EVOLUZIONE DELLA I REPUBBLICA ITALIANA

La Dc di A. De Gasperi e del suo principale erede, A. Fanfani, ebbe la meglio sui social-comunisti non solo per il consistente appoggio politico e finanziario degli americani, ma anche perché adottò nel suo programma molte riforme di tipo sociale, che ebbero un certo successo: da quella sulla casa a quella sulla terra, sino alla nazionalizzazione delle aziende produttrici di energia elettrica, che trovò ampi dissensi persino negli ambienti più conservatori della stessa Dc.

Il partito seppe tener testa ai comunisti praticamente sino al referendum sul divorzio, che segnò l’inizio del definitivo declino politico della Dc. Da partito innovatore sul piano socioeconomico, la Dc si trasformò in partito ultraconservatore, incapace di leggere i mutamenti della società civile in direzione dello stile di vita, dei valori culturali e normativi, dell’atteggiamento nei confronti della religione. Nel decennio che va dal ’68 al ’78 vi fu un’autentica frattura generazionale.

L’altro momento chiave del tracollo del cattolicesimo sociale di Fanfani, Dossetti e La Pira avvenne col delitto Moro, vero spartiacque tra l’ultima Dc formalmente progressista (quella di Moro e Zaccagnini) e una decisamente reazionaria (quella di Andreotti, Forlani, Cossiga, Piccoli ecc.). Quest’ultima non solo non mosse un dito per salvare Moro, ma fu anche ben contenta di concludere la fase del “compromesso storico” col Pc di Berlinguer, in linea con la volontà americana. In alternativa essa pensò di poter continuare a gestire il potere cercando un’intesa programmatica col craxismo, ch’era un socialismo nettamente anticomunista (a differenza di quello di Nenni e De Martino, che lo era stato in maniera più velata).

Gli anni Ottanta furono gli anni del socialismo borghese di Craxi, De Michelis, Martelli…, cioè della peggior forma di socialismo che la nostra nazione abbia mai vissuto. E furono anche gli anni in cui la Dc riuscì ad affossare definitivamente tutte le indagini sul terrorismo nero e sulla criminalità organizzata.

La Dc non vorrà mai fare i conti col fallimento della propria politica economica: la sua contraddizione maggiore è stata che da un lato chiedeva il consenso politico alle forze contadine, con l’esplicito appoggio della chiesa, dall’altro essa finirà col distruggere socialmente proprio questa classe, obbligandola a trasformarsi in pochi imprenditori capitalistici agricoli (nel centro-nord) o in un enorme serbatoio di manovalanza a basso costo per l’industria del nord (nel mezzogiorno).

L’esigenza di stabilire dei rapporti organici con le forze della sinistra (Fanfani coi socialisti, Moro coi comunisti) emergeva ogniqualvolta le concessioni fatte al capitalismo e al consumismo rischiavano di portare a gravi conflitti sociali (che con Tambroni si era cercato invece di risolvere in maniera autoritaria). E la sinistra, ivi inclusa quella comunista di Berlinguer, purtroppo s’è prestata a questa strumentalizzazione.

Mentre con la Dc fanfaniana si cercava di realizzare l’ideale (rivelatosi poi illusorio a motivo delle proprie insanabili contraddizioni) di un cattolicesimo sociale nell’ambito di uno sviluppo capitalistico avanzato, prevalentemente monopolistico, con ampia partecipazione statale, viceversa col craxismo si rinuncia a qualunque valore cristiano (si farà persino una parziale revisione del Concordato), nella consapevolezza che il cristianesimo politico avesse fatto il suo tempo e che una rappresentanza univoca dei cattolici non avesse più senso sul piano politico.

Tuttavia, invece di diffondere valori laici umanistici, la rinuncia netta all’anticapitalismo, ovvero a cercare una “terza via laico-democratica” tra capitalismo monopolistico-statale e socialismo burocratico e autoritario, porterà il partito di Craxi a favorire la corruzione a tutti i livelli, al punto che la magistratura si sentirà indotta a intervenire.

La vicenda di “Mani pulite”, che parte nel 1992, mettendo allo scoperto i nessi truffaldini tra economia e politica, segna l’inizio dello scontro tra politica corrotta e magistratura democratica. L’esito è la dissoluzione di tutti i maggiori partiti borghesi della I Repubblica.

Il peggio di questi partiti confluisce a destra, dando vita nel 1994 a Forza Italia del piduista Berlusconi e di Dell’Utri, colluso con la mafia, all’Udc dei ciellini integralisti Casini e Buttiglione, all’Udeur di Mastella (che non confluisce nell’Udc solo perché le tradizioni originarie erano più vicine all’Azione cattolica meridionalista); mentre al centro-sinistra si orienta una minoranza di cattolici democratici, sempre proveniente da Azione cattolica, ma senza legami espressamente clientelari come quelli dell’Udeur: questi ex-democristiani formeranno la Margherita e in parte daranno vita all’esperienza dell’Ulivo. Avranno il coraggio di por fine una volta per tutte all’unità politica dei cattolici.

Il grande partito della corruzione che eredita il peggio dei socialisti, dei socialdemocratici, dei liberali, dei repubblicani e della Dc è Forza Italia, che con Alleanza Nazionale (che intanto con Fini supera i beceri riferimenti al fascismo), la Lega Nord (che vuole un capitalismo modello svizzero) e l’Udc creerà la nuova destra nazionale. Tutti partiti che, in questo patto di ferro con Forza Italia, subiranno, per vari motivi, importanti defezioni, ma non senza avere la possibilità di governare per un intero quinquennio.

Turandosi il naso, An, Udc e Lega Nord, pur di andare al governo, hanno accettato l’idea che Forza Italia si ponesse come il partito degli evasori fiscali, degli speculatori edilizi e finanziari, dei bancarottieri, dei collusi con la criminalità organizzata e in genere di quanti vogliono smantellare lo Stato sociale e tenere la magistratura e l’informazione sotto tutela politica.

Si assiste insomma a questo processo involutivo della politica italiana: quanto più ci si rende conto dei limiti strutturali di un’economia sempre più illiberale e sempre meno sociale, ovvero dei limiti strutturali di una politica che non sa impedire che le esigenze del mercato la facciano da padrone, tanto più i partiti si staccano dalla realtà dei bisogni, diventano autoreferenziali e unicamente preoccupati a difendere i loro privilegi di casta.

Purtroppo questa impotenza riguarda anche la sinistra, che pur essendosi liberata del peso di un socialismo autoritario come quello sovietico, ha del tutto abdicato all’idea di poterne costruire uno nella nostra nazione. Tutti i maggiori partiti sanno di non avere alcuna progettualità in grado di imprimere una svolta in direzione del socialismo democratico a questa società sempre più individualista e corrotta.

Lo stesso Partito Democratico, nato di recente, in cui praticamente sono confluiti la Margherita e l’Ulivo e che ha determinato lo scioglimento dei Ds, non pone neanche all’ordine del giorno la necessità di una svolta politica in direzione del socialismo: si limita semplicemente a fare un discorso etico, di partecipazione popolare, finalizzato a razionalizzare l’esistente, salvaguardando le conquiste dello Stato sociale. E’ difficile pensare che un partito del genere avrà la forza sufficiente per imporre agli evasori fiscali il pagamento delle tasse con le quali mantenere i costi sempre più ingenti di questo Stato sociale. Anche perché tra chi dovrebbe votarlo vi sono moltissimi che non sono più in grado di pagare alcuna tassa: oltre il 13% dell’intera popolazione vive sulla soglia della povertà.

E’ più facile che di fronte a una montante protesta popolare s’imponga la necessità di una svolta autoritaria.

L’unica speranza “socialista” dell’Italia è rimasta in quella sinistra rosso-verde, ancora dilaniata dal trotskismo, dall’ambientalismo unilaterale, dalla prevalenza dell’ideologia sulla politica e in genere da quell’infantilismo estremistico che spesso caratterizza chi non si pone il compito né di governare l’esistente né di rovesciarlo con una rivoluzione autenticamente popolare.