Per una filosofia della storia (I)

Perché la rivoluzione borghese in Europa occidentale?

Uno dei grandi problemi che la scienza storica deve ancora spiegare, in maniera esauriente, è il motivo per cui i rapporti borghesi e il modo di produzione capitalistico si sono sviluppati non nella ricca e avanzata civiltà bizantina (rimasta tale almeno sino alle crociate e all’invasione turca), ma nell’Europa occidentale, che dalla caduta dell’impero romano fino al mille conobbe una notevole arretratezza economica e tecnologica. Questione che, sul piano più generale, non contestuale, si potrebbe anche porre nei termini seguenti: come mai, a parità di condizioni economiche, in una società si forma la produzione borghese-capitalistica e in un’altra no? Cos’è che impedisce agli uomini di compiere questa transizione sociale? Cos’è invece che la promuove?

Una risposta – ancora tutta da verificare – potrebbe essere questa: in Occidente esistevano, a livello sovrastrutturale, condizioni più favorevoli all’affermarsi della società e della mentalità borghese. Il che sta a significare che la questione andrebbe affrontata in maniera da considerare le determinazioni ideologiche della coscienza sociale come relativamente prioritarie rispetto a quelle strutturali dell’economia. D’altra parte è noto che l’economia non può determinare, tout-court, la coscienza sociale, altrimenti non vi sarebbe alcun progresso storico, né si potrebbe mai realizzare il socialismo. Il marxismo parla di “influenza reciproca”, di “condizionamento interdipendente” e considera determinante la struttura solo “in ultima istanza”. Qui dobbiamo considerare il fatto che quando la coscienza sociale delle contraddizioni di un sistema, è ben radicata nel contesto della società, essa tende a trasformarsi in una forza strutturale non meno tenace della forza dell’economia.

Gli antecedenti culturali della borghesia

La rivoluzione borghese – questa potrebbe essere la tesi – è avvenuta nell’Occidente europeo perché qui la chiesa cattolica aveva spezzato i vincoli che la legavano alla chiesa ortodossa, dando il via alla concezione laicista e individualista dell’esistenza (in forma embrionale e inconscia). Detto altrimenti: la religione cattolico-romana, pur essendo fondamentalmente una confessione “medievale”, ha (quasi) sempre avuto in sé (prima ancora della svolta costantiniana) degli elementi (tuttora da ricercare) che potevano essere svolti in direzione della mentalità borghese. In questo senso bisognerebbe ripercorrere almeno l’itinerario che va da Agostino d’Ippona a Tommaso d’Aquino.

Tale religione, in sostanza, avrebbe contribuito – naturalmente senza volerlo – alla formazione dello spirito borghese, che poi è quello che permette a una determinata economia di assumere una direzione ben specifica. In seguito, cioè a conclusione dell’epoca medievale, il protestantesimo si assunse il compito di laicizzare ulteriormente il cattolicesimo, preparando il terreno culturale per lo sviluppo coerente e conseguente della prassi borghese.

Fino ad oggi la storiografia, sul piano sovrastrutturale, ha studiato, fra l’altro, gli elementi borghesi del protestantesimo, sia secondo la teoria marxista del “riflesso”, per cui il protestantesimo non ha fatto altro che legittimare i rapporti economici capitalistici; sia secondo la teoria sociologica di Weber, per il quale il capitalismo è piuttosto un prodotto del protestantesimo (o per lo meno quest’ultimo sarebbe stato la forza propulsiva che avrebbe contribuito in maniera decisiva, sul piano ideologico, alla formazione del capitalismo). Ancora però la storiografia non ha studiato in che modo il cattolicesimo (dei primi 1500 anni della nostra era) poteva condurre (indirettamente) alla mentalità borghese e quindi al protestantesimo. Il quale, se vogliamo, non è stato soltanto una reazione al cattolicesimo, ma anche uno svolgimento necessario della stessa mentalità borghese, che da tempo lo precedeva (come minimo dal Mille).