A quali condizioni è possibile un ritorno al comunismo primitivo? (VI)

Tornare al comunismo primitivo per noi oggi vuol dire tornare a una proprietà comune dei mezzi produttivi, in nome del primato del valore d’uso, favorendo la sinergia tra agricoltura e allevamento. L’industrializzazione deve essere ridotta al minimo indispensabile (a una forma d’artigianato), in quanto i suoi prodotti, in genere, ledono il diritto della natura alla riproduzione. Noi dovremmo ammettere soltanto l’industria di quei prodotti naturali visibili a occhio nudo. Scavare in una miniera o nelle profondità della terra è già indizio di civiltà, e noi dalla civiltà dobbiamo uscire.

E’ curioso notare come quanto più forti sono le contraddizioni sociali, tanto più si vanno a cercare risorse nelle profondità della terra. Gli indiani d’America, prevalentemente nomadi, si rifiutavano di praticare persino l’agricoltura, poiché temevano di “ferire la terra”. In effetti, quanto più siamo andati in profondità, tanto più abbiamo devastato la natura, e questa è stata tanto più devastata quanto più s’è cercato di trovare risorse energetiche equivalenti a quella solare, minacciando seriamente (l’abbiamo visto col nucleare) la stessa sopravvivenza umana.

Il criterio di alto o basso livello delle forze produttive non dà alcun vero indicatore circa il “benessere sociale” di una comunità umana. Non può essere un criterio economico di quantità a determinare il criterio sociale di qualità di un collettivo umano. Il socialismo scientifico ha ereditato dall’economia politica borghese un concetto di “benessere” che coincide troppo con “produttività” e molto poco con “socializzazione”. Più importante dell’economico non vi è solo l’ecologico ma anche il sociale.

Se un uomo primitivo potesse leggere quel che di lui oggi gli storici dicono, e cioè che essendo molto basso il livello produttivo del suo lavoro, era di conseguenza molto precario tutto il resto, ci obietterebbe facilmente che tutto è relativo. Un livello molto alto di produttività non solo non garantisce maggiore democrazia e maggiore ambientalismo, ma, stando ai risultati storici, si dovrebbe sostenere proprio il contrario: qualcuno (i più deboli) e qualcosa (la natura) hanno pagato caro il “benessere” esagerato che altri hanno voluto vivere.

Infatti un alto livello produttivo non può basarsi sul necessario (come nell’autoconsumo) ma sul superfluo, non può capire la fatica ma solo la comodità, non è interessato a risparmiare ma a sperperare, antepone sempre l’interesse individuale a quello collettivo, nonché l’artificioso macchinismo alla riproduzione naturale delle cose. Ecco perché diciamo che tutto quanto esula dall’autoconsumo va considerato come frutto di un’alienazione sociale, di uno sradicamento dalla terra.

Bisogna inoltre fare molta attenzione alle origini materiali del “benessere sociale”, che non può dipendere in alcun modo da fattori esterni (esogeni) alla comunità locale. Se una comunità è “benestante” semplicemente perché commercia con altre comunità, possiamo stare sicuri che prima o poi tra queste comunità scoppierà una guerra. Venezia, p.es., fruiva di rapporti commerciali privilegiati con Bisanzio, ma questo non le impedì di saccheggiarla orrendamente nel corso della quarta crociata.

Se il livello del benessere non dipende prevalentemente da fattori interni (endogeni) alla sopravvivenza della comunità locale, è inevitabile il ricorso alla guerra. Chi imposta il benessere sul commercio, aspira ad aumentarlo di continuo e non tollera in alcun modo variazioni che ne limitino la portata.

Si dirà che le crociate sono scoppiate quando ancora in Europa occidentale dominava l’autoconsumo. Sbagliato. Le crociate sono avvenute quando l’inizio dello sviluppo borghese era avvenuto in modo tale da togliere all’autoconsumo le sicurezze che aveva avuto un tempo. Alle crociate parteciparono sia i contadini affamati che i borghesi e i latifondisti loro affamatori.

La pace tra una comunità e l’altra può essere garantita solo se è nettamente prevalente l’autoconsumo, mentre il commercio va limitato alle eccedenze o al superfluo. Non può riguardare neppure quelle cose ritenute essenziali che non si riescono a produrre in quantità sufficiente: anche se queste cose fossero pochissime, sarebbero comunque sufficienti a minare l’indipendenza di una comunità.

La mancanza di elementi essenziali alla propria sopravvivenza ci rende facilmente ricattabili, esposti alle mire espansionistiche altrui. La proprietà collettiva dei principali e fondamentali mezzi produttivi deve esser tale da garantirci la riproduzione senza l’aiuto di forze esterne. A meno che la dipendenza non sia assolutamente reciproca: p.es. gli allevatori possono aver bisogno degli agricoltori e viceversa. E’ però difficile, anche se non impossibile, che una comunità possa fare affidamento, per assicurarsi la sopravvivenza, alla volontà di membri che non le appartengono, pur sapendo che questi sono costretti a comportarsi nella stessa maniera.

Quando prima si diceva che occorre tornare al comunismo primitivo, passando eventualmente per l’autoconsumo feudale, s’intendeva appunto escludere che il feudalesimo sia fallito a causa dell’autoconsumo, come spesso sostengono gli storici: il feudalesimo è fallito per il servaggio e per il clericalismo che gli era connesso in maniera ideologica.

Il servaggio ha portato a cercare un’alternativa non solo a se stesso, ma anche all’autoconsumo: il libero mercato (libero perché formalmente o giuridicamente i contraenti, che comprano e vendono, sono liberi, si sentono equivalenti). Un’alternativa che in realtà non ha fatto che produrre nuove contraddizioni antagonistiche, ancora più gravi delle precedenti.

Lo sviluppo del capitalismo non ha costituito alcuna vera alternativa all’autoconsumo medievale, anche perché ha fatto pagare le proprie conseguenze al mondo intero. L’illusione di una libertà individuale, connessa all’uso della scienza e della tecnica, nonché all’accumulo di capitali facili attraverso l’industria o il commercio, è stata la tentazione n. 1 che ha provocato la morte dell’innocenza originaria dell’autoconsumo.

5 commenti
  1. Controcorrente
    Controcorrente says:

    Società nomadi ,società stanziali..economie ..commerci..

    Senza scomodare più di tanto ,ma grazie gli studi di antropologia ed antropologia sociale, si possono tranquillamente affermare alcuni tratti comuni alle “società nomadi” semprechè il termine di socialità venga esteso ad agglomerati di individui quali “clan e tribù..
    Detto ciò è più che evidente che bisogna a mio avviso bisogna ancora distinguere tra “agglomerati” che avevano possibilità di muoversi entro ampissimi spazi e agglomerati che ne avevano meno “tipo gli abitanti di isole”….che so le Trobiand tanto per essere vicini ad un modello ampliamente sfruttato di studi antropogici.
    Appare chiaro (ed è il caso delle tribù indiane del Nordamerica)che il loro rapporto con il territorio non è che non prevedesse “confini”per la tribù , ma semmai questi erano determinati da due fattori essenziali A) la loro capacità di spostamento ,rispetto all’oggetto della “sussistenza”(le mandrie di Bufali”B)l’eventuale ampliarsi o meno della demografia della tribù

    In tal senso ,anche se poco studiate “conflitti tra tribù nascevano anche all’epoca , e gli eventuali “prigioneri” erano trattati al pari o più o meno come gli “schiavi”ovviamente le donne in misura maggiore.

    Io penso che qualsiasi “cambiamento”rispetto ai punti Ae B, dovesse comportare di consengueza la revisione degli “schemi” di vita e di rapporto con il territorio fino a quel momento assunti o dati per certi, pena la scomparsa o la scomparsa del gruppo o clan o tribùo altro.

    Fermo restando ovviamente che alcuni canoni classici , ovvero il loro rapporto con la natura rimasse sostanzialmente immutato.
    Tuttavia ,due fattori sono amio avviso intoccabili:
    Quelle società non “elimivano il “conflitto”
    Quelle società non eliminavano del tutto la “divisione del lavoro”.
    Cacciatore guerriero,donne ,sciamani !
    Di questo credo bisogna tener conto come dati soggettivi ..!!
    credo anche che forme elementari scambio esistessero..

    In sostanza se si vuole analizzare il “fenomeno” in termini entropici gli elementi di “disturbo”o eventualmente perturbatori erano molto piccolì in rapporto al sistema “comunque chiuso”della estesissime praterie e dei grandi laghi..
    da questo punto di vista la 2produzione” di caos sistemico dilungabile in tempi lunghissimi ….

    cc
    Ps- penso di andare avanti appena il tempo me lo consente, intanto caro enrico aspetto tue eventuali osservazioni su quanto da me affermato finora.
    saluti

  2. Enrico Galavotti
    Enrico Galavotti says:

    Ti dirò, sono quasi arrivato alla conclusione, pur essendo un fervente sostenitore del socialismo agrario, che il nomadismo sia eticamente superiore alla stanzialità, ovvero che i primi indizi di involuzione la storia li ha sperimentati con la lavorazione della terra.
    Nomadi e stanziali si odiano senza pietà e la storia ha dato ragione a quest’ultimi, ma di tanto in tanto gli altri si prendono la rivincita (pensa solo a cosa ha fatto il grande Gengis Khan). Guarda le migrazioni dall’Africa verso l’Europa: per me sono come tribù di nomadi che vengono a guastare le nostre sicurezze, i nostri privilegi.
    Non rimpiangi il tipo di vita degli indiani nordamericani? Una tenda, un arco per andare a caccia, respirare l’aria delle foreste, contemplare i canyon, ballare con i compagni di tribù, fumare il calumet della pace, curarsi con le piante medicinali… Cosa vuoi di più? Cosa ti manca? Perché i bianchi, che già avevano molto di più, gli hanno portato via tutto?
    Quando le tribù venivano a conflitto tra loro e facevano dei prigionieri, questi non venivano mai trattati come schiavi, ma al massimo come servi domestici. Non esisteva il bisogno di sfruttare il lavoro di qualcuno per campare di rendita. Il lavoro principale era la caccia (e la pesca) e ad essa nessuno avrebbe rinunciato per tutto l’oro del mondo, perché quella era l’occasione buona per far vedere le proprie capacità.

  3. Linosse
    Linosse says:

    Ritorno alla diversità ,non tanto di religioni,ma di credenze.
    Manitu,la Pachamama erano molto diversi dal Dio biblico che ha sviluppato questo senso di volersi imporre a tutta forza con uso ed abuso della “civilizzazione”a fil di spada.
    In fondo le migrazioni “archetipe” legate alla nostra cultura,dalla ricerca del vello d’oro in poi ,hanno avuto una sola finalità:
    la soddisfazione dei beni materiali.
    I risultati li conosciamo.
    Tutto il rapporto con una vita più naturale e coerente con la presenza umana sulla terra ,la situazione dell’essere,si è trasformato in cosa vile,da disprezzare sopraffatto dalla nevrosi dell’avere.
    A mio modo di vedere,ritornando ad una considerazione intuitiva ,forse non politica,di una credenza più universale potremmo ricomporre lo strappo iniziale tra l’essere tipico delle tribù nomadi (forse un tipo di comunismo primitivo)e l’avere che è iniziato con lo sviluppo dell’agricoltura con imposizione del possesso della terra fondamento base dello stesso sviluppo.

    Per tornare a quanto avevo introdotto nel precedente commento la credenza universale che intendo si riferisce ad un Dio unico,che non ha bisogno di “stutture”,con presenza diretta senza cleri o caste sacerdotali,luoghi di culto insomma di tutto quello che ha reso la religione “oppio dei popoli”.
    Ho trovato interessante quanto scritto su “paradigma olografico” di Google che propongo
    Saluti
    L.

  4. Enrico Galavotti
    Enrico Galavotti says:

    Con l’ebraismo la religione è più di una semplice religione, vuole porsi come esperienza di vita per un intero popolo. Aveva necessariamente un contenuto politico, per molti versi antischiavistico (Abramo fugge dalla schiavitù babilonese, Mosè da quella egizia), e inevitabilmente doveva concretarsi in una legge da far rispettare. Questo a prescindere dall’involuzione che l’ebraismo ha poi ha avuto già con la monarchia davidica e salomonica.
    L’ebraismo antischiavistico ha dovuto farsi largo in un periodo storico in cui tutti gli Stati che gli stavano attorno era profondamente schiavistici.
    Se ci pensi c’è più “religione” nel cristianesimo che nell’ebraismo, col suo culto astratto del regno dei cieli. Non a caso infatti il cristianesimo, per imporsi, ha dovuto fare molti compromessi col paganesimo.
    ciaooo

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