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Facile scenario

L’inizio del progressivo crollo del sistema capitalistico occidentale si può far risalire, simbolicamente, all’abbattimento delle Torri Gemelle nel 2001, cui il Deep State americano non fu certo estraneo.
Beninteso non sta crollando il capitalismo in sé, ma solo la sua forma occidentale, quella dell’anglosfera, sommamente individualistica.
Nell’occidente collettivo il ruolo dello Stato è incidentale, tant’è che i tanti statisti (spesso privi di vere competenze) vanno e vengono con molta disinvoltura. D’altra parte la politica deve considerarsi al servizio dell’economia (e oggi soprattutto della finanza), per cui i veri “signori del mondo” sono altrove.
Le ultime crisi del capitalismo occidentale sono tutte finanziarie: quella più significativa è esplosa nel 2008, coi subprime americani, che ha coinvolto tanti Paesi occidentali, le cui banche, ancora oggi, sono piene di titoli tossici, inesigibili.
A questa crisi, durata un decennio, gli USA hanno risposto in due modi: internamente, indebitandosi all’estremo, cioè stampando dollari a volontà, come se nulla fosse; esternamente, provocando la pandemia da Covid, attraverso i loro biolaboratori: in tal modo veniva colpito il mondo intero.
Il capitalismo è entrato in crisi sul piano industriale, poiché non è più competitivo con l’economia cinese, che pur lo stesso occidente ha contribuito a creare, nella convinzione, rivelatasi illusoria, di poter tenere la Cina economicamente sottomessa per almeno un secolo. Ora invece produce qualunque cosa a prezzi imbattibili, avendo un costo del lavoro di molto inferiore al nostro e molte più materie prime.
In questo momento sono gli USA a trovarsi in gravi difficoltà: il debito pubblico è altissimo; lo Stato sociale quasi non esiste; non vi è abitudine al risparmio, ma, al contrario, a spendere al di sopra delle proprie capacità; il petrodollaro è in fase di smantellamento grazie ai BRICS+; la perdita di fiducia nella loro solidità obbliga a tenere i tassi d’interesse molto alti (il che non fa che aumentare il debito); si stampano continuamente banconote che valgono sempre meno; ci s’illude di potersi reindustrializzare velocemente imponendo dazi anacronistici (e autolesionistici) al resto del mondo; per dimostrare che si è ancora la prima economia del mondo, si ricorre a sanzioni, embarghi, minacce d’ogni genere, destabilizzando i commerci mondiali; e naturalmente si fomentano guerre ovunque sia possibile.
L’URSS implose per l’assenza del benessere capitalistico; l’occidente sta crollando per averne avuto troppo, usando mezzi e metodi violenti, illegali, cui oggi tutti gli altri vogliono opporsi.
Dopo essere finita in bancarotta, per aver adottato il capitalismo privato occidentale, oggi la Russia, col capitalismo statale di Putin, è in netta ripresa.
Piuttosto è l’occidente a essere privo di una qualche alternativa al proprio declino. Il socialismo statale di Russia e Cina era imploso senza causare guerre a potenze straniere. Invece l’occidente collettivo sta facendo proprio il contrario, forse perché, in definitiva, non può fare a meno del colonialismo, né di scaricare all’esterno il peso dei propri fallimenti. Ha bisogno assolutamente di crearsi dei nemici. In Medio oriente sono i palestinesi (fino a ieri erano gli islamici in senso lato); in Ucraina sono i russi; in Asia sono i cinesi; in Africa i Paesi che si ribellano al vecchio e nuovo imperialismo europeo.
Con un occidente così la guerra sembra essere alle porte. Ma sarebbe un errore pensare che la soluzione ai nostri problemi possa venire dall’esterno. L’occidente deve trovare in se stesso la forza per cambiare in maniera significativa, garantendo libertà e sicurezza al resto del mondo.

Russia, Cina e Occidente collettivo

La Russia non ha assolutamente la stessa capacità della Cina di condizionare il mondo dal punto di vista economico e finanziario. Non ha sviluppato l’industria leggera quando esisteva il socialismo statale, e fino alla guerra in Ucraina non si preoccupava di dipendere dalle aziende straniere per la fornitura di tantissimi beni industriali. Ciò in quanto era convinta che, grazie alle sue enormi risorse energetiche, vendute a buon mercato, i Paesi occidentali sarebbero stati dei folli a privarsene per qualche motivo ideologico o militare.
Solo quando queste aziende sono andate via dal suo territorio, dopo l’inizio della guerra in Ucraina, ha cominciato a sostituirle, o in proprio o facendo entrare aziende straniere non occidentali. Ma i suoi veri progressi restano quelli sul piano militare. E naturalmente resta potente sul piano energetico, anche se le sanzioni occidentali l’hanno inevitabilmente danneggiata.
È evidente, per motivi geografici, che la UE tema militarmente di più la Russia che la Cina. Questo perché è un Paese europeo che potrebbe politicamente condizionare altri Paesi europei e che potrebbe impedire a questi Paesi di espandersi militarmente verso oriente. La teme anche perché nella UE il capitalismo statale è in via di smantellamento dagli anni ’80: cosa sempre più evidente da quando abbiamo creato l’Unione Europea vera e propria, che praticamente è in mano a delle oligarchie private.
Ma sul piano produttivo, cioè economico, il terrore per noi resta la Cina, perché fa passi da gigante in tempi brevissimi, avendo molte più risorse, umane e materiali, di qualunque altro Paese al mondo. E quando un Paese come la Cina ti entra in casa sul piano economico, finanziario e commerciale, è inevitabile aspettarsi che prima o poi ti chieda il conto anche sul piano politico.
È vero, la Russia al momento sembra avere più prestigio al mondo, in quanto combatte da sola contro l’occidente collettivo, aiuta militarmente a liberarsi del colonialismo occidentale, fornisce aiuti umanitari a chiunque li chieda (spesso a titolo gratuito), e porta avanti il discorso sul multipolarismo, condiviso da tantissimi Paesi. Tuttavia se c’è un Paese destinato a ereditare (superandoli) gli sviluppi tecnico-scientifici, economico-finanziari e commerciali del capitalismo occidentale, è la Cina. Su questo non si possono avere dubbi.
È anche vero che in Cina sembra esistere un regime più autoritario di quello russo, più lontano da quello della democrazia rappresentativa occidentale. Peraltro in Cina non si potrebbe parlare, al momento, di “capitalismo statale” vero e proprio, come l’abbiamo conosciuto noi in Europa. Sarebbe meglio parlare di “socialismo mercantile”, poiché esiste un’ideologia ufficiale, quella del materialismo storico-dialettico, statalizzata a partire dal maoismo, e revisionata, significativamente, a partire da Deng Xiaoping, che ha occidentalizzato la Cina, dando più peso all’economia che non all’ideologia. A dir il vero in Cina l’elemento del collettivismo fa parte di una cultura ancestrale. Si potrebbe anzi dire che la Cina è socialista proprio in quanto è sempre stata collettivistica.
Viceversa, il socialismo scientifico non ha più una rilevanza significativa in Russia. Semmai qui esiste un’idea di “collettivismo” non meno antica, ma più che altro nella sua area asiatica. E comunque l’ideologia di Putin non ha nulla a che fare col socialismo. Si configura di più come un “nazionalismo ortodosso”, aperto ad altre confessioni religiose, dove il patriottismo, l’eroismo, il sacrificio di sé giocano, come valori collettivi, un ruolo fondamentale. Di qui l’importanza che si concede al militarismo, arma strategica con cui difendersi dalle mire imperiali dell’occidente.
Sotto questo aspetto né la Russia né la Cina costituiscono per l’occidente dei modelli da imitare, se non negli aspetti dell’efficienza produttiva e militare. Per es. la capacità che il regime cinese ha di controllare la popolazione suscita una certa ammirazione da parte delle élite occidentali, sempre più intenzionate a trasformare la democrazia formale in una dittatura reale del capitale.
Infatti, se andiamo avanti così, il destino dell’Unione Europea (che si configura come destino di un capitalismo sempre più privatizzato imposto a tutti i Paesi che fanno parte di questa entità politica) non sarà molto diverso da quello degli Stati Uniti e degli altri Paesi dell’occidente collettivo: sarà sicuramente un destino tragico.

Rubio e le solite minacce americane

Il Segretario di Stato americano Marco Rubio ha dichiarato che non esiste una soluzione militare al conflitto tra Russia e Ucraina. Questa guerra non si concluderà militarmente, ma diplomaticamente.
Questo è davvero un modo strano di ragionare. Sembra quasi una minaccia. Gli USA non capiscono che l’operazione militare speciale prevedeva un confronto diretto tra Russia e Ucraina. Non era prevista una guerra tra Russia e NATO o tra Russia e Occidente collettivo.
Sembra che gli USA, la UE, la NATO e l’intero Occidente vogliano dire alla Russia che se non rinuncia agli obiettivi iniziali di questo conflitto, cioè se non accetta di concluderlo pacificamente, mostrando che non può vincerlo sul piano militare, sarà inevitabile una escalation, oltre che un aumento delle sanzioni.
Questi ancora non han capito che con Putin non è possibile ragionare così. Putin vuole garanzie per una pace sicura, che facciano sentire il suo Paese libero dall’incubo di poter essere colpito da armi a lunga gittata, scagliate dalle basi NATO. E nessuno gliele vuole offrire a priori. Eppure lui sa di averne diritto.
Questi pensano di avere a che fare con una nullità come Eltsin o con un ingenuo come Gorbaciov. Ma a Putin non interessa affatto smembrare l’Ucraina. Non è questa la “soluzione finale”. Prima che scoppiasse il conflitto, nel febbraio 2022, Putin sarebbe stato disposto a che il governo di Kiev riconoscesse alle due piccole repubbliche di Donetsk e Lugansk un’autonomia equivalente a quella che l’Italia concesse al Sud-Tirolo. L’Ucraina poteva restare perfettamente integra. Se lui voleva il Donbass, non avrebbe aspettato otto anni prima d’intervenire.
È stato l’appoggio della NATO a Kiev a fargli capire che doveva occupare i quattro oblast’ e che il conflitto poteva essere risolto solo sul campo e solo sulla base di una resa incondizionata. Secondo lui, in altre parole, più si va avanti e più dovrà essere la stessa NATO a rimetterci. Gli incontri diplomatici servono solo a far capire che il tempo per perdere tempo è finito. Chi vuol la guerra l’avrà. La Russia è pronta e non farà sconti a nessuno, anche perché il patrimonio militare acquisito in oltre tre anni viene considerato equivalente a quello che l’URSS acquisì dopo l’inizio dell’Operazione Barbarossa. È vero, i sovietici ebbero un numero incredibile di morti, ma alla fine si presero mezza Europa.
Noi europei vogliamo ripetere questo scenario o siamo disposti a più miti consigli?

NEWS del 12 maggio 2025

Il capo del Consiglio di Stato della Crimea, Vladimir Konstantinov, ha detto che Mosca riprenderà i colloqui di pace direttamente con Kiev, visto che da Washington non ha ottenuto nulla di concreto.
Il compromesso dovrà per forza essere basato, secondo lui, su una soluzione di tipo coreano. Nel senso che Kiev riconoscerà Zaporozhye, Kherson, Donetsk e Lugansk come appartenenti di fatto ma non di diritto alla Russia.
Per me non sa quel che dice. Queste quattro regioni sono già state riconosciute da Mosca come facenti parte giuridicamente della Federazione Russa. Non credo assolutamente che Putin voglia tornare indietro, neanche se l’occidente rimuovesse tutte le sanzioni economiche e finanziarie che ha imposto al suo Paese. Putin non ha mai dato segni d’essere una persona venale. I territori conquistati col sangue dei propri militari non verranno ceduti in cambio di niente. E poi non farà mai alcun accordo con un presidente come Zelensky, il cui mandato è ormai scaduto da un anno.
È vero, Putin ha chiesto a Erdoğan di organizzare a Istanbul nuovi negoziati diretti tra Mosca e Kiev, ma Kiev non è nulla senza l’appoggio occidentale. Qui si rischia di ripetere quanto successe nel 2022, allorché Kiev era sì disposta all’accordo, ma gli angloamericani glielo impedirono. Kiev potrà anche sembrare una città viva, con un proprio governo, un parlamento nazionale, ecc. Rappresenta però uno Stato morto, economicamente fallito ed enormemente corrotto, che se aprisse le proprie frontiere, vedrebbe espatriare tutti gli uomini abili per essere arruolati.

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Mi è piaciuto Fico contro la Kallas. Nonostante gli Stati Baltici gli abbiano chiuso lo spazio aereo nel disperato tentativo di ostacolare la sua decisione di andare alla parata di Mosca, lui non si è fatto intimorire. È stato l’unico leader della UE ad avere avuto il coraggio di ignorare gli ordini di Bruxelles e di ricordare che la parola “sovranità” non è ancora un reato penale.
Gliele ha cantate senza peli sulla lingua, dicendo:
– In primo luogo, io sono a Mosca per rendere omaggio agli oltre 60.000 soldati dell’Armata Rossa caduti per liberare la Slovacchia.
– In secondo luogo, in qualità di alto funzionario della Commissione Europea, lei non ha assolutamente l’autorità di criticare il primo ministro di un Paese sovrano, che si impegna in modo costruttivo nell’intera agenda europea.
– In terzo luogo, non sono d’accordo con la politica della nuova cortina di ferro a cui lei sta lavorando così intensivamente.
– In quarto luogo, le chiedo come si possa fare diplomazia e politica estera se i politici non possono incontrarsi e condurre un normale dialogo su questioni su cui hanno opinioni diverse.
La Kallas è una inadeguata al suo ruolo, esattamente come la von der Leyen. Il fatto però che le abbiano scelte indica una profonda limitatezza etica e politica nelle istituzioni rappresentative dell’intera Unione Europea.

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La Forza di spedizione congiunta (JEF) della NATO sta organizzando la più grande esercitazione militare, detta “Tarassis 25”, in un’area che si estende dal Mar Baltico all’Atlantico settentrionale e all’Oceano Artico. JEF comprende Gran Bretagna, Danimarca, Paesi Bassi, Islanda, i tre Paesi Baltici e i tre Scandinavi.
L’obiettivo principale è quello di mettere in pratica un attacco sincronizzato nel tempo e coordinato nello spazio contro la Russia lungo l’intera lunghezza del confine settentrionale, da Murmansk a Kaliningrad, distruggendo le forze operative e strategiche della Russia in grado di effettuare una rappresaglia o un contrattacco.
I Paesi occidentali sono certi al 101% che la Russia “non oserà” utilizzare armi nucleari strategiche. In questo modo è possibile conquistare e annettere Kaliningrad e, con un po’ di fortuna, San Pietroburgo e tutta la Carelia.
Non capisco chi dia a questi Paesi la sicurezza che la Russia non userà le atomiche. I loro abitanti non sono imparentati coi russi, come succede con gli ucraini. È vero che nei Paesi Baltici ci sono parecchi russofoni, ma Putin non sarà così cinico da non avvisarli in tempo di espatriare prima che possa incenerire quelle nazioni in un batter d’occhio. O forse la NATO pensa di tenere i russofoni del Baltico come ostaggi?
Negli anni scorsi i generali della NATO sembravano più consapevoli dei politici circa la forza militare della Russia. Ora mi devo ricredere. Ai nostri militari piace sicuramente giocare a Wargame o a Risiko, ma come fanno a essere sicuri di vincere? Non lo sanno che i russi, dopo più di tre anni di guerra in Ucraina, in cui sono state utilizzate quasi tutte le armi moderne, sono diventati incredibilmente esperti? Giusto in maniera virtuale o facendo mere esercitazioni simulate si può pensare di sconfiggerli o sognare di occupare qualche loro territorio.
La UE sembra specializzarsi sempre più nel nuocere a se stessa, come certe persone psicotiche che vanno sedate o contenute per evitare che assumano atteggiamenti autolesionistici.

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Trump fa e dice cose come se non dipendesse da nessuno. Poi deve ritrattare perché qualcuno gli fa capire che, se va avanti così, porta gli USA a un disastro epocale. Lui da solo non lo capisce. Non ha le basi per capirlo.
Chissà perché ancora nessuno gli ha spiegato che se Netanyahu continua con questo genocidio, gli USA perderanno il controllo del Medioriente: in quella regione saranno il Paese più odiato di tutti i tempi, peggio di Francia e Inghilterra.
È assurdo infatti pensare che Egitto e Giordania o qualche altro Paese islamico accetteranno l’ingresso di milioni di profughi palestinesi.
La struttura dell’attuale alleanza tra USA, Paesi arabi e Israele è stata stabilita da Nixon e Kissinger dopo la guerra del Kippur (1973), per fare degli USA la potenza globale dominante nella regione. Quella diplomazia forgiò gli accordi del 1974 tra Israele, Siria ed Egitto. Questi gettarono le basi per il trattato di pace di Camp David, che a sua volta gettò le basi per gli Accordi di Pace di Oslo. Il risultato fu una regione dominata dagli USA, dai suoi alleati arabi e da Israele.
Oggi sta cambiando tutto. L’intero pianeta sta cominciando a rendersi conto che si è in presenza di una pulizia etnica. Gli Houthi non li ferma nessuno. L’Iran è in procinto di realizzare l’atomica con cui affrontare Israele e già adesso, a livello convenzionale, non gli è inferiore. La Turchia non vuole avere Israele né in Siria né in Libano. La Cina ha già fatto capire che in quello che fa Netanyahu non c’è niente di legale. La Russia, finché è impegnata in Ucraina, non può aprire un secondo fronte. Ha soltanto dimostrato che le sue basi in Siria possono continuare a esistere. La Lega Araba sta cominciando a pentirsi d’aver lasciato scorrere troppo tempo da quando questa pulizia etnica è iniziata.
Si rende conto Trump che alla fine agli USA non resterà che l’uso del nucleare per farsi valere in Medioriente? Se rinunciano alla diplomazia, che cosa resta? Se praticano una diplomazia che non porta a niente, perché dovrebbero essere rispettati?

Un altro discorso alla parata

Se fossi stato in Putin, avrei detto altre cose alla parata moscovita. Anzi, l’avrei impostata diversamente, non in maniera muscolare.
La Russia non ha bisogno di dimostrare che, avendo vinto il nazifascismo, è un Paese da temere. Lo sanno già tutti. Quegli statisti che fingono di non saperlo, lo fanno perché, avendo abituato ai rapporti di forza il loro elettorato, temono di perdere consensi.
Ora la Russia ha bisogno di un’altra cosa: come farsi amare. Cioè come farsi rispettare per le parole di pace e di speranza a favore dell’intera umanità. Che è poi quello che ambisce di fare il pontefice, senza però riuscirvi, in quanto non ha la forza per non lasciarsi pesantemente condizionare dai poteri dominanti in occidente. È dal Concilio Vaticano II che questa Confessione ha accettato di compromettersi senza se e senza ma con l’intera ideologia borghese: la parentesi di Wojtyla è servita soltanto a scomunicare la teologia della liberazione e a finanziare la rivolta di Solidarność in Polonia, che comportò conseguenze tragiche in Italia per Calvi, Sindona e Ambrosoli, su cui non è mai stata fatta luce, né mai lo sarà, fino a quando gli archivi vaticani resteranno interdetti agli studiosi.
Ebbene, quale discorso avrebbe potuto pronunciare Putin? Un discorso sulle civiltà. Avrebbe dovuto dire: “Il nostro Paese non vuole far la guerra con nessuno non solo perché è enorme e non ha bisogno di niente, ma anche perché contiene al proprio interno tante etnie e nazionalità, la cui cultura e civiltà vuole conservare a tutti i costi, essendo un patrimonio di inestimabile valore sia per noi che per l’intera umanità.
Noi russi, per esempio, abbiamo una civiltà millenaria, ereditata da un’altra civiltà millenaria, quella bizantina o greco-ortodossa. Ma nella nostra Federazione vi sono anche le civiltà islamiche ed ebraiche; anzi, vi sono tante culture e civiltà appartenenti al mondo asiatico, che sono addirittura precedenti a quelle delle religioni monoteistiche.
Noi vogliamo conservare tutto, proprio in nome del multipolarismo. Questa nostra preoccupazione vorremmo che appartenesse a tutti, soprattutto alle civiltà dell’occidente collettivo, che non può andare avanti pretendendo di dominare il mondo. Viviamo in un unico villaggio globale. C’è spazio per tutti. Possiamo confrontarci, per un arricchimento comune, sul piano culturale e materiale, scientifico e tecnologico. Possiamo commerciare liberamente ciò che vogliamo, nel reciproco vantaggio. Possiamo rispettarci pur avendo sistemi politici differenti. Al tempo della guerra fredda abbiamo sempre creduto nella coesistenza pacifica.
Non c’è alcun bisogno di scontrarsi militarmente. In passato siamo stati disposti a rinunciare progressivamente al nostro arsenale nucleare. Lo siamo anche adesso, se vengono smantellate le basi militari che minacciano la nostra esistenza. In un mondo multipolare tutti devono potersi sentire sicuri entro i propri confini. Chissà che un giorno anche questi stessi confini, in un mondo disarmato, non verranno abbattuti.
Al momento sappiamo solo che la sicurezza è un bene unico, indivisibile, deve riguardare tutti contemporaneamente. Non può essere pretesa a scapito della sicurezza altrui.
Queste non sono parole difficili da comprendere e sono parole sincere, che partono da un senso di preoccupazione per le sorti dell’umanità. Nessuno può dare per scontato che il genere umano riuscirà a sopravvivere in caso di conflitto nucleare. Ecco perché queste non sono parole di circostanza. Noi vogliamo costruirci sopra qualcosa di utile per le generazioni future. Non vogliamo essere ricordati come una generazione che non ha fatto abbastanza per scongiurare l’apocalisse”.

NEWS del 10 maggio 2025

È normale che, in certe famiglie, dove l’educazione dei genitori è stata molto severa, i figli si ribellino. A volte si tratta proprio di scontri generazionali, come quelli accaduti durante la contestazione operaio-studentesca, che all’incirca coinvolse il decennio 1968-78.
Ecco, in un certo senso si può dire la stessa cosa per spiegare l’odio che gli ex Paesi sovietici provano nei confronti dell’attuale Russia. Non riescono a liberarsi da quell’incubo che hanno vissuto dalla fine della seconda guerra mondiale all’implosione dell’URSS (1945-91), ch’era poi l’incubo del socialismo statalizzato, cioè di quel socialismo da caserma o poliziesco che lo stalinismo volle imporre senza tante discussioni, semplicemente avvalendosi del fatto che il nazi-fascismo era stato soprattutto sconfitto dal comunismo sovietico.
Oggi l’odio è così forte che viene addirittura messa in dubbio l’attribuzione di tale vittoria. Si guarda la storia con una visione deformata e si distruggono i monumenti che la fanno ricordare. E a nessuno importa che la stessa Russia abbia fatto il “mea culpa” per gli errori compiuti nel passato. Gli Stati che la odiano continuano a ripetere che, nella sostanza, è rimasta uguale a se stessa e che Putin è un dittatore come tutti gli altri.
Tuttavia, guardando bene questi Stati che, con tanta fatica, si sono liberati del cosiddetto “socialismo reale”, si resta molto delusi dalle alternative che sono riusciti a costruire. Praticamente sono tutti passati dalla padella del socialismo statale alla brace del capitalismo privato di marca euro-americana. Prima avevano un’uguaglianza imposta, ora hanno una libertà fittizia. Hanno fatto le loro rivolte, le loro rivoluzioni, i loro colpi di stato per poi ritrovarsi con un pugno di mosche in mano (ad eccezione ovviamente degli oligarchi e dei soliti noti).
In effetti non è semplice passare da un socialismo statale a uno democratico. Sembra che nessuno Stato vi sia riuscito, anzi, sembra che nessuno “Stato” vi possa riuscire. Infatti, nel mentre si compie il tentativo, arrivano subito i canti delle sirene di Ulisse, con le loro promesse mirabolanti, le loro fantastiche illusioni…
Ecco, la guerra russo-ucraina può essere inserita in questo contesto: i russofoni del Donbass preferiscono tornare alla “madre Russia”, piuttosto che soffrire sotto i nazionalisti e neonazisti di Kiev.
Avevamo già visto una cosa del genere coi russofoni della Transnistria in Moldavia e con quelli dell’Abcasia e Ossezia del Sud in Georgia. Ora cominciamo a vederla, molto timidamente, con l’Ungheria di Orbán, la Slovacchia di Fico, la Serbia di Vučić. E possiamo scommettere che qualcosa di simile la vedremo anche coi Paesi Baltici.
Certo, non si tratta sempre di aspirazioni da parte di russofoni, ma piuttosto di rivendicazioni di maggiore sovranità nazionale da parte di taluni Stati che, dopo essere entrati nell’Unione Europea, ora cominciano a chiedersi come uscirne e come aderire alla nuova formazione geopolitica chiamata BRICS+, che tanto successo ha avuto, grazie al proprio multipolarismo, in questi ultimi tempi.
La domanda cui tutti dovremmo cercare di rispondere è però un’altra: esiste una terza via tra socialismo e capitalismo? No, non c’è, ma questo non vuol dire che sia facile costruire la democrazia. La Russia non vinse il nazi-fascismo perché aveva un socialismo migliore, ma perché l’intera popolazione avvertì che quella era una “guerra esistenziale”, in cui l’alternativa era “vivere o morire”.

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Bisogna ammettere che fa abbastanza impressione vedere una fetta di mondo concentrata sull’elezione del nuovo pontefice, che parla di “pace disarmata e disarmante”, e un’altra fetta di mondo che assiste alla parata di un esercito che chiede la pace esibendo la propria forza.
Istintivamente vien voglia di credere che le parole di Leone XIV siano più umane, più democratiche di quelle di Putin. Ripensandoci un po’, invece, è tutto il contrario.
Il papa è sicuramente una figura politica, oltre che religiosa, altrimenti non ci sarebbe questo gran clamore sulla sua intronizzazione. In un mondo in guerra come il nostro (in cui si spara non solo coi cannoni, ma anche con sanzioni embarghi dazi e confische di beni privati e statali) è normale che popolazioni inermi, sprovvedute, ripongano le loro ultime speranze in una sorta di “pastore superman”, dotato di poteri sovrumani.
Non si sono mai viste analoghe aspettative in altre confessioni, né queste ambiscono a coltivarle. Alcuni considerano Prevost l’unico vero statista internazionale: negli USA addirittura la destra più conservativa lo qualifica come “marxista”!
Purtroppo però al cattolicesimo romano è rimasto solo il papa per sopravvivere. Questa infatti è una confessione piena zeppa di scandali, anche molto gravi, da cui ha sempre meno forza per uscire. Tant’è che gli stessi pontefici li coprono, anche perché spesso vi è coinvolto l’alto clero.
È vero, ogni tanto dai papi vengono fuori parole indovinate, come quando Bergoglio parlò della NATO che abbaia alle porte della Russia, o come quando disse a Zelensky che arrendersi non è umiliante.
Tuttavia, in genere, proprio mentre parlano di pace senza fare riferimento alla giustizia e alla sicurezza collettiva, non fanno altro che avvalorare l’arroganza dell’occidente globalista e unipolare.
Non serve a niente parlare in astratto, senza entrare nel merito dei problemi. Alla fine non si fa altro che favorire il culto della personalità e le illusioni che i conflitti possano essere risolti da una sorta di messia spirituale, equidistante dai cosiddetti “potentati”.

Comprendere e confrontarsi

A volte mi stupisco che le cose, nella storia, si ripetano in maniera così straordinaria, seppur nell’ovvio mutamento di forme e modi.
La differenza tra forme e modi è nota: le prime riguardano la materialità della vita, che incontriamo nascendo; i secondi invece riguardano i rapporti umani, che si costruiscono strada facendo. Forme e modi s’influenzano a vicenda.
Ma perché cambiano forme e modi e non cambia la sostanza dell’essere umano? Perché, se siamo umani, abbiamo il libero arbitrio, che ci permette, entro certi limiti, di fare determinate scelte.
I limiti sono predeterminati, nel senso che non è possibile compiere azioni di bene o di male la cui bontà o malvagità sia infinita o illimitata. Ci muoviamo in un range che appartiene alla nostra natura umana.
Viceversa la sostanza o essenza (in italiano non facciamo molta differenza tra le due parole) dev’essere sempre quella, altrimenti tra gli esseri umani la reciproca comprensione sarebbe impensabile. “L’essere è e non potrebbe non essere”, sentenziava Parmenide, pur senza capire che il “non essere”, cioè la negatività, può essere di aiuto, indirettamente, alla coscienza della libertà. Tutto serve nella vita, se lo si sa prendere nella giusta misura.
Se esistesse una dimensione ultraterrena in cui vivono tutti gli esseri umani che ci hanno preceduti, dovrebbe per forza essere possibile confrontarsi con ognuno di loro, senza alcuna eccezione. E il confronto non dovrebbe servire solo per “capirsi”, nel senso di “intendersi”, come quando due persone parlano lingue diverse, ma anche e soprattutto per “comprendersi”, che è un di più, cioè una specie di condivisione della giustezza di determinate scelte: diciamo una forma di compartecipazione.
A volte, di fronte a certe situazioni, siamo soliti dire una frase rituale: “Lo capisco ma non l’accetto” (cioè non lo giustifico). Viceversa, quando si pensa, implicitamente, al verbo “comprendere”, la frase dovrebbe essere questa: “Al tuo posto avrei fatto la stessa cosa”.
Ma come si fa a sapere che una certa scelta è giusta? Esiste appunto il “confronto”, da non confondere con quella parola che, nel linguaggio politico, traduce l’inglese “confrontation”, che vuol dire l’opposto. Nessuno ha la scienza infusa, nessuno è infallibile.
Ecco, quando vedo certi statisti contemporanei, così chiusi nei loro pregiudizi, così attaccati ai loro interessi, penso che manchino proprio della capacità di “confrontarsi” con le esigenze altrui. Non riescono proprio a comprenderle. Ebbene, non credo sia possibile che gente così mentalmente gretta e moralmente cinica abbia il diritto di governare intere popolazioni.

RIFLESSIONI ESTEMPORANEE

Sinceramente parlando, quando si dice che una banca o una borsa o uno Stato è troppo grande o troppo importante per fallire, ci credo poco. È una pia illusione, anzi una forma di raggiro per continuare a credere in qualcosa di aleatorio, che pretende di autogiustificarsi.
Soprattutto mi indispongo quando vedo che da questa affermazione traggono le conseguenze che si può procedere coi soliti sistemi, tanto non può succedere niente di irreparabile.
È come se qualcuno dicesse: “La password per entrare in questa cassaforte superblindata l’ho solo io, quindi a me non può accadere nulla”. Queste manie di grandezza sono insopportabili, anche perché basta guardare la storia per vedere che non esistono Stati, Imperi, Città che durano in eterno, o almeno che durano con la medesima forza, potenza, estensione…
Quando parliamo di impero romano, spesso scordiamo che il suo vero momento di gloria l’ebbe sotto la repubblica, non sotto il principato. I suoi massimi confini erano già stati stabiliti al tempo di Augusto: Reno, Danubio, Tigri, Eufrate, Nilo, Giordano (per stare ai fiumi). Gli ulteriori tentativi di espansione non ebbero un grande successo, salvo la conquista dell’odierna Romania. I cittadini dell’impero sperimentarono la peggiore forma di dittatura proprio sotto il principato (o dominato), al punto che speravano d’essere salvati dalle cosiddette “popolazioni barbariche”.
C’era più pace e più continuità esistenziale quando le popolazioni non avevano mire egemoniche, quando si accontentavano del minimo indispensabile per campare, quando avevano un rapporto armonico con la natura, quando non esisteva lo schiavismo o il servaggio e nessuno doveva lavorare fino allo sfinimento per un tozzo di pane. Oggi ti viene soltanto voglia di odiare il mondo e di sperare di andartene quanto prima.

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Ho l’impressione che più la guerra russo-ucraina si prolunga, e più i russi cercheranno di controllare l’intero Paese. Nel senso che mentre l’area orientale del Dnper apparterrà giuridicamente alla Federazione Russa, l’area occidentale invece dovrà garantire assoluta neutralità, militarizzazione al minimo indispensabile, nessun rapporto con la NATO. Quest’area potrà anche gestirsi autonomamente in senso democratico, ma dovrà garantire la denazificazione. E la garantirà per forza, poiché il governo di Mosca, che ha una memoria da elefante, pretenderà i processi a carico dei neonazisti che han provocato la strage di Odessa, i bombardamenti per 8 anni nel Donbass, le torture o le esecuzioni sommarie nei riguardi di civili russi (o russofoni) e militari della Federazione, e vorrà anche sapere chi sono stati gli artefici dei biolaboratori e delle sceneggiate tipo Bucha.
Secondo me non sarà possibile che la guerra si concluda senza che il Cremlino abbia fatto piena chiarezza su quanto è successo in Ucraina dal golpe del 2014 ad oggi. Anzi il governo russo vorrà avere contezza di tutti i rapporti che gli oligarchi, i nazionalisti e i neonazisti ucraini hanno avuto con l’occidente collettivo sin da quando l’Ucraina ha voluto staccarsi dall’ex URSS.
Finita la guerra, molti ucraini saranno costretti a fuggire dal loro Paese, perché irrimediabilmente coinvolti in azioni vergognose, meritevoli di condanne senza appelli, e verranno nella UE convinti di poter continuare a fare i nazisti e i terroristi come prima.
Nessun Paese occidentale sarà in grado di fare da paciere in questa guerra. Anzi, sarà molto probabile che, dopo averla vinta, la Russia comincerà a pretendere di smantellare le basi NATO che la minacciano più da vicino, a partire da quelle finniche.
Hanno ragione a dire che non sarà finita, anche perché la sicurezza non può essere garantita in maniera irrisoria, parziale. O c’è o non c’è. E quando Stoltenberg diceva che alla richiesta della Russia di avere “meno NATO” si è risposto dandole “più NATO”, quell’uomo dalla testa vuota non si rendeva conto d’aver posto le basi per un conflitto tra Russia e Unione Europea che andrà avanti per un bel pezzo. Lui stesso dovrà rendere conto di non aver fatto assolutamente nulla per impedire che la NATO si trasformasse in una grave minaccia per l’incolumità del genere umano.

NEWS del 1° Maggio

È piuttosto impressionante vedere come nella UE gli statisti che si rifanno al socialismo o alla socialdemocrazia siano, salvo eccezioni, perfettamente in linea con gli statisti neoliberisti in merito all’idea di opporsi con tutte le forze alla Russia. Neanche che questa fosse comunista…
Paradossalmente sono più feroci contro la Russia, che pur ci ha riforniti di tante materie prime a basso costo (di cui quelle energetiche sono state fondamentali per garantire alla UE grande competitività nel mondo), che non contro la Cina, che pur si dichiara ufficialmente socialista e che con le sue merci sottocosto manda in fallimento le nostre imprese e i nostri negozi, salvo quelli naturalmente che in qualche maniera fanno affari con gli stessi cinesi.
Perché questa russofobia? Perché questa assoluta miopia? questa inspiegabile ingratitudine?
Una volta si capiva di più che il socialismo o la socialdemocrazia occidentale odiasse visceralmente il comunismo sovietico, il leninismo, lo stalinismo, il socialismo statalizzato. Ma oggi tutto ciò non esiste più.
La stessa classe operaia europea produce armi con cui si distruggono popolazioni straniere. E anche quando non siamo in guerra, questo proletariato industriale, una volta considerato il fiore all’occhiello del socialismo scientifico, non fa che produrre inquinamento per l’ambiente, esattamente come la classe agraria quando produce per il mercato.
Questo per dire che la socialdemocrazia borghese ha stravinto in Europa. Che bisogno ha di pretendere la sconfitta della Russia? Prima del 2022 si andava d’amore e d’accordo. Che cosa ci è successo? Non è possibile che nei nostri statisti si sia maturata un’acredine così ideologica senza alcuna vera motivazione. Si ha insomma la netta impressione che la Russia, ma anche la Cina, siano solo pretesti da utilizzare per nascondere agli occhi dell’opinione pubblica il fallimento generale di un sistema, quello del capitalismo privato, un fallimento progressivo, incalzante, che ha subìto un primo duro colpo ai fianchi con la crisi dei subprime americani del 2008, un secondo colpo con la pandemia, un terzo colpo con l’illusione di vincere celermente la guerra contro la Russia, e un quarto colpo con l’incredibile sviluppo economico della Cina.
Gli statisti europei non riescono più a controllare la situazione e probabilmente stanno per compiere qualcosa che li metterà definitivamente al tappeto. Dipenderà molto da come sapranno reagire gli stessi europei, la cui pazienza non potrà durare all’infinito.

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Nell’articolo “Commercio britannico”, pubblicato sul “New York Daily Tribune” il 3 febbraio 1858, Marx previde che il maggior Paese imperialistico della sua epoca, l’Inghilterra, sarebbe stato costretto, a causa dell’esportazione di merci e capitali, cui doveva corrispondere un aumento delle importazioni, a finanziare i suoi concorrenti, cioè l’America, e così a scavarsi la fossa.
Infatti esportare senza importare può essere fatto se si domina in toto una colonia. Ma se in quella colonia emigrano gli stessi abitanti della madrepatria imperialista, questi stessi diventano imprenditori e commercianti e quindi vogliono esportare, e vogliono farlo alla pari, senza dover subire dazi sanzioni embarghi… Ecco perché gli americani fecero una rivoluzione anticoloniale contro gli inglesi. Al tempo in cui scriveva Marx l’Inghilterra stava già subendo un certo disavanzo commerciale, proprio perché gli americani stavano diventando più competitivi. E non solo loro, ma anche i cinesi, gli indiani, i russi, ecc. I prezzi erano più bassi e la qualità era equivalente.
A volte non c’è neppure bisogno di occupare un Paese per farlo diventare una colonia per il capitalismo. I suoi stessi abitanti, imitando i ritrovati tecnologici dei Paesi più avanzati, entrano da soli, spontaneamente, nel mercato capitalistico (vedasi, per es., il Giappone, che passò dal feudalesimo al capitalismo avanzato in pochissimo tempo).
Oggi gli USA stanno vivendo lo stesso rapporto col mondo, soprattutto con la Cina. Sono stati loro a volere un mercato globale, un free market. Vengono finanziati dal resto del mondo esattamente come lo erano gli inglesi, perché il mondo non comprava solo le loro merci, ma doveva pagare anche i propri debiti.
Tuttavia, come con gli inglesi il mondo si è stufato d’essere sfruttato, così oggi vuole farlo nei confronti degli americani. Tanto più che gli USA non han più niente da vendere, o comunque niente che sia più competitivo di quello che viene da altri Paesi del mondo.

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Il SIPRI (Stockholm International Peace Research Institute) ha rilasciato i numeri delle spese militari nel mondo per il 2024, decimo anno consecutivo di aumento della spesa militare globale.
Con 2,7 trilioni di dollari la spesa militare globale ha raggiunto la sua nuova cifra record, con un aumento del 9,4% rispetto all’anno precedente.
Gli Stati Uniti sono il primo Paese con 997 miliardi di dollari di spesa, il 37% delle spese militari totali mondiali.
Stati Uniti, Cina, Russia, Germania e India rappresentano il 60% della spesa globale totale. La Germania, nella UE, è quella che spende di più: 88,5 miliardi di dollari (il 28% in più). Anche Polonia e Svezia hanno registrato aumenti significativi, con una spesa rispettivamente del 31% e del 34%. In generale la UE è arrivata a 693 miliardi di dollari (il 17% in più).
Naturalmente l’Ucraina ha registrato il più alto onere militare al mondo nel 2024, con una spesa militare pari al 34% del suo PIL. Tutte le entrate fiscali del Paese sono state assorbite dalle esigenze di difesa, mentre la spesa sociale ed economica si è basata interamente sugli aiuti esteri.
Israele, a causa delle sue continue guerre, cui sembra non possa fare a meno, ha guidato la corsa all’armamento, aumentando la sua spesa militare del 65% (46,5 miliardi di dollari). L’onere militare del Paese è salito all’8,8% del PIL, il secondo più alto al mondo, che poi, in gran parte, viene pagato dagli USA. A confronto l’Iran è un poveraccio: spende solo 7,9 miliardi di dollari, nonostante il sostegno che deve dare a Hezbollah e Houthi.
La Cina ha proseguito la sua modernizzazione militare su larga scala, spendendo circa 314 miliardi di dollari nel 2024, con sviluppi in velivoli stealth, droni e un arsenale nucleare in rapida espansione.
Anche il Giappone ha aumentato il suo bilancio militare del 21%, portandolo a 55,3 miliardi di dollari: questo perché teme d’essere invaso dalla Cina, senza voler ammettere che lo è già dagli USA sin dai tempi delle atomiche.
Insomma oltre 100 Paesi si armano in maniera incredibile, come se non dovesse esserci un domani, come se i programmi socioeconomici non contassero assolutamente nulla. E di questi Paesi quelli che fanno più paura appartengono all’occidente collettivo, che non ha nessuna intenzione di cedere lo scettro ai concorrenti.
Tuttavia la cosa che più stupisce è un’altra. La NATO in totale ha speso 1.506 miliardi di dollari (il 55% della spesa militare globale) e ha perso la guerra con la Russia che ne ha spesi solo 149! Negli ultimi 10 anni i Paesi europei appartenenti alla NATO hanno speso 1.800 miliardi di euro in più rispetto alla Russia!
Qui le conclusioni che si possono trarre sono due: o non sanno spendere i soldi, oppure Russia e Cina li sanno spendere benissimo. E poi la scriteriata della von der Leyen, nota per buttar via i soldi altrui, ci viene a raccontare che bisogna aumentare le spese militari di altri 800 miliardi di euro a livello europeo?

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Mi è piaciuta la “Lettera aperta al Presidente Mattarella” spedita dal prof. Augusto Sinagra il 20 febbraio 2025.
Sul piano del metodo il punto focale, secondo me, è il seguente: “secondo la Costituzione, non appartiene alle competenze del Capo dello Stato la gestione o l’orientamento della politica estera della Nazione, che è prerogativa del governo e del parlamento.”
In effetti un Presidente dovrebbe essere più equidistante e far rispettare a tutti i governi in carica la Costituzione. L’art. 11 parla chiaro. Inviare armi a un Paese belligerante potrebbe essere fatto, al massimo, dopo una risoluzione dell’ONU, che non c’è mai stata per il conflitto russo-ucraino.
Personalmente poi ritengo che neanche in presenza di una risoluzione del genere, l’Italia dovrebbe farlo. Al massimo potrebbe inviare aiuti economici o finanziari o qualunque altra forma di assistenza, ma non armi, né consiglieri militari. Dovrebbe puntare esclusivamente sulla diplomazia, in maniera martellante, al massimo minacciando qualche sanzione, che non colpisca però la popolazione civile. Sanzioni fattibili sono quelle del ritiro degli ambasciatori o quella dell’espulsione dall’ONU o quella di una condanna da parte di una Corte Internazionale, e cose del genere.
Sarebbe invece da discutere, sul piano del merito, il problema sollevato dallo stesso Sinagra là dove afferma che “il diritto internazionale conosce l’Istituto della ‘legittima difesa preventiva’. Cioè proprio la Carta dell’ONU consente il legittimo intervento armato di uno Stato contro altro Stato se ciò appare veramente finalizzato a porre fine a una violazione sistematica e massiccia dei diritti umani fondamentali.”
Qui è impossibile dargli torto, poiché la guerra in corso avrebbe potuto essere evitata rispettando i due Accordi di Minsk, che in sostanza non erano altro che una riedizione degli accordi che lo stesso Stato italiano aveva stipulato col Sud-Tirolo, ribattezzato Alto-Adige dal fascismo.
Semmai lo si può contestare laddove afferma che la Russia non ha mai attaccato nessuno: l’ha fatto in Ungheria nel 1956 e in Cecoslovacchia nel 1968. È vero ch’erano già due Paesi del COMECON, ma se ci fosse stato Lenin, non ci sarebbe stato alcun intervento armato, poiché lui prevedeva che una nazionalità dell’URSS fosse libera di andarsene.
Fonte: https://www.ilgiornaleditalia.it/news/politica/684363/lettera-aperta-al-presidente-mattarella-la-invito-calorosamente-a-presentare-le-sue-scuse-al-popolo-russo.html

NEWS del 28 aprile 2025

In questa guerra russo-ucraina l’atteggiamento più curioso degli occidentali (americani ed europei in primis) è la totale incapacità ad ammettere che la Russia sul piano militare è più forte dell’intero occidente collettivo.
Sono passati oltre tre anni e non c’è stato neanche un momento in cui le forze armate russe abbiamo mostrato che in una guerra di logoramento avrebbero potuto essere sconfitte.
La guerra è rimasta sul piano convenzionale (per fortuna, bisogna dire) e la NATO l’ha persa. La Russia ha saputo tener testa, da sola, a 32 Paesi! Non solo, ma, mentre vinceva sul piano militare, si riorganizzava su quello economico-finanziario, affrontando con successo le mille sanzioni occidentali, il congelamento di 300 miliardi di dollari della propria Banca centrale, e persino contribuendo alla creazione di un mondo multipolare e di una mastodontica organizzazione come quella dei BRICS, per non parlare delle nuove relazioni stabilite con quei Paesi africani che vogliono liberarsi del colonialismo europeo.
Dunque, a questo punto, l’occidente cos’ha intenzione di fare? Vuol fare intervenire direttamente la NATO nel conflitto, mantenendolo sul piano convenzionale? Vuole trasformarlo da convenzionale a nucleare? Prima di scendere in campo esplicitamente vuole investire miliardi di capitali nel riarmo? Al momento sembra che stia chiedendo all’Ucraina di resistere il più possibile, cioè il tempo sufficiente affinché la NATO si riarmi per bene e che possa dichiarare guerra alla Russia con un esercito numericamente non inferiore a quello russo. Ma può l’Ucraina resistere altri 3-4-5 anni?
Diciamo questo perché, a leggere le proposte di pace americane ed europee, appare chiaro che non esiste un vero negoziato risolutivo. Alla Russia si chiede soltanto di retrocedere dai territori conquistati. Sul piano giuridico le si riconosce solo la Crimea. Tutti gli altri territori vengono riconosciuti di pertinenza russa solo pro tempore, nel senso che se è vero che al momento li hanno conquistati militarmente, è anche possibile che li perdano in un prossimo futuro.
Si pretende, come base di partenza per una trattativa, la fine delle ostilità, cioè l’occidente pretende una cosa come se sul campo di battaglia fosse lui a vincere. Infatti parla di un cessate il fuoco totale e incondizionato in cielo, a terra e in mare, e che il rispetto di questo ceasefire sarà monitorato dagli Stati Uniti e sostenuto da Paesi terzi, i quali non possono essere disarmati.
Un’Unione Europea altamente belligerante e perdente chiede alla Russia come deve regolarsi nelle trattative di pace. Mi chiedo se nella storia delle guerre del genere umano si sia mai vista una cosa del genere. Sembriamo un chihuahua che abbaia a un rottweiler.

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Ammettiamo una cosa inconfutabile: dai tempi dell’espansione della NATO verso est l’occidente non ha mai fatto una proposta relativa alla sicurezza generale del continente europeo, valida per tutti i Paesi che lo compongono.
Altra verità lapalissiana è che la Russia non è solo un Paese asiatico, ma anche europeo. E la sua sicurezza esistenziale non può essere decisa dagli USA, dalla UE o dalla NATO. Va decisa, come minimo, in una conferenza europea, se non internazionale, visto che non si potrebbero escludere gli Stati Uniti.
Ma poi, pensiamoci bene, considerando che i commerci si svolgono a livello mondiale, come potrebbe essere esclusa da una conferenza del genere un Paese come la Cina? Chi più di lei avrebbe bisogno che nel continente europeo fosse garantita una pace di lunga durata? Un Paese che investe centinaia di miliardi nelle infrastrutture solo per potersi espandere commercialmente nel mondo, ha bisogno come il pane di sicurezza e stabilità.
Ebbene, in Europa non ci sono neanche le basi minime per assicurare la pace nel continente. E non possiamo credere che tale pace possa essere garantita dalle sceneggiate clownesche di Trump.

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Non facciamoci illusioni. Stiamo sì assistendo, in tempo reale, alla fine del capitalismo occidentale, ma non a quella del capitalismo in sé. Si tratta solo di un passaggio di testimone da una forma a un’altra.
Nella storia del genere umano queste transizioni sono eventi naturali, anche se per lo più avvengono in maniera cruenta, poiché, quando si costruiscono potenti società schiavistiche (e anche la nostra lo è, seppure il salariato è giuridicamente libero), non piace morire nel proprio letto: si preferisce combattere il più possibile.
Si pensi al passaggio dalla civiltà greca a quella romana, che rappresentavano due forme di schiavismo privato, con la differenza che uno era basato sull’autonomia delle città-stato, che alla bisogna si univano tra loro per formare delle leghe, mentre l’altro faceva del diritto, della cittadinanza, dell’impero e del suo principe qualcosa di universale.
Lo schiavismo statale era invece rappresentato da Egitto e Persia, che nulla poterono contro i Romani, il primo, e contro i Greci, la seconda.
I Romani erano affascinati dalla cultura greca, ma questo non gli impedì di dominarli fino a quando Costantino non decise di trasferire la capitale dell’impero a Bisanzio, favorendo così un’altra epocale transizione, quella dal paganesimo al cristianesimo.
Oggi sta avvenendo la stessa cosa: Russia e Cina, dopo aver ammesso la superiorità occidentale sul piano tecnico-scientifico, ora ci stanno facendo vedere di sentirsi superiori: l’una sul piano militare, l’altra su quello economico, ed entrambe contro l’intero occidente collettivo.
Smettiamola però con le infatuazioni, con gli entusiasmi da stadio. Sempre capitalismo è. E non diventa più umano o più democratico solo perché l’iniziativa produttiva e commerciale è controllata dallo Stato; o solo perché, come succede in Cina, il capitale viene schermato o circonfuso ideologicamente dalle dottrine del socialismo scientifico, seppur con caratteristiche atipiche.
Diciamo solo che in questo momento noi occidentali dobbiamo abbassare la cresta e guardare le cose da un angolo. Anzi, se fossimo davvero intelligenti, come nel passato abbiamo dimostrato in tanti campi dello scibile umano, dovremmo iniziare a cercare qualcosa che vada oltre i soliti criteri del profitto industriale o della rendita finanziaria, che noi stessi peraltro abbiamo inventato. E questo naturalmente senza ripetere gli errori del socialismo statalizzato.

NEWS del 27 aprile

Funzionari ucraini ed europei hanno respinto alcune proposte statunitensi su come porre fine al conflitto ucraino.
Ma cos’è che dà tanto fastidio? Il riconoscimento alla Russia dei territori sud-orientali che ha conquistato sul campo o che hanno voluto passare sotto Mosca tramite regolari referendum? Queste non sono cose che Putin potrà mettere nel negoziato. Se non vengono riconosciute, la trattativa non parte neanche.
Peraltro gli USA riconoscono de jure solo il possesso della Crimea; per gli altri quattro territori (Donetsk, Luhansk, Zaporizhzhia e Kherson) accettano solo un possesso de facto, dovuto alla forza militare non al diritto dei referendum. Questa è una posizione assolutamente ridicola, poiché implica che, appena l’Ucraina si sarà ripresa militarmente, la guerra scoppierà di nuovo.
Mosca non può accettare neppure che possa essere istituito, preventivamente, un cessate il fuoco, e solo dopo l’avvio dei negoziati. Ancora non s’è capito che la procedura dev’essere invertita: prima l’occidente deve smettere di appoggiare finanziariamente e militarmente Kiev, poi Kiev deve chiedere la resa, e infine si stabilisce la divisione del territorio. In caso contrario la guerra continuerà ad libitum e i russi prenderanno sempre più territori, benché non siano interessati all’area occidentale del Paese, a ovest del Dnepr. A meno che la NATO non voglia entrarvi: in tal caso procederà a occupare anche questa parte del Paese.
L’altra assurda proposta americana prevede che l’Ucraina riconquisti il territorio nella provincia di Kharkov (Kharkiv), che confina proprio con le due regioni di Donetsk, Luhansk. Certo, così da lì, tra qualche anno, i neonazisti potrebbero far ripartire il contrattacco. Proprio non ci siamo. Quello che si è conquistato sul piano militare non può essere ceduto in alcuna maniera. Neppure gli USA lo farebbero. Non si capisce perché debba farlo la Russia.
Anche l’idea stessa che gli USA si prendano il controllo della centrale nucleare di Zaporizhzhia non sta né in cielo né in terra. È inutile che Trump dica che è Zelensky a non volere la pace. È altrettanto inutile che minacci la Russia di spiacevoli conseguenze se non accetta proposte del genere. La pace non può essere ottenuta pensando di fare un favore agli interessi economico-finanziari degli USA, tanto meno se su un territorio già russo.
La delegazione americana chiede anche che gli ucraini possano ottenere un passaggio senza ostacoli lungo il fiume Dnepr, che arrivi sino al controllo della costa di Kinburn, occupata dai russi sin dal maggio 2022. Così, di fatto, potranno accedere al Mar Nero da un territorio già russo, osservando bene l’intera flotta russa e organizzando degli attentati terroristici contro i russi, civili o militari che siano. Anche questa è una proposta fantapolitica, che fa solo perdere tempo. Peraltro proprio a Kinburn si svolse nel 1855 una battaglia navale che i russi persero contro gli anglo-francesi durante la guerra di Crimea. Non lo sanno gli occidentali che i russi sono un popolo amante dei simboli?
Altra proposta priva di qualunque prospettiva: la sicurezza dell’Ucraina sarà garantita da Paesi europei e “altri Paesi amici” (?). Ovviamente l’Ucraina non entrerà nella NATO ma potrà sempre entrare nella UE. Si può essere più antidiplomatici di così? Come può Mosca accettare una presenza militare europea, seppur con funzioni di peacekeeping, quando in questo momento la UE viene considerata l’ostacolo principale al raggiungimento della pace (tant’è che non viene neppure ammessa in sede negoziale)? Peraltro, essendo la UE quasi coincidente con la NATO, è evidente che, se anche si assicura che l’Ucraina non entrerà nella NATO, questa però entrerà in Ucraina.
E che dire della proposta economica di Trump, relativa al fatto che Washington e Kiev attueranno un accordo di cooperazione in materia di minerali? In quali territori ciò avverrà se ancora non si sa come sarà divisa l’Ucraina?
Insomma l’unica cosa valida delle proposte americane riguarda la revoca delle sanzioni e la ripresa della cooperazione economica in materia di energia e altri settori industriali. Ecco, deve essere stata questa cosa che agli statisti russofobici della UE non è andata a genio. Per loro le sanzioni devono rimanere a tutti i costi e i miliardi congelati alla Banca centrale della Russia vanno utilizzati per ricostruire l’Ucraina.

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Ha scritto Trump: “Putin non aveva motivo di lanciare missili contro aree civili, città e paesi negli ultimi giorni. Questo mi fa pensare che forse non vuole fermare la guerra, ma sta solo giocando con me e che bisogna trattarlo in modo diverso, attraverso ‘operazioni bancarie’ o ‘sanzioni secondarie’? Troppe persone stanno morendo!”.
Trump parla come un bambino viziato, capriccioso. Appena dice qualcosa, pretende che gli altri si conformino ai suoi desiderata, come fossero dei lacchè. Non capisce che Putin va trattato come suo pari. Non è uno scolaretto che va punito per colpa di qualche marachella. Anche perché potrebbe, se volesse, distruggere completamente l’Ucraina in pochi giorni. E non ci sarebbe alcun Paese al mondo in grado di fermarlo. Se non lo fa, è perché ha un certo senso dell’etica, è lontanissimo dall’idea di terrorizzare i civili, tanto più che gli ucraini sono strettamente imparentati coi russi. Lo sono da quando il cristianesimo ortodosso ha messo le prime radici tra gli slavi proprio in quel Paese. La Chiesa russa fa risalire le sue origini al battesimo del principe Vladimir I di Kiev nel 988. Per i russi non ha alcun senso distruggere questa nazione. Sarebbe come cancellare la propria memoria. Né possono farlo per far capire agli occidentali che non hanno intenzione di scherzare. Non possono radere al suolo Kiev per far capire agli euroamericani che devono smettere di sostenere militarmente i neonazisti che governano il Paese.
Sono in grado gli americani o gli europei di capire questa cosa? Sarebbero disposti gli americani a bombardare a tappeto una città come Londra? Le atomiche le hanno sganciate sui giapponesi perché li consideravano una razza inferiore. Ma non l’avrebbero mai fatto sulla Germania nazista, che pur non era meno feroce del Giappone.
A volte ci si chiede: la von der Leyen, la Kallas, Borrell, Stoltenberg, Rutte, Metsola, Macron, Starmer, Draghi, Meloni, Tajani e tanti altri statisti e persone di spicco in Europa da dove vengono? In quale pianeta vivono? Che studi hanno fatto? Hanno mai capito qualcosa dei russi o degli slavi in generale? Riescono vagamente a intuire che non hanno radici culturali identiche alle nostre?
Insomma si fa una certa fatica a capire se Trump sia proprio limitato di suo, o se sia impossibile aspettarsi che gli USA possano votare un presidente migliore. Da come parla, sembra che gli americani non sappiano nulla né di storia né di democrazia. Si esprimono come da noi si potrebbe fare al bar o dal barbiere.

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Forse non ci rendiamo bene conto che contro i russi, in una guerra convenzionale, è impossibile vincere. È un territorio troppo grande.
Hitler infatti non pensava minimamente di occupare la sua area asiatica. Sapeva benissimo di non averne le forze. Si sarebbe accontentato dell’area europea, che per lui andava dal Mare di Barents al Mar Nero. Semplicemente sperava che, occupando Mosca, l’intera URSS si sarebbe arresa. Tuttavia quando si rese conto che Mosca non riusciva a espugnarla, fece un errore che pagò caro: invece di attestarsi sulle posizioni già acquisite, decise di occupare Stalingrado, poiché gli facevano gola le riserve energetiche del Caucaso.
Forse pochi sanno che il tentativo di conquistare questa città, gli costò una sconfitta colossale: 1,5 milioni di uomini, tra morti, feriti e arresi. Non si era mai vista una cosa del genere. Lo stesso Hitler fu costretto a dichiarare il lutto nazionale nel febbraio 1943.
Nonostante ciò non si arrese. Anzi, nel saliente di Kursk, fu organizzata una gigantesca battaglia di carri armati: in tutto ve n’erano 1.200. I nazisti erano convinti che i loro Tigre, Pantera e Ferdinand fossero migliori, imbattibili. Invece fu un’altra tragedia: i tedeschi persero un altro mezzo milione di uomini.
Sappiamo tutti come andò a finire. I nazisti si arresero solo a Berlino. Ma, prima di questa resa incondizionata, aveva già perso milioni di militari. Sono cifre che nessuna “NATO” al mondo, per nessuna ragione, potrebbe sopportare, nessun Paese occidentale sarebbe disposto a sostenere, neanche se si preparasse alla guerra nell’arco di una decina d’anni.
I tedeschi iniziarono la guerra in Russia il 22 giugno 1941 e la terminarono in Germania l’8 maggio 1945. Nessun esercito europeo o americano sarebbe in grado di condurre una guerra così devastante per un periodo così prolungato e con perdite così colossali. La stessa Russia perse oltre 27 milioni di persone. L’intera Italia a quel tempo arrivava a circa 45 milioni di abitanti. Immaginiamo cosa possa voler dire che, finita la guerra, più di una persona attorno a ognuno di noi è scomparsa.
Quando la NATO attacca usa la tattica hitleriana della guerra-lampo. Questo vuol dire che prepararsi per una guerra convenzionale di lungo periodo, destinata ad avere perdite colossali, è una cosa che può venire in mente solo a dei politici che non sanno nulla di questioni militari. Al loro confronto i nostri generali sono delle menti illuminate.
Dunque una guerra contro la Russia può essere condotta solo sul piano nucleare, col rischio però di tornare, nel migliore dei casi, all’età della pietra.
L’occidente ha provato a distruggere la Russia al tempo della guerra fredda, usando propaganda, spionaggio e consumismo, e quasi vi era riuscito. Ma con Putin la musica è cambiata. I russi se lo ricorderanno nei secoli a venire.
La Russia non ha solo infinite riserve sul piano energetico, ma anche grandi capacità di riscatto sociale, di orgoglio nazionale, di tenuta morale, di spirito collettivistico, di sopportazione dei sacrifici che noi in Europa (ma diciamo pure nell’occidente collettivo) abbiamo perduto dopo molti secoli di vita borghese.
Tenere in allarme le popolazioni europee può voler dire solo una cosa: gli statisti, e naturalmente tutte le oligarchie che loro rappresentano, essendo profondamente corrotti, si stanno preparando a sostituire la democrazia formale con una dittatura reale. La Russia servirà solo come pretesto, proprio perché nessuna dittatura ha senso se non vi è un pericoloso nemico da sconfiggere. E gli Stati Uniti faranno lo stesso con la Cina, tanto tra europei e americani ci s’intende.

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In Italia il mainstream ha taciuto del fatto che Zoran Milanović ha trionfato nel secondo turno delle elezioni presidenziali croate, tenutesi lo scorso 12 gennaio, venendo confermato alla guida del Paese per un altro mandato quinquennale (il regime però è parlamentare non presidenziale, e sia il parlamento che il governo restano sotto il controllo del centro-destra, apertamente filo-atlantista).
Aveva avuto un risultato schiacciante: il 74,68% dei voti, contro il 25,32% raccolto dal suo avversario, Dragan Primorac, candidato sostenuto dall’Unione Democratica Croata, formazione di centro-destra che fa capo al premier Andrej Plenković, e che è stata oggetto di numerosi scandali di corruzione, tant’è che al tempo del suo primo mandato, anche grazie alle sue denunce, ben 30 ministri furono costretti a dimettersi.
La vittoria è stata snobbata perché rappresenta un segnale politico che vede sempre più popoli europei votare contro le politiche militariste della NATO e dell’Unione Europea.
Già durante il suo primo mandato Milanović (sostenuto dalle forze di centro-sinistra e in particolare dal partito socialdemocratico) aveva bloccato l’invio di ufficiali croati alla missione NATO in Germania per la formazione di truppe ucraine e aveva promesso che nessun soldato croato avrebbe partecipato a missioni in Ucraina.
Milanović ha sottolineato l’importanza di proteggere il Paese dall’essere “trascinato in guerra” e ha ribadito che il suo obiettivo è mantenere una posizione equilibrata che tenga conto degli interessi nazionali, piuttosto che seguire ciecamente i diktat di Bruxelles e Washington.
Insomma sarebbe una gran cosa se nella UE si cominciassero a premiare dei politici o degli statisti che promuovono una visione più indipendente della politica estera, opponendosi all’interventismo militare.

News del 26 aprile

Il 22 aprile nella regione del Kashmir indiano, un gruppo di 26 turisti è stato ucciso, tra cui cittadini provenienti da India e Nepal. Il crimine è stato rivendicato da Resistance Front, una fazione legata al gruppo terroristico pakistano Lashkar-e-Taiba.
L’India ha reagito bloccando le chiuse del fiume Indo verso il Pakistan. Islamabad considera questa violazione dell’approvvigionamento idrico come un “atto di guerra”.
Per entrambi i Paesi il bacino dell’Indo è una fonte d’acqua vitale per l’agricoltura: un accordo del 1960 regolava la distribuzione di ben sei fiumi.
L’India ha già annunciato l’espulsione di tutti i pakistani cittadini e degli ambasciatori, la cancellazione dei loro visti e la chiusura della frontiera con quel Paese. Sta pensando anche di abolire l’accordo di cessate il fuoco del 2021.
In tutto il Pakistan si stanno verificando proteste anti-indiane: la folla grida “La guerra continuerà finché il Kashmir non sarà liberato”. Il Kashmir è una regione suddivisa tra India, Cina e Pakistan, sempre fonte di tensioni sin dalla fine dell’India britannica nel 1947. Dopo l’abolizione dello status speciale del Jammu e Kashmir nel 2019, l’India ha intensificato i suoi sforzi per integrare la regione.
Il governo pakistano ha chiuso il suo spazio aereo alle compagnie aeree indiane; ha sospeso tutti i trattati bilaterali, compreso l’accordo di Simla del 1972 sulla linea di controllo.
Si ricorda che entrambe sono potenze nucleari: le atomiche indiane sono 180; quelle pakistane 170. L’esercito indiano è più del doppio di quello pakistano.
Da dove nasce questo improvviso conflitto? Dal fatto che gli USA stanno provocando un’altra guerra per procura su larga scala lungo la rotta delle merci cinesi verso l’Europa e del petrolio mediorientale verso la Cina. Infatti l’escalation è avvenuta subito dopo la visita del vicepresidente statunitense Vance in India. L’ingenuo presidente Modi è convinto di avere l’appoggio americano in caso di conflitti con Cina o Pakistan.
Il Pakistan è l’alleato militare più vicino a Pechino (è il maggiore acquirente di armi cinesi) e la Cina è il principale partner commerciale del Pakistan.
Il Pakistan rappresenta per la Cina un ponte sicuro verso il petrolio iraniano (anche Teheran è vicina a Islamabad): un ponte che Stati Uniti e India potrebbero non consentire di attraversare via mare se il confronto tra Cina e USA raggiungesse un nuovo livello.
Naturalmente queste tensioni servono anche a Washington per indurre Pechino a essere più accomodante nei negoziati sui dazi.

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Zelensky dimostra sempre più di non avere contezza di ciò che afferma. Infatti continua a ribadire che solo il popolo ucraino decide il destino dei propri territori.
Tutti i territori temporaneamente occupati, tra cui la Crimea, sono ancora considerati ucraini in conformità con la Costituzione e il diritto internazionale.
Ha poi aggiunto che le questioni territoriali potranno essere discusse solo dopo un cessate il fuoco incondizionato. Allo stesso tempo, ha riconosciuto che Kiev non ha armi sufficienti per riconquistare la Crimea, ma che esistono sanzioni e strumenti diplomatici.
Zelensky ha affermato che l’Ucraina conta sul sostegno degli Stati Uniti, così come fa Israele: ciò potrebbe includere la difesa informatica, i sistemi di difesa aerea e lo sviluppo delle infrastrutture, senza la presenza obbligatoria dell’esercito americano.
Questo presidente il cui mandato è scaduto dall’aprile 2024, ha uno strano modo di ragionare.
Non si rende conto che parte del suo popolo ha già deciso di voler stare sotto la Russia. Lo dimostrano vari referendum: quello del 2014 in Crimea e Sebastopoli; quello del 2022 a Donetsk, Lugansk, Zaporozhye e Kherson.
Hanno un valore i referendum per la secessione o l’indipendenza oppure no?
Questa guerra in Ucraina sembra essere un conflitto non tanto tra Ucraina e Russia o tra NATO e Russia, quanto tra Stato centrale di Kiev e regioni periferiche espresse da minoranze nazionali. Se una minoranza chiede di separarsi completamente da un potere centrale, significa che ci sono motivi gravissimi, altrimenti non lo farebbe.
Che senso ha impedire alle proprie minoranze nazionali di chiedere aiuto alla Russia quando il governo centrale si avvale dell’aiuto dell’occidente collettivo per reprimerle? Anzi il governo golpista di Kiev è frutto del sostegno euroamericano, e senza questo sostegno non ci sarebbe stata una guerra civile, durata ben 8 anni, contro la propria minoranza russofona.
D’altronde in Ucraina è dal 2019 che non si fanno più elezioni. Cosa può sapere Zelensky degli orientamenti politici del suo popolo, che peraltro dal 2022 ad oggi si è ridotto a 33 milioni di abitanti, rispetto ai 41 d’anteguerra?
Ben 11 partiti sono stati messi al bando e centinaia di oppositori si trovano in carcere. Il governo di Kiev è solo una dittatura che lo stesso popolo ucraino dovrebbe abbattere a prescindere dall’adesione o meno alla Federazione Russa.
Immaginiamo cosa potrebbe accadere in Estonia o in Lettonia, se i governi centrali fossero altamente russofobici come quello ucraino. Là il 25% è di origine russa. Inevitabilmente si rischierebbe un replay.

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Durissima Maria Zakharova contro il Segretariato dell’ONU. In genere è più diplomatica. Ha detto:
Sin dal colpo di stato incostituzionale di Kiev del 2014, il Segretariato delle Nazioni Unite ha costantemente perseguito una politica di “doppi standard” riguardo agli eventi in Ucraina.
Non abbiamo ricevuto alcuna critica dai rappresentanti del Segretariato nei confronti dei sostenitori di Maidan, mentre il regime di Kiev ha condotto una vera e propria guerra contro i cittadini delle regioni orientali di quella che allora era l’Ucraina per oltre 8 anni.
Non vi sono state richieste da parte dei rappresentanti dell’ONU di un dialogo diretto tra Kiev e il Donbass, come previsto dalla risoluzione 2202 del Consiglio di sicurezza, che ha approvato il pacchetto di misure per l’attuazione degli accordi di Minsk.
Per i rappresentanti dell’ONU è diventata la norma ignorare sistematicamente le palesi violazioni da parte del regime di Kiev delle norme fondamentali del diritto umanitario internazionale, tra cui:
– l’uso di civili come “scudi umani”,
– lo spiegamento di equipaggiamento militare e l’istituzione di postazioni di tiro nelle zone residenziali,
– tortura e maltrattamenti di prigionieri di guerra e civili,
– uccisioni mirate di civili.
Quando si verificarono la “messa in scena di Bucha” e i tragici eventi alla stazione ferroviaria di Kramatorsk nell’aprile 2022; durante l’evacuazione dei civili dalla zona di “Azovstal” nel maggio 2022; dopo l’attacco terroristico al ponte di Crimea nell’ottobre 2022; quando il mondo intero fu testimone dei crimini disumani della cricca di Kiev contro la popolazione civile nella regione di Kursk in seguito all’invasione delle forze ucraine nell’agosto 2024; dopo gli omicidi mirati di giornalisti russi che prestavano servizio sia al fronte che sul territorio russo, nessuno del Segretariato dell’ONU tentò di notare nulla.
Viceversa, osserviamo regolarmente come la parte russa venga accusata di presunti attacchi deliberati alle infrastrutture civili ed energetiche dell’Ucraina. Un esempio recente sono i commenti del portavoce del Segretario generale, Stéphane Dujarric, in merito agli eventi di aprile nella città di Sumy, con considerazioni e finzioni su… una serie di attacchi alle città ucraine che “hanno provocato vittime tra la popolazione civile e una massiccia distruzione”.
Il Segretario generale si è compromesso con una serie di dichiarazioni valutative parziali sulla volontà della popolazione nelle regioni di Zaporižžja e Kherson, così come nelle repubbliche popolari di Donetsk e Luhansk. Secondo lui, “la decisione di annettere le regioni di Donetsk, Luhansk, Zaporižžja e Kherson non avrà alcun valore legale” e anzi “merita di essere condannata”.
Gli attuali funzionari dell’ONU dimenticano che il loro ruolo è quello di agire come custodi dei princìpi della Carta nella loro interezza, complessità e interrelazione.
Per noi è ovvio che il comportamento del Segretario generale e dei suoi subordinati è completamente incompatibile con l’essenza, la formulazione e lo spirito dell’art. 100 della Carta dell’ONU, che richiede al personale del Segretariato di rispettare il principio di imparzialità, inclusa la necessità di “astenersi da qualsiasi azione che possa influire negativamente sulla loro posizione di funzionari internazionali che sono responsabili solo nei confronti dell’Organizzazione”.
Le azioni e le dichiarazioni del Segretario generale non sono conformi all’art. 97 della Carta dell’ONU, che gli assegna il ruolo di “capo amministrativo dell’Organizzazione”. Tali funzioni non garantiscono al capo del Segretariato il diritto di rilasciare dichiarazioni politiche impegnate a nome dell’intera Organizzazione e di interpretare le norme della Carta e i documenti dell’Assemblea Generale.
In questo contesto è quasi strano parlare di un possibile ruolo di mediazione del Segretariato nella crisi ucraina.
Insomma da queste dichiarazioni così nette pare evidente che la Russia abbia intenzione di ripensare seriamente la funzione dell’ONU, o quanto meno di rimettere in discussione la credibilità del suo Segretariato.

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“Zelensky può avere la pace adesso o combattere per altri tre anni prima di perdere l’intero Paese”, ha tuonato Trump.
Però è comodo scaricare tutto su Zelensky. Inutile che Trump dica che questa non è la sua guerra ma quella di Biden. Questa è la guerra voluta dagli USA, di cui Trump è presidente. Il golpe del 2014 l’hanno organizzato loro, con prove evidenti.
Zelensky, come tanti altri nazionalisti e neonazisti ucraini, sono stati gli ingenui di turno che han creduto alle sirene occidentali, quando queste promettevano una facile vittoria contro la Russia. Adesso si sentono traditi e non sanno cosa fare. Gli stessi occidentali non sanno letteralmente come uscirne, salvando la faccia. Trump può fare tutte le dichiarazioni che vuole, può anche staccarsi dalle intenzioni degli statisti europei più sciagurati, che vogliono continuare la guerra, ma non può pretendere che Mosca si pieghi alla sua volontà.
Putin non è entrato in guerra a cuor leggero: ci ha pensato otto anni prima di farlo, poiché credeva negli Accordi di Minsk. Le condizioni dell’operazione militare speciale erano state fissate chiaramente sin dall’inizio, e non sono ancora state adempiute tutte, e non lo saranno finché l’occidente, quindi inclusi gli USA, non smetterà di sostenere la giunta di Kiev. Trump ha ragione solo su una cosa: se Zelensky non accetterà la resa incondizionata, perderà l’intero Paese. Solo che non lo perderà fra tre anni, ma molto prima.
A Putin non può interessare minimamente che Trump voglia una pace affrettata, non avendo gli USA più soldi da spendere per questa proxy war. Personalmente non credo neppure che auspichi una rimozione violenta di Zelensky ad opera di qualche killer pagato dalla CIA. Piuttosto è il popolo ucraino che deve convincersi d’aver sostenuto un regime che di democratico non aveva assolutamente nulla. Questo perché, per avere una propria sicurezza esistenziale, non può bastare alla Russia che l’Ucraina non entri nella NATO o sia smilitarizzata o il governo sia denazificato. Gli ucraini devono capire che non è in nome della russofobia che si può costruire la fiducia reciproca. E non devono neppure pensare che, siccome han perso la guerra, saranno costretti ad accettare la democrazia.

Ride bene chi ride ultimo

Trump si era divertito un mondo quando aveva detto a Zelensky, davanti ai giornalisti: “Non hai le carte per vincere”. Aveva dato sfoggio del fatto che è proprietario di alcuni casinò.
Ma sul piano commerciale ora è la Cina che gli dice: “Non hai le carte per vincere, datti una calmata”.
Infatti non c’è dubbio che le conseguenze dei dazi possono avere un certo peso per i produttori cinesi orientati all’export, soprattutto quelli delle regioni costiere che producono mobili, abbigliamento, giocattoli ed elettrodomestici per i consumatori americani.
Ma questi produttori sanno velocemente come regolarsi. Infatti la prima volta che Trump ha posto i dazi alla Cina è stato nel 2018. In quell’anno le esportazioni cinesi dirette negli USA rappresentavano il 19,8% dell’export totale della Cina. Ma già nel 2023 tale percentuale era scesa al 12,8%.
Entro il 2022 gli USA facevano affidamento sulla Cina per 532 categorie di prodotti chiave, quasi quattro volte il livello del 2000, mentre la dipendenza della Cina dai prodotti statunitensi si era dimezzata nello stesso periodo.
La Cina domina la catena di approvvigionamento globale delle terre rare, fondamentale per l’industria militare e high-tech, fornendo circa il 72% delle importazioni statunitensi di questi minerali.
La Cina mantiene anche la capacità di prendere di mira settori chiave dell’export agricolo statunitense, come pollame e soia, fortemente dipendenti dalla domanda cinese e concentrati negli Stati a maggioranza repubblicana.
I dazi praticamente avevano e ancora adesso hanno spinto il Paese ad accelerare la sua strategia di espansione della domanda interna, liberando il potere d’acquisto dei consumatori e rafforzando l’economia interna.
Hanno avuto la stessa funzione delle sanzioni nei confronti della Russia, le cui aziende hanno sostituito quelle che se ne sono andate. Inoltre hanno indotto a cercare nuovi partner commerciali.
Coi suoi dazi tariffe sanzioni embarghi crediti usurari l’occidente fa il bullo coi Paesi più piccoli, più deboli, ma con quelli più grandi e più forti trova solo un muro di gomma. Si mangia le mani per le occasioni perdute. Prepara delle ritorsioni di tipo militare, che però contro questi colossi lo metteranno al tappeto.
Noi siamo destinati a uscire dalla storia, proprio perché è la storia che vuole uscire da noi.

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Nel 2024 l’export statunitense verso la Cina ha raggiunto i 143,5 miliardi di dollari, in calo del 3% rispetto al 2023. Le importazioni dalla Cina però sono arrivate a 438,9 miliardi di dollari.
Dunque chi è più forte? Chi produce di più con una fatica immane o chi si diverte a speculare sul piano finanziario?
Si noti che nel 2000 il deficit americano nella bilancia commerciale con Pechino era di soli 83 miliardi di dollari.
Rispondendo alla domanda di un giornalista nello Studio Ovale della Casa Bianca, Trump ha già dovuto ridimensionare le sue pretese dicendo: “Il 145% è tanto. Non sarà così alto… non sarà nemmeno lontanamente vicino a quel livello. Scenderà significativamente, ma non arriverà allo zero”.
Ancora però non ha capito che con un Paese come la Cina lo squilibrio commerciale non si risolve. Per non parlare del fatto che proprio tale squilibrio ha come contropartita il fatto che la Cina (come tanti altri Paesi) sostiene il dollaro, i prestiti bancari, i titoli di stato, il bilancio e persino le borse e tutte le rendite parassitarie degli Stati Uniti.
Se Trump non si dà una calmata, la guerra commerciale si trasformerà in guerra militare, e questa volta, in maniera inedita, gli USA sperimenteranno distruzioni e devastazioni all’interno dei loro stessi confini.

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Visto che sul piano diplomatico l’intero occidente collettivo è piuttosto carente, o perché sostiene acute guerre commerciali, o perché non vuole concludere le due guerre militari in corso (quelle condotte dai due regimi dittatoriali di Kiev e Tel Aviv), siamo costretti a porci la seguente domanda: perché mai la guerra dovrebbe rappresentare un orizzonte di soluzione delle crisi generate dal capitale, che sostanzialmente sono dovute a una caduta del tasso di profitto?
Qui le risposte da dare potrebbero essere almeno quattro:
1) la guerra si presenta come una spinta non negoziabile a investimenti massivi, che possono rilanciare un’industria esangue. Grandi commesse pubbliche nel nome del “sacro dovere della difesa” possono riuscire a estrarre le ultime risorse pubblicamente disponibili per riversarle in commesse private. Di qui l’intenzione non solo di aumentare la quota del PIL riservata alla difesa nazionale, riducendo quindi quella destinata al Welfare, ma anche di usare i risparmi privati dei cittadini, depositati in banche e poste, per il riarmo europeo.
2) La guerra rappresenta una grande distruzione di risorse materiali, di infrastrutture, di esseri umani. Tutto ciò, che dal punto di vista del comune intelletto umano è una grande disgrazia, dal punto di vista dell’orizzonte di investimenti è una magnifica prospettiva. Infatti si tratta di un evento che “ricarica l’orologio della storia economica”, evitando quella saturazione di investimento micidiale per le sorti del capitale, bisognoso di autovalorizzarsi di continuo. Dopo una grande distruzione si riaprono praterie per investimenti facili, che non hanno bisogno di alcuna innovazione tecnologica: strade, ferrovie, acquedotti, case, e tutto l’indotto di servizi. Non a caso i grandi capitali cercano già ora di accaparrarsi le commesse per la futura ricostruzione, prima ancora che le guerre finiscano. La più grande distruzione di risorse di tutti i tempi – la seconda guerra mondiale – fu seguita dal più grande boom economico dagli inizi della rivoluzione industriale.
3) I grandi detentori di capitali finanziari non hanno paura di perdere il loro potere quando vi sono in atto delle guerre, a meno che non vengano espropriati da rivoluzioni popolari, che però in occidente mancano da un pezzo. Il denaro, avendo natura virtuale, rimane intoccato da qualunque grande distruzione materiale (purché ovviamente non vi sia un annichilimento planetario, ma nessuno vuole una soluzione finale del genere).
4) La guerra sembra avere il potere di congelare o arrestare tutti i processi di potenziale rivolta, tutte le manifestazioni di scontento dal basso. La guerra è un potente meccanismo per disciplinare le masse, ponendole in una condizione di subordinazione da cui non possono uscire, pena l’essere identificati come “complici del nemico”.
Per queste ragioni l’orizzonte bellico, per quanto al momento lontano dagli umori predominanti nelle popolazioni europee, è una prospettiva da prendere sul serio. Non dobbiamo pensare che una guerra possa scoppiare dall’oggi al domani. Ci vuole un certo tempo per attuarla, e non bastano né le armi né gli uomini. Ci vuole una propaganda convincente per le popolazioni che non saranno in prima linea, ma che dovranno comunque subire pesanti conseguenze.

Niente di nuovo sul fronte occidentale

Chissà perché è molto più facile distruggere che costruire. Forse perché per costruire ci vuole l’impegno di intere popolazioni, mentre per distruggere bastano poche persone, cioè scienziati militari politici: pochi irresponsabili, privi di coscienza morale o che si danno intenti morali per compiere cose disumane.
Per uno scienziato costruire un ordigno particolare, che in un attimo produce un’energia immensa, è considerato un’impresa di successo, anche se sa benissimo che non avrà uno scopo civile ma militare.
La frenesia prende anche un militare che usa ordigni del genere su quanti più nemici possibili, proprio perché gli è stato insegnato che sono tutti pericolosi, tutti colpevoli di qualcosa, anche i neonati. E questa distruzione serve per evitare che muoiano i propri commilitoni. Abbiamo già visto questo film americano in Giappone, e ora lo stiamo rivedendo a Gaza.
Un politico poi, che, usando le tasse dei cittadini, chiede allo scienziato di produrre bombe di distruzione di massa e al militare di usarle contro un nemico ben individuato, non può che essere soddisfatto di sé quando vede che il nemico si arrende.
Siamo in mano a pazzi consapevoli di sé, che pensano di essere nel giusto proprio quando compiono azioni abominevoli. Se dopo una guerra costoro riusciranno a sopravvivere, come potranno essere giudicati? Come minimo, in via preventiva, il popolo che li giudica dovrebbe fare un’ammissione di colpevolezza e dire: “Questi mostri li abbiamo generati noi. Giudicandoli, giudichiamo noi stessi e tutta l’ideologia che ci ha indotti a compiere cose che ci apparivano assurdamente giuste”.

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La prima guerra mondiale è servita per distruggere i tardi imperi feudali che avevano appena iniziato a imborghesirsi: russo, prussiano, austro-ungarico e ottomano. Il grande capitalismo europeo (Francia e Inghilterra) aveva bisogno di smembrarli per meglio dominarli. Solo con la Russia non vi riuscì a causa della rivoluzione bolscevica.
La seconda guerra mondiale servì per impedire che le ultime nazioni giunte sulla strada del capitalismo (Germania, Italia, Giappone) potessero minacciare i poteri coloniali di Francia e Inghilterra, le quali però, pur uscendo vittoriose grazie all’impegno di USA e URSS, si trovarono nettamente surclassate dalla superiorità economica e finanziaria degli USA, che non avevano subìto alcun danno materiale al proprio interno, a parte il crack borsistico del 1929.
Ora sta per scoppiare la terza guerra mondiale. Ovviamente ci vorrà tempo. Ma sin da adesso è evidente, agli occhi delle potenze occidentali, chi sono i principali “Stati canaglia” dell’Impero del Male: Cina, Russia, Iran e Corea del Nord. L’occidente teme anche il gruppo dei BRICS+, che, nel suo insieme, esprime una grande potenza produttiva e commerciale.
La compravendita di bunker sarà un affare colossale, al pari della fabbricazione di armi letali. I poveretti potranno illudersi coi kit salvavita. Se avranno qualche soldo in più si compreranno un rilevatore Geiger, magari in qualche negozio cinese.

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Nella prima guerra mondiale sono state eliminate più di 10 milioni di persone. Nella seconda più di 50 milioni. Nella terza potrebbero essere più di 500 milioni. Al capitale non importa molto: da tempo sostiene che siamo troppi e che non ci sono abbastanza risorse per tutti. L’ideologia è quella malthusiana.
Andando avanti di questo passo, le apocalissi finiranno solo quando saremo tornati all’età della pietra. Piccole comunità autarchiche che eviteranno di mettersi in contatto tra loro per paura di contaminarsi. Già oggi esistono comunità del genere, che non vogliono vederci neppure da lontano. Le chiamiamo “incontattate”.
In effetti se non cambiamo cultura ideologia mentalità, e ci limitiamo a un semplice pentimento morale per i disastri che combiniamo, la prossima volta sarà mille volte peggio, perché nel frattempo le armi saranno diventate più potenti e sofisticate. Né l’etica né la politica sono in grado di cambiare le cose in positivo e alla radice. Occorre una nuova visione della realtà.
E questa visione non pare possibile trovarla là dove esiste urbanizzazione, industrializzazione e finanziarizzazione. Qui è sbagliato il paradigma interpretativo, l’angolo visuale, la prospettiva.
Qui non è più questione di capitalismo (privato o statale) né di socialismo (statale o mercantile). C’è qualcosa di sbagliato a monte, qualcosa che precede le scelte politiche che si fanno a valle. È lo stile di vita che va ripensato, totalmente, integralmente.

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Certo che se ha ragione Marx quando diceva che il capitalismo ha bisogno periodicamente di distruggere le cose per poterle ricostruire, altrimenti non riesce ad autovalorizzarsi, possiamo capire il senso delle guerre e dell’odierna politica tariffaria di Trump.
A quanto pare le possibilità di trovare nuove aree di profitto all’estero si sono drasticamente ridotte per il capitalismo occidentale: praticamente c’è rimasta solo la rendita finanziaria. Vari Paesi asiatici (ma anche tanti del Sud globale) stanno pretendendo un protagonismo industriale e commerciale impensabile fino a qualche tempo fa.
L’occidente non è in grado di competere sui prezzi delle merci, poiché queste sono prodotte in condizioni troppo agevolate per i nostri standard (a partire naturalmente dal costo del lavoro, delle materie prime, dell’energia). Noi ci siamo ridotti a produrre merci per un’utenza selezionata, di livello alto.
Il problema è che da noi si deve comunque garantire un certo trend di benessere, altrimenti i poteri dominanti rischiano proteste a non finire. Di qui l’uso della guerra, che serve anche a sviluppare forme interne di dittatura politica, in grado di controllare l’intera popolazione tramite l’intelligenza artificiale.
La politica dei dazi è, se ci pensiamo, la prosecuzione dei conflitti militari (che ogni presidente americano deve da qualche parte scatenare) con altri mezzi, non meno efficaci.
Il processo di globalizzazione, che gli USA conducevano secondo lo schema “importiamo merci – esportiamo carta (cioè dollari e titoli statali)”, ha raggiunto il suo limite massimo. Ora possiamo aspettarci di tutto.

Un occidente alla frutta

Secondo il “Washington Post”, sullo sfondo del calo degli aiuti americani e dell’esaurimento delle scorte causato da anni di forniture di armi a Kiev, in Europa sta prendendo piede un nuovo modello di sostegno: investimenti non in forniture dirette di armi finite, ma nello sviluppo dell’industria della stessa difesa ucraina.
A che pro? 1) rifornire più rapidamente il fronte, risparmiando anche su trasporti e logistica; 2) utilizzare l’Ucraina come banco di prova per nuove tecnologie militari, compresi i sistemi senza pilota, nei quali i Paesi europei non hanno ancora sufficiente esperienza.
Nel complesso l’UE prevede di stanziare più di 20 miliardi di euro per il settore della difesa dell’Ucraina nel prossimo anno.
L’Ucraina viene trattata come se facesse già parte della UE e della NATO. Oltre tre anni di guerra non sono serviti a niente. Si è ancora convinti di poter vincere. Tolgono soldi agli Stati sociali della UE per aiutare militarmente un Paese destinato alla resa incondizionata. Se non è psicopatologia questa, che cos’è?

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Se le tariffe daziarie previste da Trump non verranno ridotte significativamente alla scadenza della moratoria di 90 giorni, e se nel frattempo non si saranno trovati nuovi partner commerciali, la UE subirà dei contraccolpi di notevole entità, che in questo momento nessuno può quantificare con esattezza. Anche perché qui si ha a che fare con uno statista troppo imprevedibile per essere affidabile.
Purtroppo la gran parte degli statisti europei non è all’altezza della situazione. Non ci si sente uniti come continente. Nessuno è in grado di minacciare delle ritorsioni. Non capiscono neppure, a causa dei loro pregiudizi ideologici, che all’Europa, per trovare un’alternativa convincente agli USA, converrebbe interfacciarsi con Russia e Cina, ma aggiungiamo anche India, Canada e quella associazione commerciale sudamericana detta Mercosur (Argentina, Brasile, Paraguay e Uruguay), destinata ad ampliarsi.
Gli statisti europei non hanno capito che quando gli USA si trovano con l’acqua alla gola, agiscono in maniera istintiva, egoistica, senza curarsi di amici ed alleati. Sono abituati a dominare non a parlamentare. Chi non li segue, viene tagliato fuori.
La guerra tariffaria globale causerà all’UE perdite multimiliardarie. Il trasferimento delle imprese oltreoceano porterà al crollo del modello europeo di welfare universale.
Gli statisti europei dovrebbero dimettersi a catena e farsi sostituire da altri più pragmatici, ma finché non gli arriva una tegola in testa, non lo faranno.
Han compiuto errori catastrofici sin da quando compravano titoli tossici al tempo dei subprime americani. Han condotto politiche disastrose durante la pandemia. Han promosso un progetto ambientalistico troppo ambizioso per essere realizzabile. Han speso un’enormità di soldi per sostenere un Paese neonazista come l’Ucraina, destinato alla sconfitta. E soprattutto han posto assurde sanzioni alla Russia, privandosi di risorse energetiche a basso costo, di mercati di sbocco per le proprie merci, di contratti commerciali agevolati nell’immenso territorio della Federazione.
La nostra Unione Europea può anche sussistere come idea astratta, come progetto teorico, ma nella sostanza va rifatta completamente. Se resta così, è meglio uscirne.
Noi dovremmo avere un respiro che va “da Lisbona a Vladivostok”, diceva de Gaulle. Invece ci accontentiamo di guardare il nostro ombelico.

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Tutti sanno che il riavvicinamento tra Stati Uniti e Cina, iniziato nel 1971, passò alla storia come un modello di diplomazia visionaria in funzione antisovietica, ma anche per fare della Cina un mercato americano.
Per raggiungere questo obiettivo, Washington dovette anzitutto abbandonare la logica dell’opposizione ideologica al comunismo in tutto il mondo. In secondo luogo, dovette concedere alla Cina lo status di nazione più favorita; inoltre le truppe americane si ritirarono da Taiwan nel 1979 e Washington non garantì più ufficialmente la sicurezza dell’isola. Infine la Cina entrò come membro permanente del Consiglio di Sicurezza dell’ONU.
Gli americani smisero di supportare il Vietnam del Sud e ritirarono il loro contingente militare da lì. Non protestarono neppure contro l’occupazione cinese delle isole contese col Vietnam e la cessione definitiva di Hong Kong e Macao (ultimi avamposti coloniali europei in Estremo Oriente). Persino la repressione coi carri armati delle proteste di Piazza Tienanmen nel 1989 non invertì la tendenza al rafforzamento delle relazioni tra i due Paesi.
Con una politica così liberale Washington riuscì a sconfiggere l’URSS durante la Guerra Fredda. Un simile stratagemma, a parti invertite, può ripetersi oggi? Cioè Trump può diventare un altro Nixon, favorendo la Russia contro la Cina? Gli americani non sono come gli europei: mentre pensano ai loro interessi pratici, sanno non essere troppo ideologici.
Tuttavia oggi l’intesa tra Russia e Cina è troppo forte per essere messa in discussione, anche perché è alla base della compattezza e robustezza dei BRICS+. La cooperazione economica tra i due Paesi ha raggiunto proporzioni enormi. Gli analisti prevedono che, se si realizza lo scenario catastrofico delle guerre tariffarie, il volume d’affari tra Stati Uniti e Cina sarà inferiore a quello tra Russia e Cina: cosa che due anni fa sarebbe stata impensabile.

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Sarebbe svantaggioso per la Federazione Russa avere la Cina come avversaria. I due Paesi condividono un confine di 4.209 km. Nessuno dei due avrebbe voglia di tradire l’altro, anche perché entrambi sanno benissimo che sarebbe l’occidente ad approfittarne, e in questo momento di grave debolezza degli Stati Uniti, non avrebbe alcun senso. Gli USA non possono sostituirsi alla Cina nell’interesse economico russo. E la Cina ha già fatto capire di voler rompere i ponti con gli USA finché al potere resta il folle Trump coi suoi dazi.
C’è da dire che in questo momento l’interesse vitale degli USA è almeno la neutralità della Russia in caso di conflitto a Taiwan o in qualsiasi altra parte del Pacifico. La stessa neutralità che Pechino ha dichiarato durante la guerra in Ucraina.
L’Operazione Militare Speciale ha trasformato radicalmente le forze armate russe. Il minimo coinvolgimento di Mosca nei preparativi militari di Pechino potrebbe costare caro agli Stati Uniti. In caso di blocco navale delle coste cinesi, è la Russia a poter fornire alla Cina tutte le risorse naturali di cui ha bisogno, nonché un corridoio logistico per l’Europa. Porti, ferrovie, spazio aereo russi: tutto questo sarà reso disponibile ai cinesi senza alcun problema.
Tuttavia la neutralità della Russia non è una garanzia della vittoria degli Stati Uniti nel confronto con la Cina. Diciamo che è qualcosa senza la quale gli USA perderebbero inevitabilmente.
Ma sarebbe possibile comprare questa neutralità a qualsiasi prezzo? Come minimo si dovrebbero eliminare tutte le sanzioni anti-russe e il sostegno militare all’Ucraina. Lo stanno facendo? In questo momento non ci pensano proprio. Gli USA sono ancora vittime della propria arroganza. Dopo hai voglia a dire, come fa Trump, che se fosse dipeso da lui, la guerra in Ucraina non sarebbe mai scoppiata. Dipende però da lui concluderla, rinunciando a sostenere Kiev. Lo sta facendo? No. E per quale motivo? Perché fondamentalmente è un ipocrita.
Chi ha armato l’Ucraina dal 2014 al 2022? Obama, Trump e Biden. Sotto Trump, nel periodo 2017-20, l’armamento dell’Ucraina è continuato senza problemi, i negoziati Volker-Surkov sul Donbass furono di fatto sabotati, e Trump chiuse un occhio sullo sviluppo del nazismo in Ucraina, sebbene fosse evidente sotto Poroshenko.
Trump ha ignorato anche la mancata realizzazione degli accordi di Minsk da parte di Germania e Francia, che li hanno utilizzati per preparare l’Ucraina alla guerra contro la Russia.
Trump è un fanfarone, non è mai stato credibile.