Lo studio delle civiltà (III)
Civiltà e inciviltà
È singolare che ogniqualvolta i manuali di storia cominciano a trattare l’argomento delle “civiltà” partano da quelle “mediterranee”, come se l’intero pianeta ruotasse attorno a questo mare. Ma è ancora più singolare che quando trattano delle società pre-schiavistiche, anteriori quindi alle suddette “civiltà”, usino sempre il termine dispregiativo di “primitive” per definirle. Il concetto di “primitivo” non viene inteso tanto nel senso di “primordiale” quanto piuttosto nel senso di “rozzo”, “barbaro”, “incivile”… Non indica un tempo storico ma una condizione dell’esistere.
Per come lo usiamo noi occidentali, esso non è mai neutro o tecnico, ma esprime un concetto di valore vero e proprio, che a sua volta rappresenta un inequivocabile stato di fatto: in tal senso non è molto diverso da quello di “feudale” o “medievale”. “Primitivo” non è anzitutto “colui che viene prima”, quanto piuttosto “colui che non è civile”, e per “civile” noi occidentali, normalmente, intendiamo le civiltà che conoscevano la scrittura, il progresso tecnico-scientifico, un’organizzazione politica di tipo monarchico o repubblicano, fondata sulla separazione delle classi, un apparato amministrativo e militare molto sviluppato, una netta divisione dei lavori e delle proprietà… in una parola tutte quelle che conoscevano e praticavano lo schiavismo. “Civile” per noi è Ulisse, che mente, ruba e uccide; “primitivo” invece è Polifemo, che pascola tranquillamente le proprie capre.
I manuali di storia non hanno neppure il termine di “civiltà primitive”, proprio perché lo considerano un controsenso. Una popolazione pre-schiavistica non ha dato origine ad alcuna “civiltà”, proprio perché non ne aveva gli strumenti, le possibilità. Non a caso tutte le popolazioni nomadi vengono definite “tribù primitive”, mentre le popolazioni sedentarie vengono messe a capo della nascita delle “civiltà”. Quando i nomadi sconfiggono i sedentari, allora gli storici dicono che si ha un regresso nello sviluppo sociale, politico, culturale ecc.
Da questo punto di vista sarebbe meglio usare il termine “primitivo” come sinonimo di “rozzo”, “incivile” ecc., in riferimento a qualunque atteggiamento, di ogni epoca e latitudine, che risulti nocivo o agli interessi delle masse popolari o alla natura nel suo complesso. Per il nostro modo di saccheggiare le risorse naturali o di sfruttare il lavoro altrui noi occidentali siamo molto più “primitivi” degli uomini vissuti milioni di anni fa.
Al posto di “primitivo” o di “selvaggio”, per indicare le popolazioni più antiche, noi dovremmo usare termini come “originario”, “primordiale” o “ancestrale”. Sono “prime” non “primitive” quelle popolazioni esistite prima di noi, agli albori della nascita dell’uomo in generale e non tanto delle civiltà in particolare. Per indicare una popolazione noi non dovremmo usare dei termini che di per sé esprimono già dei giudizi valutativi.
Le popolazioni potrebbero anche essere suddivise in “stanziali” (o “sedentarie”) e “nomadi” (o “itineranti”), in “agricole” e “allevatrici”, senza che per questo ci si debba sentire in diritto di esprimere giudizi di valore su questa o quella forma di conduzione sociale della vita. I confronti sono sempre relativi.
Una popolazione che usa la scrittura non può essere considerata, solo per questo, più “civile” di quella che si basava sulla trasmissione orale delle conoscenze. Quando i legami tribali sono molto forti, la tradizione orale è più che sufficiente. Per milioni di anni gli uomini non hanno conosciuto la scrittura, ma non per questo la storia si è fermata.
La trasmissione orale delle conoscenze e delle esperienze offriva un certo senso della storia, utile alla conservazione e riproduzione del genere umano e dei suoi valori, secondo leggi di natura, anche se questa trasmissione era infarcita di elementi mitologici, favolistici, che costituivano la cornice fantasiosa di un quadro sostanzialmente realistico.
Non ha senso definire “barbare” le popolazioni che non si riconoscevano nella civiltà greco-romana: lo schiavismo è nato nella polys e non tra i barbari, che anche quando l’hanno praticato, non sono mai arrivati ad adottarlo come “sistema di vita”. Diamo dunque un nome alle popolazioni sulla base della loro provenienza geografica o sulla base delle caratteristiche linguistiche o religiose, ma non usiamo una terminologia comparativa che a priori considera più avanzato solo quanto tradizionalmente ci appartiene: oggi peraltro non sappiamo neppure quanto sia tipicamente “nostro” e quanto no.
Ogni popolazione può avere aspetti di grandezza e di miseria, quindi forme di civiltà e di primitivismo. Le forme di civiltà sono il tentativo di superare il proprio primitivismo. E in questi tentativi si compiono passi avanti ma anche passi indietro, poiché questo andirivieni fa parte della natura umana. Non esiste un vero progresso all’infinito, ma solo il fatto che si compiono scelte diverse, che impongono diverse consapevolezze, diverse forme di responsabilità. Non dimentichiamo che i peggiori crimini contro l’umanità noi li abbiamo compiuti nel XX secolo.