevalentemente per fini bellici) ecc. Tutti miti che andrebbero storicamente smontati.

Bob Dylan, benvenuti verso l’infinito e oltre

Poche parole, subito, anche se non è serio scrivere di un disco quando non lo si è ascoltato bene. Io “Tell tale signs”  di Bob Dylan non l’ho addirittura ascoltato tutto, sono alla traccia 8 del primo dei due cd. Ma è talmente… potente che non posso fare altrimenti. E’ la raccolta delle “Bootleg series” numero 8, ma niente rarità d’annata, roba vecchia. Solo (solo?!?) canzoni che vanno dal 1989 a un paio d’anni fa, mai uscite nei dischi di quel periodo oppure rivisitate dallo stesso Dylan più una manciata di registrazioni live. E basta sentire la prima, “Mississippi”, che non ha trovato posto in “Time out of mind” perché ti si allarghi il cuore e le altre intanto non ti deludono. Perché ancora una volta riscopri che Dylan resta inimitabile, anche come cantante. Che voce… Io l’ho amato molto da ragazzina, la mia formazione emotiva e sentimentale è nata e cresciuta con lui. Poi l’ho perso per strada, quelle menate con Gesù e compagni non le ho più sentite così mie. Ma ogni volta che ricasco nel suo gorgo mi lascio voluttuosamente catturare, appagata. Se ancora non l’avete fatto, lasciate stare la rete, niente mp3 stavolta. Per la qualità del suono e per quel libro di ben 62 pagine ricche di storie, segreti, curiosità, più un’esauriente sfilza di credits canzone per canzone e tante fotografie. Staccate i telefoni, fuori tutti, ed entrate nell’altro mondo. E’ il più bel regalo che potete farvi. A me è toccata la fortuna di riceverlo, inaspettato e folgorante come un fulmine a squarciare la nebbiolina padana: vale più di un mazzo di 100 rose rosse. E Dio solo sa quanto mi piacciono i fiori….