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Fare attenzione a cosa ha detto e a cosa ha omesso di dire Trump, che NON è vero che vuole combattere l’ISIS

Nel suo discorso di insediamento come 45esimo presidente degli Stati Uniti il neo eletto Donald Trump ha detto alcune cose che vale la pena rilevare in modo particolare.
1) – “La Bibbia ci dice quanto è bello quando le persone vivono in armonia. Noi dobbiamo aprire le menti e agire in armonia e solidarietà. Così l’America è inarrestabile. Non c’è paura, saremo sempre protetti dalle forze dell’ordine di questo Paese. E, più importante, da Dio”.
Che vivere in armonia e solidarietà sia una bella cosa, oltretutto socialmente utile, è provato non solo storicamente, ma anche dalla pratica quotidiana di ognuno. Non dirlo non c’è quindi  bisogno di ricorrere alla bibbia, se non altro perché i  riferimenti alla bibbia e alla protezione o al favore accordato da Dio a un popolo o a una nazione “inarrestabile” è purtroppo inevitabile che facciano venire in mente echi di esperienze disastrose, comprese quelle della seconda guerra mondiale scatenata sulla base del  “Gott mit uns!”, che significa appunto “Dio  con noi!”. Ma anche a prescindere da tale inopportuna eco, è un dato storicamente accertato che chi molto contava sulla protezione di Dio  ha in realtà pagato costi pesanti, dagli ebrei ai cristiani delle crociate e agli iraniani nell’insensata guerra contro l’Iraq.
A parte queste pedanti osservazioni, fatte però libri di Storia alla mano, il riferimento a Dio è oggi particolarmente inopportuno per il semplice motivo che a Dio si riferiscono e in nome di Dio sono convinti di agire, tra gli altri nemici degli Usa e dell’Occidente in genere, proprio gli invasati e fanatici di quell’Isis e affini che lo stesso Trump ha già detto che deve sparire dalla faccia del pianeta Terra ( https://video.repubblica.it/mondo/usa-discorso-di-trump-alla-cia-dobbiamo-sbarazzarci-dell-isis/265776/266154 ). E sorvoliamo sul fatto che per far sparire l’Isis basterebbe che gli Usa, e parte dell’Europa, chiedessero con forza e convinzione all’Arabia Saudita di smettere di finanziarla. E di continuare a fare il bis di quanto già fatto a suo tempo con  Osama Bin Laden e i suoi talebani, i fanatici di Allah diventati praticamente i nonni dell’Isis, finanziati dalla stessa Arabia Saudita d’amore e d’accordo proprio con gli Usa, che li hanno addestrati e armati   per liberare dall’invasore sovietico l’Afganistan.  Liberato il quale, i talebani e affini ci hanno preso gusto, si sono messi in proprio partorendo Al Qaeda e decidendo, tra l’altro, di buttar giù le Twin Towers di New York.
Insomma, per un presidente Usa citare Dio e la bibbia nel discorso d’insediamento è oggi piuttosto inopportuno oltre che pleonastico, infatti nel suo Paese sul dollaro c’è già scritto da sempre “In God we trust”, vale a dire “Noi confidiamo in Dio”, e nei tribunali i testimoni  giurano proprio sulla  bibbia di dire “la verità, solo la verità, tutta la verità”-
Insediarsi alla Casa Bianca insistendo su certe affermazioni potrebbe infatti acuire il rischio che il già di per sé insensato “scontro di civiltà” venga condito con la salsa di un ancor più insensato scontro di religioni. Anche se, particolare grottesco, si tratta di religioni basate tutte sulla stessa bibbia, libro sacro infatti anche per l’islam, e quindi sullo stesso Dio, quale che sia il nome che ne viene dato nelle varie lingue dei suoi credenti.
2) – “Stiamo ridonando il potere al popolo” (  http://www.repubblica.it/esteri/2017/01/20/news/inauguration_day_e_il_giorno_di_trump_manifestazioni_e_proteste_a_washington_e_new_tork-156445231/  ) e “Il potere da Washington torna nelle mani del popolo americano” (  http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/Donald-Trump-ha-giurato-45mo-presidente-Stati-Uniti-46657314-16a1-4ce1-a9e4-2ac1084a9259.html ).
Curiosa questa suggestiva immagine retorica, peraltro abusata in tutti i tempi e sotto tutti i cieli: infatti, sia pure in versione patinata, conferisce al molto multimiliardario neo presidente Trump un  sapore se non vagamente comunista almeno un po’ giacobino.  Straricco talmente generoso benefattore da permettersi una donazione speciale: “donare” al popolo il potere appena conquistato come inquilino della Casa Bianca. Dove però ci va lui, così come a Washington nella più spaziosa Capitol Hill ci va  anche questa volta non “il popolo”, ma la sua rappresentanza politica. As usual.
3) – “Quello che importa non è quale partito controlli il governo, ma se il popolo controlli il governo. Da oggi sarete di nuovo i veri legislatori. Non sarete più dimenticati. Decine di milioni di persone vogliono far parte di un movimento storico, che il mondo non aveva mai visto. Nella convinzione che una nazione esiste per servire i suoi cittadini: nel lavoro, nella scuola. Cose ragionevoli. Ma troppi dei nostri cittadini vivono intrappolati nella povertà, imprese che chiudono, l’istruzione che viene meno. E anche i crimini, le droghe che mietono vittime e ci tolgono tanto potenziale. Tutto questo finisce adesso, in questo momento”.
Parole, queste, condivisibili da qualunque persona dotata di buon senso, anche se – confessiamolo! – deja vu in varie epoche e parti del mondo. Trump non si spinge a echeggiare il Discorso della Montagna promettendo che “gli ultimi saranno i primi”, ma almeno ha promesso che gli ultimi non saranno più gli ultimi. Non ha moltiplicato i pani e i pesci né trasformato l’acqua in vino, però ha promesso che ce ne  saranno per tutti.
Tutto bene dunque? A parole sì. Il problema però è l’ultima frase: “Tutto questo finisce adesso, in questo momento”.
E’ infatti più facile moltiplicare i pani e i pesci per un piccolo pubblico e trasformare l’acqua in vino per un po’ di invitati che negli Usa finiscano “adesso, in questo momento” le disparità, le ingiustizie, la povertà, i crimini, le droghe e magari pure gli homeless, come se Trump avesse davvero la bacchetta magica o venga fulmineamente esaudito nei suoi desideri dal genio della lampada di Aladino. Nella migliore delle ipotesi ci vorranno anni, molti anni, e dei programmi giganteschi:  dei quali, però, a parte le chiacchiere non si vede neppure l’ombra.
Si intravvede invece l’ombra di nuove guerre laddove Trump nella sua sorprendente visita lampo alla Cia a proposito di lotta all’Isis ha dichiarato che finora
“non abbiamo usato tutta la nostra potenza. Ci siamo contenuti” ( https://video.repubblica.it/mondo/usa-discorso-di-trump-alla-cia-dobbiamo-sbarazzarci-dell-isis/265776/266154 ).
E’ inevitabile che se gli Usa smettono di “contenersi” si va o a uno scontro militare diretto contro altri big come la Russia e la Cina oppure alla frantumazione definitiva non solo della Siria, con annesso intervento diretto Usa e creazione di nuove basi militari USA all’estero,  esattamente come è avvenuto con l’Afganistan e l’Iraq, piaghe tuttora aperte. Il che però comporta l’esatto opposto di tutte le belle promesse fatte dal molto pettinato Trump nel suo bel discorso di insediamento.

Come nel primo, anche nel nuovo discorso e nei primi provvedimenti concreti presi dal neo inquilino della Casa Bianca Donald Trump ci sono cose che meritano un rilievo maggiore di quello dato dai vari commenti di esperti e politici.
1) – E’ vero che Trump ha firmato un traumatico stop all’ingresso negli Usa di cittadini di 7 Paesi musulmani, la nuova lista nera della Casa Bianca, ma è anche vero che il divieto prevede, almeno per ora, durata breve: 4 mesi. Alla fine dei quali potrebbe anche sparire o assottigliarsi man mano, dimostrandosi così solo un’apparente mantener fede agli impegni elettorali da Sparafucile presi per farsi votare dalla parte più viscerale degli elettori.
2) – La lista nera dei 7 “esportatori di terroristi” non comprende Arabia Saudita, Bahrein, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Oman e Qatar. Non comprende cioè i Paesi che notoriamente hanno finanziato Bin Laden e i talebani e ora finanziano l’ISIS come l’Arabia Saudita e il Qatar. O che hanno sostenuto e sostengono Al Qaeda  come il Kuwait o mestano nel torbido come  gli altri Stati islamici wahabiti del Golfo che finanziano anch’essi milizie e fanatici vari  per alimentare la Fitna. Per alimentare cioè l’eterna guerra civile tra islamici sunniti e islamici sciiti che oggi fa da supporto e pesce pilota alle sanguinose ribellioni in Libia, Siria, Sudan, Turchia…
Trump ha giustificato il suo ordine ricordando che “la politica del dipartimento di Stato impedì ai funzionari consolari di esaminare adeguatamente le richieste di visto di alcuni dei 19 stranieri che l’11 settembre 2001 abbatterono le Twin Towers di New York uccidendo così circa 3000 americani”.
Però ha omesso di ricordare che gli autori degli attentati provenivano, guarda caso, dall’Arabia Saudita, dagli Emirati Arabi Uniti, dall’Egitto e anche dal Libano: tutti Stati che Trump ha lasciato fuori dalla lista nera e nei quali possiede beni materiali di tutto rispetto.
Nella lista nera islamica manca anche la Turchia, nonostante il terrorismo che la tormenta e i rapporti pessimi con gli Usa pur essendo entrambi nella Nato. Forse i due grattacieli turchi di cui è padrone Trump gli hanno provocato l’amnesia in questione?
3) – Stando così le cose, che credibilità e che significato possono avere lo sbracciarsi di Trump nei confronti di Vladimir Putin in quello che viene definito il loro idillio – presentato come spodestamento del muso duro di Obama – e il suo dichiarare che i nuovi rapporti con la Russia
“saranno da pari a pari e avranno come primo obiettivo combattere l’Isis”?
Chiacchiere e cosmesi a parte, tutto ciò può significare solo una cosa: più che accordarsi per combattere l’Isis – per farla completamente basterebbe che gli Usa, e l’Inghilterra, imponessero ai sauditi e agli altri regni wahabiti di smetterla di finanziarla –  Trump e Putin si accorderanno per spartirsi le spoglie della Siria. Fallita la strategia di Obama di Usare la ribellione contro Bashar al-Assad per poter cacciare i russi dall’unico porto militare che conservano nel Mediterraneo, quello concesso loro dai siriani a Tartus, è probabile che Trump punti a piazzare basi militari Usa anche in Siria: esattamente come già fatto in Iraq e, in modo più silenzioso, nei Paesi ex sovietici a nord dell’Iran oltre che con i potenti radar piazzati in Polonia e cooptando nella Nato vari  Stati nati dalla disgregazione dell’Urss (Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria, Bulgaria e Romania, con Georgia e Ucraina in scalpitante attesa).    Secondo il Base Structure Report, pubblicato nel 2009 dal  Dipartimento della Difesa Usa il Pentagono,  possiede 716 basi e altre installazioni militari all’estero distribuite in 38 Paesi, ma è probabile che in realtà siano più di mille. Sono un migliaio solo le basi prese in affitto all’estero, specie in piccole isole.
Nota di colore, ma non solo: il Pentagono possiede ufficialmente 539mila edifici e altre strutture distribuite in 5579 siti militari cosa che lo rende il più grande proprietario immobiliare del mondo.  Le  basi, tra quelle in patria e quelle all’estero, coprirebbero una superficie totale di 2.202.735 ettari, sufficienti a fare del Pentagono anche uno dei più grandi proprietari terrieri del pianeta.fare
Eppure tutto ciò evidentemente non  basta. Perché? A questa domanda risponde il prossimo punto.
4) – Trump ci ha tenuto a chiarire fin da ora che intende “iniziare una grande ricostruzione delle forze armate americane, per sviluppare un piano per nuovi aerei, nuove navi, nuove risorse e strumenti per i nostri uomini e le nostre donne in uniforme”. Per infine concludere con un’affermazione non proprio modesta o di basso profilo: “Il nostro futuro è quello di essere la guida del mondo”.
Fantascienza? Può darsi. Però in linea con quanto scritto da Anders Stephanson nel suo libro emblematico fin dal titolo: “Destino manifesto. L’espansionismo americano e l’Impero del Bene”. L’editore Feltrinelli lo presenta così: “La fede di essere destinati a una missione redentrice universale ha animato l’immaginario degli Stati Uniti e la storia dei suoi rapporti con il resto del mondo. Stephanson ripercorre le vicende di questa idea a partire dai primi insediamenti inglesi nel Nord America attraverso le fasi dell’espansionismo territoriale sino agli anni della Guerra fredda e della presidenza Reagan e al dopo 11 settembre. Il richiamo a questa missione redentrice si è sempre accompagnato a fasi espansionistiche, in un intreccio di religiosità e razionalismo liberale, di richiamo alla salvaguardia dei valori di democrazia e libertà e di difesa degli interessi nazionali. Una sintesi storica delle ragioni e della matrice ideologico-culturale dell’espansionismo americano”.
Tutto ciò può essere d’aiuto per spiegare in modo abbastanza credibile cosa si cela in realtà dietro i sorrisoni e gli idilli di Trump.

Le festività sono passate, i problemi invece sono rimasti. Comprese le porcate contro la Siria

Federal Reserve: la crisi dei cent’anni

Mario Lettieri* Paolo Raimondi**

Allla vigilia di questo Natale la Federal Reserve ha compito cento anni! Ha “navigato” attraverso due guerre mondiali e nella Grande Depressione del ’29. Arriva però al suo centenario in condizioni disastrate e con una profonda crisi di identità. Per la prima volta nella storia ha completamente stravolto la sua missione: da controllore dell’inflazione e attore nella politica contro la disoccupazione è diventata la fucina di liquidità illimitata con un bilancio distorto fuori misura, pari a circa un quarto del Pil americano. Prima del 2007 non solo ha ignorato tutte le avvisaglie del crollo finanziario incombente ma, quel che è più grave, ha assecondato, se non favorito, i comportamenti più speculativi e rischiosi. Poi ha salvato dal fallimento tutte le grandi banche, lasciando di fatto che continuassero ad operare come prima. La liquidità immessa sta drogando l’economia creando visioni psichedeliche quanto irreali dell’economia prospettando una rosea fine della crisi economica e bancaria. Continua a leggere

La Siria deve cambiare per far largo al gas del Qatar e agli interessi del suo padrone, il fanatico wahabita sceicco Al-Thani già decisivo nella “rivoluzione” libica

Che succede in Siria? Perché la Turchia ha reagito a un non chiaro incidente di frontiera prima con bombardamenti rappresaglia e di recente anche proibendo il sorvolo del proprio territorio a tutti gli aerei siriani, compresi quelli dei voli di linea? E perché l’emiro del Qatar, Al Thani, dal pulpito della 66esima sessione plenaria dell’Onu ha invocato un intervento armato almeno panarabo contro la Siria di Assad? Domande che a quanto pare  hanno una ben precisa risposta: il Qatar vuole esportare il suo gas servendosi dei gasdotti turchi e il governo di Ankara è d’accordo e mira a che l’accordo diventi realtà. Ma andiamo per ordine.

Nei giorni scorsi il quotidiano tedesco Die Welt ha citato un rapporto dettagliato del Bundesnachrichtendienst (BDN), cioè dei servizi segreti tedeschi, il quale rivela che il  95% dei “ribelli” siriani, stimati in poco meno di  15.000 uomini,  è in realtà di origine straniera. Quelli siriani sono appena il 5%.  Ma la percentuale è destinata a calare ancora perché sarebbero in arrivo altri 5.000 mercenari stranieri, compresi uomini di Al Qaeda,  sulla base di accordi tra Paesi occidentali e Arabia Saudita.

Guarda caso, si sta verificando quanto previsto e consigliato al presidente Obama dal think tankSaban Center for Middle East Policy, emanazione della Brookings Institution, che ha sede a Washington. Come abbiamo già fatto rilevare il 27 agosto, il Saban Center è composto da personaggi molto bene inseriti nelle istituzioni politico militari Usa,  compresa la Casa Bianca e la Cia, e per la Siria suggerisce a Obama .  la propria “Valutazione delle opzioni di un cambio di regime”. Opzioni che raccomandano la creazione di zone franche e di corridoi “umanitari”. Lo studio del Saban Center afferma: “E’ possibile che una vasta coalizione con un mandato internazionale possa aggiungere ulteriori azioni coercitive ai suoi sforzi”.  Ecco spiegato perché lo sceicco Al Thani all’Onu ha invocato l’intervento armato multinazionale. Continua a leggere

I trucchi e le manovre degli “esportatori di democrazia” Netanyahu e Al Thani per avere ai piedi l’intero Medio Oriente. Intanto però comincia ad attecchire anche tra israeliani e filo israeliani l’idea di Israele Stato anche dei palestinesi

La 66esima sessione dell’Onu ha visto Netanyahu fare una figura ridicola, da piazzista imbonitore. Dopo 20 anni che si suona l’allarme sulle “bombe atomiche iraniane”, instillando spesso il sospetto che ne abbiano già o le stiano producendo, il piazzista imbonitore Netanyahu, che oltretutto veste come un impiegato del catasto al dì di festa e indossa cravatte di banale mancanza di gusto, il suo allarme lo ha lanciato dicendo che “l’Iran ha terminato la prima fase, entro l’estate 2013 concluderà la seconda e da quel momento in poche settimane consentirà di arrivare all’uranio ad alto potenziale necessario a realizzare un ordigno”. E’ la ripetizione caricaturale della menzogna che Bush figlio ordinò al generale Colin Powell, suo Segretario di Stato,  di raccontare all’Onu per ingannare il mondo intero brandendo una bustina che disse piena dei terribili batteri antrace e cianciando di armi di distruzione di massa accumulate dall’Iraq. Powell però il suo show lo mise in piedi su ordine del suo superiore piazzato alla Casa Bianca, Netanyahu invece lo ha messo in scena di propria volontà, convinto forse che a ordinarglielo sia il suo superiore piazzato nell’alto dei cieli…
Come si vede, nonostante l’ormai ventennale starnazzare “Al lupo! Al lupo!” siamo sempre solo nell’anticamera dell’anticamera del pericolo…. Il piazzista imbonitore di Tel Aviv ha in pratica rimandato all’anno prossimo il molto strombazzato attacco all’Iran, puntando – o sperando – che a scendere in campo affianco all’esercito di Tel Aviv siano soprattutto l’esercito Usa con il contorno della Nato. Come una caricatura del Grande Dittatore di Charlie Chaplin, Netanyahu&C sognano un mondo al loro guinzaglio. Megalomania sorprendente. Oltre che molto pericolosa.
Stessa speranza, o pretesa, pare ce l’abbia l’emiro del Qatar, Hamad bin Khalifa Al Thani, monarca assoluto del suo piccolo regno ma straricco di petrolio. Dopo avere avuto il ruolo principale nell'”esportazione della democrazia” in Libia, l’emiro ha tentato il bis in Siria fomentando da mesi, assieme agli Usa, l’Inghilterra e Israele, la rivolta in Siria. Rivolta che vede impegnati non tanto cittadini siriani quanto contingenti di militari e istruttori militari, soprattutto del Qatar, fatti affluire dall’estero, riforniti di armi Usa e affiancati da mercenari strapagati. Dopo mesi di massacri da ambo le parti e di notizie fasulle per spingere l’Occidente a indignarsi e intervenire quindi in armi, l’emiro ha dichiarato a un giornale del Kuwait che “è ora di prendere atto dell’impossibilità di rovesciare il regime siriano”. Motivo per cui Al Thani ritira le sue truppe  e i suoi mercenari dalla Siria e punta sull’intervento degli eserciti dei Paesi del Golfo in blocco più l’Arabia Saudita, sperando inoltre che si muova anche la Nato. E per “spingere” meglio usa la sua formidabile emittente televisiva Al Jazeera per veicolare versioni di comodo e verità pilotate. Continua a leggere

Dopo le balle sull’Iraq per poterlo invadere, le balle e le provocazioni all’Iran colpevole di esistere

Gridare che l’Iran “provoca gli Usa” o addirittura “sfida l’Occidente” solo perché conduce manovre navali davanti alle proprie coste e testa un paio di missili da appena 200 chilometri di gittata, non è molto onesto. Appare anzi piuttosto grottesco.  Le carte geografiche indicano chiaramente che il mare dove l’Iran sta conducendo esercitazioni navali si chiama “Golfo Persico”, come peraltro scrivono tutti i giornali,  che è come dire Golfo Iraniano. Infatti, la parte di mondo che una volta si chiamava Persia oggi si chiama Iran, ha cambiato nome né più e né meno come altri Stati. Per esempio, l’isola che chiamavamo Ceylon oggi preferisce chiamarsi Sry Lanka così come l’isola di Formosa è diventata Taiwan. Insomma, gridare contro queste manovre navali iraniane nelle acque “persiche” sarebbe un po’ come stracciarsi le vesti se l’Italia facesse esercitazioni navali nell’Adriatico. C’è semmai da trovare inopportuno che siano gli Stati Uniti ad avere mandato fin laggiù, in acque lontane molte migliaia di chilometri dalle coste americane, una potente flotta militare, dotata come al solito anche di bombe atomiche e comprendente una o più portaerei. In acque che per giunta, ripeto, si chiamano Golfo Persico e NON Golfo Statunitense o Baia di Hudson. Continua a leggere

Ballando sull’orlo della fine dell’Europa: “Venghino, siòri, venghino: dopo le panzane sulle atomiche di Saddam ora vi rifiliamo le panzane sulle atomiche di Gheddafi e di Ahmadinejad”. Così Israele, forse in interessata compagnia di Londra, può realizzare il vecchio sogno di bombardare l’Iran, uno dei due motivi per il quale è stato eletto Netanyahu (l’altro è impedire a tutti i costi che nasca lo Stato palestinese)

E’ difficile da credere, ma ormai viene dato per certo che con la classica scusa della “produzione di bombe atomiche”, sperimentata con successo dagli USA per invadere l’Iraq, Israele attaccherà quanto prima l’Iran, con l’appoggio degli inglesi, per mettere anche la Casa Bianca di fronte al fatto compiuto. Il presidente Obama infatti, per timore di perdere voti, è contrario a una tale azione militare prima della sua rielezione, ma alcuni collaboratori lo esortano invece ad autorizzarla e appoggiarla perché ricompatterebbe l’elettorato riportandolo di sicuro alla Casa Bianca e scongiurando la temuta candidatura di Hilary Clinton, sempre più popolare nell’elettorato non solo del Partito Democratico. E’ dal 2006 che l’attacco militare all’Iran da parte degli Usa e di Israele viene dato per imminente e certo, senza però che sia poi stato sferrato. Ecco per esempio cosa dichiarava nel 2006, poco dopo la terza invasione israeliana del Libano, Seymour Hersh, il famoso giornalista americano che ebbe il coraggio di denunciare il massacro di tutti gli abitanti di My Lai compiuta dai marine in Vietnam e che per primo ha denunciato le torture americane nel carcere iracheno di Abu Ghraib:

L’amministrazione Bush era molto direttamente impegnata nel pianificare la guerra libanese-israeliana. Il presidente Bush ed il vice presidente Cheney erano convinti che il successo della campagna militare israeliana in Libano avrebbe non soltanto raggiunto gli obiettivi desiderati da Tel Aviv, ma sarebbe anche servito come preludio ad un possibile attacco contro le strutture nucleari iraniane”.

La scusa è anche oggi quella del “pericolo atomico” iraniano. Nella vulgata corrente infatti l’Iran sarebbe così idiota e suicida da produrre atomiche per affrettarsi a lanciarne già la prima su Israele, nonostante Israele di atomiche ne possieda circa 400 e possa quindi cancellare non solo l’Iran dalla faccia della terra. Senza contare che la signora Clinton ha dichiarato senza arrossire di vergogna che “prima di finire di schierare per il lancio il suo primo missile nucleare l’Iran sarebbe riportato all’epoca delle caverne”, con un olocausto fulmineo di oltre  80 milioni di esseri umani, più o meno quanti ne ha  l’Italia intera. Embé c’è olocausto e olocausto. Quello sulla pelle di 70-80 milioni di iraniani evidentemente per la signora Hilary&C è buono, nonostante sia ben 12-14 volte quello che purtroppo c’è stato davvero per mano dei nazisti. Continua a leggere

Il non democratico Qatar, proprietà privata di uno sceicco immensamente ricco, dichiara ufficialmente che la “rivoluzione” libica è stata una rivolta preparata, alimentata e guidata sul terreno soprattutto dalle sue forze armate, supportate dai falsi di Al Jazeer e Al Arabija. E don Piero Gheddo chiede: “Siamo sicuri che Gheddafi sia il diavolo?”

Come volevasi dimostrare. Ovvero: ora si spiegano alla perfezione, tra l’altro, i falsi scoop libici propalati in tutto il pianeta dalle televisioni Al Arabija e Al Jazeera. Il Qatar  ha messo le mani avanti sul futuro della Libia rivendicando un ruolo più importante, e magari qualche ottima concessione petrolifera. Il perché di tali rivendicazioni lo ha reso pubblico il suo capo di stato maggiore delle forze armate, Hamad bin Ai al Atiya. Il capo militare ha rivelato con molto orgoglio non solo che il Qatar è stato il Paese che più di tutti ha appoggiato militarmente i ribelli libici, ma anche che  ha inviato “centinaia di uomini in ogni regione” libica. Non uomini qualsiasi, ma, ci ha tenuto a chiarire al Atiya, militari che dovevano pianificare le azioni dei ribelli contro Gheddafi. Continua a leggere