La vera forza

Che cos’è la forza? Se c’è un concetto che, in teoria, dovrebbe distinguere l’uomo dall’animale è proprio questo. Infatti tra gli animali spesso vince il più forte, oppure il più astuto. Proprio come tra gli umani. Anzi, tra noi i più forti sono decisamente i più astuti, soprattutto quelli che si muovono in campo economico e finanziario. Sono loro che sottomettono politica e difesa.

Di per sé la forza fisica non vuol dire più nulla: al massimo può contare se la si mette al servizio del business, come per esempio nel pugilato, nei film di arti marziali o per fare il “gorilla” di famosi personaggi o il buttafuori nelle discoteche, ecc.

La differenza tra uomo e animale sta nella capacità di usare prevalentemente ogni forma di astuzia per poter dominare o anche solo per sopravvivere. Siamo leoni in quanto volpi, parafrasando al meglio Machiavelli. E non c’è forza che possa reggere il confronto con la nostra astuzia. A volte ci prova la natura, coi suoi fenomeni improvvisi e devastanti, ma per gli umani, discepoli di Ulisse, si tratta solo di casi imponderabili e non di forme di avvertimento. La natura non ci fa alcuna paura: abbiamo scienza e tecnica per dominare. Di Poseidone e Vulcano ci facciamo beffe.

Esibire la propria forza, usando le forme dell’astuzia, è una caratteristica dell’uomo “occidentale”, che non ha paura di nulla, se non di altri simili più astuti di lui. Adesso anche i cinesi han capito come si fa.

Viviamo in una società, anzi in una civiltà così maschilista che l’ostentazione della propria forza (economica, finanziaria, politica, amministrativa, ideologica…) è un dovere, una condizione per sopravvivere. La società ci educa sin da piccoli a sottomettere i deboli o, se siamo o ci sentiamo deboli, a rispettare chi è forte.

Noi viviamo come gli animali, col vantaggio che siamo molto più intelligenti di loro, tant’è che i cinici, dentro la categoria “darwinismo”, mettono insieme mondo umano e animale.

Ora, come uscire da questo handicap che caratterizza la nostra specie? Come possiamo far valere in pubblico l’idea che i cultori della forza e dell’astuzia sono contrari ai valori umani? Forse dicendo che la legge è più importante della forza? Saremmo ingenui: la legge è proprio uno degli strumenti privilegiati che i moderni sacerdoti dell’astuzia, che certo sprovveduti non sono, si danno come paravento per dimostrare che la loro forza è legittima. Legge e istituzioni, nonché l’illusione di uno Stato equidistante sono gli strumenti principali per esercitare la forza.

Anche la religione s’è piegata alle ragioni e all’astuzia della forza, al punto che non si fa scrupolo di benedirla, come quando si dice God save the Queen o Gott mit uns o In God we trust o quando si parla di “Uomo della provvidenza”. Non c’è cosa che non possa essere usata per fare gli interessi di un potere forte. I massacri che facciamo quotidianamente dei bambini, costretti a lavorare come schiavi, a prostituirsi o a combattere come militari, è ancora oggi assolutamente spaventoso.

Come possiamo liberarci di questo stravolgimento delle cose? di questo capovolgimento di valori? L’unico modo per farlo è quello di unirsi per lottare a favore della vera democrazia.

Se restiamo soli, ne usciremo sicuramente sconfitti. Se non lottiamo, pur restando uniti tra noi, non riusciremo a dimostrare la falsità di chi ci governa. Infine se non dimostriamo praticamente che la nostra democrazia è migliore della loro, tutta la nostra lotta politica non varrà nulla.

Democrazia infatti non vuol dire soltanto parlamento, partiti, sindacati, elezioni, referendum…; vuol dire anche avere dei valori umani e naturali da realizzare nel concreto. Difendiamo quindi questi valori, anche con la forza, se necessario, senza mai dimenticare che la vera forza è quella di chi si mette al servizio dei più deboli, quella di chi, pur di difenderli, è disposto anche a immolarsi.

L’estremismo infantile

Nei momenti di crisi, ovvero nei momenti in cui le istituzioni non riescono a risolvere i conflitti sociali, facilmente emergono movimenti cosiddetti “puristi” o “dualisti”, che p. es. nel Medioevo si chiamavano “catari” o “pauliciani” o “bogomili”…, i quali consideravano la “materia in sé” irriformabile, creata da un dio malvagio, rappresentato appunto dal potere costituito.

Questi movimenti infatti non riuscivano assolutamente ad accettare che le istituzioni facessero il contrario di ciò che dicevano: per loro questa incoerenza era un segno di perversione, che il potere non riusciva a superare in alcun modo. Ecco perché opponevano al dio malvagio del sistema il loro dio buono e settario.

Erano movimenti che si consideravano “duri e puri” e si contrapponevano in maniera radicale, senza compromessi di sorta, al sistema dominante. Gli storici li definiscono “dualisti” proprio perché non volevano patteggiare. Il loro era un dualismo ideologico (due principi nettamente opposti) o metafisico (spirito e materia divergenti in maniera irriducibile) o etico (bene e male tenuti rigorosamente separati) o politico, in quanto la setta, opponendosi in maniera precostituita al potere dominante, garantiva una sorta di perfezione ipostatizzata ai propri aderenti.

Oggi come allora si tratta – direbbe Lenin – di una forma di infantile estremismo, che si manifesta nella convinzione di poter modificare il sistema senza cercare un vasto consenso, ma semplicemente dimostrando la propria rigida coerenza, il proprio rigore morale, il proprio ascetismo (che quella volta era molto religioso, alimentare e sessuale).

In altre parole, oggi come allora, ci s’illude che gli “altri” capiscano che, prima o poi, dovranno adeguarsi a questa improvvisa novità, anche perché se preferissero coalizzarsi tra loro per abbattere il movimento, non farebbero altro che dimostrare d’essere in torto, in quanto giustificherebbero il movimento nella sua idea di “purezza”. Ne farebbero un “martire”.

Di regola questi movimenti sottovalutano la capacità di resistenza o di reazione del sistema, del nemico istituzionale e, di conseguenza, tendono a sopravvalutare la loro importanza, il loro impatto sulla società civile. Essi cioè sono convinti che le contraddizioni siano talmente grandi da poter beneficiare, nei momenti più difficili, di un grande consenso popolare, senza dover spendere grandi energie per ottenerlo e conservarlo.

Purtroppo però la persecuzione contro di loro fu nel Medioevo durissima (il solo papa Innocenzo III fece sterminare gli Albigesi nella Francia meridionale e obbligò i Valdesi a ritirarsi su impervie montagne). Solo dopo aver eliminato tutti i movimenti pauperistici ereticali la chiesa romana troverà di fronte a sé un nemico irriducibile: i protestanti tedeschi. Questi non avevano certo la “purezza” degli ideali di 500 anni prima, ma in compenso avevano capito l’importanza di un consenso di massa.

Domande senza risposte

Può esistere, nella propria vita pratica, un comportamento morale differente rispetto a quello dominante, solo perché basato su una diversa concezione della vita? Cioè quando si oppone la propria ideologia o filosofia politica a quella di un avversario, si è legittimati a pensare che l’opposizione sta avvenendo anche nel modo di vivere l’etica? Quale processo dobbiamo ritenere più affidabile: quello che, partendo da un determinato modo di vivere la moralità, produce, come conseguenza naturale, una corrispondente concezione della vita, oppure dobbiamo ritenere che la teoria abbia un certo primato sulla pratica e che quindi quella parte di società che lotta per un cambiamento non può aspettarsi da noi una significativa coerenza, visto che i poteri forti ci impediscono di realizzare le nostre idee?

Si può davvero essere delle persone oneste quando a livello istituzionale domina la disonestà? Ma se non si riesce ad essere onesti come si vorrebbe, che speranza si può avere, lottando contro il sistema, di realizzare una vera alternativa? Dobbiamo quindi dare per scontato che, lottando contro un sistema corrotto, nessuno può pensare di poterlo fare sbandierando una purezza interiore? Dobbiamo quindi dichiararci preliminarmente disponibili ad autoeducarci sul piano morale il giorno in cui avremo sconfitto politicamente la corruzione del sistema? O dobbiamo forse iniziare a farlo da subito, almeno nei limiti del possibile?

Ma quali saranno o possono essere le condizioni operative per poter compiere questo lavoro etico su di sé? Perché le rivoluzioni politiche ad un certo punto si trasformano sempre in dittature? Dobbiamo forse sentirci rassegnati in partenza proprio perché siamo convinti della inevitabilità di questi terribili capovolgimenti di fronte? Che cos’è che c’impedisce d’essere noi stessi, una volta che abbiamo tolto di mezzo chi c’impediva di diventarlo?

Davvero è solo una questione di persone che gestiscono il potere? O non è forse una questione di “sistema”? Ma se è una questione di “sistema”, a che serve cambiare le persone? Per quanto tempo queste nuove persone riusciranno a dimostrare che sono diverse rispetto a quelle precedenti? E se invece, memori delle esperienze passate, diventassero ancora più scaltre, riducendo ancora di più la capacità di resistere al male? Quand’è che possiamo dire con sicurezza di una persona: “ecco quella è davvero onesta”? Quand’è che possiamo basarci su delle certezze e non su delle apparenze?

Quando le cose più importanti della nostra vita non dipendono dalla nostra volontà ma da quella dei poteri forti, davvero possiamo avere delle certezze in positivo? Davvero possiamo dire con sicurezza di qualcuno che vediamo solo sul luogo di lavoro o in televisione o in una riunione condominiale o di partito, che è una persona sincera, onesta, affidabile?

Che cos’è che ci manca per essere davvero umani e conformi a natura? Forse il fatto che non siamo più in grado di controllarci a vicenda? E come possiamo controllarci a vicenda, nelle cose essenziali della vita, quando si vive in Stati centralizzati, dove tutti i poteri vengono gestiti dall’alto? Come possiamo soddisfare autonomamente i nostri bisogni quando dipendiamo da mercati gestiti da monopoli che collegano interi continenti?

1) – La follia dell’uscita dall’euro e della “svalutazione competitiva”; 2) – Le “sviste” di “Chi l’ha visto?” per mandare avanti l’Emanuela Orlandi Show

1) – La follia dell’uscita dall’euro e della “svalutazione competitiva”

Mario Lettieri* e Paolo Raimondi**

Dopo i recenti exploit populisti in varie regioni europee, anche le elezioni tedesche di settembre potrebbero riservare qualche brutta sorpresa. Infatti in Germania è sorta una nuova formazione politica che mette al centro l’abbandono dell’euro.

Noi riteniamo che si debba dire con chiarezza e documentare con dovizia che l’uscita dall’euro non rappresenta una soluzione ai problemi ma l’inizio di un incubo i cui effetti potrebbero esser ben peggiori di qualsiasi altro scenario.

Non siamo i cantori delle bellezze del Trattato di Maastricht né della “perfezione geometrica” dell’euro. Sappiamo che è stato fatto male, che c’è molto da migliorare. Ma sarebbe pura follia politica ed economica far saltare il processo di unità europea.

Solitamente l’uscita dall’euro viene giustificata con la riacquisizione della sovranità monetaria nazionale e quindi con la possibilità di battere moneta, di emissione di nuovo debito e di svalutazioni competitive.

Queste ultime sono il cavallo di battaglia degli euroscettici, il che rivela una sostanziale ignoranza dei principi basilari dell’economia.

Essi sostengono che il ritorno alla moneta nazionale potrebbe permettere appunto la sua svalutazione, rendendo i prodotti nazionali più competitivi sui mercati internazionali. L’aumento delle esportazioni diventerebbe così il volano della ripresa delle produzioni, dell’occupazione  e dell’intera economia.

La verità è un’altra. Il ritorno alla moneta nazionale, per qualsiasi paese Eu, Italia inclusa, lascerebbe l’intero ammontare del debito pubblico e privato, in larga parte in mani estere, denominato in euro oppure in dollari. Soltanto i cittadini risparmiatori potrebbero convertire i loro risparmi, a cominciare dai bot, in titoli denominati nella nuova moneta nazionale, ma gli altri titoli di debito resterebbero come prima. Comunque la riconversione completa equivarrebbe ad una dichiarazione di default nazionale.

Sarebbe possibile finanziare il debito esistente e aumentarlo, come si propone, soltanto a tassi di interesse molto più alti di quelli attuali. Si ricordi che, dopo la crisi del 1992 e la svalutazione della lira, gli interessi dei bot a breve arrivarono fino al 17%!.

Tutte le importazioni, a cominciare dal petrolio e dal gas, sono calcolate in dollari o in euro. Per l’Italia sarebbe perciò lo sconquasso finale delle sue finanze. Gli aumenti dei costi di importazione e del finanziamento del debito si tradurrebbero inevitabilmente in una inflazione galoppante con una drammatica perdita di potere d’acquisto.

E’ difficile immaginare come si possano così ampliare le fette di mercato per le proprie esportazioni. In questa logica per diventare competitivi occorrerebbe abbattere i costi che ancora una volta colpirebbe il lavoro. Ciò vorrà dire innescare nuovamente quel vortice recessivo fatto di meno reddito, meno consumo, meno produzione, meno entrate fiscali, meno disponibilità di bilancio.

L’economia italiana, sulla scia di quella tedesca, non può competere nei settori legati alle vecchie tecnologie mentre le economie emergenti operano con salari bassissimi. Invece bisognerebbe puntare sulle nuove tecnologie e determinare il prezzo e il mercato sulla base della loro qualità e della loro innovazione.

L’uscita dall’euro anche del più piccolo Paese innesterebbe una reazione a catena che porterebbe progressivamente al collasso dell’Ue. Si metterebbe in moto un’inevitabile guerra commerciale protezionista. Ci rimetterebbero tutti. Anche la Germania.

Sarebbe una destabilizzazione globale! Purtroppo non è impossibile. La storia europea del secolo scorso ha fatto conoscere “cose” che i popoli non avrebbero mai ritenuto possibili.

Certo la situazione attuale non è tollerabile. Non si può permettere che i cittadini siano portati ad una tale disperazione e povertà da voler preferire l’inferno.

A nostro modesto avviso serve più Europa. L’impegno prioritario del costituendo governo dovrebbe mostrare maggiore decisione nel consesso europeo per rendere più efficaci e solidali le scelte politiche ed economiche dell’Unione.

*Sottosegretario all’Economia del governo Prodi **Economista

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2) – Per chi vuole tenersi aggiornato sul modo col quale si continua a mentire sul caso di Emanuela Orlandi in modo da suggestionare il pubblico come fossero tutti beoti e favorire l’audience, ecco un altro bell’esempio:

http://www.blitzquotidiano.it/opinioni/nicotri-opinioni/emanuela-orlandi-chi-lha-visto-flauto-mistero-1538698/

Usa: medaglie restituite per protesta. Italia: “Chi l’ha visto?” insiste con l’Emanuela Orlandi Show

Questa volta vi propongo alcuni link. Il primo, boicottato e mai trasmetto in Italia, mostra un raduno di militari o ex militari Usa che buttano via le medaglie al valore ricevute nelle varie azioni “di pace”. Un’iniziativa che fa piazza pulita di tanta, troppa retorica inganna popolo e soprattutto inganna giovani. Gli altri sono link di miei articoli per Blitz riguardanti il fino ad ora inutile e indecoroso clamore creato da “Chi l’ha visto?”, il programma di Raitre condotto da Federica Sciarelli, sul caso Orlandi con il ritrovamento del “flauto di Emanuela” (?!). Ritrovamento che va ad aggiungersi agli ormai 8 anni 8 di panzane e mitomanie veicolate da tale programma. Sono messi in ordine cronologico e sono interessanti anche i commenti decisamente velenosi di Pietro Orlandi, con annessi fan, contro di me e le mie risposte a tono. Traete voi le conclusioni, se credete.

Questo andazzo avvalorato da “Chi l’ha visto?” ha come unico risultato la diffusione di sfiducia nelle istituzioni e in particolare contro magistratura,  avvalorando le ipotesi più strampalate di complotti che qeasta volta non sono più demoplutosocialmassonici, come diceva il Cavaliere in camicia nera anziché azzurra, ma di altro tipo. Sempre comunque deliranti. Insomma, “Chi l’ha visto?” affianca di fatto Berlusconi nel delegittimare la magistratura e semina qualunquismo a piene mani: il risultato lo si vede anche alle elezioni. Per essere Raitre una rete “de sinistra”  chiarisce bene cos’è oggi la sinistra. Che s’è suicidata definitivamente scegliendo come suo candidato presidente della Repubblica l’ottantenne Franco Marini.

Nel frattempo le bombe alla maratona di Boston si stanno rivelando un prodotto forse locale, di qualche mente malata yankee intossicata dal mito, dalla retorica e dagli sporchi interesse di bottega delle armi o di qualche immigrato rancoroso perché malamente americanizzato. Si griderà ovviamente ad Al Qaeda, come se i suoi fanatici fossero tipi da bombe fatte in casa usando pentole a pressione… Purtroppo a questo mondo non c’è limite non solo all’umana ferocia, me neppure al ridicolo. Vedremo. Intanto s’è rivelata ancora una volta la prontezza degli untori a scatenarsi contro i “terroristi islamici” o simili, avvalorando anche un quantità di vittime assai più grande del reale. Fermo restando che le vittime sono comunque troppe e che purtroppo ce ne sono una dozzina in condizioni critiche. A molti sono stati amputate parte degli arti inferiori. Il demone Usa amante delle armi diffuse a gogò ha già silurato il tentativo di Obama di varare una legge più decente, cioè più restrittiva della vergognosa licenza di acquisto oggi vigente.   L’esplosione di una fabbrica di fertilizzanti chimici del Texas, con annessa strage e devastazione, pare voler sottolineare l’esistenza di tale rovinoso demone.

https://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=RDcL4xtQwds#!

http://www.blitzquotidiano.it/opinioni/nicotri-opinioni/il-flauto-di-emanuela-orlandi-vero-1523501/

http://www.blitzquotidiano.it/opinioni/nicotri-opinioni/emanuela-orlandi-il-flauto-si-compra-su-1524679/

http://www.blitzquotidiano.it/opinioni/nicotri-opinioni/emanuela-orlandi-mistero-bidoni-gianluca-1527038/

http://www.blitzquotidiano.it/opinioni/nicotri-opinioni/emanuela-orlandi-il-flauto-mistero-sospetti-1529283/

http://www.blitzquotidiano.it/opinioni/nicotri-opinioni/emanuela-orlandi-flauto-yamaha-ramponecazzani-1531113/

Crisi bancarie: si vuole una guerra tra contribuenti e risparmiatori

Crisi bancarie: si vuole una guerra tra contribuenti e risparmiatori

Mario Lettieri* e Paolo Raimondi**

La decisione del governo di Cipro, spintonato da una Troika troppo invadente, di tassare tutti i conti correnti oltre i 100.000 euro delle banche cipriote in default, è stato un test premeditato e un pericoloso precedente per l’intera Ue. Lo possiamo affermare con certezza.

La conferma del resto è arrivata dal portavoce di Michel Barnier, il Commissario europeo al mercato interno, che non ha potuto escludere la possibilità che in futuro i depositi oltre quella cifra possano essere utilizzati per operazioni di salvataggio delle banche in crisi.

Anche l’Institute of International Finance di Washington, uno degli enti privati più noti della finanza globale,  ha sostenuto che la “soluzione” cipriota potrebbe diventare un modello per l’intera Europa.

bancarotta, Al riguardo è da sottolineare che dal 10 dicembre 2012 era già in circolazione un documento della Federal Deposit Insurance Corporation (Fdic) americana e della Bank of England, il  “Resolving Globally Active, Sistemicaly Important Financial Institutions (SIFI)”, che affronta le emergenze relative all’eventuale bancarotta di istituzioni finanziarie di importanza sistemica.

Si afferma che non si intende più utilizzare i soldi pubblici per salvare con dei bail-out le banche in crisi, come finoraFmi, è sempre avvenuto dopo il fallimento della Lehman Brothers.

Il motto è: dal bail-out al bail-in! Con il procedimento del bail-in le perdite dovranno essere sopportate dagli azionisti e dai cosiddetti “unsecured creditors”. Sembra molto razionale: perché devono essere i contribuenti a pagare per le malefatte e per i giochi fatti dai banchieri con i derivati speculativi?

Ma il diavolo, come sempre, si nasconde tra i dettagli. Chi sono questi fantomatici “unsecured creditors”? Di certo i detentori di azioni, obbligazioni e di altri titoli di credito non garantiti. Si salvano invece i crediti vantati dalle pubbliche amministrazioni, dalle Banche Centrali, dalla Bce in Europa e da enti internazionali come il Fmi. Continua a leggere

Chiedere perdono dei propri crimini

In un universo infinito nello spazio ci si può nascondere dove si vuole pur di non pentirsi del male che s’è fatto. Poiché l’universo è anche eterno nel tempo, ci si può nascondere per sempre. Nell’universo infatti si ha consapevolezza che il suicidio non può essere fisico ma solo spirituale. Ci si nasconderà per l’eternità in un luogo remoto per la vergogna di ciò che s’è fatto, ma anche per la pervicace volontà di non pentirsi.

Sulla terra le cose sono un po’ diverse. Se uno ha compiuto crimini orrendi e, a un certo punto, s’accorge di non poter sfuggire alla giustizia, può arrivare a suicidarsi oppure a rassegnarsi ad avere il massimo della pena, che è la sentenza capitale o l’ergastolo. Cioè uno può pensare che, prima o poi, finirà di provare vergogna d’essere stato condannato per il reato compiuto.

Ma nell’universo questa stessa persona cosa dovrà pensare? A dir il vero uno può anche pensare d’aver compiuto i propri crimini secondo una certa plausibile motivazione o razionale giustificazione, per cui non ritiene di doversi pentire o comunque di non doverlo fare più di tanto. Quanti sostengono d’aver agito come criminali senza essere stati pienamente coscienti o perché condizionati da un drammatico passato o perché dovevano obbedire a un ordine superiore o perché accecati da un’ideologia o perché convinti che, in quel modo, avrebbero evitato un male peggiore? All’interno di considerazioni così particolari è difficile pentirsi al 100%, o almeno è molto difficile farlo da soli.

Ci vuole qualcuno che ci faccia capire fino a che punto si giocava la nostra responsabilità al momento di compiere un determinato crimine. Uno ha il diritto d’essere aiutato a pentirsi in qualunque momento, anche se gli si deve sempre garantire la libertà di non volerlo fare. Sono situazioni complesse, anche perché l’aiuto non può certo essere dato sulla base di motivazioni superficiali o schematiche. Bisogna saper tener testa alle argomentazioni sofisticate dei grandi criminali, che in genere sono uomini politici o militari o anche uomini di chiesa o intellettuali in grado di esercitare poteri significativi, come p. es. gli scienziati, i consiglieri, i funzionari…

Una differenza sostanziale, comunque, c’è: nell’universo la prigione o, se vogliamo, la pena è tutta interiore. Questo perché, essendo infinito nello spazio, l’universo permette a chiunque di non essere condizionato negativamente dall’atteggiamento altrui. Su questa terra, invece, gli uomini hanno sempre paura dei criminali: temono che i loro crimini possano ripetersi, anche se, essendo i grandi criminali le persone di potere, i comuni cittadini cercano di difendersi come meglio possono.

Paradossalmente là dove le condizioni di spazio e di tempo sono illimitate, l’importanza delle questioni di coscienza cresce in maniera esponenziale. Se non c’è alcun limite esterno all’agire, tutto dovrà giocarsi sulle potenzialità interne che uno dovrà per forza scoprire d’avere. E sarà su queste potenzialità che si dovrà prendere una decisione: o giocarsele tutte, mettendosi a disposizione di un proprio cambiamento significativo, o non giocarsele affatto, rendendo la propria coscienza impermeabile alle influenze altrui.

Di sicuro il tempo per ripensarci non mancherà. Nessuno può essere obbligato né a pentirsi né a non pentirsi: questa regola dovremmo adottarla anche sulla terra. Se esiste un inferno, è solo per chi lo vuole: non può esserci nessuna porta con scritto sopra: “Lasciate ogni speranza o voi ch’entrate”. Quindi niente torture, ma anche niente condanne definitive.

Naturalmente questo discorso vale anche per chi ha subito il crimine, il quale, con non meno intensità emotiva del criminale, deve essere disposto a perdonare. E, per poterlo fare, deve essere convinto di almeno due cose: la prima è che il criminale può aver avuto delle motivazioni plausibili; la seconda è che nessuno è mai totalmente innocente. Cioè dentro quelle motivazioni ce ne può essere una che riguarda, in qualche modo, la stessa vittima. Si pensi solo al fatto che esiste colpevolezza anche quando, vedendo compiere un crimine contro qualcuno, si pensa che ciò non ci riguardi. La storia è stracolma di questi peccati di omissione. Non si è abbastanza vigili e solerti per colpa del nostro opportunismo qualunquismo egoismo cinismo…: possiamo chiamarlo come ci pare.

Bisogna infine stare attenti che nell’universo non è come su questo pianeta, dove i criminali, abituati a ragionare in termini giuridici, fanno calcoli sulla possibile convenienza che hanno a pentirsi. Nell’universo l’unica vera legge umana sarà quella della libertà di coscienza: sarà impossibile dimostrare d’essere pentiti senza versare fiumi di lacrime. Non avrà alcun senso dimostrare d’essere pentiti rivelando i nomi dei propri complici o restituendo il maltolto: la verità sui grandi crimini dell’umanità sarà alla portata di tutti. L’unica “indagine” da fare sarà quella nei confronti di se stessi.

Non solo, ma anche dopo aver versato fiumi di lacrime, non si potrà pretendere che le nostre vittime ci perdonino. La riconciliazione tra vittima e carnefice potrà avvenire solo nella più assoluta libertà reciproca. Per questo motivo dovremmo sin da adesso abituarci a compiere significativi gesti di riparazione là dove si sono compiuti orrendi crimini. Dobbiamo abituarci a chiedere scusa con insistenza, nella speranza che la vittima, quando vorrà, si convincerà della nostra buona fede.

Aspettando Godot: una banca per lo sviluppo e bond per la crescita

Una banca per lo sviluppo e bond per la crescita

Mario Lettieri* e Paolo Raimondi**

Per il nuovo governo le priorità sono chiare e non eludibili: crescita economica e occupazione. Del resto questo è stato un mantra da tutti ripetuto nella campagna elettorale. La sfida vera però è nei modi e nei tempi delle scelte.  Le ricette non mancano. Comunque, se necessario, si può trarre ispirazione da qualche recente iniziativa internazionale. Dopo un lungo periodo di paralisi politica, l’inizio del secondo mandato del presidente Barack Obama sembra dare qualche esempio di “good practice”. La Casa Bianca ha appena reso pubblico un programma in tre punti per investimenti nelle infrastrutture.

Il primo prevede un piano finanziario di 50 miliardi di dollari per riparare, rinnovare o ammodernare le infrastrutture nei settori dei trasporti. Sull’intero territorio statunitense ci sarebbero infatti  circa 70.000 ponti che richiedono urgenti interventi di riparazione.

Il secondo punto prevede la creazione in tempi brevi di una Banca Nazionale per le Infrastrutture al fine di raccogliere e mobilitare capitali pubblici e privati e sulla base dei quali emettere obbligazioni per la ricostruzione dell’economia reale.

Il terzo aspetto mira ad una immediata semplificazione delle procedure burocratiche per far sì che i progetti possano realmente partire in tempi brevissimi e così avviare il motore della ripresa e dell’occupazione. Continua a leggere