Jackson Hole: i banchieri centrali si improvvisano “sindacalisti”

Jackson Hole: nulla di nuovo sotto il cielo delle banche centrali
di Mario Lettieri* Paolo Raimondi**
*Sottosegretario all’economia del governo Prodi
**Economista

La riunione annuale dei banchieri centrali a fine agosto a Jackson Hole, nello stato americano del Wyoming, sorprendentemente ha dibattuto intensamente i problemi della disoccupazione, dei salari e dell’occupazione.
Non è stato così negli incontri degli anni scorsi quando a Jackson Hole solitamente venivano annunciate le politiche monetarie più accomodanti per la finanza, come quelle dei Quantitative Easing e della liquidità facile.
Sono diventati sindacalisti o hanno inaspettatamente compreso che il lavoro e l’economia reale devono essere prioritari rispetto agli interessi della finanza? Non lo crediamo.
Questa improvvisa preoccupazione per il mondo del lavoro è legittima ma un po’ sospetta. I livelli di disoccupazione sia in Usa che nella zona euro infatti finora sono serviti proprio per giustificare la continuazione di quelle politiche monetarie. Continua a leggere

1) – Le sanzioni contro la Russia: un autogol contro la ripresa europea. 2) – Argentina: non è default, ma resistenza contro la speculazione selvaggia. 3) – Fibrillazione nel sistema bancario: anche la Bri teme una nuova crisi. 4) – Agenzie rating: la “mano armata” della finanza speculativa.

OSPITIAMO QUATTRO INTERVENTI DEI NOSTRI COLLABORATORI SPECIALISTI IN ECONOMIA E FINANZA SU ALTRETTANTI TEMI DI GRANDE IMPORTANZA E ATTUALITÀ.

Mario Lettieri* Paolo Raimondi**
*Sottosegretario all’Economia del governo Prodi **Economista

1) – LE SANZIONI CONTRO LA RUSSIA: UN AUTOGOL CONTRO LA RIPRESA EUROPEA.

Le sanzioni contro la Russia per Washington hanno una valenza soprattutto geopolitica.
E’ il ritorno alla guerra fredda tra le due superpotenze. Per l’Unione europea, invece, esse rischiano di creare dei grandi disastri economici e politici per l’intera area euro-asiatica.
La mancanza di “personalità internazionale” dell’Europa è purtroppo nota. Con il suo indebolimento economico, l’Europa rischia anche di sottomettersi ad un nuovo atlantismo. Ciò farebbe piacere a Washington. Le sanzioni di fatto mortificano il ruolo indipendente dell’Ue e ogni sua autonoma visione strategica degli assetti geopolitici da realizzare.

Gli effetti negativi delle sanzioni in Europa, in particolare in Germania, per fortuna stanno però generando un dibattito profondo sul ruolo e sullo sviluppo dell’Ue.
Come è noto l’Ue ha deciso di estendere le sanzioni anche contro le imprese russe, così come già fatto dagli Usa. Washington ha sulla sua “black list” imprese quali il gigante petrolifero Rosneft, quello del gas Novatek, la Gasprombank e la fabbrica di armamenti Kalashnikov. Queste aziende non possono più chiedere prestiti alle banche americane, né vendere titoli di medio e lungo termine a investitori che hanno legami con gli Usa.

In breve si vuole strangolare finanziariamente le imprese e le banche russe che potranno avere sempre meno accesso ai mercati finanziari internazionali. Il rischio però è un boomerang. Gli effetti si sentiranno in tutta Europa, Germania compresa. In Italia si è già toccato l’export di prodotti agricoli e di vino.
La Confindustria tedesca parla di una perdita di 25.000 posti di lavoro. La Deutsche Bank calcola una diminuzione dello 0.5% del Pil tedesco causata dalle sanzioni incrociate. Continua a leggere

Gideon Levy: “È israele che alimenta l’antisemitismo”.

Aggiungo che questo odio Israele lo alimenta apposta, con l’obiettivo di spingere gli ebrei d’Europa e del mondo a emigrare in Israele. Obiettivo coronato da successo con la politica di odio e disprezzo verso i Paesi arabi e musulmani, che ha fruttato a Israele l’immigrazione di un milione di ebrei che da secoli vivevano senza problemi in quei Paesi. Da tempo tale strategia non funziona più, essendo evidente anche a sempre più ebrei la realtà decisamente non encomiabile di Israele. Ed ecco che si è fatto spazio, ovviamente a spese dei palestinesi, a decine di migliaia di cristiani ortodossi russi, base del potere dell’indecente Avigdor Lieberman, spacciandoli per ebrei. Si è fatto spazio anche a peruviani convertiti all’ebraismo. Manca solo che “tornino” in Israele, per rubRe anche loro terra ai palestinesi, cinesi, giapponesi, eschimesi, lapponi, africani neri e altri affamati di terre altrui convertiti all’ebraismo o comunque spacciati per ebrei.

………………………..

Un’ondata di rabbia sta investendo l’opinione pubblica mondiale. In contrasto con la miopia e l’autocompiacimento dell’opinione pubblica israeliana, all’estero la gente ha visto le foto di Gaza ed è rimasta sconvolta. Per chiunque avesse una coscienza era impossibile fare finta di niente.

Lo shock si è trasformato in odio verso lo stato che ha fatto tutto ciò, e in alcuni casi l’odio ha finito per risvegliare l’antisemitismo dalla sua tana. Sì, nel ventunesimo secolo c’è ancora antisemitismo nel mondo, ed è stato Israele ad alimentarlo. Israele ha fornito all’odio scuse in abbondanza.

Ma non tutti i sentimenti anti-israeliani sono antisemiti. Semmai è vero il contrario: la maggior parte delle critiche a Israele sono fondate e moralmente giustificabili. L’antisemitismo, razzista come tutti gli odi nazionali, è spuntato ai margini di queste critiche, e Israele è direttamente responsabile della sua comparsa.

Ma Israele e l’establishment della diaspora ebraica etichettano automaticamente ogni critica come antisemita. Il trucco è vecchio: il peso della colpa viene trasferito da quelli che hanno commesso gli orrori di Gaza a quelli che si macchiano di cosiddetto antisemitismo. Non è colpa nostra, è colpa tua, mondo antisemita. Qualunque cosa faccia, Israele ha sempre tutto il mondo contro.

Naturalmente questo non ha senso. Così come un poliziotto che fa una multa a un automobilista ebreo non è necessariamente antisemita, come vorrebbero far credere alcune organizzazioni ebraiche, e una rapina a un rabbino non è necessariamente motivata dall’odio razziale, le critiche a Israele non sono necessariamente motivate dall’odio per gli ebrei.

http://www.internazionale.it/opinioni/gideon-levy/2014/08/14/mio-dio-lantisemitismo/

Guerra e religioni

I credenti, di qualsivoglia religione, possono compiere guerre in nome del loro dio? Una domanda del genere è mal posta, per almeno una ragione: la guerra in sé non è un male; lo è solo quando è offensiva; chi rifiuta una guerra difensiva è solo un codardo e, in definitiva, fa gli interessi del nemico.

Semmai ci si dovrebbe chiedere cosa si è fatto per impedirla. Il detto latino, si vis pacem para bellum, guerrafondaio per definizione, andrebbe rovesciato, nisi bellum vis para pacem (“se non vuoi la guerra, prepara la pace”). Una guerra difensiva ha sempre una ragione in più, anzi ha l’unica ragione possibile, anche se chi la fa non è un campione di democrazia. Lo zarismo, p. es., vinse giustamente le truppe napoleoniche, e lo stalinismo quelle hitleriane, e il Vietnam quelle americane, e via discorrendo.

Ancora oggi vediamo, nel mondo islamico, che alcune sue componenti scatenano stragi, eccidi, persecuzioni in nome del fatto che hanno un dio diverso da far valere o un modo diverso di vivere precetti religiosi più o meno simili.

Questa cosa non si verifica solo nel mondo islamico, ma anche là dove esistono Stati confessionali o pluriconfessionali. È sufficiente infatti che nelle compagini governative vi siano elementi del clero o che uno Stato abbia un rapporto privilegiato con una determinata confessione, o che un capo di Stato o un primo ministro, pur essendo un laico sul piano dello status civile, chieda una “benedizione divina” per il buon esito di un conflitto bellico appena fatto scoppiare, ed ecco che il rischio del fanatismo fa capolino. Rischi del genere si corrono anche coi cosiddetti “Stati laici e a-confessionali”; figuriamoci con tutti gli altri.

Ormai sembra essere diventata l’idea stessa di “Stato” a non garantire più nulla di democratico. La democrazia è diventata una lotta quotidiana del cittadino comune, al punto che la pretesa di garantirla, da parte di uno Stato, sembra equivalere, tout court, a una sua violazione.

Laddove esistono società basate sugli antagonismi sociali, è facile diventare “talebani”, anche senza richiamarsi a una religione specifica o a una modalità particolare di vivere i suoi dogmi. Non solo quindi è la religione in sé che si presta facilmente alle strumentalizzazioni del potere politico ed economico, ma vi si prestano anche tutte quelle culture o quei valori di tipo “fondamentalistico”, che sono “laici” solo all’apparenza.

Chiunque sia convinto d’avere la verità in tasca, sia egli credente o meno, non potrà certo essere favorevole alla democrazia politica o all’eguaglianza sociale o al rispetto dei valori umani universali. Laicità vuol dire non avere alcuna idea che possa interferire con la necessità di soddisfare bisogni indispensabili alla sopravvivenza del genere umano.

Indubbiamente oggi usare la religione per cercare d’imporre la propria volontà, fa parte d’un retaggio medievale. Ma è anche vero che chi lo fa, si trova a essere privo di altri strumenti culturali, è ideologicamente immaturo, appunto perché proviene da ambienti disagiati, dove le contraddizioni sono molto evidenti. Chi soffre si esprime come può quando decide di lottare.

Una persona di vedute aperte dovrebbe cercare di andare oltre certi modi di esprimersi, per capire quali situazioni di disagio materiale vi stanno dietro. E, in tal senso, fomentare scontri di civiltà – come fece p. es. l’ultima Oriana Fallaci -, opponendo un “credo” a un altro, non fa che aumentare le distanze. Laicità vuol dire abbassare i reciproci ponti levatoi, uscire disarmati dai propri castelli e riempire insieme i reciproci fossati con della terra comune, che possa servire a far pascolare le rispettive idee. In Italia vi sono stati addirittura degli alti prelati che, preoccupati per un massiccio afflusso di immigrati islamici, chiedevano di favorire solo quelli chiaramente “cristiani”!

Se guardiamo alla storia della chiesa cattolico-romana, dobbiamo dire che, dopo la svolta costantiniana e soprattutto teodosiana, che fece diventare il cristianesimo l’unica religione lecita, non c’è stato un momento in cui il papato o comunque il clero o gli esponenti laici più intolleranti di questa confessione, non abbiano usato motivazioni religiose per giustificare persecuzioni, eccidi e guerre d’ogni genere. L’elenco è così lungo che ci vorrebbero dei libri: in tal senso ci si può limitare a quelli di K. Deschner, Il gallo cantò ancora (Massari ed.) e di W. Peruzzi (scomparso di recente), Il cattolicesimo reale (Odradek ed.), vere “bibbie” sull’intolleranza cattolica.

La disonestà della classe dirigente e l’immoralità di quella militare d’Israele, che ingannano e usano in modo cinico (anche) i propri giovani


L’esultanza di questi giovani soldati dopo la nuova terribile mattanza a Gaza dimostra l’imbecillità dell’età giovanile di ogni parte del globo quando è imbevuta di nazionalismo e dimostra l’odio contro i palestinesi con il quale in Israele i cittadini vengono formati fin dalle scuole elementari, grazie ai programmi scolatici che, come rivelato da molti docenti di storia israeliani, hanno deliberatamente falsato la Storia e la narrazione della nascita di Israele. E’ come se in Italia si scoprisse che Garibaldi e i garibaldini anziché avere “fatto l’Italia” con le famose battaglie (più qualche strage in Sicilia…) l’hanno fatta con la pulizia etnica di oltre 500 villaggi, paesi, quartieri e città oltre che con una serie impressionante di stragi di civili, esecuzioni sommarie, saccheggi e ruberie varie. E’ come scoprire che in Italia Garibaldi anziché andarsene in esilio a Caprera s’era fatto un ranch sul territorio di un paese di meridionali evacuato e distrutto così come ha fatto Sharon nel Negev con il territorio di un paese “ripulito”. Continua a leggere

LA DISFATTA MORALE DI ISRAELE

http://nena-news.it/amira-hass-la-disfatta-morale-di-israele-ci-perseguitera-per-anni/Amira Hass: “La disfatta morale di Israele ci perseguiterà per anni”

Scrive la giornalista israeliana Amira Hass: “Se vittoria vuol dire causare al nemico una pila di bambini massacrati, allora Israele ha vinto. Queste vittorie si aggiungono alla nostra implosione morale, la sconfitta etica di una società che ora si impegna a non fare un’auto-analisi, che si bea nell’autocommiserazione a proposito di ritardi nei voli aerei?”.

La casa distrutta del leader di Hamas Ismail Haniyeh (Foto: Finbarr O’Reilly/Reuters)
[PINO NICOTRI: DA NOTARE CHE LUI E’ ALL’ESTERO, PERCIO’ BOMBARDARGLI LA CASA E’ STATO SOLO UN ATTO DI BARBARIE, I MILITARI ISRAELIANI GLI HANNO MASSACRATO LA FAMIGLIA, I PARENTI, GLI AMICI ED EVENTUALI INQUILINI SOLO PER IL GUSTO PEGGIO CHE ANIMALESCO DELLA VENDETTA, ACCECATI DA UN ODIO SEMPRE PIU’ BESTIALE, ANCHE SE IN REALTA’ LE BESTIE NON ODIANO. A ODIARE SIAMO SOLO NOI ESSERI COSIDDETTI UMANI]

di Amira Hass – Haaretz

Ramallah, 30 luglio 2014, Nena News – Se la vittoria si misura in base al numero dei morti, allora Israele e il suo esercito sono dei grandi vincitori. Da sabato, quando ho scritto queste parole, a domenica, quando voi le leggete, il numero [dei morti palestinesi] non sarà più di 1.000 (di cui il 70-80% civili), ma anche di più [sono 1200, ndt].

Quanti altri ancora? Dieci corpi, diciotto? Altre tre donne incinte? Cinque bambini uccisi, con gli occhi semichiusi, le bocche aperte, i loro piccoli denti sporgenti, le loro magliette coperti di sangue e tutti trasportati su una sola barella? Se vittoria vuol dire causare al nemico una pila di bambini massacrati su una sola barella, perché non ce ne sono abbastanza, allora avete vinto, capo di stato maggiore Benny Gantz e ministro della Difesa Moshe Ya’alon, voi e la nazione che vi ammira. Continua a leggere