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L’immaturo Giletti intervista la portavoce di Lavrov

Massimo Giletti rappresenta la quintessenza del giornalista italiano medio: moralismo di bassa lega, psicologismo d’accatto, cultura limitata, geopolitica da strapazzo, manie di protagonismo ecc. Quando ha intervistato Maria Zakharova, politico molto competente, come in genere lo sono tutti quelli che in Russia esercitano ruoli di alta responsabilità, non si è mai reso conto del livello della persona con cui aveva a che fare.

La Zakharova esordisce dicendo che mentre parlava con lo staff di Giletti, le avevano chiesto se i russi erano consapevoli di stare interrompendo tutti i rapporti con l’occidente. Al che lei risponde che non è la Russia a mettere sanzioni contro l’occidente ma il contrario e non da oggi, almeno sin da quando gli USA non davano alla Russia la possibilità di costruire i gasdotti diretti verso l’Europa. Infatti per “occidente” lei intende anzitutto gli USA, che dominano nettamente la UE. Poi parla della possibilità di alleggerire il regime dei visti tra Russia e UE, di cui Giletti ignora del tutto l’esistenza: anche questa è una richiesta ventennale, che funziona però solo per la Moldavia.

Poi lui la interrompe con una domanda idiota: “Questo vuol dire che la guerra all’Ucraina è stata fatta in forma preventiva, temendo che la NATO entrasse in Ucraina?”. La domanda è insensata proprio perché Giletti non riesce ad accettare una cosa scontata, e cioè che la NATO si è estesa a est, minacciando seriamente i confini della Russia. Non è una guerra preventiva, ma è una legittima difesa che va avanti dalla fine del Patto di Varsavia.

Lei ha buon gioco ribattendo che la guerra nel Donbass dura da 8 anni, non è successa nel febbraio di quest’anno. E si meraviglia che in tutto questo tempo i giornalisti europei non abbiano detto assolutamente nulla in merito. Eppure vi erano state 13.000 persone assassinate.

Lui a questo punto ammette le colpe degli europei, dicendo che il mainstream è stato zitto anche nella guerra in Siria e in Cecenia. Falso. In realtà sia nell’uno che nell’altro caso ci siamo messi contro i russi e i loro alleati.

Fa autocritica solo per accusare i russi di non aver fatto valere le loro ragioni con la dialettica, ma solo con le armi. Tuttavia la Zakharova insiste nel dire che la colpa sta nei ministri degli Esteri europei, che sono sempre stati in contatto con Lavrov, che li rendeva edotti di tutto. Quanto poi alla Cecenia e alla Siria, i russi sono andati persino all’ONU proponendo di combattere insieme l’ISIS, ma la UE si oppose.

Qui Giletti la interrompe di nuovo, com’è solito fare con chiunque (e non solo lui), ricordandole che Aleppo è stata distrutta dai russi. Non sa che gli stessi americani (tra cui il colonnello e senatore Richard Black) han testimoniato che i russi sono intervenuti nella città solo dopo quattro anni di duri combattimenti tra l’ISIS e l’esercito di Assad, per cui la città era già completamente distrutta. Lei lo rimprovera per la sua ignoranza. Lui se ne risente e le fa presente che la Russia si è allargata di molto in Medioriente, sostituendosi agli americani (sic!). E lo vuol fare anche in Mali, poiché ciò fa parte della proiezione di potenza della Russia nel mondo (sic!). Come se la Russia avesse basi militari all’estero in conseguenza di un proprio attacco contro uno Stato sovrano!

Ma è la Zakharova a ricordargli che nel Mali è esistito per molto tempo un ruolo distruttivo da parte della Francia. Dopodiché lo invita a essere più serio e a informarsi meglio sul colonialismo europeo.

Lui ammette che francesi, inglesi e italiani sono stati colonialisti, ma poi (quando non ha argomenti) la interrompe di nuovo, dicendole di stare allo scopo dell’intervista, che è la guerra ucraina. Lei però insiste precisando che mentre gli USA cambiano i regimi e uccidono premier e presidenti senza rendere conto a nessuno, la Russia non lo fa mai, poiché interviene solo su richiesta del governo in carica.

Gli USA, con la UE, la Polonia e il consenso implicito dell’Italia hanno avuto tale atteggiamento aggressivo anche in Ucraina – aggiunge la Zakharova –, sostituendo con un golpe il governo legittimo di Yanukovich. Dopodiché nessuno ha applicato sanzioni al regime di Kiev.

Giletti si difende ammettendo le colpe dell’Europa, ma le spalma anche su Mosca, dicendo che ha aiutato militarmente i filorussi del Donbass. Poi, con un’iperbole, paragona quella guerra civile allo scontro tra nordisti e sudisti negli USA, cioè tra popoli fratelli! Due cose, in realtà, completamente diverse. Infatti in Ucraina è stata la parte più arretrata del Paese ad attaccare quella più industrialmente sviluppata. Ed è stata un’ideologia neonazista a farlo, che negli USA, se fosse possibile fare paragoni storicamente azzardati, avrebbe potuto trovare un’affiliazione con l’ideologia schiavista degli agrari del sud.

Dopodiché, di scemenza in scemenza, passa a fare il patetico e a interpretare il conflitto ucraino in maniera meramente moralistica, senza alcuno spessore politico, senza alcuna nozione storicamente fondata. Come se non sapesse che la Russia ha cercato per 8 anni di risolvere la guerra civile di Kiev contro le due repubbliche del Donbass con la trattativa. Anche la Germania e la Francia avevano il dovere di risolvere il conflitto, ma non hanno mai fatto nulla.

Giletti ragiona coi criteri manichei dell’aggredito giusto e dell’aggressore ingiusto e non vede più in là del suo naso. E si meraviglia che i russi, invece di limitarsi al Donbass, abbiano subito deciso di circondare anche Kiev e di bombardare anche il nord del Paese.

Lei trasecola e gli dice chiaro e tondo che non gli sembra un cittadino italiano, ma che sia giunto da Marte nell’ultima settimana. Poi gli ricorda che l’Italia, come tutta la NATO, è entrata a Baghdad distruggendo tutto e ammazzando molti civili. Quanto all’Ucraina, se non ci fossero gli USA, a quest’ora la trattativa con Kiev sarebbe già stata fatta. Gli stessi europei, che forniscono armi a Kiev e pongono sanzioni a Mosca, non possono poi pretendere d’intavolare dei negoziati.

Lui di nuovo si sente offeso per la battuta su Marte e dice che la storia la sa, e fa l’esempio del bombardamento della NATO su Belgrado, che abbiamo chiamato “missione di pace”. Fosse stato solo quello!

Giletti insiste nel dire che è la Russia a non volere la pace, non l’occidente. Lei però gli ricorda che poco prima di quella intervista i Paesi che circondano la Serbia hanno impedito all’areo di Lavrov di utilizzare lo spazio aereo di quel Paese.

La vera stoccata finale la Zakharova, quella che avrebbe atterrato un bisonte, la dà quando accusa l’occidente di non avere alcuna memoria storica, senza la quale non è possibile risolvere in maniera efficace alcun serio problema. Fare dei negoziati con uno smemorato è impossibile, meno che mai quando questo soggetto ritiene d’essere al centro del mondo.

Poi dice chiaro e tondo a Giletti che l’unico vero scopo degli USA è sia quello di isolare la Russia per poterla distruggere, sia quello di danneggiare la UE, impedendole di commerciale con la Russia. Ma la Russia, inevitabilmente, tenderà ad avvicinarsi sempre più alla Cina.

Giletti però, siccome è andato a Mosca come esponente del giornalismo nazionale (e forse persino occidentale), non ci sta a sorbirsi delle critiche. Sicché si sente in dovere di precisare che lo stalinismo ha fatto fuori 30 milioni di persone, e anche gli zar non erano così “perfetti”. Dove avrà tirato fuori quella cifra lo sa solo lui. Basta andare su Wikipedia, che certo non è né comunista né filorussa, per sapere che nel periodo 1921-53 i condannati a morte per controrivoluzione furono approssimativamente 340.000 persone, di cui circa 225.000 durante il periodo delle purghe staliniane 1936-39. Troppo poche? Bene, secondo Vladimir Kriuchkov, direttore del Kgb, tra il 1930 e il 1953 vennero incarcerate 3,8 milioni di persone, di cui 786.000 condannate a morte. I numeri che danno Aleksandr Solzhenytsin e Roy Medvedev non stanno né in cielo né in terra.

Insomma la Zakharova è costretta a dire a Giletti che ragiona in maniera molto semplificata, come fanno i bambini. E lei, pur dichiarandosi pacifista, deve purtroppo ammettere che ragionare con un occidente militarista, incapace di dimostrare la propria coerenza tra le parole e i fatti, è molto difficile. Poi coglie la palla al balzo e ricorda a Giletti che proprio l’occidente ha sostenuto, considerandoli eroi, i separatisti ceceni contro la Russia.

E qui la stoccata finale con una domanda da un milione di dollari: perché non dite le stesse cose nei confronti dei filorussi del Donbass che si sono dati due repubbliche autonome? Peraltro, aggiunge, questi filorussi non volevano affatto staccarsi dall’Ucraina, ma avere soltanto i loro diritti (p.es. parlare la loro lingua madre, festeggiare le loro feste…). E quando han fatto il referendum per affermarsi come repubbliche autonome, la Russia non le ha riconosciute: ci ha messo 8 anni prima di farlo.

Poi Giletti conclude nella maniera più stupida possibile: “Oggi cosa chiedete per intavolare delle trattative serie?”. Ma lei risponde: “La quantità di bombardamenti del regime di Kiev era aumentata tantissimo nell’ultimo periodo, prima del 24 febbraio, e l’ONU non ha mai fatto nulla. Noi non abbiamo la bacchetta magica e voi non volete vedere cose ovvie”.

È che Giletti, di questa guerra, teme che le conseguenze abbiano ricadute sulla UE, sull’Italia, sul mondo intero. Vuoi non dargli ragione? Solo che non capisce che sono le sanzioni alla Russia, più che la guerra in Ucraina, a provocare gravi disastri economici all’umanità.

Tuttavia la Zakharova gli ricorda che è stato Josep Borrell in persona a dire che non c’è spazio per le trattative e che tutto si deciderà sul campo di battaglia. L’occidente non vuole la trattativa, se non dopo una vittoria militare.

Lo sprovveduto Giletti però non s’accontenta e vuol sapere quali sono gli obiettivi militari di Putin. È proprio un ingenuo! T’immagini se un generale va a raccontare al nemico come intende regolarsi sul campo di battaglia?

La Zakharova ha dovuto congedarlo rimproverandolo di non capire nulla della situazione del Donbass: “Voi vedete i profughi ucraini da pochi mesi, noi li vediamo da 8 anni e li sosteniamo”. E gli obiettivi sono già stati detti da Putin: demilitarizzazione e denazificazione. La UE purtroppo ha perso l’occasione per svolgere il ruolo di paciere.

E lui, con un certo disappunto: “Guardi che i morti in Ucraina li ho visti coi miei occhi”. Povero essere. Anche la von der Leyen ha visto i morti di Bucha coi suoi occhi, ma non ha capito niente da chi sono stati ammazzati!

Poi ha chiuso nella maniera più squallida possibile: “Devo purtroppo lasciarla perché la pubblicità incombe”!

Fonte: https://www.youtube.com/watch?v=cpQlJvDwOnY

L’insegnamento fondamentale del conflitto ucraino

Devo dire che questo conflitto russo-ucraino ha messo seriamente in crisi il rapporto idealistico (o filosofico) tra etica e politica.

Certo, in Italia non abbiamo solo una tradizione cristiana che, seppur in forma laicizzata, presume di dare un senso alla politica in nome dell’etica; ma abbiamo anche una tradizione machiavellica (cioè radical-borghese) che separa nettamente l’etica dalla politica, facendo di quest’ultima qualcosa di cinico, ai limiti della spietatezza, se e quando la ragion di stato lo esige.

Con questo conflitto però è successo qualcosa di inedito. Infatti chi sembra avere della politica una concezione cinica, Putin, dimostra d’avere ragioni più fondate, persino più etiche di Zelensky, che pur continuamente cerca di coinvolgere il mondo intero nella sua narrativa melodrammatica, che presume d’essere valida in sé, in quanto esprime la condizione d’uno Stato aggredito, vittima della protervia di uno aggressore, che vuole minare la sua sovranità e integrità territoriale.

Bisogna in effetti ammettere che il mondo intero (o meglio, quello occidentale) non ha avuto dubbi a chi dare tutte le ragioni, al punto che ha preferito soprassedere completamente sul fatto che il governo di Kiev, sin dal golpe del 2014, ha avuto esplicite connessioni con l’ideologia neonazista presente in Ucraina: un’ideologia che risale alla II guerra mondiale e ch’era stata soffocata sotto una cenere fumante nella fase del socialismo reale di marca sovietica.

Dunque in questo conflitto si sono, in un certo senso, ribaltati i criteri dell’etica e della politica, nel senso che non è affatto vero che ha sempre più ragioni chi viene aggredito.

Certo, uno potrebbe dire che l’aggressore, usando mezzi militari, si pone automaticamente dalla parte del torto. Ma non è sempre così. La Russia ha aspettato 8 anni prima d’intervenire. Putin è stato accusato dai “falchi” del suo regime d’aver troppo tergiversato, soprattutto nei confronti dell’espansione orientale della NATO.

In questo lasso di tempo si è dato spazio alla diplomazia (i due accordi di Minsk); si sono aiutati ufficiosamente le due repubbliche del Donbass a resistere ai continui attacchi militari dei neonazisti ucraini; si sono denunciati gli orrori nelle sedi opportune. Ma l’Europa, gli USA, la NATO e l’ONU non hanno mai fatto nulla di concreto per risolvere la situazione. Putin ha atteso 14.000 morti, più i tantissimi feriti delle due repubbliche prima d’intervenire in maniera ufficiale e definitiva. E quando l’ha fatto la prima cosa che ha detto è che non c’erano più alternative. La stessa Russia si sentiva seriamente minacciata dalla NATO, gestita da un segretario generale che non riesce a dire qualcosa di vero neanche per sbaglio.

La Russia ha dovuto usare metodi violenti suo malgrado, cercando di non infierire sulla popolazione e obbligando quindi i propri soldati a liberare con lentezza il Donbass russofono, anche a costo di subire gravose perdite.

Putin non ha fatto altro che usare la legittima difesa contro la violenza dell’indifferenza occidentale, contro la collusione nei confronti di una delle ideologie più violente della storia contemporanea, contro i tentativi sempre più pressanti e minacciosi di porre fine all’integrità territoriale del suo Paese.

Noi occidentali non siamo in grado di capire i russi, perché non disponiamo delle sufficienti coordinate culturali per non vederli come atavici nemici dell’Europa. Siamo troppo prevenuti per formulare giudizi obiettivi. Ecco perché questa guerra non può che decidersi sul campo di battaglia. La nostra diplomazia non vale assolutamente nulla. Non è nelle nostre corde, abituati come siamo a dominare il mondo, capire le ragioni altrui. Per noi la Russia va sconfitta militarmente e deve essere ripristinata la totale integrità territoriale dell’Ucraina, ivi incluso il rientro della Crimea. Non ci interessa l’autodeterminazione dei popoli, espressa dallo strumento del referendum popolare. Per noi la democrazia diretta, rispetto a quella delegata, non vale nulla.

Manca un’alternativa al socialismo reale

Ormai si è capito che in origine (mille anni fa) esisteva un unico popolo russo ortodosso del Granducato di Kiev. Che poi si suddivise in tre parti: bielorusso, ucraino e russo.

Tutti e tre i rami in epoca medievale persero la loro sovranità: bielorussi e ucraini si trovarono nella struttura del pagano granducato di Lituania, e poi come parte del regno cattolico polacco-lituano; i russi del potere granducale di Vladimir e poi di Mosca erano direttamente subordinati all’Orda d’oro tataro-mongola.

Accadde però che mentre i mongoli di Gengis Khan rispettavano le tradizioni ortodosse dei russi, invece i bielorussi e gli ucraini si trovavano discriminati sotto i polacco-lituani: diventarono una specie di gruppo etnico oppresso, soprattutto sul piano religioso.

Più tardi una parte degli ucraini passò sotto il dominio islamico dell’impero ottomano e poi sotto quello cattolico dell’impero asburgico, perdendo sempre più la propria identità slavo-ortodossa e acquisendo soprattutto quella cattolico-europea, fortemente proselitistica nei confronti delle culture slave.

L’integrazione in questa cultura cattolica fu favorita dal fenomeno dell’uniatismo, creato dalla Chiesa romana per indurre gli ortodossi (autorizzati soltanto a conservare il rito slavo) a sottomettersi al papato.

La forza dell’ortodossia si concentrò unicamente tra i russi di Mosca, soprattutto dopo che si liberarono dal giogo mongolo. E furono loro che diventarono un grande impero, creando una nuova civiltà.

Col tempo il regno di Mosca cominciò a sottrarre i territori bielorussi e ucraini al regno polacco-lituano e, attraverso le guerre russo-turche, a riportarli alle loro tradizioni slavo-ortodosse.

Solo i territori della Galizia-Volinia e della Bucovina settentrionale (inclusi nella parte austriaca dell’Austria-Ungheria) e della Transcarpazia (dentro la corona ungherese) rimasero fuori dal contesto tutto russo.

Poi, dopo la I guerra mondiale, la Galizia-Volinia divenne parte della rinata Polonia, mentre la Bucovina settentrionale divenne parte della Romania, e la Transcarpazia entrò in Cecoslovacchia. Tutte queste terre furono riunite al resto della Russia sovietica negli anni della II guerra mondiale, una volta vinto il nazismo.

Ma la Russia sovietica era ideologicamente atea, del tutto indifferente alla religione, e comunista, cioè avversa al capitalismo. Fu accettata questa cosa? Fino a un certo punto. Infatti nel 1956 si ribellò la cattolica Ungheria, nel 1968 la protestante Cecoslovacchia, ai primi anni ’80 la cattolica Polonia, finché, con l’avvento di Gorbaciov, crollò anche il muro di Berlino, e col successore Eltsin implose la stessa URSS.

Che è successo dopo il 1991? Successe che i Paesi ex sovietici, dopo aver abbandonato il socialismo di stato, e quindi il suo ateismo, cominciarono a guardare favorevolmente allo stile di vita occidentale, a valorizzare le proprie tradizioni religiose e a perseguitare tutto quanto si rifaceva alla cultura russa (ivi inclusa la lingua e la religione).

E la Russia reagì con la forza militare, per proteggere i russofoni e/o i filorussi. Lo fece in Georgia, in Cecenia, ha sventato due colpi di stato in Bielorussia e Kazakistan, sostenuti dagli occidentali. Non ha potuto far nulla contro quello del 2014 in Ucraina, ma oggi sta recuperando il tempo perduto, tendendo a dividere il Paese in due parti.

Qual è il problema? Il problema è che dal 1991 ad oggi non si vede da nessuna parte una vera alternativa al socialismo e all’ateismo di stato. Certo il neonazismo ucraino, strettamente intrecciato con l’americanismo, è un’autentica vergogna dell’umanità, ma non sarà certo usando la forza militare che lo si potrà superare. Qui è la cultura laica e la politica democratica che mancano. E mancano in tutti: Russia, Europa, Stati Uniti e Ucraina.

Cosa rappresenta l’Ucraina?

L’Ucraina rappresenta uno Stato molto simile ad altri Stati dell’Europa orientale, generalmente ex sovietici. Nel senso che storicamente non ha le tipiche caratteristiche di un compiuto Stato democratico-borghese. Odia troppo l’ideologia socialcomunista per essere definito tale (un’ideologia che nell’Europa occidentale ha fatto la storia, prima ancora del marxismo). Odia troppo il Welfare State e la dialettica parlamentare. Tant’è che oggi i filorussi di tutti questi Paesi ex comunisti appartengono soprattutto ai ceti meno abbienti.

Questi sono tutti Stati autoritari, molto corrotti nei loro vertici politici, economici e militari, sempre favorevoli alla formazione di oligarchie, tendenzialmente fascisti o neonazisti, amatissimi dagli USA, che li preferiscono a quelli euroccidentali, poiché li possono manovrare meglio in funzione antirussa: è sufficiente elargire fiumi di capitali.

Tutto ciò stupisce alquanto, almeno di primo acchito, visto che per mezzo secolo sono Stati che han preteso di costruire un socialismo ideologicamente superiore al liberismo e liberalismo occidentale. Evidentemente il socialismo statale era stato avvertito come un’imposizione esterna, innaturale, da cui ci si sarebbe dovuti liberare senza tanti ripensamenti, proprio per poter abbracciare totalmente lo stile di vita occidentale. Di qui l’odio feroce nei confronti dello Stato che più ha impedito loro di emanciparsi in maniera borghese: la Russia.

Questi pseudo Stati borghesi sono quasi passati dal feudalesimo al socialismo statale, saltando quella lunga fase capitalistica che ha caratterizzato noi euroccidentali, e che loro stanno invece recuperando oggi, molto in fretta, lasciandosi colonizzare dalle potenze occidentali, che sfruttano le loro risorse, offrendo in cambio uno stile di vita privilegiato a poche categorie di persone.

Questi Stati han vissuto per molto tempo, come minoranze etnico-nazionali o regionali, all’interno di grandi regni o imperi più o meno feudali: lituano-polacco, austro-ungarico, russo e ottomano (e in parte anche quello prussiano, il più borghese di queste entità tardo-feudali).

Al tempo di questi regni e imperi non esistevano nell’Europa dell’est gli Stati democratico-borghesi, ma sistemi monarchici para-feudali, guidati da antiche dinastie e dall’aristocrazia agraria e militare. Erano sistemi nettamente condizionati dal capitalismo delle potenze occidentali, in primis da Francia e Regno Unito.

Quando nella I guerra mondiale tutti questi regni o imperi sono stati spazzati via, al loro posto si sono formati gli Stati democratico-borghesi. I quali però avevano tutti tendenze fortemente autoritarie, poiché a livello sociale mancava la mentalità borghese vera e propria, favorevole alla democrazia, seppur soltanto formale (quella delle libere elezioni, del libero mercato, del diritto civile e costituzionale, della separazione dei tre poteri fondamentali, della libertà di religione ecc.).

Di fronte alle contraddizioni sociali questi nuovi Stati borghesi, le cui Costituzioni erano state disegnate dalla Francia, usavano le maniere forti. Essendo stati abituati all’autoritarismo dei regni o imperi tardo-feudali, questi Stati, una volta divenuti capitalistici, non erano capaci di molta diplomazia. Di qui il loro centralismo esasperato e l’emarginazione se non la persecuzione delle minoranze.

Questa situazione è andata avanti fino a quando nel corso della II guerra mondiale il tentativo della Germania di far diventare la Russia bolscevica una propria colonia si è rivelato del tutto fallimentare. La Russia feudale-zarista era già colonizzata dal capitalismo europeo, ma la Russia stalinista non era un colosso dai piedi d’argilla. Non solo si difese ma inglobò anche quasi tutti quegli Stati neo-borghesi che si erano sviluppati tra le due guerre mondiali sulle ceneri degli antichi imperi tardo-feudali. E impose il socialismo statale, cioè il collettivismo forzato, che alcuni Stati arrivarono a rifiutare in maniera eclatante: Ungheria nel ’56, Cecoslovacchia nel ’68, Polonia nei primi anni ’80, fino alla caduta del muro di Berlino.

Il crollo dell’URSS ha ridato la possibilità a questi Stati di tornare ad essere borghesi. Di qui le rivoluzioni arancioni, i colpi di stato, le adesioni alla UE e alla NATO, il ritorno a ideologie anticomuniste, più o meno nazionalistiche e nazifasciste. In tutti questi Stati ex sovietici la russofobia è una costante ideologica molto netta, poiché la Russia viene accusata di aver interrotto brutalmente un processo lineare verso il capitalismo. Ecco perché questi Paesi non hanno dubbi nel sostenere gli USA e la UE per abbattere definitivamente la potenza russa. S’illudono di poter trovare nel capitalismo privato un’alternativa al socialismo statale.

Dunque cosa sta insegnando questa guerra all’Ucraina e in fondo al mondo intero? Fondamentalmente due cose, che se vuoi essere uno Stato borghese, non puoi esserlo senza rispettare le minoranze al tuo interno, né puoi pensare, aderendo alla NATO, di minacciare la sicurezza della Russia senza pagarne gravi conseguenze.

Il socialismo statale non esiste più in quasi nessuna parte del mondo. È stata un’esperienza fallimentare, che gli stessi russi han pagato in maniera molto tragica. Nutrire sentimenti antirussi a causa di un passato che non esiste più, è quanto di più stupido vi possa essere. Dietro questa assurda russofobia si nasconde in realtà il desiderio d’impadronirsi delle risorse di quell’immenso Paese. Tale atteggiamento neocolonialistico ci riporta ai secoli peggiori del protagonismo mondiale dell’occidente, prima europeo poi americano. Un protagonismo unipolare che non può più esistere, poiché vi si oppongono con successo non solo la Russia ma anche la Cina, l’India e altri Stati che non vogliono farsi mettere i piedi sulla testa.

La politica genocidaria di Israele dipende da noi occidentali

Perché i politici (che non siano proprio quelli della sinistra radicale) si schierano subito dalla parte di Israele, ogni volta che nella Palestina scoppia un conflitto bellico tra le parti avverse, appartenenti a religioni ufficialmente opposte?

La motivazione va cercata nell’immaginario collettivo, che è più forte di qualunque motivazione reale della guerra in corso.

Quando si parla di terrorismo internazionale, qual è la religione cui l’occidente fa sempre riferimento? L’islam.

Quando si parla di flussi migratori verso l’Unione Europea, qual è la religione prevalente di appartenenza dei migranti? L’islam.

Quando nel Mediterraneo si vedono Paesi con governi autoritari che minacciano la stabilità dei Paesi confinanti, gestiti da governi democratici, a quale religione si attribuisce questa nuova e per noi occidentali fastidiosa proiezione di potenza? L’islam.

Quando mettiamo a confronto un Paese capitalisticamente avanzato come Israele e un altro economicamente piuttosto arretrato come quello palestinese, a quale religione attribuiamo tale arretratezza? L’islam.

Quando sul piano internazionale vediamo che Israele è in grado di muoversi agevolmente con una propria leadership politica e diplomatica, mentre i palestinesi non hanno niente che possa reggere il confronto, a quale religione attribuiamo questo deficit di rappresentanza? L’islam.

Quando l’intero occidente si chiede quale sia una radice culturale che ha determinato la propria civiltà, a quale religione fa riferimento? Ebraico-cristiana.

Quando l’occidente ricorda i tempi del proprio passato colonialismo, ha mai nutrito dubbi sulla necessità di “civilizzare” completamente e radicalmente le popolazioni appartenenti alla religione islamica? Nessun dubbio.

Quando sul piano demografico l’occidente cristiano teme il diffondersi di una religione concorrente, a quale fa subito riferimento? L’islam.

Quando l’occidente pensa all’idea di genocidio, a quale religione associa immediatamente questo crimine? L’ebraismo.

Quando in forza di questo genocidio abbiamo ritenuto che gli ebrei dovessero essere risarciti con un proprio territorio, perché ci è sembrato giusto che dovessero rimetterci i palestinesi? Perché erano islamici.

Dunque, quando Israele si comporta in maniera razzistica, colonialistica, genocidaria nei confronti dei palestinesi, che cos’è che le dà la sicurezza di potersi comportare così in tutta tranquillità? È l’immaginario collettivo che in occidente essa stessa ha contribuito a creare.

TRUMP: ALTRA CLAMOROSA SCONFITTA DEL GIORNALISMO FACILONE E DEL MORALISMO UN TANTO AL CHILO DELLA “SINISTRA” (?)

Ha vinto Trump. Il confronto Trump-Clinton è finito come è finito per il solito eccesso di moralismo della sinistra (?), più o meno cosiddetta, e per la faciloneria dei giornalisti oltre che per l’indebito irrompere sul palco di “star” del cinema e della musica che hanno la mania di ergersi a maestri di pensiero. Il messaggio di questa “intellighenzia” è in fin dei conti lo stesso dell’aborrito Trump: solo chi ha successo e quattrini può dire cose sensate e intelligenti, illuminare le tenebre, mentre gli sfigati e gli essere umani comuni – cioè la grandissima parte del mondo, Usa compresi – sono solo zavorra incapace di pensare. Incapace di pensare, ma da attrarre al botteghino, dove la si ritiene invece utile, anzi utilissima: venghino, siòri, venghino…..

Trump NON farà quello che si teme faccia, perlomeno non le cose peggiori, esattamente come Obama NON ha fatto quello che si sperava facesse, perlomeno le cose migliori. Trump non farà quello che ha detto di voler fare, perlomeno le cose peggiori, esattamente come Obama NON ha fatto quello che ha detto di voler fare, per lo meno le cose migliori, a partire da un rapporto migliore con l’Islam.Al quale ha preferitoinvece il solito rapporto “speciale” con Israele – ormai Usraele –  e  con i regimi più infami del mondo arabo, vedi i regimi sauditi e dei vari regnotti del Golfo, tutti wahabiti, cioè il peggio del peggo dell’Islam.

Continueranno a comandare in primis l’apparato militar industriale,  denunciato già da Eisenhower, che pure se ne intendeva, e il sistema finanziario “globalizzato”, compreso quello Sheldon Adelson che finanzia anche Netanyahu ed è l’imperatore dei casinò da Las Vegas a Macao. Continueremo perciò ad avere guerre “locali”, perché gli Usa – e l’Europa – devono vendere le armi che producono e smaltire le vecchie sulla pelle degli esseri umani. I palestinesi saranno ancor più trattati come Untermenschen da affarmare, espellere, lasciar crepare, accoppare, rinchiudere in riserve indiane e ai quali cancellare l’identità con l’ennesimo identicidio perpetrato dall’Occidente nei confronti del resto dl mondo.

Trump o Hilary Clinton, come tutti anche gli Usa cambieranno davvero in meglio solo quando sbatteranno la faccia contro il muro. La propria faccia.
L’elezione della Clinton avrebbe se non altro segnato il buon punto della novità di un presidente Usa donna, che faceva seguito all’incredibile elezione di un presidente nero. Ma sotto questo profilo, gli Usa hanno preferito fare un passo indietro.

“Noi” e “Loro”: riusciremo mai a convivere pacificamente?

Oggi siamo soliti stupirci alquanto che ancora possano esistere confessioni religiose così fanatiche da provocare stragi, terrore e guerre a non finire.

Noi occidentali siamo però abituati da tempo a credere che dietro motivazioni religiose vi sono sempre motivazioni economiche. Gli stessi dell’Isis continuamente ci fanno capire che dietro le loro stragi in nome di Allah e del Corano vi è l’obiettivo di colpire gli occidentali, che loro equiparano agli “imperialisti”.

Essere islamico “moderato” sostanzialmente per loro significa stare dalla parte degli occidentali. Non si rendono conto che quanto più si comportano in maniera così estremistica e intollerante, tanto più, indirettamente, fanno un favore alle idee laicistiche.

Da un lato infatti il mondo laico si convince sempre più che la religione, vissuta in una certa maniera, può anche diventare molto pericolosa; dall’altro si va formando, tra gli stessi ambienti islamici più consapevoli, l’idea che sia giunta l’ora di svecchiarsi. Non si può continuare a essere “feudali” in un modo dominato dal globalismo del capitale. Se vi sono contraddizioni sociali da risolvere, non sarà certo col fanatismo religioso (islamico o ebraico o di altra religione) che lo si potrà fare.

È anche vero che questo fanatismo trova alimento proprio in quelle contraddizioni. Quanto più infatti il globalismo riesce a diffondersi, tanto più le aree geografiche caratterizzate da ampie sacche di povertà (materiale e culturale), pensano di trovare nel passato fondamentalismo islamico una valvola di sfogo. Essere islamici non vuol dire soltanto credere in un dio o in un testo sacro, ma anche essere anti-occidentali, e finché gli occidentali vogliono dominare il pianeta, vi sarà sempre qualche fanatico integralista disposto a tutto.

Sotto questo aspetto gli ebrei sionisti di Israele sono stati più furbi: anche loro vogliono essere fanatici e intolleranti, ma hanno preferito mettersi dalla parte degli occidentali, dicendo a più riprese che i loro nemici sono i palestinesi terroristi che non riconoscono il loro Stato. E la gran parte di noi non ha molto da obiettare né al loro fanatismo ideologico né al fatto che quando vogliono dare una “lezione” ai palestinesi, usino mezzi assolutamente sproporzionati e inumani. L’importante è che stiano dalla nostra parte.

Purtroppo però un atteggiamento del genere, da parte delle religioni integralistiche, fa male anche al laicismo. Infatti quando i laici vedono i credenti compiere atti così sconsiderati (p.es. sterminare dei tranquilli bagnanti in una spiaggia tunisina o dei devoti sciiti in una moschea yemenita), sono indotti a pensare che il loro laicismo sia vero in sé e per sé, a prescindere dai concreti comportamenti pratici. E, si sa, quando si estremizzano i comportamenti, si finisce col compiere cose insensate proprio in nome della “ragione” (quanti bombardamenti abbiamo già fatto in nome dei “diritti umani”? Afghanistan, Irak, Serbia, Libia…).

Quindi se fino adesso non abbiamo scatenato una guerra in piena regola, con l’uso di armi di sterminio (al fosforo, all’uranio impoverito…) contro l’Isis, non è detto che i prossimi mesi non ci venga voglia di farlo. In fondo i bagnanti nel golfo di Hammamet erano dell’Europa occidentale, come i turisti al museo tunisino del Bardo, come i redattori della rivista parigina Charlie Hebdo, come gli oltre 5000 morti delle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001, che ha dato il via a una guerra intermittente, con alti e bassi, tra “loro” e “noi”.

Stiamo cominciando a capire che ormai il conflitto non è più solo tra “islamici” ed “ebrei”, né all’interno del mondo musulmano (p.es. tra sciiti e sunniti), ma anche tra “loro” e “noi”. Questo schematismo geopolitico può scatenare reazioni imprevedibili, che faranno male non solo a “loro” ma anche a “noi”, soprattutto ai concetti di “democrazia” e di “pluralismo”.

Invece di prendere le cose sotto gamba, invece di metterci in condizioni tali per cui, ad un certo punto, l’ultima parola l’avranno i militari, gli affaristi e i loro politici ultraradicali, dovremmo, sin da adesso, mobilitare tutto l’armamentario diplomatico. Dovremmo formulare dichiarazioni pubbliche da parte di organismi internazionali a favore della convivenza pacifica tra etnie, culture, religioni diverse. Dovremmo organizzare conferenze internazionali per affrontare i problemi del Medio oriente, la fame in Africa, il sottosviluppo nel Terzo mondo. L’occidente però sembra essere preso da tutt’altre faccende, e non si può dire che Russia, Cina, India, America latina o Paesi arabi siano davvero interessati a svolgere un ruolo significativo per i valori umani fondamentali.

Il rischio è quello di finire in una guerra devastante senza davvero volerla. Qualche Stato forse voleva la prima guerra mondiale? O la seconda? Nessuno in particolare. Anche gli Stati più “estremisti” al massimo si sarebbero accontentati di colonie da sfruttare. Invece vi ci siamo infilati tutti in men che non si dica. In Europa si aveva l’impressione che solo con una gigantesca guerra si sarebbero potuti risolvere i problemi interni.

Oggi chi spinge a una soluzione del genere sembrano essere gli Stati Uniti, che non hanno avuto scrupoli a finanziare e armare prima i talebani contro i russi, poi gli islamisti del califfato contro la Siria, infine i neonazisti contro i filorussi nel Donbass. Salvo poi accorgersi che tutti questi “aiuti” potevano anche sfuggire di mano.

Un destino segnato

Di tutte le crociate medievali in Medio oriente solo due risultarono decisive: la prima del 1096, che colse arabi e turchi del tutto impreparati, e la quarta, del 1204, che colse impreparati i bizantini. Delle due, quella che diede i frutti maggiori fu la seconda, che comportò la prima grave caduta di Costantinopoli e che, senza dubbio, favorì il suo crollo definitivo nel 1453, permettendo il formarsi di un gigantesco impero ottomano, comprendente tutta la costa africana, i Balcani e tutto il Medio oriente fino alla penisola arabica, durato sino alla fine della prima guerra mondiale.

Chi fu il responsabile di questo “gesto di madornale insipienza politica… che sconvolse – come dice Steven Runciman in Storia delle crociate – l’intero sistema di difesa della cristianità”? Fu l’occidente latino nel suo complesso, impersonato dal papa teocratico Innocenzo III, desideroso quanto mai di sottomettere la chiesa ortodossa; dal doge veneziano Enrico Dandolo, unicamente preoccupato di far acquisire alla sua Repubblica i maggiori vantaggi economici; da vari signori feudali, che ambivano ad assumere cariche prestigiose, come p.es. quella di re o addirittura di imperatore, smembrando un impero non meno cristiano del loro in occidente. E in mezzo a queste potenti forze clericali, borghesi e feudali stavano gli intrighi degli ambienti di corte della capitale bizantina, inevitabilmente soggetti ad ampie strumentalizzazioni.

La quarta crociata fu infatti l’esempio più eloquente del vero motivo che spinse decine di migliaia di persone a intraprendere delle avventure in cui rischiavano facilmente la vita: quello economico. In Europa occidentale le contraddizioni sociali avevano raggiunto un livello così acuto che ai ceti dominanti parve essere la politica estera l’unico mezzo per poterle risolvere.

Abituati a vivere rapporti sociali fortemente antagonistici, questi ceti dominanti, che coinvolsero, con la propaganda, anche quelli meno abbienti, ritenevano del tutto normale l’uso della violenza più efferata per la difesa della fede religiosa. Ci volle infatti la predicazione francescana prima di capire che con le armi della parola, della pace, del rispetto della diversità si potevano ottenere risultati più significativi.

Con le crociate il colonialismo europeo ebbe la meglio nel Mediterraneo fino al 1453, poi si spostò sull’Atlantico, andando a occupare tutte le coste africane, creando avamposti commerciali in tutta l’Asia e soprattutto invadendo l’intero continente americano. Sono praticamente mille anni che la cultura occidentale, prima europea, poi statunitense, domina tutti i principali mari del mondo, fonte primaria degli scambi commerciali. Il capitalismo ha le sue radici storiche, le sue premesse culturali, le sue basi economiche nel Mille.

Oggi stiamo addirittura assistendo alla nascita di un nuovo protagonista mondiale dell’economia capitalistica, estraneo alla cultura occidentale, ma che la va assimilando molto velocemente, seppur all’interno di proprie caratteristiche: la Cina. Un assaggio di questa nuova gestione asiatica dell’economia borghese l’avevano già dato il Giappone, la Corea del sud, Hong Kong, Singapore, Taiwan, ecc., ma con la Cina si ha a che fare con un gigante senza paragoni, con un colosso che, quando inizierà a muoversi militarmente, non avrà difficoltà ad annettersi tutte le suddette “anticipazioni”.

Bisogna solo dargli il tempo di crescere, cioè il tempo di vedere che alle proprie interne contraddizioni, quando diverranno esplosive, non vi sarà altra soluzione che la guerra. E possiamo facilmente prevedere, sin da adesso, che quando il capitalismo viene gestito da uno Stato autoritario, militarizzato, a partito unico, il destino degli europei e degli americani, così individualisti, egocentrici e volubili, è segnato.

Egitto, fine delle illusioni occidentali sulla bontà dei colpi di Stato in casa altrui quando ci fa comodo.

La tragedia egiziana ha posto la parola fine a un’altra illusione dell’Occidente, e dell’Europa in particolare: all’illusione, vale a dire, che i colpi di Stato militari possano arginare man mano e una volta per tutte le spinte popolari extra occidentali che per un motivo o per l’altro non ci piacciono. Quest’illusione si fonda sul fatto che di norma gli ufficiali militari che costituiscono l’ossatura delle forze armate altrui sono stati formati quasi tutti nelle più prestigiose accademie e scuole militari degli Usa e dell’Europa. Quelle italiane, per esempio,  hanno contribuito a formare il colonnello Gheddafi e il generale Siad Barre, ex sottotenente dei carabinieri italiani, diventati a suo tempo con i rispettivi colpi di Stato i padroni di lungo corso della Libia il primo e della Somalia il secondo. Finiti entrambi come sono finiti: ucciso dai ribelli il primo, cacciato a furor di popolo il secondo.

In Tunisia il generale Ben Ali, che nel 1987 abbatté con un colpo di Stato morbido il presidente Bourguiba prima di essere cacciato a sua volta con la cosiddetta “primavera araba” nel gennaio 2011, si guadagnò i gradi nella prestigiosa Ecole spéciale militaire de Saint-Cye e nell’Ecole d’application de l’artillerie de Chalons-sur-Marne, per poi perfezionarsi nella Senior Intelligence School e infine nella School for Anti-Aircraft Field Artillery negli Usa. E a metterlo in sella a Tunisi furono i nostri segreti militari, che seppero agire con discrezione: Bourguiba fu deposto per senilità a 84 anni e fatto accudire da una equipe di medici nel suo dorato palazzo di Monastir.

E’ francamente incomprensibile, se non con l’odio verso gli islamici in generale, la simpatia con la quale soprattutto in Italia è stato accolto il colpo di Stato che in Egitto ha portato in galera il presidente Mohamed Morsi. Candidato dei Fratelli Musulmani, Morsi nel giugno dell’anno scorso ha vinto le prime elezioni libere e democratiche egiziane, che hanno posto fine ai quasi 30 anni di potere di Hosmi Mubarak, generale dell’aeronautica diventato presidente. I generali che hanno deposto e arrestato Morsi, primo non militare diventato presidente,li abbiamo applauditi come “salvatori della democrazia”, nonostante siano stati le colonne portanti del potere man mano sempre più duro di Mubarak. Il precedente algerino avrebbe dovuto invece farci riflettere di più, ma si è preferito ignorarlo. Purtroppo i fatti però sono testardi, e continuano a esistere anche se non se ne parla. Com’era prevedibile, in Egitto si sta ripetendo infatti quanto successo in Algeria nel 1992, quando alla vittoria schiacciante del Fronte Islamico di Salvezza Nazionale, che nel primo turno delle libere elezioni aveva riportato nel dicembre 1991 il 60% dei voti, l’esercito applaudito dall’intero Occidente rispose con un golpe. Golpe che se ha rassicurato in particolare la Francia, ha però aperto la strada a una guerra civile particolarmente feroce, che ha mietuto centinaia di migliaia di morti. E che tuttora lascia aperta la porta ad altre possibili convulsioni dagli sbocchi potenzialmente ancora più gravi. Continua a leggere

Organi sessuali e civiltà

Gli organi sessuali sono preposti a tre funzioni: biologica, erotica e riproduttiva. La natura ha concentrato in un unico organo tre funzioni molto diverse. Non può averlo fatto soltanto per motivi “economici”, anche perché la funzione biologica ripugna a quella erotica e quest’ultima guarda con timore quella riproduttiva. Ci deve essere dietro alla motivazione “economica” (che potremmo chiamare anche “fenomenologica”, essendo molto evidente), una motivazione di tipo ontologico, cioè più profonda.

Qui sembra esservi espressa un’intelligenza di tipo etico, che appare inverosimile in ciò che siamo soliti definire col termine di “natura”. Sembra cioè di avere a che fare con una natura dall’intelligenza umana, in grado di prevedere un uso sbagliato, unilaterale, di una funzione, quella erotica, e quindi in grado di aiutarci a prevenirlo senza alcuna particolare forzatura, semplicemente mettendoci di fronte alle nostre responsabilità, come ci accade quando leggiamo quegli avvisi presso le centrali elettriche: “Chi tocca i fili, muore!”.

E’ come se la natura avesse predisposto che i nostri organi sessuali non possano essere usati nelle loro funzioni separate, se non in via temporanea o transitoria. In ultima istanza le funzioni devono restare correlate, poiché, quando non lo sono, occorre chiedersi se ciò sia naturale. Facciamo degli esempi:

  1. se l’erotismo è fine a se stesso, la perversione diventa inevitabile, come p. es. nella pornografia, nella prostituzione, ecc.;
  2. se il biologismo esclude per principio la riproduzione, diventa una forzatura, come p. es. nel celibato dei preti, negli eunuchi, ecc.;
  3. se la riproduzione viene resa obbligatoria, diventa un’ideologia, come quando la chiesa chiede una piena disponibilità a procreare ogni volta che si hanno rapporti sessuali, oppure quando si costringe la donna al solo ruolo di madre.

Questi sono tutti atteggiamenti contronatura. Quindi dovremmo ammettere che la natura ha previsto una coesistenza equilibrata di aspetti etici ed estetici, oltre che fisiologici. Ora quand’è che viene meno questo equilibrio? Viene meno quanto più l’umano si allontana dal naturale, cioè quanto più frappone tra sé e il naturale qualcosa di artificiale. L’essere umano è l’unico ente di natura in grado di farlo. L’artificio, ovvero il mezzo meccanico, gli permette di vivere un erotismo fine a se stesso o comunque non finalizzato alla riproduzione.

Per certa ideologia religiosa questo è peccato, ma i diretti interessati sanno bene che in una società conflittuale, dove il naturale è quasi del tutto scomparso, la riproduzione può avere costi proibitivi. Non voler rendersi conto di questo “handicap”, significa appunto essere schematici, farisei.

Dunque che possibilità abbiamo di ripristinare le funzioni naturali degli organi sessuali? Al momento nessuna. Anzi, la vita è così artificiale e complicata che persino la riproduzione si sta meccanizzando sempre di più, proprio in quanto le coppie sono sempre più restie a riprodursi e quelle infertili e sterili aumentano progressivamente, senza sosta.

Questo è un sintomo abbastanza eloquente e non possiamo certo minimizzarlo scegliendo come alternativa l’adozione di bambini abbandonati. Se nella riproduzione prevale l’artificiale, la natura, ad un certo punto, non sa più che farsene di noi e tende a emarginarci, a espellerci dal suo circuito riproduttivo e quindi addirittura dalla storia, sua e nostra. Noi infatti ci siamo illusi che i mezzi meccanici non potessero avere su di noi conseguenze irreparabili e che si potesse in qualunque momento fare un’inversione di marcia.

Questo, ovviamente, non è un problema della sola nostra società, bensì dell’intera civiltà industrializzata. Guardando come si è evoluto, sarebbe bene che il sistema capitalistico scomparisse dalla faccia della terra, proprio per permettere alla natura e a quelle poche popolazioni che vivono ancora in maniera naturale, di salvaguardarsi e, possibilmente, di farlo nel migliore dei modi.

Noi occidentali non dovremmo preoccuparci d’essere emarginati o espulsi dalla natura e dalla storia, quanto piuttosto di come favorire le condizioni perché qualcuno possa sopravvivere a un nostro declino che pare irreversibile. Il destino dell’umanità infatti è quello di popolare l’intero universo, ma nelle condizioni in cui attualmente ci troviamo, noi occidentali di sicuro siamo la popolazione meno adatta.

Ilan Pappé: “Possiamo provare pietà per Israele?”

http://nena-news.globalist.it/Detail_News_Display?ID=46456&typeb=0&Pappe-possiamo-provare-pieta-per-Israele

Pappé: possiamo provare pietà per Israele?

Lo storico Ilan Pappé guarda alla società israeliana nel nuovo anno. Provando compassione per il colonialismo razzista di arabi ebrei, nuovi immigrati e ultraortodossi.

Ilan Pappé per Electronic Intifada

Roma, 7 gennaio 2013, Nena News – Ho passato gli ultimi giorni del 2012 nella città di Haifa. Per caso, ho incontrato alcuni conoscenti che in passato mi consideravano nel migliore dei casi come un illuso, nel peggiore come un traditore. Mi sono sembrati più imbarazzati – quasi confessando che le mie nere previsioni sul futuro di Israele si stavano dolorosamente concretizzando di fronte ai loro occhi.

In effetti, le nostre previsioni sono giunte molto tardi. Già nel 1950, con inquietante precisione, Sir Thomas Rapp, capo dell’ufficio britannico per il Medio Oriente del Cairo, aveva previsto il futuro. È stato l’ultimo ad essere inviato da Londra per decidere se la Gran Bretagna dovesse o meno stabilire relazioni diplomatiche con Israele. Lui diede il via libera, ma avvertì i suoi superiori a Londra: “La generazione più giovane viene spinta verso un contesto militarista e così si crea una minaccia permanente alla stabilità mediorientale. Israele si sta allontanando da uno stile di vita democratico e avvicinando verso il totalitarismo della destra o della sinistra” (Public Record Office, Foreign Office Files 371/82179, E1015/119, lettera al Segretario agli Esteri Ernest Begiv, 15 dicembre 1950).

È il totalitarismo della destra che è destinato ad essere il segno distintivo dello Stato ebraico nel 2013. E alcuni dei sionisti liberali, che una volta erano disposti a divorare me e altri ebrei che la pensavano come me, oggi realizzano – come Sir Thomas prima di noi – che forse avevamo ragione. E forse a causa del loro atteggiamento più benevolo, vorrei ricambiare tentando con loro un approccio diverso nel 2013. Continua a leggere

Il non democratico Qatar, proprietà privata di uno sceicco immensamente ricco, dichiara ufficialmente che la “rivoluzione” libica è stata una rivolta preparata, alimentata e guidata sul terreno soprattutto dalle sue forze armate, supportate dai falsi di Al Jazeer e Al Arabija. E don Piero Gheddo chiede: “Siamo sicuri che Gheddafi sia il diavolo?”

Come volevasi dimostrare. Ovvero: ora si spiegano alla perfezione, tra l’altro, i falsi scoop libici propalati in tutto il pianeta dalle televisioni Al Arabija e Al Jazeera. Il Qatar  ha messo le mani avanti sul futuro della Libia rivendicando un ruolo più importante, e magari qualche ottima concessione petrolifera. Il perché di tali rivendicazioni lo ha reso pubblico il suo capo di stato maggiore delle forze armate, Hamad bin Ai al Atiya. Il capo militare ha rivelato con molto orgoglio non solo che il Qatar è stato il Paese che più di tutti ha appoggiato militarmente i ribelli libici, ma anche che  ha inviato “centinaia di uomini in ogni regione” libica. Non uomini qualsiasi, ma, ci ha tenuto a chiarire al Atiya, militari che dovevano pianificare le azioni dei ribelli contro Gheddafi. Continua a leggere

Obama a Londra ha detto che l’Occidente ha i valori di fondo che legittimano ancora la sua guida del mondo, ma l’Occidente senza tutto ciò che ha preso dall’Oriente sarebbe ben poca cosa

Passata la tempesta elettorale, riprendiamo a parlare di argomenti purtroppo più importanti.
Nei giorni scorsi a Londra il presidente Usa Obama ha tenuto nel parlamento inglese un discorso da uomo d’Occidente molto orgoglioso di esserlo. Non ha parlato di superiortà della civiltà occidentale, ma ha detto qualcosa di simile, qualcosa che una tale superiorià la sottende implicitamente. Obama ha infatti ribadito solennemente, nella sede dove è nato l’Habeas corpus che sta alla base di tutte le nostre libertà nei confronti del potere, che l’Occidente ha tuttora i valori fondamentali che lo autorizzano a voler guidare il mondo. Obama però non ha detto, forse perché lo ignora come quasi tutti eccetto gli studiosi, che l’Occidente senza tutto ciò che ha ricevuto per secoli e secoli dall’Oriente non sarebbe quello che è, non potrebbe cioè avere i “valori fondamentali” che ha. Fermo restando che ogni Paese ha i suoi valori, e che è assurdo pretendere che i propri siano superiori a quelli degli altri.
Nessuno, tanto meno Obama, ama ricordare il contributo decisivo al sapere scientifico, al tenore di vita e alla civiltà europea, e quindi occidentale in genere, fornito dalla civiltà islamica, dalla “Via della Seta” e dalla “Via delle Spezie”. I numeri che usiamo in Occidente non a caso sono i “numeri arabi”, nati in India e trasmessici dal mondo islamico, per non parlare dell’algebra, dell’astronomia, della cartografia, della medicina, della chimica, ecc. Dividiamo la settimana in sette giorni, di cui uno festivo, le note musicali in sette note, il giorno in 24 ore, le ore in 60 minuti, l’orizzonte in 360 gradi, ecc., ma sono tutte cose nate in Mesopotamia oltre 4.000 anni fa! E sono centinaia le parole italiane in vari campi che derivano dall’arabo e dall’iranico, a partire dalla diffusissima e significativa parola “paradiso”, fondamentale nella religione.

E a proposito di religione, non si usa dire che i “valori” dell’Occidente derivano dal cristianesimo? Anzi, da un po’ di tempo la Chiesa per nascondere le sue colpe verso gli ebrei ama parlare di radici “giudaico-cristiane”. E da dove vengono il cristianesimo e il giudaismo se non dalla Giudea, cioè dall’Oriente? Con il cristianesimo “Roma s’è fatta Oriente”. Il monoteismo e i principi del cristianesimo, a partire dall’ama il prossimo tuo come te stesso,  sono prodotti orientali poco conciliabili con le radici “greco romane”, delle quali pure ci vantiamo. Prodotti orientali che, fatti propri da Roma, nell’affermarsi in Europa – purtoppo, esattamente come nel resto del mondo, più con le armi che con il vangelo – hanno spazzato via il preesistente politeismo pagano e il suo sistema di valori. Che era il sistema di valori tipico proprio del mondo greco e romano, ma anche di quello degli altri popoli del Vecchio Continente, compresi i barbari e i germani che lo hanno poi invaso, sistema di valori per nulla centrato sull’eguaglianza, sulla solidarietà e sull’amore per il prossimo. Forse non è strano che per motivi di bottega il papa e la Chiesa non se ne rendano conto o facciano finta di non saperlo, ma è strano che neppure Obama si renda conto di tutto ciò. E se fosse vero quello che hanno provato a sostenere i suoi nemici, e cioè che lui in realtà è un musulmano, e comunque musulmani erano i suoi avi, sarebbe ancor più strano che non si rendesse conto che anche la religione fondata da Maometto è un prodotto dell’Oriente, non è certo “made in Europe”. Né più e né meno come il cristianesimo e il giudaismo noto anche come ebraismo. Continua a leggere

Berlusconi e Travaglio uniti: contro i palestinesi. Papino il Breve seppellisce Obama del Cairo e medita di comprarsi l’Eni spendendo però il meno possibile. Ecco perché gli serve danneggiarla con il demenziale ordine di abbandonare l’Iran, il nostro maggiore fornitore di petrolio: per far calare il prezzo dell’oro nero in Borsa. E se in Italia ci scappasse l’attentato sarebbe l’occasione buona per passare dalle leggi ad personam alle leggi speciali. E’ il Partito dell’Amore, bellezza!

In Israele il nostro capo del governo Silvio Berlusconi ha dato il meglio di sé, cioè a dire il peggio in assoluto. Sulla spinta verso il cielo dei suoi fenomenali tacchi non ha saputo resistere alla tentazione di sentirsi più vicino al Dio della bibbia aggiungendo di getto al testo del discorso scritto l’infelice e indecente frase “La reazione di Israele a Gaza è stata giusta”. Oltre che l’ONU, una bella fetta della stessa popolazione israeliana, compreso un bel gruppo di militari che a Gaza c’erano, tutti sanno che la reazione contro Gaza non è stata affatto “giusta”. Ho dimostrato in una precedente puntata del blog che massacrare in due settimane 1.400 persone su un totale di 1.400.000 abitanti equivale a massacrare l’1 per mille dell’intera popolazione. In appena due settimane! E ho dimostrato che neppure l’intera campagna angloamericana di bombardamenti incendiari sulle città tedesche è arrivata a tanto, e in un periodo 50 volte più lungo. Con la sua bella improvvisata il Chiavalier Papino il Breve ha sotterrato Obama e il suo discorso de Il Cairo, peraltro cadavere già sotterrato da Netanyahu. Diciamo che Berlusconi ne ha sigillato la tomba.
Non vorrei essere nei panni di Marco Travaglio, o del Paolo Guzzanti riciclato nè di altri maestrini “di sinistra”, antiberlusconisti a tutto volume, ma per quanto riguarda Gaza berlusconissimi e filo mattanza anche loro. Travaglio col suo solito tono professorin-ieratico ha subito messo in chiaro nel suo blog, non appena i carri armati e i bombardamenti si sono messi in moto, che quella di Israele non era una guerra offensiva, ma una giusta operazione difensiva. Capisco che oggi è ormai impossibile non dico fare carriera ma anche solo non essere soffocati se non ci si inchina verso chi ha in mano gli assi, però certi eccessi andrebbero evitati. Guzzanti nel suo blog modestamente intitolato “Rivoluzione italiana” ha addirittura augurato a Israele  “buona guerra” contro Gaza, festeggiandola o supportandola con pacifiste del calibro di Fiamma Nierenstein, la vera vincitrice di questa fase politica.
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Il fratello di Karzai è un grande produttore di oppio, al servizio della Cia. Nel nostro piccolo, Berlusconi col video di Marrazzo s’è comportato da ricettatore o da favoreggiatore? Mentre i vari “addict” della pantofola papalina, Rutelli-Binetti-Casini-& C se la intendono più che mai con lo Stato nemico della democrazia laica della Repubblica italiana

Sia in Italia che all’estero ormai capita spesso che non si riesca  distinguere se ciò che leggiamo sui giornali o vediamo in tv si riferisca alla situazione politica o a un film di gangster.
Per esempio: non solo si scopre che in Afganistan i brogli elettorali sono stati tali e tanti da costringere l’attuale presidente, Hamid Karzai, ad accettare il ballottaggio dopo essersi attribuito da un pezzo la vittoria elettorale al primo turno, ma si scopre anche che suo fratello Ahmed  è uno dei più grandi produttori locali di oppio, e quindi di eroina, droghe che rendono schiavi e uccidono decine di migliaia di giovani anche in Occidente. In altri termini, un criminale che miete vittime in tutto il pianeta. Eppure si scopre anche che è al soldo della Cia! La stessa Cia degli stessi Usa che nello stesso Afganistan si dicono impegnati a combattere anche i produttori di oppio perfino concedendo ai propri militari la licenza di ucciderli con “omicidi mirati”, come quelli degli israeliani contro i presunti terroristi palestinesi. Da notare che l’Afganistan che si rivela essere una fogna di corrotti molto peggiore di quel che già si sapeva e di quel che si intuiva è lo stesso Afganistan per il quale muoiono anche militari italiani. E nel quale in nome della democrazia di stampo occidentale vengono uccisi da militari occidentali una marea di civili afgani innocenti.

In Italia siamo al punto che i pericolosi deliri del nostro capo di governo contro qualunque organo giudiziario che faccia il proprio dovere, dalla magistratura di Milano alla Corte Costituzionale si sono incrociati perfino con una storiaccia come i ricatti a Piero Marrazzo, il governatore del Lazio fresco di dimissioni per una brutta vicenda di sesso a pagamento con transessuali per la quale ha purtroppo accettato di essere ricattato anziché denunciare subito i ricattatori. Come abbiamo appreso dalla stampa, Berlusconi e almeno un suo giornale sono venuti in possesso del filmato del ricatto, e il primo ministro ne ha anche parlato con il ricattato anziché denunciare tutto alla magistratura. Un comportamento talmente grave che anche se non integra il reato di omessa denuncia – il capo del governo non è equiparabile a un pubblico ufficiale? – emana il cattivo odore del reato di ricettazione e/o concorso in favoreggiamento e magari anche del ricatto implicito. Continua a leggere