Il dignitoso addio di Ratzinger. Alla vigilia di guerre monetarie?

Meno attaccato di Wojtyla alla poltrona, Ratzinger ha annunciato che il 28 si dimetta da papa perché “non ho più le forze”. Che sia gravemente malato lo si sa da tempo. Lo era anche Wojtyla, che ha invece voluto restare fino all’ultimo, con non lieve danno della Chiesa ad avere un papa ormai ridotto evidentemente a una sorta di cadavere ambulante. Però Ratzinger mostra di avere più dignità. Forse perché è tedesco.

Anche Ratzinger è stato un papa reazionario, più sul piano dottrinale che su quello dell’azione concreta come invece Wojtyla, che ha finanziato anche la reazione militare in Sud America, ha legittimato un boia come Pinochet e ha avuto la faccia di bronzo di dire che “gli indigeni americani erano maturi per aspettare l’arrivo del messaggio di Gesù”, sorvolando sul fatto che sono stati spazzati via a decine di milioni e interi popoli ridotti a strame. Ratzinger è stato reazionario sul piano dottrinale, come ha fatto rilevare il suo ex amici teologo Hans Kueng, ma non si è sporcato le mani come il pastore polacco.

Ratzinger è gravemente malato. Tutto qui. Lo si sa da qualche mese. Solo che in Vaticano sono talmente ottusi da non volerlo dire: altrimenti la gente si accorge che neppure il papa, che si pretende sia il rappresentante di Dio in terra e ne goda quindi particolare protezione, gode di un qualche favore divino.  Succederà come per papa Luciani: per voler far apparire la sua morte meno banale hanno dato la stura alla serie allucinante dei complottardi, che come Yallup e altri ci hanno anche ben lucrato su. Ahhhhh, la brutta mania di turlupinare i semplici con gesta e morti “eroiche”….

Poiché però è meglio non distrarsi dai pericoli che ci sovrastano anche a causa di una classe politica la cui pochezza è bene espressa dalla cialtronaggine e volgarità di questa campagna elettorale,  propongo un altro articolo dei nostri due economisti.

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Alla vigilia di guerre monetarie?

Mario Lettieri*  e Paolo Raimondi**

Il rischio che il mondo precipiti in pericolosi scenari di guerre valutarie diventa sempre più concreto. Ecco perché bisogna continuare ad insistere sulla necessità di un accordo strategico tra i governi e i più importanti attori dell’economia per riformare la finanza ed il sistema monetario internazionale. Secondo noi, una nuova Bretton Woods è sempre più urgente e necessaria. Non siamo dei pessimisti inveterati, ma i segnali di pericolo sono ormai tanti.

Gli Stati Uniti hanno appena deciso di procrastinare al 19 maggio prossimo ogni decisione riguardante l’ammontare del debito pubblico e dei conseguenti tagli al bilancio statale. Nel frattempo si permette all’amministrazione di funzionare sfondando in modo incontrollato il tetto del debito, che è di 14.400 miliardi di dollari.Ciò vuol dire che di fatto c’è una forte immissione di nuova liquidità nel sistema da parte della Federal Reserve. Tale operazione certamente ferma l’immediato default dell’economia americana,  però in seguito si dovrà far fronte alle possibili spirali inflazionistiche.   Continua a leggere

Uomo e Natura: la soluzione finale

Perché la natura, nel nostro pianeta, conserva tratti così spaventosi come le eruzioni vulcaniche, che fanno somigliare la Terra a una stella raffreddatasi soltanto in superficie e che la rendono molto diversa p.es. dalla placida Luna? Vien quasi da pensare che il nostro destino non sia quello di vivere un’esistenza meramente terrestre, proprio perché abbiamo a che fare con un pianeta soggetto a mutazioni sconvolgenti, del tutto imprevedibili e assolutamente irreversibili.

In attesa di metterci, come Noè, nell’ordine di idee che, presto o tardi, saremo costretti a traslocare in altri lidi, dovremmo intanto, e quanto meno, disabituarci all’idea di poter avere delle sicurezze che prescindono dalle fondamentali caratteristiche della natura sul nostro pianeta, di cui la principale è appunto l’instabilità, cioè il fatto che la materia possiede un’energia che l’essere umano non è in grado di controllare come vorrebbe, e probabilmente non vi riuscirà mai.

Nella sua profonda complessità, la natura ha una potenzialità che, in ultima istanza, ci sfugge. Tuttavia questo per noi è una garanzia, non un limite. Se noi non fossimo così insicuri a causa dell’antagonismo sociale, non vedremmo l’instabilità della natura come un pericolo, ma come l’espressione di una diversità irriducibile, che non possiamo controllare a nostro piacimento. Noi avvertiamo la natura come un nemico perché siamo nemici di noi stessi.

Tutto quanto la natura fa di “pericoloso” (o che a noi sembra tale), o è stato provocato da noi stessi, agendo in maniera irresponsabile sui suoi processi riproduttivi, oppure si tratta soltanto di semplici manifestazioni naturali della materia, che noi consideriamo innaturali solo perché da seimila anni abbiamo scelto di avere con la natura un rapporto egemonico.

Noi non sappiamo più esattamente cosa sia la natura, proprio perché abbiamo interposto nel rapporto con essa degli elementi del tutto artificiosi, che vanno a incidere, irreversibilmente, sui processi generativi e riproduttivi della stessa natura.

Finché questa interferenza restava circoscritta a determinate aree geografiche e popolazioni, i danni non superavano l’ambito locale e regionale; ma oggi i danni sono planetari, sempre più gravi e apparentemente irrisolvibili, in quanto ogni tentativo di soluzione che parta dall’antagonismo sociale è destinato a non produrre alcun rimedio significativo. Questo per dire che il genere umano è diventato il pericolo numero uno per la sopravvivenza del pianeta.

Per risolvere questo problema, di proporzioni gigantesche, non c’è altro modo che superare quello che i latini chiamavano bellum omnium contra omnes, determinato dalla proprietà privata dei mezzi produttivi, tutelata dallo Stato.

Le istituzioni non sono assolutamente in grado non solo di risolvere questo problema, ma neppure di porselo come obiettivo. Se la società non recupera la sua indipendenza nei confronti dello Stato, dimostrando che può fare a meno di qualunque organo istituzionale, e se all’interno della società civile non si pongono le condizioni per cui il benessere individuale abbia un senso solo all’interno del benessere collettivo, l’esistenza del genere umano su questo pianeta non ha alcuna ragion d’essere.

Non saranno certamente le popolazioni abituate a vivere in maniera conflittuale ad avere il diritto di popolare l’universo. Quello che abbiamo creato negli ultimi seimila anni non va considerato come una parentesi nell’evoluzione del genere umano, ma come una sorta di “soluzione finale”, un punto di non ritorno.