Sperare contro ogni speranza

Quando si finisce sulle Ande, perché l’aereo vi si è schiantato contro, e i soccorsi non arrivano e i viveri sono molto scarsi e non c’è alcun modo di comunicare con l’esterno, perché la radio non funziona, e i passeggeri, chi per le ferite riportate, chi per inedia, finiscono, uno dopo l’altro, per morire, e la disperazione comincia a farsi strada nei sopravvissuti, che, guardandosi attorno, avevano per un momento pensato d’essere stati “fortunati” – si vede subito la differenza tra l’ateo e il credente.

Uno prega, l’altro no; uno è passivo, rassegnato, l’altro no; uno dice di aspettare i soccorsi, l’altro invece li vuole andare a cercare tra quelle montagne impervie e innevate. Uno si affida a dio, l’altro al proprio io e cerca di convincere altri io a rischiare il tutto per tutto. Preso dalla terribile fame l’ateo propone di mangiare i cadaveri degli altri passeggeri; il credente, invece, si oppone per motivi di coscienza: ne fa una questione ideologica.

Dov’è dunque la vera differenza tra i due atteggiamenti? Dobbiamo forse pensare che l’ateo faccia di tutto per sopravvivere perché ritiene che non esista alcun aldilà? E che il credente faccia bene ad essere indifferente nei confronti della morte, perché sa che comunque tornerà a vivere? Dei due quindi dobbiamo ritenere più immaturo, più sprovveduto l’ateo, che non sa come stanno davvero le cose nell’universo?

No, la differenza non può stare in queste cose, poiché anche l’ateo può pensare che la vita continui dopo la morte. Se ritiene che l’universo sia infinito e che tutto quanto vi è contenuto si trasforma perennemente, niente gli impedisce di crederlo.

In fondo il credente non può avere alcuna certezza del suo “paradiso”: è solo una sua convinzione personale, in cui chiunque può credere, senza per questo dover scomodare l’esistenza di un fantomatico dio. La differenza, tra i due, non può essere così banale: deve per forza essere un’altra.

Il credente pensa di poter esibire ciò che lo distingue dall’ateo, per far vedere che è migliore, che il suo atteggiamento rassegnato e autoconsolatorio è quello giusto. Lui attende fiducioso un intervento miracoloso e si sente autorizzato a pensare che, se questo non arriva, la loro o la sua sia soltanto una prova da superare, magari per misurare la fede o per punire, lui o qualcun altro, di qualche peccato compiuto. Lui è lì, tutto pronto a fare delle supposizioni metafisiche.

No, l’ateo non farebbe mai ragionamenti del genere, così paralizzanti: tanto meno accetterebbe l’idea che quella tragica avventura deve servirgli per mutare opinione sulle questioni della fede. Anzi, troverebbe il modo di organizzarsi per cercare di salvare tutti, perché per lui la vita va vissuta sino in fondo, è tutto quello che è in suo potere di fare, deve farlo.

In questo sta la sua diversità: se deve morire, vuol farlo camminando, non stando a sedere, chiuso in quel rottame abbandonato da dio. Cercherà un modo per comunicare, anche a costo di attraversare a piedi quell’enorme catena montuosa. Si attrezzerà, pensando di dover sopravvivere a 40 gradi sotto zero e in un sacchetto metterà una scorta di carne umana. Non darà per scontato, senza prima provarci, che non ci sia più nulla da fare.

E una volta che avrà trovato i soccorsi, farà capire al credente cosa vuol dire l’espressione “sperare contro ogni speranza”. Sì, farà capire proprio a lui cosa vuol dire “aver fede”.

Uomini, costituiamoci parte civile nei processi per delitti bestiali contro le donne come quello di Corigliano Calabro. Continua l’involuzione politica e democratica di Israele

Dopo la bestiale uccisione di Fabiana Luzzi, mi sono convinto che urge un’associazione maschile che si costituisca parte civile nei processi per delitti contro donne come quello di Corigliano Calabro.

Sono sempre stato e sempre sarò fermamente contrario alla pena di morte. Specie contro minorenni Ma ci sono casi di violenza talmente bestiali da far vacillare questa mia fermezza.

L’efferata, orribile uccisione di Fabiana Luzzi aCorigliano Calabro da parte di un bipede di nomeDavide – del quale non si conosce il cognome perché protetto dall’essere lui ancora minorenne, anche se ancora per poco – è di una bestialità tale da far davvero pensare che la galera, fosse anche l’ergastolo, non basta.

Non può bastare. E sono certamente fuori luogo le lagne buoniste del vescovo di Santo Marciano che s’è precipitato a dire o a far dire alla madre di Fabiana che “in fondo anche Davide è una vittima”. Se è una vittima, è vittima in primo luogo di se stesso, di una educazione sgangherata o assente dei suoi genitori e anche di un modo di intendere la religione ridotto dalla Chiesa, specie al Sud, a superstizione.

Non è un caso se la criminalità organizzata da Napoli a Palermo i suoi adepti li arruola con cerimonie di stampo religioso: giuramenti, santini bruciati, denominazioni blasfeme del tipo Sacra Corona Unita. Oltre a dire, peraltro giustamente, che “c’è bisogno di una rivoluzione educativa sui giovani”, il vescovo dovrebbe spiegare ad alta voce di chi è la responsabilità. Continua a leggere

La verità fa male a chi non sa mentire

Quando uno pone una domanda del genere: “Che cos’è la verità?”, vien da chiedersi se stia scherzando o se sia cinico. Neanche i bambini se la pongono, perché, nella loro beata innocenza, sanno istintivamente che cosa sia, relativamente al loro “piccolo mondo antico”, così tanto amato dal Pascoli “fanciullino”.

Possibile che un adulto debba essere così diverso da aver completamente dimenticato ciò che in lui era naturale? Uno che avesse coscienza di questa grave rimozione, assai peggiore di tutte quelle freudiane, dovrebbe preoccuparsene seriamente, chiedendosene quanto meno la ragione. E cercare di capire se vi sia qualche possibilità di rimedio.

La verità rende liberi, in coscienza naturalmente, avendo la vita bisogno anche della giustizia: lo sappiamo da millenni. Dunque perché viviamo come schiavi? Potremmo fare a meno di queste catene o vi siamo costretti? Possibile che la falsità sia diventata la regola e la verità l’eccezione?

Qui infatti non è neanche il caso di parlare di bugie dette a fin di bene; non è in discussione l’esigenza di non poter dire tutta la verità: cosa inevitabile quando, chi ci ascolta, non è sufficientemente maturo per reggerla. Qui non stiamo parlando di quelle mezze verità o mezze bugie che si dicono per non offendere qualcuno, per non apparire scortesi, per non creare incidenti diplomatici, per non mettere in imbarazzo o tradire un amico, per non sfigurare di fronte al proprio partner o per non farlo sentire in colpa.

Qui stiamo parlando del fatto che come apriamo bocca, mentiamo. Dire falsità ci è diventata una seconda natura, quasi un istinto insopprimibile. Siamo così bravi a farlo che anche la macchina della verità ci fa un baffo. Tant’è che nei processi americani non la considerano minimamente. In un paese dove gli attori diventano presidenti e i presidenti recitano come attori, farebbe ridere il contrario.

Insomma, ogni giorno che passa diamo sempre più per scontato che la verità non esiste, e quando qualcuno fa delle affermazioni probanti o persuasive, le consideriamo mere opinioni e siamo disposti a credervi solo se vi siamo indotti da qualcosa che è più forte di noi: p. es. un desiderio di rivalsa dopo anni e anni di frustrazioni o di promesse che altri non hanno mantenuto, in cui abbiamo creduto inutilmente. Non ci fidiamo di qualcuno perché pensiamo dica la verità o perché conduce una vita esemplare, ma perché gli altri ci disgustano.

Sapere che qualcuno dice la verità c’interessa fino a un certo punto. Quel che più ci preme, infatti, è sapere se da ciò che si è ascoltato, possiamo ricavarci qualcosa. Crediamo in certe affermazioni non perché le riteniamo vere, ma perché possono servirci: la verità sta nell’interesse o nell’utilità. Non esiste la verità in sé o, se esiste, non possiamo dirla, anzi, neppure vi riusciamo. Dobbiamo vivere come se non ci fosse. E non è sufficiente togliere l’interesse o l’utilità per farla emergere, perché in una società, anzi, in una civiltà individualistica e materialistica come la nostra, è impossibile farlo.

Quando si è reciprocamente nemici, bisogna anzitutto difendersi, e il primo modo di farlo è quello di mentire. La prima regola fondamentale per sopravvivere è quella di non dire mai quello che si pensa, anzi, possibilmente è meglio dire il contrario, e di farlo ripetutamente, affinché chi ci ascolta non abbia l’impressione che qualche volta mentiamo e qualche volta no. Dobbiamo essere coerenti nel male che facciamo, proprio per essere più credibili.

Dobbiamo far credere di dire la verità mentendo: questa è un’arte che si acquisisce solo con un certo addestramento. E se qualcuno ci scopre incoerenti, subito dobbiamo accusare qualcun altro o di averci frainteso o di averci impedito con la forza di realizzare i nostri sogni. Un capro espiatorio cui far scontare il peso delle nostre menzogne, si può sempre trovare.

A questo punto ci si può chiedere: si può continuare ad andare avanti così? Non stiamo forse rischiando di arrivare a un punto in cui qualunque cosa si dica, a prescindere dal ruolo che si ricopre, non verrà mai creduta? Pensiamo davvero che per credere nella verità sia sufficiente che qualcuno giuri sulla testa dei propri figli o, se ci crede, sulla Bibbia? È difficile pensare che uno, da sempre abituato a mentire, si possa spaventare davanti al giudizio di dio o a quello dei propri figli. Troverà sicuramente delle buone motivazioni per giustificarsi, e allora dovranno essere i figli o lo stesso padreterno ad ammettere di non averlo capito. Nessuna pena può impensierire il bugiardo incallito, a meno che noi, invece d’imitarlo, smettessimo di credergli.

In Italia, peraltro, quando mai qualcuno viene scoperto a mentire o si pente per le menzogne che ha detto? Nel migliore dei casi si patteggia, ma a porte chiuse, quelle del tribunale o della propria coscienza. Nei tribunali non esiste la verità, ma solo una posizione di comodo, in linea col rispetto puramente formale delle regole. Agli avvocati non interessa neppure “sapere la verità”, quanto di vincere la causa e intascare la parcella: il cliente viene tanto più difeso quanto più paga.

Ai processi dovrebbero chiedere agli imputati di pronunciare una formula di rito molto semplice: “Provi in coscienza a dire la verità e la Corte s’impegna a tenerne conto il più possibile”.

In ricordo di don Andrea Gallo, amico mio e di tutti i semplici.

“Hai visto che il titolo che ho proposto io era purtroppo più indovinato del tuo? Io ho detto che il titolo del libro doveva essere “Non uccidete il futuro dei giovani”, tu preferivi “Non rubiamo il futuro ai giovani”. Vedi che il loro futuro glielo hanno non solo rubato, ma anche ucciso?”. A parlare è don Andrea Gallo, il prete da marciapiedi, come amava definirsi lui, e il libro al quale si riferisce è, appunto, “Non uccidete il futuro dei giovani”, scritto assieme nell’estate del 2011. Dopo la pubblicazione, avvenuta a ottobre, ci siamo visti più d’una volta, nella sua comunità a Genova, a Milano e a Roma a dibattiti sul libro, a Torino alla Fiera del Libro. Ci siamo anche sentiti un po’ per telefono e con qualche mail, sempre più rara perché mi diceva “non sto tanto bene”, e mi faceva arrivare qualche messaggio tramite amici. Mettendo assieme le cose dette, se ne ricava quella che può essere definita la sua ultima intervista.

Domanda – Andrea, ce la farà questo governo a raddrizzare la barca?
Risposta – Ma che dici! Per riparare ai danni, specie a quelli arrecati al futuro dei giovani, ci vorranno due o tre generazioni, cioè dai 40 ai 60 anni. Altro che un governo!

D – E cosa possono fare nel frattempo i giovani?
R – Agitarsi! Indignarsi! Ribellarsi! Ecco cosa possono e devono fare nel frattempo. Senza mai mollare. Vedi cosa è successo con la primavera araba? L’hanno trasformata in autunno, se non già in inverno.

D – Sì, ma in Italia ci sono oltre due milioni di giovani che non studiano e non solo non lavorano, ma il lavoro neppure lo cercano. Rassegnati, più che indignati e ribellati?
R – Guarda, la fase di stanca c’è sempre, ma prima o poi passa. Certo, la nostra generazione ha colpe enormi rispetto questa massa di giovani portati a starsene fermi. Le mamme sono troppo protettive. E i padri sono spariti. Che fine hanno fatto i padri? Sai quante donne mi dicono “Caro don Gallo, il problema è che sono spariti gli uomini, non solo i padri. Di fare sul serio e magari anche mettere su famiglia e far figli non ci pensano proprio, neppure da lontano. Almeno fino ai 30 anni. E noi donne quando diventiamo madri?”. Eh, sì, lo so, è dura. Troppa televisione, troppa moda, troppa pubblicità, troppi modelli e stili di vita sballati. Mica possono fare tutti le modelle e i calciatori.
Il mondo è malato, non solo l’Italia è malata, ma il mondo intero. E lo possono guarire solo i giovani. Noi vecchi abbiamo fallito. Abbiamo fatto la resistenza e dato la democrazia e il benessere all’Italia, poi però ci siamo lasciati fregare. Guarda i comunisti…. per non parlare dei piddini di D’Alema, Veltroni, Bersani.

D – E di Matteo Renzi?
R- Beh, ma lui almeno parla un linguaggio più vicino a quello dei giovani, meno burocratese, meno politichese, meno blateratore. Quando in tv nel confronto tra lui e Bersani ho sentito quest’ultimo dire che “è meglio un passero in mano che un tacchino sul tetto” mi sono cascate diciamo le orecchie a terra! Ma come si fa?! Un passero in mano?! E un tacchino sul tetto?! Ma non poteva dire “Meglio un uovo oggi che una gallina domani”? Continua a leggere

Israele e i suoi supporter negli Usa verso il Medioevo. Deutsche Bank: la caduta degli Dei. La Fed e la Bce comprano titoli tossici per gonfiare di liquidità il sistema

LA FOTO ESPRIME MERAVIGLIOSAMENTE IL FATTO CHE SIAMO TUTTI FIGLI DELLA MADRE TERRA. GRANDE E’ QUINDI LA STOLTEZZA, LA CATTIVERIA E LA FEROCIA DEI NAZIONALISMI. DI QUALUNQUE TIPO E SOTTO QUALUNQUE CIELO.

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1) – http://nena-news.globalist.it/Detail_News_Display?ID=74138&typeb=0&Muro-del-Pianto-ultraortodossi-contro-le-donne

Gerusalemme, 10 maggio 2013, Nena News – Questa mattina sono scoppiati scontri al Muro del Pianto a Gerusalemme: un migliaio di giovani ebrei ultraortodossi hanno cercato di impedire alle donne dell’associazione israeliana “Women of the Wall” di pregare nel sito religioso, lanciando loro pietre e bottiglie d’acqua. Cinque di loro sono stati arrestati dalla polizia, riporta Mickey Rosenfeld, portavoce della polizia. Hanno partecipato alla protesta decine di centinaia di ragazzi e ragazze provenienti da tutto il Paese, dopo la decisione del tribunale di Gerusalemme di permettere alle donne dell’associazione di pregare al Muro del Pianto vestendo iltallit (lo scialle della preghiera), generalmente riservato agli uomini.

Tutto era cominciato circa un mese fa quando “Women of the Wall” aveva lanciato un’azione per garantire il diritto delle donne ebraiche di pregare liberamente e leggere collettivamente la Torah. Lo scorso 11 aprile, le donne dell’associazione erano entrate nella sezione del Muro del Pianto destinata agli uomini e avevano pregato a voce alta. Un modo per rivendicare l’uguaglianza in campo religioso, spesso chimera tra gli ebrei ultraortodossi. Continua a leggere

La scienza come nuova religione

Che l’artificiale stia sostituendo completamente il naturale lo si vede in tutto il mondo, non solo nei paesi a capitalismo avanzato, dove si è cominciato a farlo, in maniera considerevole, a partire dalle rivoluzioni industriali.

L’uomo ha sempre modificato la natura per i suoi bisogni, ma oggi lo fa impedendo alla natura di soddisfare i suoi propri bisogni. Manca il rispetto e, quel che è peggio, manca la convinzione che il rispetto sia necessario per la sopravvivenza dell’intero pianeta, inclusa quindi la specie umana.

Non riusciamo più a capire quale sia il limite oltre il quale l’uso di strumenti lavorativi diventa, agli occhi della natura, un abuso. Non è un caso che il capitalismo si sia sviluppato di pari passo con la devastazione ambientale. Solo che con la scoperta del “Nuovo Mondo”, in virtù della quale abbiamo potuto trasferire altrove il peso delle nostre contraddizioni, non ce ne siamo accorti più di tanto. Da un lato infatti abbiamo potuto rendere gli abitanti del Terzo mondo più “schiavi” degli operai occidentali; dall’altro abbiamo potuto saccheggiare le loro risorse, ritenendo che questo processo sarebbe durato in eterno.

La percezione di una vastità immensa di risorse umane e materiali da utilizzare ci ha permesso di guardare con molta benevolenza i problemi che nei nostri territori occidentali sono stati creati dallo sviluppo del capitalismo. Il concetto di “vastità geografica” ci ha permesso di restare a un livello di “profondità” molto superficiale.

Noi non abbiamo mai una vera consapevolezza dei problemi che creiamo: pensiamo sempre di poterli risolvere in maniera relativamente semplice. E ci stupiamo enormemente quando vediamo le crisi prolungarsi troppo nel tempo. Preferiamo non guardarci mai direttamente allo specchio, ma restando sempre dentro una bolla di sapone. Ci piace guardare la realtà in maniera deformata, per poter sognare ad occhi aperti, come i grassoni in quegli specchi dimagranti di certi luna park.

Quando l’Europa occidentale ha fatto scoppiare le due ultime guerre mondiali, sembrava che nessuno le volesse, ma, appena si sono verificati i primi conflitti, subito quasi tutti hanno voluto prendervi parte, perché sappiamo bene che, in caso di vittoria, i vantaggi sono considerevoli.

La guerra fa parte del nostro DNA, nel senso che non ci viene istintivo fare di tutto per evitarla. Noi siamo figli di quel Carl von Clausewitz secondo cui “la guerra non è che la continuazione della politica con altri mezzi”.

Forse pochi si ricordano che quando, nella seconda guerra irachena, gli americani adottarono la dottrina militare nota col nome di shock and awe (colpisci e terrorizza), si comportarono, più o meno, come i nazisti nelle loro battaglie, a partire da quella di “prova” che fu il bombardamento di Guernica, durante la guerra civile spagnola.

I moderni Clausewitz oggi si chiamano H. Ullman e J. P. Wade, per i quali i bombardamenti massicci devono imporre un livello travolgente di distruzione e di terrore in un lasso di tempo sufficientemente breve da paralizzare del tutto la volontà del nemico di proseguire una qualunque forma di resistenza. E’ il blitzkrieg hitleriano in salsa yankee, cioè con l’aggiunta di armi molto più potenti e sofisticate, cui vanno aggiunte quelle dei mezzi di comunicazione di massa, utili a creare un clima “patriottico” di euforia per la potenza tecnologica e militare dispiegata. L’importante è non far vedere le immagini delle vittime civili.

Oggi, quando distruggiamo tutto, siamo convinti di poterlo ricostruire abbastanza facilmente, in tempi relativamente rapidi, proprio in virtù dei mezzi che disponiamo, e non ci preoccupa granché il fatto che l’ambiente abbia subìto, a causa delle nostre azioni scriteriate, dei danni enormi. Nel nostro vocabolario non esiste la parola “irreparabile”, anche perché non andiamo certo a chiederlo a chi, vivendo a Hiroshima e Nagasaki, ha subìto bombardamenti atomici, o ai vietnamiti che hanno subito bombardamenti chimici (agent orange), né ai serbi che hanno subito bombardamenti all’uranio impoverito (che peraltro hanno fatto ammalare di cancro persino i nostri militari) e neppure agli iracheni che hanno subito bombardamenti al fosforo. Che c’importa di sapere se la popolazione e l’ambiente bombardati hanno subito danni irreversibili, al punto che non si è più nemmeno in grado di riprodursi normalmente?

Quando nel mondo antico e medievale si considerava la natura praticamente immutabile, in quanto l’uomo sembrava poterla modificare solo parzialmente, in realtà ci s’illudeva. Nel senso cioè che non ci si rendeva conto che anche delle piccole modifiche ripetute nel tempo, possono provocare sconvolgimenti inarrestabili, com’è successo con la formazione dei deserti in seguito alle deforestazioni compiute nell’area del Mediterraneo.

Oggi l’illusione di poter riportare le cose a com’erano prima delle nostre devastazioni è ancora più grande, proprio perché riteniamo la potenza della nostra tecnologia una realtà praticamente invincibile. Se c’è una cosa che oggi non vogliamo assolutamente mettere in discussione è l’emancipazione che l’umanità ha compiuto nei confronti della religione medievale, grazie alle scoperte scientifiche e alle innovazioni tecnologiche. Senza volerlo abbiamo fatto della scienza una nuova religione.

La guerra permanente del governo israeliano. Cambiare regime in Siria per poter poi bombardare l’Iran. Intanto continuano gli abusi e la pulizia etnica contro i palestinesi

http://nena-news.globalist.it/Detail_News_Display?ID=73431&typeb=0&Fonti-Usa-nuovo-attacco-aereo-Israele-in-Siria

Israele avrebbe compiuto un nuovo raid aereo in Siria, fra giovedì e venerdì, passando per lo spazio aereo libanese. Lo affermano fonti dell’amministrazione Obama. “Non c’é motivo per ritenere che Israele abbia attaccato depositi di armi chimiche” in Siria, hanno detto le fonti al network televisivo Cnn.

«Gli Stati Uniti ritengono che Israele abbia condotto un’incursione aerea in Siria. L’intelligence americana e quella dei paesi occidentali stanno rivedendo le informazioni, che sembrano indicare che l’attacco sarebbe avvenuto fra giovedì e venerdì», ha riferito la Cnn citando due fonti dell’amministrazione Usa. Si tratta dello stesso arco temporale in cui dal Libano avevano segnalato ripetute e insistenti violazioni – almeno 16 – dello spazio aereo nazionale, da parte dell’aviazione dello stato ebraico. «Ambedue le fonti – ha aggiunto la Cnn – non ritengono ci sia motivo per credere che Israele avesse come obiettivo i depositi di armi chimiche».

Da Tel Aviv una portavoce militare non ha fatto alcun commento alle notizie riferite dalla rete americana. A fine gennaio l’aviazione israeliana attaccò a pochi chilometri da Damasco quello che secondo fonti occidentali era un convoglio di armi antiaeree diretto in Libano e destinato al movimento sciita Hezbollah. Secondo altre fonti invece obiettivo del blitz aereo era stato un centro ricerche per armi chimiche.

Del resto a lanciare  le notizie ad hoc sull’impiego di armi chimiche da parte del governo siriano è stato proprio il servizio segreto militare israeliano, e dopo pochi giorni  Obama ha fatto eco anche se prudentemente ha specificato che non è chiaro quale dei contendenti abbia usato le armi chimiche. Potrebbero infatti essere stati anche i ribelli, visto anche che in realtà la gran parte sono mercenari prezzolati dai peggiori governo dei Paesi del Golfo probabilmente aiutati in vari modi da Israele stessa. Dopo le accuse contro l’Iraq di Saddam di fabbricare bombe atomiche, balla colossale e criminale per poter invadere quel Paese, solo i disonesti di professione o gli imbecilli possono inghiottire gli allarmi sull’uso altrui di armi non convenzionali. Ovviamente tacendo e mentendo quando a usare il fosforo bianco anche contro i civili sono gli Usa e Israele.

Del nuovo baccano ne approfittano come sempre i governanti, i militari e la feccia colonialista da loro alimentata per compiere altre soperchierie a danno dei palestinesi e dei beduini in modo da rendere l’espressione “Stato dei palestinesi” un incrocio tra una beffa e un peto.

Purtroppo a pagare il prezzo di tutto ciò e della propria ipocrisia sarà l’Europa. Forse  esagerano coloro – e sono molti, compresa Informazione Corretta degli estremisti sionisti italiani – a dire che in Siria è iniziata la terza guerra mondiale, però la linea di marcia purtroppo è proprio quella. Intanto è utile informarsi un po’ più leggendo per esempio quanto scritto nei seguenti articoli, spesso di fonte israeliana:

- prosegue la politica di demolizione delle case di palestinesi:

http://972mag.com/photos-the-face-of-israels-discriminatory-home-demolition-policy/70210/

- la brigata palestinese contro il nazismo, della quale non si parla mai:

http://frammentivocalimo.blogspot.it/2013/04/6000-palestinesi-combatterono-fianco.html?spref=fb

- il massacro di Deir Yassin:

http://972mag.com/watch-new-look-at-the-massacre-of-deir-yassin/69967/

- deportazione anche dei 30.000 beduini:

http://972mag.com/israeli-coalition-parties-team-up-to-reduce-bedouin-land/69999/

- la giustizia israeliana in Cisgiordania:

http://nena-news.globalist.it/Detail_News_Display?ID=72452&typeb=0&Come-opera-il-sistema-giudiziario-israeliano-in-Cisgiordania

- minorenni palestinesi tenuti in isolamento nelle carceri israeliane: http://www.guardian.co.uk/world/video/2012/jan/23/cell36-aljalame-prison-israel-solitary-confinement-palestinian-children

- Il Dipartimento di Stato Usa condanna la discriminazione israeliana contro i palestinesi:

http://www.ynetnews.com/articles/0,7340,L-4369999,00.html

- Quando la negazione dell’esistenza del popolo palestinese diventa genocidio:

http://www.amiciziaitalo-palestinese.org/index.php?option=com_content&view=article&id=4159%3Aquando-la-negazione-dell-esistenza-dei-palestinesi-diventa-genocidio&catid=23%3Ainterventi&Itemid=43

- Il negazionismo e il riduzionismo sionista nei confronti dei massacri contro i palestinesi:

http://www.amiciziaitalo-palestinese.org/index.php?option=com_content&view=article&id=4153%3Aun-centinaio-e-oltre-deir-yassin-beit-daras-e-storia-dei-massacri-sepolti&catid=22%3Adossier&Itemid=42

- Il furto israeliano di proprietà non è nulla di nuovo:

http://www.amiciziaitalo-palestinese.org/index.php?option=com_content&view=article&id=4146%3Ail-furto-israeliano-di-proprieta-non-e-nulla-di-nuovo&catid=23%3Ainterventi&Itemid=43

Akiva Eldar: Israele ignora la proposta di pace della Lega Araba

http://frammentivocalimo.blogspot.it/2013/05/akiva-eldar-israele-ignora-la-proposta.html?spref=fb

Naturalmente cattolici

L’idea di eternità e infinità atterrisce qualunque credente, se a quell’idea si fa associare l’inesistenza di un dio creatore. I credenti sono così ideologici che piuttosto che accettare l’inesistenza di dio, negano che possa esistere un’idea di eternità e infinità. Per loro è anzitutto importante sostenere ciò in cui credono, anche nel caso in cui, smettendo di farlo, non ne riceverebbero alcun danno. Cosa c’è infatti di più grande dell’idea di eternità e infinità di tutte le cose? Cosa c’è di più bello di un universo illimitato nello spazio e nel tempo?

Il motivo di questa chiusura mentale probabilmente non appartiene al credente in quanto tale, ma proprio a quello che fa della sua fede una bandiera politica, cioè un modo d’imporsi sugli altri.

In effetti la fede dell’uomo primitivo doveva esser cosa del tutto naturale, da non utilizzarsi in maniera discriminante o strumentale. Viceversa la fede del cattolico sembra nascere da un’esperienza frustrata, alienata, intenzionata a rivendicare un proprio spazio di autonomia, che però non è quello di chi va a vivere in un posto isolato, lontano dalle tentazioni del mondo. Lo “spazio vitale” del cattolico è quello urbanizzato, cioè sociale politico culturale.

Il cattolico vuole affermare la propria fede contro quella di altre religioni e soprattutto contro le esperienze che non prevedono alcuna fede. La conseguenza è che se con un soggetto del genere si può parlare di qualunque cosa, alla fine ogni discorso deve arrivare sempre allo stesso risultato: produrre qualcosa di vantaggioso per la fede cattolica.

E’ difficile vedere un credente del genere fare dei discorsi o compiere delle azioni che non abbiano un secondo fine. Sono talmente abituati a dinamiche di potere o a logiche conflittuali che, per dei credenti del genere, l’importante, in definitiva, non è tanto “credere in dio” quanto “avere una fede”, perché è appunto con questa che si può rivendicare un potere.

Se a un credente del genere si desse la possibilità di acquisire un potere equivalente o anche superiore a quello che ha già, alla condizione faustiana di mutare la propria fede, opporrebbe un rifiuto solo per una semplice ragione: quella di non poter cambiare i connotati della propria faccia.

Infatti, in quanto cattolico, egli ha dovuto esporsi pubblicamente, lottando con tutte le sue forze per acquisire una posizione di prestigio. Passare da una religione all’altra o dalla fede all’ateismo sarebbe possibile solo se avvenisse un fatto epocale, uno sconvolgimento indipendente dalla propria volontà. Cioè il mutamento non sarebbe frutto di una metamorfosi spirituale, di un convincimento interiore.

Il cattolico non è un credente che ragiona con la propria testa o che va continuamente alla ricerca della verità e che non ha pace finché non la trova: è piuttosto un gregario, un intruppato, uno che vuole fare carriera obbedendo agli ordini e che quando finalmente arriva alla meta agognata, si ritiene autorizzato a fare qualunque cosa, come se avesse ricevuto un premio speciale per una faticosa fedeltà personale.

Di qui il dualismo tipico della chiesa romana, tra gerarchie sommamente corrotte, in quanto abituate a gestire politica e affari, e “popolo-bue”, abituato a obbedire, nella speranza che dall’alto qualcuno s’accorga che tra la “massa dannata” – come la chiamava sant’Agostino – può esservi qualcuno che merita di emergere.

Un atteggiamento del genere lo si vede anche nella politica, tra quei politici che hanno ereditato la cultura cattolica, persino tra quelli che, pur dicendosi “laici”, hanno introiettato le forme di questa cultura. Se ai tanti corrotti e corruttori del nostro paese, noi ponessimo la domanda su quale atteggiamento hanno nei confronti della religione, ci risponderebbero tutti che sono “naturalmente cattolici”.