Per una transizione ad altro

Perché uno diventa “borghese”? Perché si dà così tanta importanza al denaro? Sembra una domanda banale, eppure se consideriamo che le antiche civiltà mediterranee, prima di entrare nella fase medievale, erano state caratterizzate per almeno duemila anni da una forte presenza di scambi commerciali, si rimane stupefatti al vedere che le tribù cosiddette “barbariche”, provenienti da est, non proseguirono affatto questo stile di vita, se non dopo altri cinquecento anni di contatto con ciò ch’era rimasto di quelle civiltà.

Soltanto verso il Mille gli ex-barbari, ora perfettamente latinizzati e cattolicizzati, cominciarono a diventare mercanti. E ci son voluti altri cinquecento anni prima che i commerci potessero diventare un sistema capitalistico vero e proprio, che viene fatto iniziare appunto nel XVI secolo. E ci sono voluti altri cinquecento anni prima che questo sistema s’imponesse in tutto il mondo, senza incontrare ostacoli insormontabili. Infatti tutti i tentativi compiuti per arginare questo fiume in piena sono clamorosamente falliti. Migliaia e migliaia di anni ci sono quindi voluti per rendere naturale una figura sociale che di naturale non ha nulla: il borghese.

Una figura che ha creato imponenti apparati statali, burocratici, giudiziari, parlamentari, polizieschi e militari per difendere il proprio esclusivo interesse, fatto passare per un “bene comune”. Una figura che ha saputo sostituire qualunque valore umano e religioso con un valore materiale avente funzione di equivalente universale: il denaro. Una figura che è stata capace di far passare per “democratico” uno stile di vita basato sullo sfruttamento del lavoro altrui.

Com’è stato possibile che una figura del genere, che ha letteralmente sconvolto i rapporti umani e naturali, trasformando ogni cosa in una sorta di compravendita, non abbia incontrato, sul suo cammino, un’opposizione che la obbligasse a invertire la marcia? Che cosa ha reso gli uomini così ciechi da non far accorgere loro che anche il più piccolo cedimento nei confronti di questa mentalità avrebbe avuto conseguenze letali per la loro stessa sopravvivenza?

Lo schiavismo romano venne abbattuto da forze che provenivano, seppur in forma disgregata, da ambienti clanico-tribali. Ma dov’è oggi la forza in grado di abbattere lo schiavismo salariato? La mentalità borghese ha fatto così breccia nell’umanità che persino l’ideologia che per prima chiese l’abolizione della proprietà privata, e cioè il socialismo, non è riuscita a restare coerente con se stessa. Per quale motivo qualunque azione venga compiuta contro il capitale finisce col tradire i presupposti di partenza?

Qui le ragioni sono due:

– la prima è che manca ancora una vera alternativa laica e umanistica al cristianesimo;
– la seconda è che manca ancora una definizione autenticamente “democratica” del socialismo.

L’affronto di questi due aspetti o procede in maniera parallela, oppure rischia di non approdare a nulla di davvero significativo per una transizione ad altro. Ma se è così, le premesse per affrontarli non possono che essere due:

– sviluppare al massimo la libertà di coscienza;
– garantire al massimo la gestione collettiva delle risorse di un determinato territorio.

Se non si è padroni del proprio territorio, non si è padroni della propria coscienza. Se non si usa la propria coscienza per impadronirsi del proprio territorio, non si è padroni di nulla.

8 commenti
  1. controcorrente
    controcorrente says:

    Caro Enrico,

    Come si vede che hai letto bene Marx, che guarda a caso è stato il primo a cercare” l’arcano” che si annidava dietro a questo “mondo” che sulla carta filava così bene e liscio come l’olio.
    L’economia infatti era null’altro che una scienza più simile alla ragioneria che ad una scienza che pone al primo posto la critica dell’apparente e dell’assodato.
    Purtroppo dal mio punto di vista la prima premessa è in parte “praticabile”, la seconda ahimè non ha ancora degli “oggettivi” riscontri, nel senso che modifiche di tale portata si sono rese necessarie ovvero “praticabili” dopo che la dialettica ha portato alle estreme conseguenze l’invivibilità della realtà e reso palese “evidente” che in quel modo non si poteva più continuare.
    Non ci resta che portare avanti la “critica dell’economia politica”,sapendo che comunque è palese che in un modo o nell’altro continua a scavarsi la fossa da sola.
    Speriamo solo che non scavi anche moltissime altre “fosse”

    cc

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  2. Linosse
    Linosse says:

    Enrico ,complimenti per l’analisi.
    La figura del borhese
    “Una figura che ha saputo sostituire qualunque valore umano e religioso con un valore materiale avente funzione di equivalente universale: il denaro.”
    Non scaturisce dal nulla ma da una forma mentis che si basa su un sistema di educazione dell’eroico “Vello d’oro” a portata di mano di “eroici avventurieri” e che alcuni propagandisti hanno spacciato e spacciano spacciano come mitologico(chi si può permettere la divulgazione?)
    Ancora oggi viviamo una situazione mitologica che ancora resta predominante su altre forme più realistiche ma che ,non per propaganda ma per un ritrovato senso esistenziale, prima o poi saranno un riferimento meno fantastico in contrapposizione al mito divulgato da pochi per il vantaggio di pochi e che al momento si riducono a pochissimi .
    L.

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  3. Enrico Galavotti
    Enrico Galavotti says:

    La vera tragedia è la coazione a ripetere. Cioè quand’anche arrivasse un giustiziere della notte che ci presenta il conto dei nostri errori, che succederà dopo che la gran parte di noi sarà scomparsa dalla faccia della terra e l’ultimo resto d’Israele si batterà la fronte contro il muro del pianto, giurando davanti a dio e sui propri figli rimasti che non ricadrà negli stessi errori? Accadrà che li ripeterà e tutto ricomincerà come prima, salvo le varianti dovute al trascorrere del tempo.
    Ecco perché prima di fare qualunque cosa di eversivo, bisognerebbe chiedersi quali sono le condizioni (almeno quelle minime ma fondamentali) perché non si formi la coazione a ripetere?
    Per me queste condizioni sono solo due: 1. autogestione delle proprie risorse produttive, 2. libertà di coscienza come legge fondamentale del vivere comune.

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  4. Enrico Galavotti
    Enrico Galavotti says:

    Marx è la partenza sul piano economico, ma se oggi dicessimo che basta affermare la proprietà sociale dei mezzi produttivi senza chiederci se i mezzi produttivi offertici dalla società borghese siano davvero quelli di cui abbiamo bisogno per creare una transizione, non avremmo fatto un solo passo avanti.
    Chiediti se la Russia bolscevica invece di “statalizzare” i mezzi produttivi si fosse limitata a “socializzarli”: cosa sarebbe cambiato? Non avrebbe devastato ugualmente la natura? Avrebbe forse ridimensionato il mito borghese della scienza e della tecnica?
    Noi oggi dovremmo chiederci cosa davvero significa la parola “benessere”: dovremmo farlo avendo una visione mondiale della realtà. Dovremmo p.es. chiederci: posso dire di “stare bene” finché in una qualunque regione sperduta del pianeta si muore ancora per malattie che noi abbiamo debellato da secoli?

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  5. controcorrente
    controcorrente says:

    Infatti caro Enrico,
    nè Marx lo dice , ne tanto meno io.
    Marx afferma soltanto che la “proprietà privata” dei mezzi di produzione è una delle “condizione” per il perpetuarsi del sistema “borghese”.
    Non credo che l’indicazione sulla Rivoluzione bolscevica “calzi”, nel senso che manco Lenin ci sperava poi troppo, nel senso che in più di un’occasione affermò che avrebbe rinunciato volentieri alla Rivoluzione Bolscevica in cambio di quella Mondiale.
    Né l’uno , né l’altro indagano a fondo sulle trasformazioni, ovvero l’impatto che i “mezzi di produzioni” avrebbero avuto sul futuro, né esistevano all’epoca mezzi tecnici scientifici per immaginarlo.
    Marx ,come primo sociologo, né coglie insieme a Engels solo gli aspetti più prettamente Umani , in termini di alienazione e se uno ci pensa, bisogna considerare che era, per l’epoca, un passo colossale in “avanti”.
    La tua affermazione “per una transizione ad altro” rimane a mio avviso valida a patto però di non perdere di vista il Reale movimento delle cose”,che è la base per progredire senza farci troppo illusioni.
    Ovvero è possibile trasformare o utilizzare gli attuali”mezzi di produzione”per raggiungere gli scopi di un’umanità non alienata ,cosa abbandonare,cosa salvare ?
    Ai fini di una transizione “ad altro”.
    Si corre il rischio di correre troppo in avanti con un’elaborazione teorica di quello che dovrebbe essere, mentre il mondo va da altra parte, o anche verso l’autodistruzione che è pur sempre una possibilità sempre più realistica.

    cc

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  6. controcorrente
    controcorrente says:

    Per gli appassionati vorrei portare questo contributo tratto da un Libro di Daniel Bensaid…Marx istruzioni per l’uso..che penso sia in tema del post di Enrico..

    L’uomo e la natura

    Sebbene non siano sistematizzate, le intuizioni ecologiche disseminate nei Grundrisse e nelle bozze del Capitale trovano comunque un solido fondamento nella formazione del pensiero antropologico di Marx e nell’eredità della filosofia tedesca della natura. Per Marx, i rapporti di produzione sono indissociabili dai rapporti, mediati dal lavoro, dell’uomo con i suoi simili e con la natura. In quanto « ente naturale », l’uomo è « immediatamente un ente della natura », un essere vivente antropologicamente determinato, « fornito di forze naturali, di forze vitali». Ente naturale, « corporeo, sensibile, oggettivo; un ente passivo condizionato e limitato, come è anche l’animale e la pianta ».~ Il naturalismo e l’umanismo che ne conseguono sono una sola cosa. Questi limiti e queste dipendenze naturali sono evidentemente pregni di conseguenze ecologiche, anche se il termine è ancora ignoto. Resistono infatti alla prometeica tentazione di asservire la natura e mitigano l’entusiasmo della tesi di dottorato del giovane Marx contro gli eroi greci che osarono sfidare gli dei.
    L’essere umano è innanzitutto un essere naturale, votato alla mancanza, alla finitezza. Ma ciò che è stato abbattuto deve essere rialzato nuovamente: l’uomo è anche un essere storico, in quanto la natura non esiste né oggettivamente né soggettivamente in modo tale da essere « presente all’essere umano in forma adeguata ». L’essere umano sviluppa dunque storicamente i suoi bisogni e le sue capacità. È per questa ragione che « la storia è la vera storia naturale dell’uomo »

    L’« universale appropriazione della natura » si sviluppa nel capitalismo all’interno del quadro di uno specifico modo di produzione. La natura diventa allora « un puro oggetto per l’uomo, un puro oggetto di utilità, e cessa di essere riconosciuta come forza per sé; e la stessa conoscenza teoretica delle sue leggi autonome si presenta semplicemente come astuzia capace di subordinarla ai bisogni umani sia come oggetto di consumo sia come mezzo di produzione ».~ Senza volerne ai romantici nostalgici e alle utopie naturaliste, la natura, ridotta a un puro affare di utilità, si trova in tal modo demistificata e desacralizzata. Eppure, la determinazione naturale (antropologica) della società umana non si dissolve nel divenire storico, poiché, contrariamente a ciò che vogliono far credere gli autori del programma di Gotha, « il lavoro non è la fonte di ogni ricchezza». « La natura è la fonte dei valori d’uso […] altrettanto quanto ti lavoro, che esso stesso è soltanto la manifestazione di una forza naturale, la forza-lavoro umana ».11 La natura resta dunque irriducibile a una pura categoria sociale. Testimone del « tormento della materia», « mediazione necessaria », agente del « ricambio organico tra uomo e natura »,12 il lavoro è un convertitore di energia. La nozione sociale di « ricambio organico » o di « metabolismo » (Stoffwechsel), presa in prestito innanzitutto dalla filosofia tedesca della natura intesa come totalità organica, e poi ulteriormente sorretta dai lavori di biologi come Jacob Moleschott, sopraggiunge con i Manoscritti parigini del 1844.
    Nei Manoscritti del 1857-1858, con l’idea di una fuga in avanti della produzione per la produzione e di uno sviluppo del consumo che non sia più funzione dei nuovi bisogni sociali bensì di una logica automatica del mercato, si delinea l’abbozzo di una critica di ciò che oggi chiameremmo produttivismo. La produzione dominata dalla ricerca del massimo profitto e non dalla soddisfazione dei bisogni implica infatti un « circolo della circolazione continuamente allargato ».13

    ovviamente continua , ma c’è materiale sufficiente ad approfondire..

    170

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  7. Enrico Galavotti
    Enrico Galavotti says:

    Ecco è appunto questo che mi chiedo: davvero abbiamo bisogno di sviluppare al massimo la tecnologia per capire che è meglio farne a meno?
    Marx-Engels-Lenin (che pur son stati il meglio del socialismo) sono stati abbacinati dalla scienza borghese e non si sono mai chiesti se sarebbe stato davvero sufficiente appropriarsene in maniera sociale per realizzare il socialismo democratico.
    Oggi a sinistra manca una riflessione profonda su questo argomento. Ancora si cerca di tutelare il lavoro così com’è, senza chiedersi se gli strumenti che lo caratterizzano siano idonei a realizzare una società democratica, a prescindere da chi li possiede effettivamente.
    Se ci limitiamo a contrapporre lavoro a capitale non usciremo mai dalla spirale. Bisogna che nel farlo si inizi una riflessione sugli strumenti del benessere, sul significato stesso della parola “stare-bene”.
    Occorre che ci riappropriamo anzitutto del territorio locale per poter fare una riflessione del genere. Non basta espropriare i mezzi di produzione a chi ne detiene la sola proprietà; bisogna chiedersi se questi mezzi sono adatti a realizzare un democrazia compatibile con le esigenze riproduttive della natura.
    ciaooo

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  8. Linosse
    Linosse says:

    Purtoppo siamo rimasti abbagliati acriticamente e nelle 4 direzioni da un tipo di società che si è propagandata come dei consumi mentre in realtà è degli sprechi e basta e la ruzzola continua.

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