S’è votato in Italia e in Europa, si sta per votare in Libano e in Iran. E a proposito del viaggio in Iran….

Si è votato in Italia, dove comunque la tanto strombazzata marea berluscona, vero e proprio “giudizio di Dio” in salsa postmoderna,  non c’è stata, anche se il tandem BB, detto anche BeBo o BerBos, ha trionfato in sede amministrativa locale. Si è votato in Europa, dove soffia un venticello di destra. Si è votato in Libano, dove è stato confermato il filo occidentale o forse più correttamente il laico non islamista Hariri. E si sta per votare in Iran, alle urne il 12 giugno. Speriamo che la vittoria di Hariri in Libano sia seguita dalla vittoria in Iran di Mousavi, riformista coraggioso e deciso, così da dare spazio reale in quella martoriata parte del pianeta al discorso molto interessante di Obama al Cairo.
Mir Hossein Mousavi, il principale concorrente di Mahmoud Ahmadinejad alla carica di decimo presidente della Repubblica Islamica d’Iran, è stato lontano dalla politica per 20 anni e s’è candidato nonostante si fosse candidato anche Khatami, presidente prima di Ahmadinejad con un grande programma di riforme sabotate dal clero, a partire dall’ayatollah Alì Khamenei, la Guida Suprema succeduta a Komeini. Sapendo di essere inviso a Khamenei, che ha il potere legale di cassare candidature e leggi approvate dal parlamento nonché lo stesso presidente della Repubblica, Khatami ha preferito ritirarsi e lasciare campo libero a Mousavi.

Chi è e perché suscita tante speranze? Architetto e pittore, presidente dell’Accademia dell’Arte iraniana, Mousavi è stato primo ministro, l’ultimo prima della abolizione della carica di premier, dal 1980 al 1989 sotto la presidenza di Khamenei, l’attuale Guida Suprema decisamente conservatore. I sondaggi non concedono troppo alla speranza di battere Ahmadinejad il prossimo 12 giugno, ma Mousavi ci crede caparbiamente e Khatami era al suo fianco al comizio ufficiale di apertura della campagna elettorale, organizzato nello stadio Azadi di Teheran: «Giovani iraniani, votate per lui!», è stato il forte appello di Khatami, e in effetti proprio i giovani, con in testa le donne, che danno l’impressione di una pentola a pressione che ormai non si può più gelare,   potrebbero essere la leva del cambiamento. E a proposito di giovani, Mousavi ha un grande sogno: porre fine all’emigrazione dei più promettenti. Nel comizio allo stadio, dopo avere attaccato Ahmadinejad e il suo governo affermando  che «il prestigio del nostro Paese non deriva da una persona sola, ma vi contribuiscono tutti gli iraniani, che però hanno contro l’attuale amministrazione, colpevole di minare questo grande prestigio», Mousavi ha proseguito acussando ancora: «Quando all’orizzonte non c’è speranza per lo sviluppo, la ricerca e la realizzazione della creatività, è naturale che i migliori studenti vengano attratti dalle proposte che li allontanano dal nostro meraviglioso Paese».Mousavi dirige il giornale Salame-ye Sabz, ma affronta Ahmadinejad con le armi spuntate dall’enorme sproporzione dei mezzi a disposizione, con le radio e le televisioni sfacciatamente megafoni governativi e con le decine di giornali chiusi d’autorità negli ultimi anni. Il social network Facebook, utilizzato dai sostenitori di Mousavi, è stato bloccato sino al giorno delle elezioni. Il candidato riformista ha però avuto una idea geniale: in un Paese a grande maggioranza femminile e con il 70 per cento della popolazione sotto i 30 anni di età, ha fatto scendere in campo una donna, cosa mai vista e impensabile in un Paese musulmano che per giunta ci tiene a definirsi tale fin dal nome della propria Repubblica. La donna in questione è Zahra Rahnavard, nota scultrice, ex rettore di Università nonché moglie di Mousavi e madre dei loro tre figli. Zahra è sempre presente ai comizi del marito ed è diventata sempre più la protagonista della sua campagna elettorale, proprio come e anzi più di una aspirante first lady americana: galvanizza le folle, specie le giovani, che fanno un tifo da stadio e impazziscono per lei.

La novità, vera e propria forte sfida in un Paese musulmano, funziona e ormai Mousavi presenta agli iraniani Zahra come la loro potenziale first lady dandole anche ruoli e visibilità crescente nella corsa presidenziale. E lei non si sottrae: facendo sicuramente schiumare di rabbia il clero “duro e puro” e la destra, Zahra mena fendenti contro l’era di Ahmadinejad, per chiuderla e aprire invece “una nuova era in cui la libertà di parola, scrittura e pensiero non vengano più oscurate”. Lui promette “un Iran progressista con leggi, giustizia e libertà!”. Lei pretende  che “la fine delle discriminazioni contro le donne non resti una semplice speranza” e senza nessuna timidezza promette a gran voce un’epoca “senza più prigionieri politici e senza più studenti in prigione”, il che quindi significa ammettere che i prigionieri politici e gli studenti in galera ci sono, cosa pessima e disdoro per il governo. Come se fosse una campagna elettorale in un Paese occidentale, i coniugi Mousavi si lasciano fotografare mano nella mano. E per galvanizzare i giovani, specie la “pentola a pressione” delle giovani, lui sorride compiaciuto e complice quando lei osa fare intravedere sotto il velo islamico obbligatorio il foulard firmato e incita le masse giovanili a scatenarsi nel ballo come i loro coetanei nel resto del mondo. Un incoraggiamento chiaramente alla faccia dei divieti governativi.

Mousavi è un nuclearista convinto, nel senso di uso pacifico e controllabile dell’atomo, vuole una economia più rispettosa dell’etica e meno da assalto, è deciso a stimolare il settore privato più di quanto lo sia oggi, e ha ben chiaro che per rimettere bene in moto un Iran ancora abbastanza allo sbando anche per il dopo guerra con l’Iraq, per la repressione e per gli scontri politici imposti dal clero “duro e puro”, deve ricostruire le relazioni con il resto del mondo, Usa e Israele compresi.  Per far presa sui giovani – ricordiamo che il 70% della popolazione ha meno di 30 anni di età – può permettersi una campagna elettorale fino a ieri impensabile e qualche licenza perché ha alle spalle una storia solida, ben presente anche ai non più giovani: stimato da Khomeini, negli anni tremendi della guerra scatenata dall’Iraq, e sostenuta dagli Usa e dall’Europa, l’attuale candidato riformista alla presidenza della Repubblica è stato il primo ministro di un governo che riuscì a evitare il tracollo dell’economia e l’ecatombe da fame per i molti poveri dell’epoca. Nel ventennio in cui ha preferito stare fuori dall’arena politica, Mussavi ha progettato – tra l’altro – la bellissima cupola “Imam Khomeini” ammirata nel santuario di Qom, l’Università dei Martiri di Teheran e il cimitero di Isfahan. Il personaggio quindi è ben radicato e niente affatto improvvisato o estemporaneo, alla modernità esibita provocatoriamente dalla consorte unisce un curriculum di fronte al quale anche un conservatore deve inchinarsi.

La grave crisi economica e finanziaria in atto, ben lungi dall’essere conclusa, può spingere il mondo verso la catastrofe, secondo lo schema classico sempre usato dagli Stati per uscire dalle crisi versando il sangue dei deboli per mantenere il potere dei forti, o può spingerlo a più miti e saggi consigli: a volte è nei momenti più bui che si esprimono le energie migliori e più lungimiranti, e il discorso di Obama pare la conferma di questa speranza. Vedremo.
Intanto, a proposito di Iran, riprendo – e concludo – il filo del discorso sul viaggio cui ho partecipato, viaggio organizzato dal Gruppo cronisti lombardi e che vorrei ripetere magari per conto mio e su un percorso più lungo scelto da me. Chiaro come il sole che la prossima eventuale volta voglio vedere Shush, vale a dire l’antica Susa capitale di quell’Elam che con la vicina Uruk mesopotamica ha dato vita alla scrittura…..

Dopo la giornata di stordimento negli affascinati musei della piuttosto brutta e disadorna Teheran, i cui hotel accolgono gli stranieri con un gentile invito alle turiste di indossare anche loro il tipico velo locale  che copre la capigliatura e il collo, eccoci in volo per la più meridionale Shiraz, parola che significa “Città dei misteri”. Quali misteri? Quelli dei suoi giardini, come per esempio il Giardino di Eram, quelli del suo clima mite, che stimola sogni, speranze, progetti e desideri, quelli delle sue moschee, come la moschea Atiq e il mausoleo sciita, i misteri dei suoi poeti, con i grandi Sa’adi e Hafez, “l’Usignolo di Shiraz”, del quale non manca mai almeno un libro di poesie in tutte le case iraniane così come non vi manca una copia del corano. I mausolei dei due poeti sono una incessante meta di visitatori, che amano sostare nei giardini e passeggiare lungo i loro viali. Sul cancello di accesso alla tomba di Sa’adi si leggono questi versi: “La tomba di Sa’di di Shiraz emanerà amore anche migliaia di anni dopo la sua morte”. Bello, vero? Bello e umano.
E i misteri delle donne di Shiraz, che dicono siano le più aperte, curiose, allegre e disponibili dell’Iran. Ovviamente l’aggettivo “disponibili” ci solletica la curiosità, ma nessuno si sogna di mettersi in caccia per assodare di che tipo di disponibilità si tratti, anche se è sorprendente come le ragazze sorridano a noi turisti e, specie le studentesse, a volte ci fermano a frotte per parlare e farsi fotografare. Non c’è ombra di Guardiani della Morale pronti a intervenire a frustate e le ragazze sono tutte molto sorridenti anche con i non turisti. Forse è per questo che qualche iraniano che viene a Shiraz per lavoro ci dice che non appena vi mette piede il telefono da casa comincia a squillare più spesso del solito: “E’ mia moglie che sta in campana…”.
La prima sveglia a Shiraz è però non per andare a zonzo per i “misteri” della città, ma per partire di buon’ora per Persepolis, distante poco più di 50 chilometri, percorrendo un tratto di autostrada dove nessuno si sogna di superare i limiti di velocità. Il motivo è semplice: chi viene beccato in fallo si ritrova con l’auto sequestrata per una settimana e gli autisti di camion e pullman, compreso il nostro guidato dall’ottimo e imperturbabile Magid, ogni tot chilometri devono fermarsi e andare a mostrare a un apposito ufficio della polizia – stradale, credo – lo strumento che registra la velocità durante tutto il viaggio. Chi sgarra paga pegno pesante, perciò è raro che qualcuno faccia il furbo.
A Persepolis il sole e il caldo sono grandi, ma il fascino e la malia del luogo sono ancora più grandi: immensi. Le rovine sono imponenti e parlano di una storia eternamente presente. Questa era la capitale primaverile dell’impero della dinastia di Ciro il Grande, che per ogni stagione aveva una capitale, da quella invernale a Susa a quella estiva a Ectabana, oggi Hamadan, e, se ho ben capito, all’autunnale Pasargade, altra grande e bellissima città ridotta a poche vestigia, meno di quelle di Persepolis ma con la semplice e disadorna tomba di Ciro che suscita grande emozione soprattutto se ci si ricorda la scritta citata da Erodoto che suonava più o meno così: “Io sono il grande Ciro, ho fatto grande l’impero e tante altre cose. Ma ora sono polvere e tu, viandante, non invidiarmi”. A Persepolis lo straniamento si rifà acuto, la “sindrome fiorentina” al confronto è nulla: mi accorgo anche qui che poco è cambiato in oltre 25 secoli…. La primavera veniva festeggiata il 21 marzo ed era simboleggiata dal bassorilievo, ripetuto più volte, di un leone che azzanna un toro facendolo stramazzare: ancora oggi il Leone è il segno della bella stagione (non a caso ci sono nato io…) e il Toro di quella meno dolce. Non solo erano già nate l’astronomia, la suddivisione dell’anno in 12 mesi e 365 giorni, periodicamente corretti con festività di fine anno, ma già erano stati individuati sette pianeti e, dal rumore di ogni singolo moto delle sette sfere celesti in cui si credeva che i pianeti fossero incardinati, erano nate le  corrispondenti sette note musicali…. Meraviglioso, vero? E come allora non si poteva vivere senza miti, e anzi senza la protezione celeste dei miti con lo Zodiaco, così oggi non sappiamo vivere – di fatto – senza fare riferimento stagionale e “oroscopale” ai segni zodiacali nel cielo sopra le nostre teste. Sì, non è cambiato poi molto, delle cose sostanziali. E farne l’elenco sarebbe lungo. Però ci sarebbe utile per un maggiore realismo e una maggiore modestia.
I bassorilievi e le sculture di Persepolis turbano quasi quanto quelle egizie. I persiani e gli egizi hanno lavorato e scolpito la pietra, i marmi, le rocce, in modo che nessun altro popolo ha mai più eguagliato: se Dio ha creato l’uomo modellandolo con la creta, quei nostri lontani antenati pare lo abbiano creato estraendolo dal marmo e dalle rocce, plasmate a misura d’uomo si direbbe fin nei sospiri, oltre che nei sorrisi più reconditi, nel mistero delle espressioni dei volti e, incredibile a dirsi, nello splendore degli sguardi, nella luce degli occhi. La processione dei dignitari dei 23 popoli tributari di Ciro scolpiti nel marmo pare siano in eterno movimento, da oltre 25 secoli, e mi aspetto che da un momento all’altro ci vengano incontro… Sono sgomento. Trattengo a fatica la commozione. Smetto di fare foto e mi allontano in silenzio dal gruppo. Ho bisogno di silenzio. Anche per meglio capire il senso di ciò che vedo e in qualche modo sento.
Sapere che da qui oltre a Ciro il Grande ed altri dei personaggi epici di cui abbiamo letto a scuola è passato anche Alessandro Magno, che anzi vi è fermato fino a incendiare
in una notte forse di bagordi estremi le meraviglie racchiuse in un’area di 400 metri per ogni lato, crea una certa tensione. A Roma ho visto di tutto, ma in nessun punto c’è la presenza certa e precisa di un Giulio Cesare o di un Augusto, di Mario o di Silla o di Pompeo. La Storia qui a Persepolis si fa presenza non solo di miti e storia, ma anche di uomini e della loro aura.
A Noqsh E Rostam le gigantesche scultura nella roccia attorno alle tombe dei vari Artaserse, Serse I, Dario I e Dario II raccontano anche di come i romani abbiano tentato per secoli di impadronirsi di queste terre di raccordo con il misterioso Oriente, vale a dire l’India e la Cina, che tramite la Via della Seta ha nutrito l’Occidente di ogni ben di Dio e di molti saperi. Si vede l’imperatore romano Valeriano disastrosamente sconfitto e fatto schiavo a Edessa da re Shapur. In questa parte strategica del mondo sono sempre finiti male i sogni perseguiti invano da Crasso, che ci rimise le immense sue ricchezze e la vita in battaglia, da Cesare, da Antonio, da Traiano, dai Severi tutti e da Giuliano. E quando l’imperatore romano Eraclio tra il 614 e il 630 riuscì a ridurre allo stremo la Persia di re Khusraw II e di suo figlio, che accettò una pace umiliante, ecco che nel 622 in Arabia fugge dalla Mecca a Medina uno sconosciuto, tale Maometto, fatto di cui né l’Imperatore di  Costantinopoli né il Re dei Re di Ctesifonte si accorsero, né più e né meno come nessuno si era accorto secoli prima della crocifissione sul Golgota di un pover’uomo, tale Gesù, ai tempi di Tiberio. Ma proprio quando Eraclio pareva fosse riuscito laddove erano falliti da Crasso a Giuliano, ecco che i seguaci dello sconosciuto fuggito nel 622 creano in una quindicina d’anni un impero già enorme inghiottendo la tanto desiderata Persia dei Re dei Re, la Siria e la Palestina. Per poi nel 642 prendersi anche l’Egitto e dilagare nel 732, poco più di un secolo dopo la fuga di Maometto, in Asia centrale fino al Tetto del Mondo…. Addio dunque al sogno di conquistare lo snodo sulla Via della Seta, snodo talmente decisivo per il peso dei commerci con l’Oriente da avere contribuito in modo essenziale a far decidere a Costantino di spodestare Roma e sostituirla con Bisanzio creata dal nulla. E il dilagare dell’Islam anche qui, in Iran. troncando i traffici secolari tra il Mediterraneo romano e l’Oriente, vale a dire India e Cina, spingerà un certo Cristoforo Colombo a tentare di raggiungere le Indie navigando verso Ovest invece che andando a piedi, a cavallo e su cammello in carovane verso Est. Il resto della storia e le sue conseguenze sono note…

Ho ancora nella testa queste “bazzecole” quando tornati a Shiraz mi ritrovo alle porte del bazar nel Mausoleo Shah-e Cheragh, dove giace la salma del fratello dell’ottavo Imam, che giunse a Shiraz nell’VIII secolo. Entriamo e restiamo abbagliati e senza parole: i muri e le cupole sono rivestiti di un unico enorme mosaico di tessere fatte tutte di specchi, e il loro scintillio rilancia all’infinito giochi di luce incredibili. Sembra un susseguirsi di flash e di essere risucchiati in un giacimento di gemme: il bagliore è ovunque. La dimensione clamorosa di tanta inaspettata bellezza impedisce perfino la possibilità di concentrasi e meditare, c’è troppo stimolo alla meraviglia, anzi alla “maraviglia”. Forse l’unica è inginocchiarci anche noi, come fa qualcuno, e pregare.

Ho perso il conto delle moschee che abbiamo visitato, una più meravigliosa dell’altra. Esfahan, detta anche “la metà del mondo” per la sua bellezza, è perfino eccessiva nell’allineare nella sua grande piazza Imam – lunga oltre 500 metri, con una grande fontana e un  enorme prato meta a tutte le ore di pic nic di intere famiglie –  meraviglie assolute come la Moschea dell’Imam, la Moschea dello sceicco Loftollah, il Palazzo di Ali Qapu e il Palazzo Chehel Sotun. Più, tanto per stordirsi come con i fumi di oppio, l’interminabile bazar circostante la piazza, bazar che per due lati corre su due porticati paralleli e quindi in totale non è lungo meno di un paio di chilometri di botteghe e vetrine. Insomma, un’orgia visiva e olfattiva, che può diventare anche un’orgia di shopping ricordo e di cibi e dolci dai sapori più massicci. Ecco, l’impressione è di ingozzarsi in continuazione gli occhi, il cuore e la mente di dolci poderosi come i cannoli e le cassate siciliane con contorno di babà e pastiere napoletane. Solo che di cassate e cannoli non se ne possono mangiare più di due o tre di fila metre qui invece l’ingozzamento è continuo, così come non si può fumare hascish od oppio, credo, per giorni e giorni di seguito. Non ricordo nemmeno più la località dove siamo entrati in una moschea rivestita all’interno di un infinito mosaico di specchi, abbacinanti ancor più che il Mausoleo Shah-e Cheragh. Per l’esplosione di luci una delle due moschee è chiamata “del Re delle Lampade”, ma non ricordo più quale… E’ come stare durante il giorno sotto una cascata di stelle: qualcosa di sbalorditivo, eccessivo. Mi ha colpito la gente che se ne stava beata a frotte nel verde del cortile sotto il cielo, seduta o sdraiata sui tappeti stesi sull’erba. Tappeti persiani, ovviamente.
Le moschee colpiscono per la loro enorme differenza rispetto sia le sinagoghe ebraiche che rispetto le chiese cattoliche. Il tempio ebraico è sempre severo, spoglio, supremo nella sua essenzialità, un vuoto che vibra di pienezza misteriosa, densa e asciutta. Le chiese cattoliche sono scrigni di capolavori d’arte, ma il loro leit motiv è la sofferenza, la via crucis, la crocifissione, la corona di spine, il martirio sanguinolento di santi e sante, il pianto continuo della Madonna anche quando sorride, e chissà poi perché la fanno sorridere, il costato squarciato di Cristo o quello trafitto da mille frecce e mille ferite sanguinanti di S. Sebastiano…. Ormai faccio fatica a entrare in una chiesa: troppo sangue. Troppo dolore. Adoro solo le chiese romaniche, semplici, rassicuranti, materne, orizzontali, accettanti, e diffido di quelle gotiche fin dall’esterno: troppa tensione verso il cielo, troppo distacco dal terreno, troppa opposizione al romanico. Le moschee sono invece sempre un tripudio di intarsi, smalti, maioliche, non possono esserci immagini sacre ma in compenso c’è un delirio di segni, incastri, motivi grafici, e non esiste una spazio vuoto che non sia miniato, dipinto, variamente colorato, mosaicizzato, piastrellato con le forme più diverse, intarsiato con cura maniacale, millimetrica. Una epifania non solo per gli occhi. Uno sfrenarsi delle sensazioni. Una libidine estetica – ed interiore – continua. Otto e più millenni di Storia non sono uno scherzo. Sedimentano di tutto, non lasciano nessun vuoto neppure nelle steppe dei deserti. Dove infatti ci si imbatte nelle Torri del Silenzio dei zoroastrani o ancora in qualche Torre del Ghiaccio, costruzioni geniali a cono alto e a gradoni per conservare anche d’estate il ghiaccio che d’inverno si forma nella conca alla base interna del cono. Mi viene in mente che i Re dei Re persiani avevano anche il ministro addetto al gelato! Così ho appurato nei primi anni ’80 nel corso di una inchiesta sul boom dei gelati in Italia, nella quale ha voluto dire la sua anche Giulio Andreotti, che di sera a casa cenava mangiando solo il gelato preparato dalla moglie Livia con l’apposito piccolo elettrodomestico.

Non m’è però sfuggito che mentre le moschee sunnite hanno un solo minareto, quelle sciite ne hanno due. Ufficialmente dicono sia perché il minareto sunnita con il suo unico minareto indica verso il cielo che vi è un solo Dio, mentre invece i due minareti tipici delle moschee sciite indicano sì che Dio è uno solo, ma anche che va pregato dagli esseri umani elevando le due braccia al cielo. Mah. Io ho il sospetto che in realtà lo sciismo, che è il tipo di islam presente in Iran, sia in realtà la risposta “nazionalista” al sunnismo, che è la forma dell’islam arabo, cioè degli arabi che hanno sì portato “la benedizione del Corano” anche in Iran, ma da conquistatori. Per giunta, da conquistatori non sempre sensibili al fatto che loro erano gli ultimi arrivati, quasi dei parvenù della Storia, mentre i persiani, cioè gli iraniani – che NON sono arabi, cioè semiti, bensì ariani (donde il nome Iran) – avevano già vari millenni alle spalle. Insomma, come “Grecia capta ferum vincitorem cepit”, riferendosi a Roma, così più o meno “Persia capta ferum vincitorem cepit”, riferendosi agli arabi. Insomma, gli iraniani hanno recuperato il loro ancestrale dualismo, il bene e il male rappresentati dalle due ali del grande uccello zoroastriano, e lo hanno inserito sotto forma di elementi dello sciismo nella nuova religione imposta dai vincitori. Un modo per meglio preservare la propria identità: aderisco, ma mi distinguo.

Beh, mi sono dilungato. Tanto per cambiare. Vorrà dire che l’ultima puntata del viaggio in Iran, nella “città santa” di Qom e nella scuola teologica intitolata a Khomeini, con annesso dibattito-confronto con un religioso che “studia da ayatollah”, è ancora una volta rimandata. Alla prossima. Spero.

310 commenti
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  1. marco tempesta
    marco tempesta says:

    x Peter:
    su di Napoli e sui napoletani ho sentito dire le più immani sciocchezze. Io a Napoli ci ho abitato per 3 anni e mi è stato utile come se fossi vissuto 30 anni in qualsiasi altro posto. I napoletani sono gente straordinaria e la stessa città lascia spesso col fiato mozzo, per certi scorci particolari.
    Certo, ora Napoli è una città profondamente degradata, ma lo spirito napoletano cova sotto le ceneri. Adda finì ‘a nuttata!!!

  2. marco tempesta
    marco tempesta says:

    Quando lavoravo a Napoli ero amico di un fotografo inglese. Ero da lui una volta, quando è entrato un signore in divisa, con moglie anche lei in divisa, figli e cane al seguito. Era il comandante della base Nato a Napoli, che veniva per farsi la classica foto di famiglia. Un tipo molto alla mano…niente arie da ammiraglio o chissà cosa.

  3. marco tempesta
    marco tempesta says:

    La consuocera di mia sorella è una nera inglese venuta a Gaeta per lavorare con la Nato, che ha sposato un napoletano.

  4. sylvi
    sylvi says:

    Ogni lunedì, di prima mattina, in lontananza s’alza una musica tra le villette della zona residenziale dove abito.
    Vecchie canzoni, molto stagionate; le cantava mia madre e, mi dicono, le suonasse mio padre con il clarinetto.

    Fra le altre, Signorinella, Balocchi e Profumi e via anticheggiando….
    Ma quando il furgone è al dritto di casa mia l’altoparlante singhiozza sempre :- pittore ti voglio parlare , mentre dipingi un altare….tra gli arcangeli ti prego metti un angioletto negro!-

    E’ il fruttivendolo, un pugliese che parla friulano come me, ma con un buffo accento alla Lino Banfi.
    Offre un sorriso , la sua frutta e verdura sempre di ottima qualità, e una storiella allegra!
    In stagione mi porta l’origano, i pomodorini, le cime di rapa e il peperoncino delle sue terre.
    Anche le fave che da noi si trovano con difficoltà o piuttosto “anziane”.

    Una volta gli chiesi perchè suonasse sempre questa vecchia canzone del pittore e dell’angioletto negro.
    Mi rispose:- cara signora, noi meridionali siamo piuttosto scuri e allora dobbiamo continuare a raccomandarci!!!-

    Peter, lei non è suscettibile, vero?
    E poi se la prenda con il mio simpartico ortolano!

    Sylvi

  5. Anita
    Anita says:

    x Marco

    In quanto alle lingue sono in pieno disaccordo con te.
    Se si impara una lingua deve essere quella parlata, scritta, vista in televisione……
    Se si impara un dialetto locale, devi poi imparare la lingua ufficiale della nazione.
    Io capisco pochissimo il napoletano, il sardo. il pugliese, non capisco i film in dialetto e le battute dei comici mi lasciano fredda.
    Capisco abbastanza il siciliano perche’ sono stata in Sicilia per 3 anni.

    Mia suocera abitava con me, (una sorpresa al mio arrivo) parlava il siciliano stretto e antico, perfino i suoi figli non la capivano.
    Io cercavo di insegnare l’Italiano ai miei figli, ho smesso perche’ imparavano dalla nonna la quale non capiva altro.

    Ciao, Anita

  6. sylvi
    sylvi says:

    cara Anita

    >>>>non capisco i film in dialetto e le battute dei comici mi lasciano fredda>>>

    Almeno tu hai la scusa di essere americana!
    Ma a noi che siamo italiani e paghiamo il canone succede lo stesso!
    Mettessero almeno i sottotitoli!
    Io vedo solo filmetti inglesi, tedeschi e francesi che sono doppiati e quindi comprensibili.
    Mi irritano il romanesco e il napoletano infilati ovunque come fossero l’italiano.
    Ai miei figli raccomandavo sempre:
    – quella che parlano in TV non è la lingua italiana!.
    Dimenticatela!

    ciao Sylvi

  7. Anita
    Anita says:

    x Sylvi

    Cara Sylvi,
    quando sono venuta negli Stati Uniti non parlavo una parola d’inglese.
    Latino, francese si’, ma qui ancora oggi la maggioranza parla solo una lingua, l’inglese, eccetto per i Latinos i quali parlano diversi dialetti spagnoli.

    I soli con cui cercavo di comunicare erano i famigliari di mio marito ed i loro amici, non mi capivano, non avevano mai sentito l’Italiano e parlavano un miscuglio di siculo-napoletano-inglese.
    Ma io ero quella che, secondo loro, non parlavo l’Italiano.

    Ho finito di piantare le mie begonie da giardino, mezze marce, vediamo se si riprendono.
    Ne pianto molte perche’ non richiedono alcuna cura, sopportano il caldo, un po’ di siccita’ e gli insetti non le disturbano, inoltre non le devo pulire come i gerani e tanti altri fiori.

    Adesso andro’ a cercarne delle altre, sono rimasta a corto, le nurseries hanno sofferto molto con tutta questa pioggia e quello che e’ rimasto non e’ molto salubre……
    In Maggio abbiamo avuto 23 giorni di pioggia, Aprile non era molto migliore e in Giugno abbiamo avuto solo mezze giornate senza pioggia.

    In Inglese i giorni dei mesi e della settimana si scrivono con la maiuscola.

    Un abbraccio,
    Anita

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