La popolazione Romanì

La popolazione romanì rappresenta una Nazione senza Stato e senza territorio ed è costituita da circa dodici milioni di individui, distribuiti nei cinque continenti (otto milioni circa in Europa e circa centoventimila in Italia di cui l’80% di antico insediamento con cittadinanza italiana). La popolazione romanì è una popolazione indo-ariana costituita da cinque grandi gruppi: Rom, Sinti, Manouches, Romanichals e Kalé.
In Italia ci sono diverse comunità così suddivise:
-circa 45.000 Rom di antico insediamento nelle regioni del centro sud con cittadinanza italiana (arrivo dai balcani tra la fine del 1300 e l’inizio del 1400);
-circa 35.000 Sinti di antico insediamento (cittadini italiani)  insediati nel nord Italia
-circa 70.000 Rom stranieri di recente immigrazione provenienti dalla Romania ( a partire dagli anni ‘90) e dai territori della ex Jugoslavia (a partire dagli anni ‘60) per un totale complessivo di circa 150.000 individui.
Ciascun gruppo è costituito da numerosi sotto-gruppi o comunità romanès con caratteristiche etiche, economiche, linguistiche e socio-culturali particolari che li differisce nettamente dalle altre comunità, fermo restando un’unità sostanziale in quanto trattasi della stessa popolazione con un origine comune (le regioni a Nord Ovest dell’India: Panjub, Rajasthan, Pakisthan, Valle del Sindh), un percorso storico comune (Persia, Armenia, Impero Bizantino per poi diramarsi e differenziarsi in Europa e allontanandosi ulteriormente con le deportazioni nelle colonie delle potenze europee nelle Americhe, in Africa e in Australia) e una lingua comune ( la lingua romanì o romanès) seppur diramata in tanti dialetti diversi.
L’origine indiana dei Rom si è scoperta con certezza scientifica nel XVIII secolo attraverso lo studio della lingua romaní. Con lo studio filologico si è potuto ricostruire l’itinerario seguito dalle diverse comunità nel loro lungo cammino dall’ India verso Occidente. Ciò grazie al fatto che i Rom prendevano a prestito parole dai popoli con cui venivano a contatto.
Rom, Sinti, Manouches, Kalé e Romanichels sono etnonimi e/o autonimi, ovvero il modo in cui un popolo definisce se stesso, fra loro sono anche sinonimi poiché sottintendono il termine di “uomo, appartenente alla popolazione romanì”.
E’ un errore presentare o considerare i Rom e i Sinti come due popoli diversi, essendo due comunità della stessa popolazione,  in pratica come dire milanese o napoletano, sottointentendo “italiano”. L’eteronimo (ovvero il nome che i Gagè  hanno attribuito alle comunità romanès senza alcuna distinzione) che li caratterizza con una forte accezione negativa, che col tempo ha cristallizzato anche un sentimento avverso nei loro confronti, è quello di “zingari”, un termine che deriva dal nome di una setta eretica, gli Athingani, detti anche Atsinganos o Atsinkanos, di origine orientale che a partire dal VIII secolo si introdusse nell’Impero Bizantino.
Le comunità romanès furono confuse con gli Athingani, da cui derivarono il nome e la cattiva fama, essendo gli Athingani dediti all’arte della magia (nel medioevo chi aveva a che fare con la magia aveva a che fare col demonio e per questo fortemente emarginato o represso). Un altro eteronimo è quello di “nomadi”, termine che viene attribuito anche quando le comunità romanès sono stanziali da secoli. La continua mobilità che ha caratterizzato la popolazione romanì in Europa e nel mondo, non è stata una scelta culturale, ma la conseguenza di politiche repressive. Trattasi di itineranza coatta non di nomadismo.
Da un lato le comunità erano continuamente bandite perché sfuggivano al controllo sociale, dall’altro erano gli stessi gruppi romanès a spostarsi per non incorrere nelle sanzioni previste nei loro confronti. La mobilità è stata la risposta di un popolo inerme ed inoffensivo alle politiche persecutorie di società etnocentriche, per non essere un facile bersaglio; un popolo che non è giunto in Europa con intenti bellicosi, che non ha mai dichiarato guerra a nessuno, che non ha mai attuato nessuna forma di terrorismo e non si è mai dotato di un esercito. La cultura romanì è una cultura pacifista.
Quando esistono le giuste condizioni, le comunità romanès non hanno nessun problema a stabilirsi in un luogo e convivere con gli altri. Il presunto nomadismo come elemento caratterizzante la cultura romanì ha portato a dei fraintendimenti le cui conseguenze negative sono, oggi, una delle cause che impediscono realmente l’incontro vantaggioso fra Rom e Cagé (non Rom).
La creazione dei campi nomadi (veri e proprie pattumiere sociali o lager moderni) come presunto mezzo per tutelare la cultura e la libertà di chi vuol essere nomade, ha in realtà, creato una vera e propria situazione di segregazione razziale o apartheid, una ghettizzazione socio-politica e un degrado culturale tendente all’annientamento. La presunta attitudine al nomadismo impedisce, di fatto, di avere solidarietà da parte dell’opinione pubblica persuasa, ormai, che sono i Rom che vogliono vivere in questo modo, senza sapere che le comunità romanès non possono in alcuna maniera determinare il proprio futuro e spesso sfruttati dalle organizzazioni “pro-zingari” che attraverso uno pseudo volontariato perseguono fini personali (Ziganopoli!!).
Rinchiudere delle persone in una struttura, che molto ricorda i lager nazisti, il cui unico scopo è quello di toglierle dalla vista della società, non significa costringerle all’assimilazione, ma all’annientamento come esseri umani. Bisogna considerare che degli individui costretti a sopravvivere nel degrado di un campo nomadi difficilmente potranno inserirsi positivamente nel
tessuto della società ed essere soggetti attivi e produttivi. Purtroppo all’opinione pubblica, che è una vittima tanto quanto i Rom e Sinti che vivono nei campi, non arriva la giusta informazione, tutto viene distorto e l’errore del singolo condanna un’intera popolazione. Certa propaganda ha  l’interesse a far passare il messaggio che sono i Rom e Sinti che scelgono di vivere in condizioni disumane. La realtà così viene stravolta e la segregazione razziale dei Rom viene presentata, così, all’opinione pubblica ignara e vittima, come peculiarità culturale.
In Italia vivono  Rom con cittadinanza italiana  che sono i discendenti dei primissimi gruppi Rom arrivati in Italia tra il XIV e il XV secolo e distribuiti prevalentemente nelle regioni meridionali.  Nonostante sei secoli di presenza in Italia sono, paradossalmente, fra i meno conosciuti poiché si tende a credere che i “veri Rom” sono quelli che provengono dai Balcani e che vivono nei campi nomadi. Così in Italia un enorme patrimonio artistico, linguistico e culturale che appartiene all’umanità tutta resta ancora oggi sconosciuto. In passato le attività principalmente esercitate erano quelle che lasciavano spazio all’essere e alla creatività e quelle che facilitavano i rapporti umani. Da qui l’ attività di musicisti, di fabbri calderari, di commercianti di cavalli, di lavoratori di metalli. Il progresso tecnologico, il boom economico, lo sviluppo delle attività industriali hanno soppiantato le attività tradizionali e la maggioranza dei Rom ha dovuto operare una riconversione economica, ma il modo di porsi di fronte alla vita e di interiorizzarla e soprattutto la struttura sociale dei Rom e rimasta pressochè immutata.