Inopportuna e sbagliata la sortita di Napolitano. Bill Clinton, presidente degli Usa eletto dal popolo, ha dovuto non solo rispondere al magistrato, ma perfino far controllare le fattezze del suo “coso”, pena la cacciata dalla Casa Bianca. Perciò è una balla che Berlusconi – peraltro eletto sì, ma NON dal popolo – non è tenuto a rispondere ai magistrati e che questi sono “eversivi”. Ma il nostro ormai è lo Strapaese delle nullità politiche ipocrite in puro stile Carfagna/Marrazzo

L’intervento del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano per sollecitare nell’interesse nazionale una minore tensione tra la magistratura e il governo è quanto mai fuori luogo e ha dato la stura al solito balletto delle ipocrisie nazionali. Per prima cosa c’è da dire che non ci sono magistrati che ce l’hanno col governo o che indagano su di esso, ci sono solo magistrati che a norma di legge devono completare alcuni iter processuali riguardanti solo Silvio Berlusconi e i suoi più stretti sodali. La trovata di Napolitano equivale a dire che i giudici della Consulta, cioè della Corte Costituzionale!, ce l’hanno con il governo o con  Berlusconi solo perché hanno osato emettere una sentenza su una legge chiaramente illegale perché chiaramente incostituzionale, che Napolitano semmai non avrebbe neppure dovuto promulgare.

Sgomberiamo il campo dagli equivoci e dalle cazzate con un esempio che moooolto stranamente nessuno ricorda, in queste ore, neppure a sinistra. A suo tempo il presidente degli Stati Uniti Bill Clinton dovette sottomettersi non solo a interrogatori stringenti da parte di un giudice appositamente nominato per torchiarlo sulle fellatio e sveltine con la stagista Monica Lewinsky, ma anche a una visita medica nudo come un verme per permettere di verificare se avesse davvero il “coso” come lo aveva descritto un’altra sua ex amante, vale a dire non diritto come quasi tutti i maschietti, ma abbastanza piegato (si spera verso l’alto e non verso il basso…). Da notare che Clinton non era impegnato solo in orge e gag di pessimo gusto con gli altri capi di Stato e di governo, ma anche in una guerra e aveva tra l’altro la responsabilità, in quanto capo anche delle forze armate Usa, di varie migliaia di bombe atomiche. Eppure ha dovuto calare letteralmente le brache, e le mutande, e mostrare come mamma  lo aveva fatto, “attrezzo” compreso. Continua a leggere

Se passa anche il “processo breve”, 19esima legge ad personam per sottrarre comunque Berlusconi Coda di Paglia alla giustizia, si potrebbe dire che tecnicamente il suo governo diventa pur senza volerlo il governo espressione anche della malavita

E dunque secondo i calcoli dell’Associazione nazionale dei magistrati la legge che Silvio Berlusconi pretende a tutti i costi che sia approvata in fretta e furia per evitare a se stesso probabili condanne giudiziarie cancellerebbe addirittura il 50% dei processi in corso. Il ministro della Giustizia ha risposto che “i magistrati giocani con le cifre”, e questa di un ministro della Giustizia in eterna rotta di collisione, al pari del capo dell’intero governo, con la magistratura è un’altra grave anomalia tutta italiana.

Ammettiamo però che i magistrati giochino con i numeri, è un fatto che andrebbero al macero tutti i più importanti processi ed istruttorie in corso sugli scandali anche finanziari e le truffe più gravi, dalla Parmalat in giù, per non dire dei processi per omicidi, mafia, estorsione e via elencando. Una volta approvata la legge del “processo breve” si potranno organizzare stragi e truffe complicate, magari tramando dall’estero per rallentare eventuali indagini, perché sarà impossibile – con questi organici e fondi risicati alla Giustizia – che nel giro di due anni si arrivi a sentenza. Anzi, più frandi saranno i delitti, le rapine e i delitti, più sarà impossibile rispettare la tabella di marcia. Se la si volesse davvero far rispettare, si dovrebbe invece potenziare la magistratura, i tribunali, la polizia giudiziaria, ecc. Nè più e né meno come si dovrebbe fare con la ricerca scientifica e la scuola se le si volessero potenziare anziché liquefare pure loro come si sta efficacemente facendo.

Di fatto quindi, quello di Silvio Berlusconi rischia di diventare e di passare alla storia come il Governo della Malavita. Per il semplice motivo che le sue 18 leggi ad personam, cioè per cavare dai guai il Cavaliere, più la 19esima del “processo breve” se passa, sono di fatto espressione non solo dei suoi interessi conflittuali con la Giustizia, ma anche di chi come lui si è macchiato degli stessi reati o è tanto sospettato di esserlo da meritare una istruttoria e se del caso anche un processo. Continua a leggere

La scomparsa di Emanuela Orlandi: dopo il ventennio nero di balle sulla pista “turco-sovietica” ecco in scena la versione riveduta e corretta di Sabrina Minardi. Le cui parole, a differenza di quelle delle D’Addario sui vizi di Berlusconi, sono immediatamente assurte al rango di verità rivelata. Proprio quando in Vaticano accelerano la volontà di beatificare papa Wojtyla

Non c’è che dire: il titolo del mio libro sul caso Orlandi è quanto mai azzeccato: “Dai Lupi Grigi alla banda della Magliana”. Ma ieri, nel corso di otto interviste per radio e agenzie e due per Raitre, sono rimasto sgomento per la generale mancanza di memoria. Comprensibile, visto che si tratta di una piece, una tragedia camuffata da farsa che però si vuole spacciare come dramma mondiale, “rapimento mediatico” – come l’ha ironicamente bollato il magistrato romano Severino Santiapichi – che si trascina da oltre 26 anni… Soprattutto i giovani, che ne sanno? Non sempre c’è tempo per documentarsi, e in ogni caso come orientarsi nell’oceano di chiacchiere, balle, depistaggi, deliri e inganni vari rifilati ai mass media, e da questi supinamente avvalorati, per oltre un quarto di secolo? Ma la disinvoltura di queste ore lascia sgomenti. Se non peggio. Anche perché è una spia di come in Italia si sia sfarinato e si vada sfarinando un po’ tutto, in particolare ciò che dovrebbe essere robusto e non sfarinabile, a partire dalla politica e dalle istituzioni, assi portanti della democrazia e della pacifica convivenza civile. Se si arriva a privatizzare perfino l’acqua, in attesa forse di privatizzare anche l’aria, si può ben privatizzare e appaltare anche la verità di turno…. Ma veniamo al sodo.

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Che cos’è la libertà di coscienza?

Qualunque siano le condizioni di spazio-tempo in cui deve essere vissuta, non cambia nulla. La libertà di coscienza va comunque salvaguardata. E’ un elemento imprescindibile, perché costitutivo, dell’universo. Possono cambiare le forme, le circostanze in cui viverla, ma resta sempre una legge dell’universo. Come la gravitazione universale. Non si può violarla impunemente e rimanere se stessi, umani. Va rispettata come elemento fondamentale del sé.
Certo, ci sarà sempre qualcuno che cercherà di non rispettarla, proprio perché sarebbe una contraddizione in termini cercare di imporla. Una cosa tuttavia è sintomatica: noi su questa terra violentiamo di continuo la libertà di coscienza e, nello stesso tempo, pretendiamo di non tener conto della gravitazione universale. Sin dai tempi dei Sumeri, che con le loro altissime ziqqurat.
A cosa è servita questa duplice violazione che ci portiamo dietro dai tempi della nascita delle civiltà? A nulla di positivo. Violando la coscienza aumentano le dittature e violando la gravitazione aumenta la possibilità dell’autodistruzione, poiché oggi abbiamo riempito lo spazio (aereo, cosmico, sottomarino) di armi distruttive di massa (contro cui al momento non v’è difesa) inquinando in maniera irreparabile l’ambiente, per non parlare del fatto che impieghiamo infinite risorse, umane e materiali, che potrebbero servire per risolvere i grandi problemi dell’umanità.
Noi non sappiamo star dentro i limiti che l’universo ci dà. Ma la cosa più grave è che la resistenza al male non è proporzionata alla gravità del problema. Noi lasciamo che la coscienza venga impunemente violata e lasciamo che si spendano ingenti risorse per uscire dal nostro pianeta, quando il vero problema da risolvere è come starci nel migliore dei modi, il primo dei quali è appunto quello di rispettare la libertà di coscienza e, contemporaneamente, quello di rispettare le esigenze riproduttive della natura. Le due cose s’influenzano reciprocamente.
Tutto quello che non serve a rispettare l’essere umano e la natura va abbandonato, non solo perché inutile ma proprio perché dannoso. Quindi se non ci dovrebbe essere nessuno che possa imporre di vivere la libertà di coscienza, non ci dovrebbe neppure essere qualcuno che possa imporre di non viverla. Tutta la questione dei diritti umani si riduce a questo semplice impegno che dobbiamo prendere con noi stessi.
Noi abbiamo una percezione falsata di cosa sia davvero utile allo sviluppo della libertà di coscienza. Siamo abituati a far coincidere il livello di cultura, tecnologia, scienza, diritto, politica, economia ecc. coll’indice di sviluppo dell’umanizzazione delle relazioni sociali. Abbiamo persino inventato, in statistica, l’Indice di Sviluppo Umano perché quello quantitativo del prodotto interno lordo ci sembrava troppo limitativo. Ma che cosa abbiamo messo nell’ISU? I medici, i posti-letto, gli alfabetizzati, i telefoni, i cellulari, gli host internet per mille abitanti, e così via. Sempre indici quantitativi. Vogliamo essere più obiettivi, esaminando da vicino le condizioni di vivibilità di un’intera società, ma, ancora una volta, facciamo i calcoli sui beni che possediamo.
Siamo abituati a pensare che la vera umanizzazione dei nostri rapporti dipenda dalle forme materiali che ci diamo, per cui tendiamo a considerare primitive quelle popolazioni o civiltà che non hanno le nostre stesse forme o non le hanno ai nostri stessi livelli. Essere “civile” per noi vuol dire disporre di certe forme materiali dell’esistenza: un’abitazione, un mezzo di trasporto, un lavoro che permetta di riprodurci e, se li abbiamo, di mantenere i nostri figli, una certa padronanza dei vari linguaggi ecc. Tutti gli altri esseri umani sono rozzi barbari incivili: hanno diritto a meno diritti, in quanto minus habens.
Ciò che fa sentire gli uomini uguali non è l’essenza di umanità che alberga in ognuno di loro, ma il fatto che qualcuno si adegua a ciò che qualcun’altro è, il cui essere è determinato dall’avere. E’ chi detiene il potere (politico, economico, culturale) che detta i modelli di comportamento e di pensiero.
Ora, è proprio in nome della libertà di coscienza che noi dobbiamo uscire da questa condizione di schiavitù. La libertà di coscienza può essere garantita solo dall’autodeterminazione dell’essere umano, che si organizza in forme sociali basate sull’autoconsumo. Qualunque ente esterno, laico o religioso, pretenda di garantirla, di fatto, cioè automaticamente, a prescindere da tutto il resto, la nega. Finché permane anche solo un’istituzione statale, che impone la delega della responsabilità personale, la libertà di coscienza non sarà mai un diritto pienamente acquisito.
Che cos’è dunque la libertà di coscienza? E’ la facoltà di scegliere o di decidere autonomamente il proprio destino, il proprio modo di essere.
Bisogna dunque trovare il modo di decentrare al massimo i luoghi dell’autodecisione popolare, che non possono riguardare soltanto la sfera della politica (vedi p.es. la polemica tra “centralisti” e “federalisti”), ma devono riguardare anche quella dell’economia. Se è giusto non illudersi che una semplice scelta federalista possa superare i limiti dello Stato centralista, ancora più giusto è chiedere al socialismo democratico di rivedere profondamente i propri presupposti.
Una qualunque realizzazione del socialismo a prescindere dall’autoconsumo, è destinata a trasformarsi in una dittatura. Esattamente come una qualunque realizzazione del federalismo che non metta in discussione le leggi del capitalismo, non servirà a nulla per la democrazia.

Il continuo martellare di Berlusconi contro la magistratura e pretendere di diventare non giudicabile somigliano più a un atteggiamento da capo di governo o a quello di chi è uso delinquere e intende continuare a farlo impunememte?

Siamo alla pochade o all’anticamera della tragedia? Nello Strapaese la situazione è sempre grave, ma non è mai seria. Questa volta però mi sa tanto che oltre che grave la situazione è anche seria… E miserabile.
Credo che miserabile sia l’aggettivo più adatto per definire il comportamento non solo e non tanto di Silvio Berlusconi, quanto di chi gli dà retta e gli regge il sacco. Arrossisco di vergogna e sono imbarazzatissimo non solo quando spiego la situazione italiana a qualche amico straniero, ma anche quando ne parlo e tento di spiegarla a qualche familiare, ad amici e soprattutto ai figli di miei amici, cioè ai giovani. Parlare loro di Berlusconi e delle sue manovre per farla franca mi dà sempre l’impressione di parlare di qualcosa di sporco, di molto sporco e disonesto, tanto da mettere in imbarazzo chi ne parla. E sì che non è facile che io mi trovi in imbarazzo anche perché di norma cerco di evitare le situazioni eccessivamente sgradevoli e mi tengo alla larga da quelle spregevoli. Continua a leggere

Risonanze & stravaganze da non perdere a Venezia

Se la mia è musica da ripostiglio, quella di Risonanze è da scantinato! Anche quest’anno l”associazione Vortice con Enrico Bettinello propone al teatro Fondamenta Nuove di Venezia una manciata di concerti sfrontatamente incuranti della popolarità e vendibilità dei musicisti arruolati. Non sempre le aspettative vengono saziate, qualche musicista o dj è sopravvalutato e delude, ma val sempre la pena di tenere in vita, e in ottima salute, la curiosità. Vi allego il programma autunno/inverno. Vedete voi. Io aggiungo per contorno che la Biennale d’arte chiude a fine mese. Un buon motivo in più per andare a Venezia, stupenda anche in novembre.

RISONANZE fall 2009
Rassegna di nuove musiche contemporanee
Venezia, Teatro Fondamenta Nuove

Venerdì 30 ottobre 2009 ore 21
JENNIFER WALSHE
Jennifer Walshe | voce, strumenti vari
in collaborazione con la Fondazione Claudio Buziol
Domenica 15 novembre 2009 ore 21
”BERLIN NIGHT” 
[progetto speciale in occasione del ventesimo anniversario della caduta del Muro di Berlino]
dj sets by GUDRUN GUT & THOMAS FEHLMANN
Gudrun Gut, Thomas Fehlmann | elettronica
Alle ore 18, proiezione del film Die Mauer (Il muro), regia Jürgen Böttcher (RDT, 1990, 99′)
Con il patrocinio del Goethe Institut Italien e in collaborazione con l’Associazione Culturale Italo-Tedesca
Giovedì 3 dicembre 2009 ore 21
GARY LUCAS & DEAN BOWMAN
”CHASE THE DEVIL”
Gary Lucas | chitarra
Dean Bowman | voce
Sabato 30 gennaio 2010 ore 21
ERIK FRIEDLANDER 
”BROKEN ARM TRIO”
Erik Friedlander | violoncello
Trevor Dunn | contrabbasso
Mike Sarin | batteria

Si svolgerà all’insegna delle proposte più originali e visionarie delle musiche di oggi Risonanze Fall 2009, la popolare rassegna di nuove musiche contemporanee del Teatro Fondamenta Nuove di Venezia, che traccia nel cuore della città lagunare, come di consueto, un intenso percorso attraverso il jazz più avventuroso, la multimedialità, l’elettronica, il blues e la ricerca.

In occasione poi del ventesimo anniversario della caduta del Muro, la serata di domenica 15 novembre è dedicata alla città di Berlino: si parte alle 18, con la visione dello straordinario documentario “Die Mauer” (Il muro) di Jürgen Böttcher, per poi tuffarsi dalle 21 in una “Berlin Night” illuminata dalle sonorità elettroniche dei dj-set di due degli artisti più rappresentativi della scena berlinese, Gudrun Gut [storica fondatrice degli Einzurstende Neubauten] e Thomas Fehlmann [degli ORB].
Giovedì 3 dicembre spazio all’emozionante duo tra il chitarrista Gary Lucas e il cantante Dean Bowman: gospel, blues, musica liturgica ebraica, canto quawwali e originale songwriting sono alla base di questo sodalizio tra un vocalist che sa unire tradizione e ricerca e una delle figure più rappresentative della scena newyorkese come Lucas, chitarrista della Magic Band di Captain Beefheart negli anni ’80 e scopritore di Jeff Buckley, un artista capace di collaborare con la stessa facilità con Leonard Bernstein o con Patti Smith. Una collaborazione che dà un significato nuovo alla parola “soul”!
La rassegna proseguirà poi sabato 30 gennaio, con uno degli eventi jazz più attesi dagli appassionati: torna infatti a Venezia il fenomenale violoncellista Erik Friedlander [storico collaboratore di John Zorn], alla testa del suo Broken Arm Trio, completato da Trevor Dunn e Mike Sarin, formazione capace di una sintesi emozionante tra la tradizione e le traiettorie più innovative della musica jazz.

BIGLIETTI/TICKETS
Intero/Full Price € 12
Ridotti/Reduced € 10 [ residenti Comune di Venezia, giovani (under 18), anziani (over 65), Rolling Venice, Carta Giovani, Venice Card, San Servolo Card]
Soci Vortice € 8
Giovani a Teatro € 2.50

PREVENDITE
BIGLIETTERIA ON LINE / BUY ON LINE
RETE DI VENDITA HELLO VENEZIA
call center (+39) 041 24.24
www.hellovenezia.it
APT VENEZIA
Uffici di Piazzale Roma, San Marco, Giardini reali, Lido
Informazioni e prenotazioni/Information and reservations:
041 5224498, info@teatrofondamentanuove.it
Vortice – Associazione Culturale
email: vortice@provincia.venezia.it

Il muro di Berlino è crollato, l’ipocrisia e il doppiopesismo invece no. Mentre Berlusconi trasforma sempre più l’Italia in una repubblica della banane, uno dei principali responsabili del suo successo, Uòlter Veltroni, scrive romanzi buonisti continuando a ignorare la realtà. E i propri giganteschi errori

Trovo francamente strano che si festeggi la caduta del muro di Berlino senza spendere neppure una parola sul fatto che esiste il Muro della Palestina. I politici più coraggiosi si sono spinti a dire che “nel mondo esistono però altri muri che un giorno si spera vengano abbattuti”, ma nessuno – ripeto: nessuno – ha nominato il Muro della Palestina. Mi si dirà che sono due cose molto differenti, non paragonabili tra loro. E’ vero. Ma solo fino a un certo punto. Vediamo perché.
Israele ha imposto e costruito il Muro con la motivazione che era necessario come filtro per arginare gli attentati dei palestinesi, diventati troppo facili a causa della loro libertà di movimento, per quanto già ben lontana da essere comunque priva di filtri come le centinaia di i check point. La Germania Est aveva costruito il Muro con pretesti simili: non si trattava di attentati con bombe, ma comunque di attentato alla sua integrità da parte della Germania Ovest tramite le lusinghe di una migliore tenore di vita e di una maggiore libertà di movimento, lusinghe che spingevano molti tedeschi dell’Est a fuggire all’Ovest. Insomma, ognuno accampa le sue ragioni. Nel caso della Germania Est c’è però da aggiungere che  la faccenda era complicata dal fatto che l’Unione Sovietica e la Russia erano state invase dall’Occidente almeno due volte, prima da Napoleone e poi dalla Germania nazista. Entrambe le invasioni sono state devastanti, ma la seconda in particolare ha massacrato almeno 20 milioni di russi (pari a quasi quattro Shoà) e distrutto l’80% dell’apparato produttivo sovietico.
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Le cose essenziali per vivere e riprodursi

Val davvero la pena conoscere la storia delle civiltà che hanno distrutto la natura e altre civiltà (umane e disumane)? Davvero pensiamo che lo studio di aspetti negativi della storia possa servirci per non ripeterli? E allora perché ancora oggi presentiamo l’epoca cosiddetta “preistorica” come una fase da cui era necessario uscire per creare le civiltà? Perché vediamo gli uomini primitivi non in funzione di quello che erano ma di quello che dovevano diventare?
Oggi forse, considerando i disastri delle ultime due civiltà (quella capitalistica e questa socialista di stato, cui si sta aggiungendo quella socialista di mercato, stando almeno all’esperienza cinese), sarebbe meglio conoscere, della storia, solo quelle cose che ci possono aiutare a uscire dalle civiltà cosiddette “antagonistiche”, quelle che si sono venute formando a partire dagli Egizi e dai Sumeri.
Noi oggi studiamo le civiltà cercando di scorgere in esse le radici della nostra. Siccome ci sentiamo autoreferenziali e ai vertici del progresso mondiale, quando studiamo il passato, noi in realtà studiamo sempre noi stessi, il nostro passato di occidentali, borghesi, mercanti, affaristi, il nostro passato di tecnici, ingegneri, architetti o di scienziati, militari, dirigenti di qualcosa di produttivo, dominatori di qualcosa d’importante, propagatori di idee assolute e universali…
Noi studiamo la nostra infanzia, la nostra adolescenza, per compiacerci di quello che siamo oggi. Cerchiamo nel passato solo delle conferme per il nostro presente. Facciamo questo perché siamo convinti che non ci possa essere un futuro diverso dal nostro presente; siamo convinti che al nostro sistema di vita non ci possa essere alternativa, sia perché – consciamente o inconsciamente – lo riteniamo il migliore, sia perché, in ogni caso, lo riteniamo invincibile, indistruttibile, almeno se messo a confronto con altre civiltà antagonistiche contemporanee.
Siamo troppo forti economicamente, troppo potenti militarmente perché qualcuno possa credere di abbatterci. Chiunque pensi di farlo, non farà che rafforzarci, perché offrirà soltanto pretesti alle nostre continue esigenze di imporre le nostre ragioni con l’uso della forza (ammantata, naturalmente, con le vesti del diritto).
Siamo una civiltà violenta per definizione e se qualcuno cerca di difendersi da noi, noi diciamo che si sta violando la pace, la democrazia, il diritto internazionale. Chi cerca di modificare lo status quo, in cui noi abbiamo un ruolo privilegiato, si mette dalla parte del torto. Noi siamo come i Greci e i Romani, che consideravano “barbari” tutti quelli che non erano come loro.
Chiunque voglia distruggerci usando la forza, perirà miserabilmente. Quante volte abbiamo detto, nei conflitti regionali da noi stessi fatti scoppiare: “Abbiamo armi sufficienti per farvi tornare all’età della pietra”? Che poi questa frase piace di più ai militari che non agli affaristi, che preferiscono invece l’altra: “Non vi preoccupate delle distruzioni; abbiamo mezzi per ricostruire tutto: basta che paghiate”.
Solo una civiltà più forte della nostra potrebbe impensierirci, ma in questo momento dov’è? Neppure se tutti i musulmani del mondo si alleassero, sarebbero più forti di noi. Forse se lo facessero Cina, Russia e India (che insieme, quanto a risorse umane e materiali, fanno quasi la metà dell’umanità), ma per una cosa del genere ci vorrebbero dei secoli.
Noi siamo omogenei, loro no. Noi siamo gerarchici, loro no. Da noi tutto l’occidente è sotto la tutela militare ed economica degli Usa. L’India potrebbe mai esserlo della Cina? o la Cina della Russia? Prima che esista un’alternativa all’occidente, occorre che in oriente la Cina (che in questo momento, dei tre suddetti colossi è la più forte, anche se le maggiori risorse energetiche sono della Russia) s’imponga con la forza sugli Stati limitrofi, ma anche per questo ci vorranno dei secoli.
E in ogni caso, quando arriverà quel momento, noi avremo soltanto ottenuto la sostituzione di una civiltà con un’altra. Non avremo fatto neanche un passo avanti in direzione dell’umanizzazione dei nostri rapporti sociali. Ecco perché dobbiamo studiare sin da adesso il modo di uscire non solo dall’occidente, ma anche dallo stesso concetto di “civiltà”. Noi dobbiamo studiare tutto quanto ci serve per non apparire “civili”, tutto quanto ci serve per diventare “barbari” e “selvaggi”.
Dovremmo anzitutto chiederci quali sono le cose assolutamente essenziali che ci permettono di sopravvivere e a cui non potremmo rinunciare per alcuna ragione. Vediamole: aria pulita, acqua pulita, una fonte di calore, una fonte di luce, un mezzo ecocompatibile per muoverci, uno spazio in cui vivere, un rapporto equilibrato con la natura e con gli animali, un’occupazione utile alla collettività, degli abiti con cui vestirci, la possibilità di riprodurci.
E poi cosa? Cosa di veramente essenziale oltre a questo? La possibilità di prendere decisioni comuni, la necessità di rispettare l’altro per quello che è e di ricondurre ogni azione alla valorizzazione dell’umano che è in noi.
E poi cosa? Cosa di veramente irrinunciabile oltre a questo? Avere dei libri da leggere? una musica da ascoltare? un film da vedere? la possibilità di coltivare l’arte, la cultura, lo svago, il tempo libero, il divertimento…? Pensiamoci bene, perché su questo ci divideremo. Bisognerà essere ben consapevoli che non si possono pretendere cose che altri non possono avere, né, tanto meno, si può pretendere il surplus quando a tutti non viene garantito neppure l’essenziale.
Dovremmo fare un discorso serio, impegnato, collettivo, su ciò che è veramente essenziale per riprodursi e ciò che invece è futile, facoltativo, secondario… Se partissimo dall’idea di consumare ciò che produciamo, ridurremmo al minimo le spese, gli sprechi, il superfluo. Se ci chiedessimo, ad ogni nostra azione, in quale altra maniera meno dispendiosa avremmo potuto farla (meno impattante sull’ambiente), avremmo sicuramente molto più rispetto della natura.
La parola “sviluppo” va bandìta dal vocabolario ecologista, poiché essa si riferisce unicamente a parametri quantitativi, che sono i primi a negare uno sviluppo qualitativo della coscienza, della dignità umana. La qualità della vita non può sottostare agli indici quantitativi del prodotto interno lordo, anche perché è immorale vedere che un alto indice di produttività può essere compatibile con un alto indice di disoccupazione o che, in ogni caso, la piena occupazione resta un miraggio a prescindere da qualunque indice di produttività.
Se vivessimo non al di sopra delle nostre possibilità, senza sognare che vi sia sempre qualcuno che risolverà i nostri problemi, evitando con cura di scaricare sulle generazioni future il compito di sanare i nostri disastri, noi capiremmo meglio il concetto di responsabilità. Noi, in questa civiltà, siamo abituati a rifiutare la responsabilità personale delle nostre azioni e a delegarla sempre allo Stato, al sistema, alle istituzioni…
Noi non potremmo permetterci neanche lontanamente il benessere che abbiamo, se sotto di noi non vi fosse l’80% di umanità da sfruttare. Sono 500 anni che andiamo avanti con questo sentimento di dominio internazionale (e per altri 500, nel basso Medioevo, l’abbiamo preteso a livello di Mediterraneo, per non parlare degli altri 500 della Roma imperiale). E pretendiamo ancora oggi di porci come modello per gli altri, quando, se davvero gli altri si comportassero come noi, noi saremmo in una condizione di guerra permanente.
Che poi, in un certo senso, lo siamo lo stesso, con la differenza che i conflitti regionali non sono a casa nostra (se non indirettamente, quando ammazzano i nostri militari o quando ci ritornano indietro devastati nella loro psiche) e se ce li fanno vedere troppo alla televisione, ce ne stanchiamo abbastanza in fretta.

Libertà di coscienza e autoconsumo

Se rimane qualcosa d’irrisolto nella nostra coscienza, siamo perduti. Se non ci viene data la possibilità di chiarirci, di giustificarci, di pentirci del male che abbiamo provocato, direttamente o indirettamente, personalmente o per interposta persona, noi non avremo mai pace e non potremo fare alcun vero progresso.
I veri progressi possono esserci soltanto quando viene ricostruito il senso di umanità che alberga in noi. Rifatto alle radici. In caso contrario qualunque passo in avanti sarà in una direzione sbagliata. Non farà che peggiorare la situazione, aggiungendo problemi a problemi, il primo dei quali sarà quello d’illudersi d’aver trovato adeguate soluzioni. Come quando i Romani pensarono d’aver trovato negli imperatori la soluzione ai mali della Repubblica.
Infatti, nel cieco fanatismo dell’illusione si è incapaci di ascoltare gli altri, si procede a testa bassa, nella convinzione d’avere tutte le ragioni di questo mondo. Bisogna fare attenzione al sentimento dell’illusione, poiché se la gente ha subìto dei torti in un passato non così lontano da essere scordato, e troverà qualcuno che predicherà il riscatto sociale, vi crederà con tanta più forza quanto più si prometterà il riscatto in tempi brevi. Si finirà col vedere quel che non c’è e quel che c’è si farà finta di non vederlo, come si fece coi blitzkrieg e i lager.
Sfruttando le nefaste conseguenze del Trattato di Versailles sull’indipendenza della Germania, Hitler illuse milioni di tedeschi che sarebbero potuti diventare, accettando sacrifici enormi, i dominatori del mondo nell’arco di una sola generazione.
Tuttavia, se il problema stesse solo a questi livelli morali, forse non sarebbe così gravoso. Non è possibile infatti che uno, in tutta la sua vita, non abbia mai commesso un errore di cui pentirsi, e se si è pentito una volta, può farlo anche una seconda.
Il punto è un altro. Nessuno, da solo, è in grado di sapere fin dove è arrivato il torto compiuto, neppure se lo guardasse a distanza di molti anni. Nessuno, individualmente, può avere una chiara consapevolezza di tutte le conseguenze causate dai suoi errori. Nessuno può sapere fino a che punto è necessario chiedere perdono. Se in una società lo stupro è contro la morale e non contro la persona (come finalmente lo è diventato in Italia a partire dal 1996), il pentimento sarà più o meno profondo? Se in una società è prevista la pena di morte per un omicidio (e in Vaticano è rimasta giuridicamente sino al 1969), a che serve pentirsi?
Noi abbiamo bisogno di un collettivo che ci dia una visione generale delle cose, poiché a volte pensiamo di aver fatto del male e invece le conseguenze sono state positive per chi l’ha subìto (perché ad es. lo ha indotto a reagire, ad assumersi delle responsabilità, ad affrettare il momento di compiere una scelta che aveva già in mente).
Altre volte invece pensiamo di fare del bene, offrendo p.es. aiuti al Terzo mondo, e non ci rendiamo conto che proprio in questa maniera perpetuiamo i meccanismi di sfruttamento neocoloniale che inducono quelle popolazioni a chiederci assistenza.
Noi non siamo dei Robinson che viviamo in un’isola deserta. Qualunque cosa facciamo ha conseguenze che non riusciamo neppure a immaginare. Siamo così reciprocamente legati che anche quando non facciamo niente, facciamo qualcosa. La coscienza è davvero un abisso senza fondo, un buco nero che inghiotte tutte le interpretazioni univoche. Omnis determinatio est negatio. Non ci si perde nell’abisso solo prendendo la via negativa.
Dobbiamo essere addestrati a guardare le cose nella loro globalità. Ogni nostra azione negativa non è che una goccia che, sommata alle altre, alla fine fa traboccare il vaso. Tutti sanno benissimo che il rischio c’è, però siccome non si può stabilire quando il disastro avverrà, si spera che eventi imprevisti, a noi favorevoli, o il buon senso di chi ci governa, scongiurino il peggio. Ci comportiamo come incoscienti e ostentiamo ottimismo sugli effetti finali del nostro comportamento, salvo poi meravigliarci che le cose siano andate diversamente.
Non siamo abituati a guardare le cose nella loro interezza, proprio perché nella nostra civiltà domina l’individualismo, cioè la ragione del più forte. E’ lui che detta le regole del gioco, di cui la prima è quella di non avere regole, ovvero quella di darsele solo in maniera formale, sulla carta, per accontentare i moralisti, quelli che dicono di “avere coscienza”.
Prendiamo p.es. i vecchi film americani dedicati agli indiani. La morale apparteneva naturalmente solo ai bianchi, anche se fra questi vi erano buoni e cattivi; alla fine vincevano sempre i buoni, che magari si sacrificavano per il bene della loro collettività. Con la vittoria dei buoni, anche la condizione degli indiani migliorava e, se non migliorava, la colpa era degli stessi indiani, che non avevano capito la bontà dei bianchi, per cui questi erano stati costretti a sterminarli. In quei film i registi non riuscivano a distinguere la consapevolezza soggettiva di certi comportamenti (per gli indiani i bianchi “buoni” potevano anche apparire migliori dei bianchi “cattivi”) da quella oggettiva (per gli indiani era la stessa cosa avere a che fare con bianchi “buoni” o “cattivi”, essendo la civiltà di costoro basata sul business). Oggi hanno smesso di fare quei film non perché abbiano smesso di credere nel dio quattrino, ma perché se continuassero a sostenere che la civiltà fondata sul business è in tutto e per tutto migliore di quella indiana, si coprirebbero di ridicolo. Gli americani hanno placato i loro sensi di colpa semplicemente mostrando in alcuni film che in fondo gli indiani non erano così cattivi come venivano dipinti e che avevano indubbiamente ragione a difendere la loro terra. Detto questo possono continuare a restare nelle loro riserve e nei loro musei. Gli americani sono lontani anni luce dal capire che l’unica vera alternativa al loro devastante stile di vita stava e ancora oggi sta proprio nella civiltà che hanno distrutto.
Quando si dice che l’inferno è lastricato di buone intenzioni, non s’intende forse dire che in una civiltà antagonistica l’innocenza non esiste a nessun livello e che la corruzione è generalizzata? Qualunque azione si compia va sempre esaminata obiettivamente. E l’oggettività in questione è quella che risponde alla domanda se una determinata azione ha contribuito in maniera significativa al superamento della mentalità anti-umanistica della nostra civiltà.
Madre Teresa di Calcutta può aver salvato, nel corso della sua vita, migliaia di persone dalla malattia, dalla fame, dalla disperazione, ma se queste sue iniziative non hanno portato a ripensare concretamente, sostanzialmente, i motivi per cui in India vi siano milioni di malati ed affamati, alla fine quel suo operato farà inevitabilmente gli interessi del sistema, che potrà sempre dire di non stare con le mani in mano di fronte a quelle tragedie.
Questo non vuol dire che, prima di partire, uno dovrebbe sapere in anticipo quali effetti sul sistema avrà il proprio impegno. Vuol semplicemente dire che mentre uno lavora per il bene dell’umanità, non può trascurare le cause oggettive che la rendono schiava di poche forze senza scrupoli. E’ stato un gravissimo errore degli scienziati non essersi chiesti a tempo debito quali avrebbero potuto essere le conseguenze della scissione dell’atomo.
La morale è una cosa, la politica un’altra, non nel senso che noi occidentali abbiamo dato a questa distinzione, secondo cui una buona politica difficilmente si basa su una buona morale, ma nel senso che la politica è quella scienza che permette di andare oltre le questioni meramente soggettive (il proprio impegno personale, la propria dedizione all’altrui bisogno ecc.).
Bisogna saper guardare le cose oggettivamente (che non vuol affatto dire “con distacco” o “freddezza” o “cinismo”), per cercare di commettere meno errori possibile, e anche per evitare d’illudersi sull’efficacia delle proprie iniziative personali, ovvero per evitare di accusare le istituzioni quando, secondo noi, mostrano di non capirci. Spesso si recrimina fino al punto in cui, per ripicca, si smette di compiere qualunque opera di bene.
Più che alle istituzioni, che rappresentano il potere che va combattuto, bisogna rivolgersi alle masse, alle classi, agli strati sociali, portandoli, con l’esempio di una pratica differente del bene, a un punto di rottura col sistema. Dal sistema, così com’è, bisogna soltanto cercare di uscire: è illusorio pensare di riformarlo. Questo ovviamente non deve impedirci di non fare distinzioni tra chi, all’interno del sistema, vuole conservare l’esistente così com’è, anche quando dice di volerlo riformare, e chi pratica o almeno sostiene teoricamente una politica più vicina agli ideali dell’umanesimo laico e del socialismo democratico.
Noi dobbiamo porre le basi di un sistema di vita i cui valori fondanti siano totalmente alternativi a quelli che reggono l’attuale sistema. E i due principali valori sono la libertà di coscienza e l’autoconsumo. L’uno viene garantito dall’altro, reciprocamente. Entrambi prevedono la scomparsa dello Stato. Infatti uno Stato che si fa garante della libertà di coscienza, eo ipso la viola, e uno Stato non può garantire l’autoconsumo, visto che la sua nascita è strettamente collegata a quella del mercato. La libertà di coscienza può essere solo autogarantita da un collettivo indipendente sul piano materiale.

La Chiesa della vergogna

Contro i nazisti e lo sterminio su scala industriale degli ebrei, dei rom, dei prigionieri e di altri  ancora non ha speso neppure una parola. Contro la sentenza di Bruxelles contraria all’imposizione del crocifisso sui muri delle scuole pubbliche la Chiesa ha invece scatenato una tempesta di parole e non solo di parole. Una vera e propria fiera del ridicolo e delle falsità, con la più reazionaria e integralista gerarchia del clero impegnata a blaterare lezioni di “sana laicità”.  Forse l’idiozia più grossa l’ha sparata il segretario di Stato del Vaticano Tarcisio Bertone quando col suo sorriso a 48 denti ha tuonato che “L’Europa ci regala le zucche vuote di Halloween”, peraltro preferibili di molto alle devastazioni, guerre, roghi di esseri umani, di libri e di intere biblioteche, a partire da quella di Alessandria, e alle troppe persecuzioni e stragi regalateci dalla Chiesa nel corso dei secoli.

Bertone sorride a 48 denti felice della subalternità dei politici e mass media italiani, che non hanno il coraggio di rinfacciargli l’avere firmato nel 2001, assieme all’attuale papa, anche lui chissà perché sempre molto sorridente, l’ordine a tutti i vescovi del mondo di nascondere alle autorità civili dei rispettivi Paesi tutti i casi di pedofilia nel clero. Ordine che non è mai stato rinnegato. Un bel campione della Chiesa e della carità cristiana questo Bertone, per non dire di Ratzinger, a suo volontario della gioventù hitleriana. Continua a leggere

Altre domande scomode a Berlusconi. Comprese quelle sulla minore sua dignità rispetto Marrazzo, sulla corresponsabilità per il vergognoso boom di siti razzisti e anti ebraici e sul bordello afgano nel quale muoiono anche in nostri soldati

Caro signor primo ministro Silvio Berlusconi, cosa direbbe lei se Pietro Marrazzo sostenesse che la vicenda  che lo ha costretto alle dimissioni fosse tutta una montatura per sabotare il voto popolare che lo ha scelto come governatore del Lazio? E cosa avrebbe detto se Marrazzo avesse reagito evitando di dimettersi e affermando che non lo avrebbe fatto neppure se indagato e condannato? Certamente la storia non si fa con i se, però lei sa benissimo che avrebbe accusato Marrazzo di essere un comunista abbarbicato alle poltrone. In ogni caso, qualunque cosa avesse detto, resta il fatto che Marrazzo si è comportato molto più dignitosamente di lei, dando anche prova di un rispetto per le istituzioni e la magistratura che lei non s’è mai neppure sognato.
Ma in ogni caso: davvero lei pensa che gli italiani siano tutti così imbecilli da credere alla sua affermazione che anche qualora venisse condannato in uno dei processi nei quali è imputato non si dimetterebbe per “difendere la democrazia” (!) contro “magistrati che sovvertono il voto popolare”? Inoltre: non si rende conto che così lei calunnia buona parte della magistratura italiana? Sì, calunnia: perché ciò che lei insiste ad attribuire a nugoli di magistrati se fosse vero sarebbe una serie di reati gravi, dall’abuso d’ufficio al falso in atti pubblici ed altro ancora. Continua a leggere