I migliori dischi del 2008: prima (e forse ultima) puntata

Comincia un nuovo anno e non c’è rivista specializzata di musica che non chiami a raccolta redattori e collaboratori per l’immancabile classifica dei dischi più belli dell’anno appena defunto. E io ogni volta mi accorgo che non ho tenuto fede al proposito di segnarmi, da gennaio fino a dicembre, i miei dischi del cuore, così non mi trovo impreparata, non faccio confusione con i cd pubblicati l’anno prima. Già dai tempi del vinile ero una frana: non riuscivo a memorizzare titoli, formazioni, ricordavo bene solo l’immagine in copertina. Con i cd è stato ancora peggio, e poi la catastrofe dell’mp3: ricordare nomi, facce, autori, titoli è quasi impossibile. Da aggiungere che di un album salvo un paio o poco più di brani, il resto va subito nel dimenticatoio. Azzardo comunque qualche titolo per me degno di nota per il 2008: oltre a tutti i cd recensiti in questa mia rubrichetta (Sigur Ros, Beck, Oasis, Giant Sand, Bob Dylan d’annata) ho ascoltato con vero piacere le ultime fatiche di My Brightest Diamond “A thousand shark’s teeth”, Tricky “Knowle wets boy” (basta ascoltare la prima traccia, “Puppy toy” e sei catturato nelle sue avvolgenti, cattive spire), New Puritans e “Beat pyramid” (imprevedibili), la colonna sonora di “Mamma mia” (tanto aborrivo gli Abba, tamarri come pochi, quanto ho rivalutato parecchi testi e accordi versione Duemila), l’ep “Mastroianni” degli italiani Diva (tipo Baustelle, ma più spiritosi), le due giovani e promettenti Duffy con “Rockferry” e Adele con “19”(ad essere più precisi mi piacciono più le loro voci che alcune delle loro canzoni), “Dear science” dei newyorkesi Tv on the radio.

Carini ma nulla di più “To survive” di Joan Wasser (tranne “Eternal flame” che già conoscevo), Lambchop e “Oh – Ohio” (se ne salvano un paio, il resto scorre e non lascia traccia), Parenthetical Girls e “Entanglements” (la musica è ok, la voce è insopportabile), il ritorno dei B-52’s con “Funplex” (ma il tempo per loro non passa mai?).

Decisamente sopravvalutati dai giornalisti (che non chiamo volutamente colleghi) quel debosciato e inconcludente di Nicola Conte (c’è addirittura chi l’ha messo nella stessa pagina con Paolo Conte, approfittando della parziale omonimia), Golden Frapp versione intimista (meglio quando ci faceva allegramente sgambettare), The killers (tutto già sentito, e meglio), Afterhours (eppure Manuel Agnelli quando suonava travestito da ragazza era un figo…), Kings of leon e “Only by the night” (scherziamo?), Terrence Howard e “Shine through it” (niente voce e niente idee, meglio faccia l’attore). Deludenti gli ultimi Thievery Corporation. Interessanti ma non stravolgenti gli Acoustic Ladyland di “Skinny grin” (mi ricordano vagamente i Primus, ma quel sax in più è troppo onnipresente).

Non ho messo ancora le mani (cose tante cose da fare e così poco tempo…) su “Surfing” dei Megapuss (ovvero Devendra Barnhart e Fabrizio Moretti degli Strokes, complimenti se non altro per il nome irriverente della band), “4:13” dei Cure (ma ne varrà ancora la pena?), Bonnie “Prince” Billy e il suo “Lie down in the light”, “22 dreams” di Paul Weller (da non lasciar invece perdere in concerto, una garanzia), “Harps and angels” di Randy Newman (ho letto meraviglie, lui mi piaceva molto ai tempi di “Short people” ma poi… perso per strada), “Hurricane” di Grace Jones e la compilation “Catwalk breakdown” selezionata da Vivienne Westwood, la mia stilista preferita, per le sue sfilate (sono irrimediabilmente curiosa), Matthew Herbert e “There’s me and there’s you” con una big band di venti elementi.

Mi sono sicuramente dimenticata qualcuno, per cui vi lascio con un bel 1)continua… non si sa mai.