La guerra del Mediterraneo per i nuovi assetti petroliferi e il pericolo di nuove guerre civili nei Balcani. L’ottusità pericolosa degli adoratori un tanto al chilo del novello Achille Lauro, moltiplicato un milione, che si chiama Silvio Berlusconi

Ieri sera, lunedì 28 marzo, ho partecipato a una puntata del programma televisivo Iceberg di Telelombardia dedicata all'”emergenza Lampedusa” e alla comparsa di Silvio Berlusconi come imputato in tribunale a Milano. Tra gli ospiti, il sottosegretario Daniela Santanchè, l’europarlamentare leghista Mario Borghezio, il segretario di Rifondazione Comunista Paolo Ferrero, il giornalista Luigi Amicone e Michelle Nouri, giovane donna per metà ceca e per metà irachena, venuta a vivere in Italia 20 anni fa, dunque ormai cittadina italiana, a  suo tempo fidanzatina (“avevo 14 anni”) più o meno presunta di uno dei figli di Saddam Hussein. A parte lo strano mix di ottusità e propagandismo berluscone di Borghezio e Santanchè, mi ha colpito la loro visione drammaticamente provinciale anche della realtà che sta sconvolgendo il Nord Africa e alcuni Paesi arabi del Medio Oriente e del Golfo, con annesso flusso di poveri disgraziati che cercano di emigrare in Europa passando per l’Italia, cioè per Lampedusa. Il problema non è che questi due parlamentari siano ottusi e provinnciali, ma che lo sia l’intera maggioranza e il governo del quale loro due sono espressione. In particolare Borghezio, più macchietta che politico, con al seguito una piccola e patetica claque, è felice come una Pasqua perché “la Francia agli emigranti in questi giorni ha chiuso i confini in faccia, non li fa entrare, li rimanda indietro”. “Dovremmo imparare dai francesi”, ha concluso ottusamente Borghezio. Sì, ottusamente perché mostra di ignorare come la stessa stampa francese abbia rivelato che la “rivoluzione” libica non è altro che il frutto di una ben precisa opera di istruttori militari francesi inviati da Sarkozy in gran segreto in Libia per armare quelli che poi dovevano diventare i rivoltosi. Lo scopo? Permettere al colosso petrolifero francese Total di mettere le mani sul petrolio libico. Le carte geografiche che pubblico –  si possono ingrandire copincollandole –  aiutano a capire la situazione. Quella reale, non quella a chiacchiere “democratiche” con le quali ci riempiono le orecchie per imbottircene la testa.
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Quando ci fa comodo, anche l’attentatore suicida va benissimo. Ho segnalato all’Ordine dei Giornalisti della Lombardia il razzismo dei nostri giornali verso i bambini libici. APPELLO PER FERMARE LA GUERRA

Ma come? Gli attentatori suicidi, detti anche kamikaze, non sono il massimo della schifezza, come sempre si grida giustamente sdegnati quando si fanno esplodere in Israele? E però leggo che un figlio di Gheddafy, il giovane Khamis, pare sia stato ucciso proprio da un kamikaze. E lo sdegno? Nessun accenno, su nessun mass media! L’unico sentimento che traspare, a volte gridato, è la forte speranza che Khamis sia stato davvero ucciso. Il fatto che sia stato un kamikaze, cioè un attentatore suicida, non frega niente a nessuno, non suscita nessun commento di riprovazione. Anzi, semmai è evidente l’approvazione. Se si tendono le orecchie si sentono bene gli applausi…
Il nostro razzismo traspare anche dall’uso delle foto dei bambini libici.  Ritratti mentre impugnano armi giocattolo inneggiando a Gheddafy, il Corriere della Sera ne pubblica le foto in prima pagina senza renderne irriconoscibile il viso, come invece la Carta di Treviso, e quindi la deonotologia professionale, obbliga a fare. La Carta di Treviso è nata infatti per proteggere i minori: senza l’autorizzazione – scritta – dei genitori NON si possono pubblicare foto dei loro figli minorenni. E quelli libici ritratti sul Corsera hanno al massimo 10 anni. Ho informato di tale violazione della Carta il presidente dell’Ordine dei Giornalisti della Lombardia (il Corsera ha la direzione a Milano), collega Letizia Gonzales, perché apra la procedura per i provevdimenti disciplinari. Campa cavallo mio che l’erba cresce? E’ possibile. Forse ormai imitiamo inconsciamente gli israeliani, per i quali i palestinesi, ma solo i palestinesi e non gli israeliani ebrei, divenano maggiorenni a 16 anni: un trucco “legale” per poterli mettere nelle galere “normali” anziché in quelle minorili, almeno teoricamente molto meno severe. Il tutto senza che né Sarkozy né Obama né altri abbiano qualcosa da ridire: la loro sensibilità è a senso unico. As usual.
E a proposito di Sarkozy: come volevasi dimostrare. Abbiamo ventilato per primi che l’intervento militare francese sia stato preparato a tavolino e a “prescindere”, ben prima che andassero in scena le grida e lo sdegno per le “fosse comuni” e gli “interi quartieri bombardati”, il tutto rivelatosi le solite bufale utili a ingannare la nostra opinione pubblica per spingerla ad accettare la guerra. Né più e né meno come la colossale balla delle “bombe atomiche irachene”.

Per tutti questi motivi ho firmato e vi invito a firmare l’appello che vi propongo qui in basso.
Grazie.

A P P E L L O


FERMIAMO LA GUERRA IN LIBIA!
Dopo una vergognosa campagna mediatica, che ha negato fin dal principio qualsiasi ipotesi di soluzione diplomatica, eccoci oggi sprofondati nel tunnel della guerra. Sotto le bombe muoiono così non solo i cittadini di Tripoli ma gli ideali stessi che hanno portato in piazza tanti giovani nei Paesi arabi.
La prima vittima di una guerra è sempre la verità, perché solo con la menzogna e l’inganno è possibile giustificare l’uso della forza contro i popoli al fine di depredarli delle loro risorse. Anche nel caso della Libia i motivi che spingono gli Stati Uniti, la Francia, la Gran Bretagna e anche l’Italia a far rullare i tamburi di guerra riguardano le immense ricchezze del sottosuolo: gas e petrolio.
In Libia oggi è in corso un’autentica guerra civile, con uno scontro politico tribale e tra fazioni, in cui si mescolano anche le giuste aspirazioni dei giovani a liberarsi da ogni forma di oppressione e di ingiustizia sociale. I tratti autoritari e repressivi del regime di Gheddafi e le violenze degli scontri armati di questi giorni non ci faranno cadere nel tranello bellico. Noi ripudiamo la guerra e affermiamo la nostra contrarietà ad ogni tipo di intervento armato in Libia, ivi compresa la no-fly zone.
Non vogliamo assistere in silenzio ad una nuova “guerra umanitaria”.
Chiediamo l’immediato cessate il fuoco. Facciamo appello alla comunità internazionale affinché si ponga fine ad ogni ingerenza straniera e rilanciamo l’ipotesi di una soluzione diplomatica che veda protagonisti i Paesi del sud del mondo ad iniziare da quelli africani e sudamericani.
Nel pieno rispetto dell’art.11 della nostra Costituzione, chiediamo al Parlamento e al governo di fermare la guerra impedendo l’utilizzo delle basi italiane e di sostenere la soluzione negoziale alla crisi.
Facciamo appello ai movimenti, alle associazioni, ai comitati, alle forze politiche e sindacali e a tutte le cittadine e cittadini affinché si adoperino a far crescere le mobilitazioni unitarie contro la guerra, anche con una grande manifestazione nazionale.

Per adesioni:   fermiamolaguerra@gmail.com

PRIME ADESIONI Continua a leggere

L’anniversario dell’unificazione nazionale

In occasione di questo 150° anniversario dell’unificazione nazionale potremmo porci due semplici domande. La prima: Cos’è che dal 1861 ad oggi riteniamo che sia stato maggiormente tradito rispetto agli ideali risorgimentali?

L’elenco è breve:

  1. il Mezzogiorno è stato il grande penalizzato, in quanto s’è voluto trasformarlo in un’enorme colonia di risorse umane, naturali e materiali per l’industrializzazione del centro-nord. Se ancora oggi i meridionali avvertono come traditori i Savoia e persino Garibaldi, il motivo è tutto qui: la cronica mancanza di una riforma agraria a favore delle plebi rurali; la netta subordinazione delle esigenze agricole a quelle industriali.
  2. Unità nazionale e processo industriale hanno voluto dire decollo di un sistema sociale basato sul capitalismo privato, senza alternative di sorta; quel capitalismo che porterà sì al miracolo economico della belle époque e del consumismo anni Cinquanta-Sessanta, ma anche al brigantaggio, all’emigrazione, all’abbandono delle terre, alla penetrazione massiccia del capitalismo nelle campagne (e quindi alla formazione di monocolture per i mercati e alla fine di qualunque esperienza di autoconsumo e di comunità di villaggio).
  3. Lo sviluppo del capitalismo privato, prima concorrenziale poi monopolistico (con l’appoggio dello Stato), ha comportato una devastazione irreversibile dell’ambiente naturale, nel senso che si è preferito privilegiare il concetto di “produzione di beni industriali” piuttosto che quello che “riproduzione di beni naturali” (al nostro paese s’è imposta con la forza l’idea di “consumare” quante più merci possibili).
  4. La centralizzazione dei poteri politici, nella capitale romana, ha mortificato enormemente gli usi, i costumi, le tradizioni, le lingue locali e regionali, nonché l’autonomia delle comunità territoriali e degli Enti Locali (cosa che oggi si cerca di recuperare, senza però rimettere in discussione lo sviluppo capitalistico del paese, attraverso l’idea di “federalismo”, che, guarda caso, sembra procedere in parallelo a una accelerazione dei processi politici verso una repubblica presidenziale).
  5. La permanenza di uno “Stato del Vaticano” ha reso impossibile un’effettiva separazione giuridica e politica tra Stato e chiesa, un’affermazione della laicità dello Stato, una formulazione autenticamente democratica degli articoli costituzionali riferiti alla libertà di coscienza e di religione (l’art. 7, p.es., sarebbe semplicemente da abolire).

Ora poniamoci la seconda domanda: Dal 1861 ad oggi cos’è che si è maggiormente sviluppato a favore della democrazia sociale, culturale e politica?

  1. Nel secondo dopoguerra si è sviluppato lo Stato sociale (scuola, sanità, previdenza, assistenza ecc.), che però si è cominciato progressivamente di smantellare sin dall’inizio degli anni Ottanta e soprattutto a partire dal crollo del cosiddetto “socialismo reale”, di cui lo Stato sociale dei paesi occidentali costituiva una sorta di “mimesi”. Si fa questo senza rendersi conto che gli sbocchi inevitabili del puro liberismo sono stati, fino ad oggi, due guerre mondiali, intervallate da decenni di disumane dittature, e là dove non s’è imposta la dittatura politica(p.es. in Francia o in Inghilterra) è stato solo perché si beneficiava ancora dei vecchi imperi coloniali, cioè di una dittatura economica.
  2. Le battaglie condotte dal mondo del lavoro contro il capitale (anni Venti, Resistenza e anni Sessanta-Settanta) hanno sicuramente contribuito a migliorare le condizioni di vita dei lavoratori, ma anche queste conquiste si stanno progressivamente riducendo, soprattutto a causa del fatto che il globalismo del capitale sta inducendo alla delocalizzazione delle imprese occidentali, là dove il costo del lavoro è minimo. Il che comporta che le nostre conquiste tecnico-scientifiche possono essere acquisite da quelli che un tempo venivano chiamati “paesi del Terzo mondo”, senza che questi abbiano bisogno di ripercorrere tutto l’iter storico e culturale che ci è servito per ottenerle.
  3. La donna ha sicuramente aumentato la consapevolezza di una propria diversità di genere da far valere nel rapporto con l’uomo, ma l’Italia resta ancora un paese molto indietro rispetto ad altri paesi nord-europei. Soprattutto la donna italiana non è in grado d’intervenire nella rappresentazione che di lei danno i mass-media (tv, cinema, carta stampa e pubblicità).
  4. E’ aumentata la sensibilità per i problemi dei consumatori, ma resta ancora molto forte l’egemonia economica dei produttori. Il consumatore vede il produttore come un nemico da combattere proprio perché il produttore vede il consumatore come un pollo da spennare.
  5. E’ notevolmente cresciuto l’interesse per i problemi ambientali, per le produzioni biologiche e per quelle ecosostenibili, ma nel complesso ciò non scalfisce il trend dominante, che resta basato su saccheggio e spreco di risorse naturali, e questo nell’illusione che scienza e tecnica siano sempre in grado di risolvere i loro stessi problemi, ma anche nell’errata percezione di causare danni minimi coi nostri comportamenti sbagliati, per non parlare della irresponsabilità con cui assegniamo ad altri o alle generazioni future il compito di rimediare ai nostri guasti.
  6. E’ aumentato il senso di appartenere a una comunità europea, ma siamo ancora lontanissimi dall’avere un’identità comune europea. Gli Stati continuano a muoversi in maniera separata e non vogliono attribuire al Parlamento europeo poteri effettivi. Le religioni, specie quella cattolico-romana, ostacolano notevolmente la formazione di un’identità europea laica. L’Europa continua ad essere avvertita come un di più, spesso inutile e oneroso.

Probabilmente però la cosa che più manca alla coscienza degli italiani non è il senso della democrazia o della laicità, che pur certamente da noi difettano più che altrove in Europa. E’ piuttosto la consapevolezza di ciò che l’Italia fa nel mondo. Noi non sappiamo nulla di come il nostro paese si muove all’estero. Non sappiamo cosa produce, cosa acquista, come lo faccia, che rapporti abbia con tutti i paesi della terra. Soprattutto non sappiamo quali siano i legami internazionali che determinano il nostro benessere.

Dopo il Biafra, la Libia: la Francia non perde il vizio. E non lo perde neppure l’Occidente

Chissà se anche questa volta i bombardamenti “chirurgici” contro Gheddafy gli ammazzeranno un’altra bambina, figlia adottiva, come quella ammazzata nel 1986 dai piloti americani che per cercare di ucciderlo su ordine criminale del presidente Reagan bombardarono casa Gheddafy massacrando un po’ di gente, ma mancando l’obiettivo designato. In ogni caso, non trattandosi di bambina e vittime israeliane e tanto meno ebree non ce ne può, come si dice a Roma, “fregà de meno”. “Tripoli brucia”, titolano infatti giulivi i nostri giornali. Al nostro cinismo e alla nostra mancanza di scrupoli e memoria non c’è limite.

Come che sia, ha ragione il marito di Carla Bruni, noto anche come Sarkozy: “La Francia si assume le proprie responsabilità di Fronte alla Storia”. La Storia però non è smemorata e contrariamente alle signore tipo Carla Bruni e affini non si lascia incantare e portare a letto con belle frasi ad effetto. La Francia infatti di fronte alla Storia ha già la responsabilità dell’invasione napoleonica dell’Egitto e del sanguinoso sfruttamento coloniale non solo dell’Algeria vicina di casa della Libia aggredita in queste ore. Il marito di Carla Bruni farebbe meglio a tenere a mente che in tempi più recenti la Francia ha di fronte alla Storia la grave responsabilità della tragedia del Biafra, la cui secessione dalla Nigeria fu criminalmente foraggiata da Parigi per poter mettere le mani sul petrolio di quelle terre.  Prima della lunga guerra civile per il Biafra, con il solito per noi irrilevante contorno di qualche milione di morti ammazzati con armi vendute dall’Europa, la Nigeria era un Paese in via di forte sviluppo grazie al suo petrolio. Dopo la guerra per il Biafra la Nigeria è diventata terra di emigrazione di donne venute a migliaia anche in Italia per vendere sesso a basso costo. Continua a leggere

Kneebody, il jazz antisonno dagli States parla italiano

E’ come quando vado  al cinema. Cerco di non leggere le recensioni, preferisco non sapere nulla del film per godermi la sorpresa senza alcuna aspettativa o sospetto, o beccarmi una delusione senza dover dare la colpa a qualcuno. Per i concerti organizzati dal Centro d’Arte degli studenti dell’Università di Padova (la direzione artistica però è ben fuori corso, Stefano Merighi e Veniero Rizzardi hanno superato la cinquantina…) è lo stesso rassicurante quanto elettrizzante approccio. Non so volutamente nulla di chi sale sul palco – e molto spesso è così perché si tratta di novità inedite tutte da scoprire – ma so che non resterò delusa. Tutta ‘sta manfrina introduttiva è per dirvi che anche l’ultimo  concerto della rassegna “Ostinati!” con i Kneebody, a me sconosciuti, è stato un gran bel gusto. Sono in cinque, vivono e suonano tra Los Angeles e New York. Hanno 34 anni o giù di lì ma stanno insieme almeno da dieci (erano compagni di scuola)  e si sente. Compatti, belli, divertiti e divertenti, nessun leader, né i soliti prevedibili susseguirsi di assoli. Jazz si fa per dire, verso l’infinito e oltre, elettrico e pulsante, che poi non ti fa dormire. Il bassista Kaveh Rastegar parla benissimo in italiano (l’ha reclutato nella sua band Ligabue, sic, beato lui), e chiacchiera sempre con il pubblico tra un brano e l’altro. Insomma, il contrario dai jazzisti introversi color marrone triste. Tutti e cinque compongono e tutti suonano con altre formazioni Usa, jazz e più raramente pop. Restano ancora in Italia per qualche giorno: non perdeteveli, il 21 marzo a Modena e il 22 a Castelverde.

Libia sì, Barhain e Arabia Saudita no. Fallito in Libia il collaudo di tipo afgano da riutilizzare poi in Iran. Che resta però candidato a vittima del terremoto giapponese

1) – Cosa è successo in Libia pare ormai chiaro. Una rivolta circoscritta è stata spacciata per rivoluzione dai mass media dell’Arabia clerical petrolifero monarchica seguiti a razzo dai nostri. Lo scopo era di poter mandare istruttori militari occidentali per organizzare i rivoltosi e armarli a dovere. Insomma, il bis della creazione dei talebani fatta a suo tempo dagli Usa in Afganistan contro l’Unione Sovietica. Questa volta al posto dei talebani gente comunque utile a buttar giù Gheddafi per sotituirlo con un Kharzai libico, manovrabile a piacere da Washington e Londra. Questo spiega la assoluta mancanza di foto e prove vere dei “massacri e bombardamenti di interi quartieri civili” di cui si è cianciato assieme ai falsi delle “fosse comuni” e del “genocidio”, oltre alla assoluta mancanza di foto e  video di masse di rivoltosi, abbondanti invece durante le manifestazioni del Cairo e Tunisi. Spiega anche perché ancora oggi si vedono solo foto e  video di rivoltosi con armi pesanti, come le molte camionette con mitragliatrici di grosso calibro, antiaeree o antiblindati. Fosse andata bene, l’intervento clandestino in Libia sarebbe probabilmente diventato il collaudo dell’intervento da bissare in Iran. Continua a leggere

Chi ha fatto scivolare almeno Sarkozy sulla buccia di banana della “rivoluzione libica”? Si vede la stessa manina anti iraniana dei casi Sakineh e Battisti. Ratzinger continua a scoprire l’acqua calda, ma si contraddice lanciando una nuova pericolosa assurdità

Strano e terribile destino quello del popolo giapponese. Dopo avere sofferto sulla sua carne viva, usata cinicamente come cavia, il debutto delle armi atomiche dell’Occidente, ora gli tocca soffrire un nuovo martirio: lo strano miscuglio di disastro nucleare anche se questa volta per fortuna non militare e di violenza cieca eruttata dalle viscere geologiche della Terra, ancestrali e prive del Tempo. L’attenzione dei mass media è di fatto pressoché monopolizzata dalla nuova grande tragedia, i quotidiani relegano i fatti nazionali e internazionali dopo pagine pagine interamente occupate dal dramma giapponese. Una buona occasione per i governanti e i prepotenti di vari Paesi per distrarre dalle proprie malefatte l’attenzione delle rispettive opinioni pubbliche. Ma, come dimostra l’improvviso calo del prezzo del petrolio, i lugubri fatti giapponesi ci riguardano non solo sotto il comodo profilo di lontani spettatori, anche se solidali e partecipi del dolore. Per quanto sconvolti dagli avvenimenti nel Paese del Sol Levante, è bene non tralasciare ciò che accade in casa nostra e che rischia di sconvolgerci, più in breve di quanto si creda, in modo irreparabile non solo, ma anche, riguardo l’appena citato petrolio. Continua a leggere

Clamoroso: il papa, Obama e il Chiavaliere si sono dimessi in blocco! Dalla decenza. E dalla realtà

1) – Miracolo! Grande miracolo! Dopo 2.000 anni un papa ha scoperto l’acqua calda! Si è finalmente accorto che “il popolo ebreo” non c’entra un fico secco con la crocifissione di Gesù. Tra altri 2.000 anni si accorgeranno che la responsabilità è dei romani. E dopo altri 2.000 forse si accorgeranno anche che alla lingua di Gesù hanno preferito – e preferisocno ancora! – come lingua ufficiale la lingua dei romani responsabili della sua morte.
Nella seconda parte del suo libro “Gesù di Nazaret” papa Ratzinger, ritenuto da tutti chissà perché un fine anzi un “finissimo intellettuale”, ha scoperto l’acqua calda e più o meno tutti i grandi mass media suonano la grancassa. NESSUNO che gli faccia notare la faccia di bronzo e i massacri scatenati in questi 2.000 anni dalla coglioneria cristiana del “popolo deicida”. E i più o meno sei milioni di ebrei fatti fuori dai cristiani tedeschi spessissimo cattolici, durante il nazismo? Mistero. Silenzio. Forse a massacrarli nei campi di sterminio nell’Europa “nata dalle radici ebraico cristiane” (!?) sono stati i musulmani…. Anzi, i palestinesi… Deve essere per questo che pagano loro ancora oggi – e pagheranno domani – l’indecenza dei nazisti e del silenzio complice della Chiesa.
E poi c’è chi dice che la Chiesa non è santa e madre! Continua a leggere

Pj e Rumer, God bless England e le sue ladies

“Let shake England”, ultimo disco di Pj Harvey: ho aspettato un bel po’ prima di trovare il momento giusto,  la voglia di ascoltarlo. Non mi andava di risentire miagolii e quel maledetto piano da saloon (White chalk) e neppure una manciata di canzoni inutili come quelle incise con Parish. Ma tanta attesa è stata ricompensata. Alcuni pezzi sono davvero belli, uno su tutti “Written on the forehead”. Da risentire dal vivo il 6 luglio a Ferrara. Non c’è solo chitarra + basso + batteria, ma anche strumenti tradizionali come l’autoharp (una specie di salterio) e sample (dalla tromba nordista di “arrivano i nostri” al r’n’r di “Summertime blues” di Cochran, dal reggae di “Blood and fire” di Niney the Observer al folk curdo). La furia introspettiva ha lasciato il posto ad un abbraccio che dalla sua terra comprende tutto il mondo. Ovunque la guerra abbia lasciato il segno. Ma stavolta tirare in ballo Patty Smith (magari con il suo “people”) non regge. On line Pj sta mandando in visione un cortometraggio per canzone, con foto e riprese di Seamus Murphy in viaggio per tutta l’Inghilterra: è lei la protagonista del disco. Viene dall’oltremanica anche un’altra musicista, non più giovinetta (annata 1979, dieci anni dopo Pj) al suo debutto con il nome di Rumer. “Season of my soul” è liscio, pulito, rilassato, ben orchestrato (Bacarach insegna). Non c’è niente di ammiccante, di esasperato, anche il look è quanto mai semplice. E forse sta proprio in questa sua vena naturalmente “slow” (guarda caso così si intitola il primo singolo) la sua forza.