Caro Chiavaliere, perché non dispensa “aiutini” non solo alle eroine del bunga bunga, ma anche ai barboni, ai pensionati da fame e ai giovani disoccupati? Per colpa soprattutto sua dopo avere perso la Turchia perderemo anche le occasioni in Tunisia, Egitto, ecc. Il mondo si occupa di Mubarack, l’Italia è costretta a occuparsi delle mutande della sua “nipote”.

Egregio Chiavalier del Bunga Bunga, reuccio d’Arcore e principe Cuore e Portafogli Generosi con tutti (anche se in realtà pare solo con “quasi tutte”, purché bbone e smutandate), mi trovo a Roma e ho notato che c’è una marea di barboni. Perché non dà un “aiutino” anche a loro? Magari meno dei 100.000 e passa euro che ha dato alla bonazza Sarcineli. Peraltro i barboni ci sono anche nella sua Milano da bere prima e da spolpare dopo, ergo potrebbe dare un aiutini anche a loro. Diciamo 99 mila euro a testa? Oppure potrebbe ospitarli in massa in qualche residence o nella sue mole ed enormi ville. Non trova?
Barboni a parte, hanno bisogno urgente di un “aiutino” milioni di pensionati con pensioni del cavolo e milioni di giovani senza lavoro, compreso chi ha una o più lauree. Lei aveva esordito promettendo a tutti “le tre i”, intese come iniziali di inglese nelle scuola fin dall’asilo, di internet per tutti e di impresa. Lei invece ci ha impantanato in altre i: imbecilli, ignoranti, imputati, improntitudine e inchina schiena. Fosse anche solo per questo, basta e avanza per dire che lei è indegno di governare. Prima o poi i nostri giovani non si accontenteranno più di vagolare su internet, eternamente poggiati al muretto delle realtà virtuali così come i giovani tunisini sono costretti a passare le giornate possiati al muro in strada vicino casa.

Per colpa dei lecca scarpette rosse papaline, da lei capitanati nel meretricio vaticano per farsi personare i suoi cupi “peccati”,  ci siamo persi la Turchia, cioè un bel ponte tra l’Europa e l’islam. Ora perderemo l’occasione che si presenta in Egitto e quella in Tunisia, poi quella in Algeria, ecc. Tutti regimi di merda da noi foraggiati secondo il noto principio “tanto peggio per loro tanto meglio per noi”. L’Europa e l’Italia in particolare resteranno cioè prigioniere del solito egoismo fottuto e cieco, che ci costerà caro. Purtroppo non anche ai suoi figli e nipoti che, come quelli dei ras in fuga in nord Africa, potranno godersi la vita dove meglio credono. Lei in particolare non è libero di dire no ai fanatici degli Usa, di Israele e del Vaticano, che spingono come forsennati per lo “scontro di civiltà”.

Il mondo si occupa di Mubarak e del costo del petrolio, l’Italia è costretta a occuparsi delle mutande della “nipote” di Mubarak. Ma, a proposito di mutande, non la trattengo oltre. So  che lei deve correre a scopare, anche se non so con chi e con quante. E poi a me non piace molto intrattenermi con gente indegna.
P. S. In quanto ad “aiutini” farebbero comodo anche a me, ai miei familiari e a vari miei amici.

Il bunga bunga non è solo quello di Arcore. E ci guadagnano tutti, a partire dalla Chiesa. Compresi i giornalisti che in un eccesso di servilismo fanno sparire, con buona pace del superpatriottico ministro della Difesa Ignazio La Russa, perfino un nostro militare ucciso in Afganistan

Più che il patriottismo, come sempre di cartone, potè il servilismo. Il 19 gennaio 2011 marchierà per sempre alcuni giornali e annessi direttori. Quel giorno il  servilismo e l’ipocrisia dei giornalisti che difendono a tutti i costi il sempre più indifendibile Chiavaliere Papino il Breve, al secolo Berlusconi Silvio, hanno mostrato tutta la loro grandiosa sporcizia. Uso vocabili gravi e volutamente offensivi perché non se ne possono usare di più morbidi. Allineati all’edicola i vari quotidiani di famiglia e annessi fogli pretoriani gridano addirittura al colpo di Stato o poco meno solo perché i liquami accertati dalla magistratura di Milano sono tracimati come un’ondata di sterco nei vari mass media di tutto il mondo, dimostrando non solo che il reuccio di Arcore è nudo, ma anche brutto da vedere e piuttosto maleodorante.
La foga servile di troppi miei colleghi è stata tale che in quei giornali avreste cercato invano una qualche notizia sull’alpino Luca Sanna ucciso in Afganistan. Ecco di che pasta è fatto il “patriottismo” sventolato a più non posso dai cialtroni in carriera quando serve per dare addosso a qualcuno. Se si tratta di rimettere in fretta e furia le mutande al re nudo per coprirne le vergogne esibite in pubblico, quelli che quando fa comodo vengono definiti “eroi caduti per la pace” possono aspettare. Che vergogna! Anche per l’assenza di qualunque protesta da parte del ministro della Difesa Ignazio La Russa. Continua a leggere

Sette giorni, una vita. Il Lingotto-Marchionne sancisce la fine delle conquiste civili e dello sviluppo dell’Italia iniziate col dopoguerra? E’ ormai più che assodato che siamo governati nell’interesse di una banda di malfattori. Per giunta benedetti da un Vaticano protettore dei bunga bunga dei preti pedofili

Qual è la notizia peggiore tra quelle dell’ultima settimana? Difficile dirlo, perché è stata una grandinata. Sono reduce dalla quattro giorni di congresso nazionale tenuto a Bergamo dalla Federazione nazionale della stampa italiana (Fnsi), cioè del sindacato nazionale federale dei giornalisti italiani, la cui prima giornata è stata occupata dai discorsi dei tre editori ospiti, Carlo De Benedetti del Gruppo L’Espresso, Fedele Confalonieri di Mediaset e Piergaetano Marchetti della RCS, cioè della Rizzoli-Corriere della Sera. Stendiamo un pietoso velo. Per ora. Armiamoci di coraggio e procediamo.

1) – Il caso Fiat-Marchionne. Che in realtà è il più importante di tutti dal punto di vista strutturale e dell’economia. Beh, sappiamo già di che si tratta, lo abbiamo detto alcune volte. In Italia sono in atto due cose: lo smantellamento di molti diritti conquistati con la lotta contro il fascismo e nel dopoguerra; la riduzione progressiva del cittadino in consumatore. In questo quadro c’è la tentazione di demolire anche la dignità professionale, riducendo il più possibile a forza lavoro un tanto al chilo, cioè all’ora o alla giornata, qualunque tipo di figura professionale subordinata. Quanto accade al Lingotto della Fiat non è che la conseguenza di tutto ciò, nonché la spallata definitiva. C’è la tendenza a rendere il lavoratore subordinato italiano sempre meno lavoratore professionale e cittadino e sempre più forza lavoro un tanto al chilo e consumatore. A pensarci bene non si tratta di ridurre i lavoratori italiani come fossero extracomunitari, ma come fossero palestinesi in Israele. L’extracomunitario infatti dopo alcuni gironi infernali può diventare cittadino italiano come gli altri, ma il palestinse d’Israele non potrà mai diventare un cittadino come gli altri alla stessa stregua dei lavoratori italiani che sempre meno potranno essere cittadini come quelli che campano del lavoro altrui anziché solo del proprio. Con l’aggravante che ai vari Elkan, che disgraziatamente hanno preso il posto degli Agnelli prematuramente scomparsi, Giovannino ed Edoardo, della Fiat “italiana” non gliene può fregare meno, se non per altri miliardi di euro regalati dallo Stato italiano ufficialmente “a favore dell’occupazione” (!), per il semplice motivo che hanno una mentalità quanto meno “internescional”, come dimostra l’incapacità di Lapo Elkan a parlare in italiano decente che è pari alla sua capacità di spendere – qualcuno forse direbbe scialacquare – quattrini in malo modo. Quattrini, non dimentichiamolo mai, che provengono in parte dalle nostre tasche, cioè dalle nostre tasse, e in massima parte dal sudore dei lavoratori. Continua a leggere

Per la Chiesa ci sono copti e copti: protesta, giustamente, per la strage dei 21 ad Alessandria d’Egitto, ma continua a tacere sui 1.600 monaci copti etiopi massacrati dagli italiani. Le (inesistenti) “offese agli ebrei” dell’ex Nar romano Francesco Bianco, ultimo caso delle sempre più sbracate bufale sul “dilagare dell’antisemitismo”

1) – Il Vaticano e la Chiesa italiana continuano a mantenere viva l’attenzione e la condanna per la strage di 21 cristiani copti a Capodanno ad Alessandria d’Egitto. Il cardinale Bagnasco nelle ultime ore ha pubblicamente invocato l’intervento della Comunità Europea a protezione dei copti e dei cristiani in genere nei Paesi dove non sono ben visti. Iniziativa condivisibile. Le stragi di fedeli, per giunta in una chiesa mentre pregano, sono infatti una cosa particolarmente orribile, quale che sia la fede delle vittime. Però in questo caso l’intervento della Chiesa italiana e del Vaticano sorprendono. Il problema non è solo il loro silenzio nei confronti delle vittime musulmane della guerra angloamericana in Iraq, silenzio denunciato nei giorni scorsi dalla maggiore autorità religiosa musulmana d’Egitto, o nei confronti dei bombardamenti “per errore” della Nato in Afganistan che fanno stragi di civili innocenti, bambini compresi, anche alle feste di matrimonio. A essere pignoli ci sarebbe da notare che papa Wojtyla dopo avere inutilmente scongiurato l’intervento in Iraq, patrocinando di fatto il movimento pacifista Arcobaleno, si è poi affrettato a invocare “Dio benedica l’America!” non appena il mentitore guerrafondaio George W. Bush andò a fargli visita in Vaticano. Ma tralasciamo.

Quello che non convince è invece il fatto che il Vaticano e la Chiesa italiana PRIMA di protestare, giustamente, per la strage dei copti d’Alessandria dovrebbero pubblicamente ammettere d’avere sbagliato e chiedere perdono per il silenzio tombale con il quale nascosero la strage di almeno 1.600 monaci copti per mano italiana nel 1937 in Abissinia, oggi Etiopia ed Eritrea. Pur di non dispiacere al Cavaliere di turno, l'”uomo della Provvidenza” Benito Mussolini e ai suoi fascisti, che avevano invaso l’Abissinia, il Vaticano fece spallucce per la rappresaglia al fallito attentato al maresciallo Graziani, rappresaglia che sterminò dai 4.000 ai 20.000 civili abissini, e tacque totalmente e vergognosamente per la strage di tutto il clero copto della capitale religiosa di Debre Libanos: almeno 1.600 tra monaci, giovani seminaristi e ragazzini chierici. In totale, l’equivalente di 20-50 volte la strage delle Fosse Ardeatine perpetrata a Roma dai nazisti tedeschi. Continua a leggere

Storia del cristianesimo primitivo

Con la svolta costantiniana nasce il cesaropapismo, cioè la divinizzazione dell’imperatore in nome del cristianesimo, con la conseguente cristianizzazione integrale dello Stato e la politicizzazione della chiesa.
Era inevitabile questo processo? La storiografia cattolica dice di sì, in quanto nella tarda antichità religione e Stato non conoscevano che un’integrazione reciproca, un legame indissolubile. Semmai Costantino sbagliò – ma questo lo dice solo la storiografia cattolica, non quella ortodossa – quando volle affermare il dominio assoluto dell’imperium sul sacerdotium.
In realtà il processo non era inevitabile, e per due ragioni: una, in riferimento allo Stato, riguarda l’Edittodi tolleranza di Milano e, prima ancora, quello di Sardica emanato da Galerio, i quali avevano posto le basi giuridiche per il superamento della religione di stato; l’altra, in riferimento alla chiesa, riguarda la celebre frase evangelica di Mc 12,17, secondo cui Dio e Cesare sono due realtà separate.
La Lettera a Diogneto spiegava molto bene come un cristiano potesse comportarsi contemporaneamente come cittadino nell’ambito dello Stato e come credente nell’ambito della chiesa. In questa direzione, d’altra parte, andava interpretata l’affermazione di Gv 18,36 secondo cui il regno di Cristo non è di «questo mondo».
Dunque la possibilità di costruire uno Stato laico e una chiesa libera c’era, ma la storia, a causa delle debolezze degli uomini, procedette diversamente. La chiesa cristiana non sbagliò quando combatté con tutte le sue forze l’integralismo pagano dello Stato romano; sbagliò quando volle sostituire quell’integralismo con il proprio, eliminando d’autorità ogni voce dissidente.
L’ideologia politica del cesaropapismo, seppur modificata, col passar dei tempi, dalle teorie del costituzionalismo, del giusnaturalismo, del contrattualismo, della sovranità popolare, della democrazia rappresentativa, dello Stato laico ecc., è rimasta sostanzialmente immutata in quell’area geo-politica caratterizzata dalla religione cristiana, sia essa nella confessione ortodossa, cattolica o protestante (e lo stesso si può dire dell’area ebraico- islamica). Sono soltanto cambiate le forme.
L’impero zarista infatti ereditò, in maniera ancora più accentuata, il cesaropapismo bizantino, che i bizantini hanno sempre definito col termine di «sinfonia» o di «sacra diarchia». Dal canto loro, gli Stati cattolici e protestanti moderni, tra concordati, intese o taciti compromessi, non hanno mai smesso di servirsi della religione per fini di potere.
Gli unici momenti in cui tale ideologia politica ha subìto degli scossoni non indifferenti sono stati quelli delle due rivoluzioni più importanti: francese e russa, allorché l’idea di una separazione dello Stato dalla chiesa cominciò a incontrare un’effettiva applicazione.
Oggi tuttavia anche il sistema del cosiddetto «socialismo reale» si è dissolto. In campo «religioso» il governo della perestrojka, per la prima volta, ammise che la contrapposizione ideologica di Stato e chiesa, usata in maniera politica, era stata uno sbaglio clamoroso. Nessuno aveva il diritto di imporre alla società un’ideologia opposta a quella religiosa. Abolendo l’ateismo di Stato (mascherato da una laicità fittizia), i paesi socialisti non introdussero ovviamente il cesaropapismo: semplicemente costatarono che se la chiesa può essere tenuta separata dallo Stato, essa non può essere tenuta separata anche dalla società. È dunque nella società che devono democraticamente confrontarsi laicità e religione, lasciando che sia la storia a decidere l’esito finale.
Quanto alla storiografia cattolica, qui è bene precisare che la sua critica del cesaropapismo non è mai stata disinteressata, in quanto a quella ideologia politica essa ha sempre contrapposto il «papocesarismo», cioè la monarchia pontificia e l’uso strumentale dei poteri dello Stato. Ambrogio di Milano, nei suoi rapporti soprattutto con l’imperatore Teodosio, darà un contributo decisivo a questa dottrina.
Se si esamina, senza pregiudizi di sorta, la storia dell’impero bizantino, ci si accorgerà facilmente che il cesaropapismo è riuscito a imporsi solo in maniera politica, non ideologica. Molti imperatori cercarono di piegare la chiesa ortodossa alla loro propria ideologia, ma non vi riuscirono (due grandi oppositori alle pretese ierocratiche degli imperatori furono Crisostomo e Massimo Confessore). La chiesa ortodossa è rimasta sostanzialmente fedele all’ideologia del cristianesimo primitivo.
Viceversa, se si esamina la storia della chiesa cattolica medievale, si noterà, con altrettanta facilità, che essa non solo ha cercato continuamente di subordinare a sé ogni potere statale, ma ha anche modificato gli elementi sostanziali dell’ideologia cristiana primitiva per potersi opporre più efficacemente sia contro lo Stato sia contro la stessa chiesa ortodossa (si pensi, ad es., al Filioque, ai dogmi sul primato del papa, sulla sua infallibilità, su Maria ecc.).
La chiesa cattolico-romana riuscì a creare nel Medioevo una situazione così gravosa e insopportabile che la riforma protestante, pur con tutti i suoi limiti, costituì sicuramente un momento di grande emancipazione.
Resta tuttavia il fatto che una religione così politicamente rassegnata come il cristianesimo primitivo riuscì ad avere un successo incredibile dopo ben trecento anni di persecuzioni. Tra tutte le spiegazioni che han dato gli storici, forse queste tre meritano più delle altre:
– il cristianesimo non era politicamente rassegnato quando si trattava di non riconoscere la divinità all’imperatore: i martiri davano l’impressione, pur non difendendosi militarmente, di avere una fede capace di contestazione politica;
– il cristianesimo aveva degli aspetti comunitari di assistenza sociale tra i propri seguaci e tra questi e gli elementi bisognosi della collettività in generale, che sicuramente facilitavano le conversioni esplicite o comunque le adesioni implicite, i consensi indiretti. In tal senso è indubbio che il cristianesimo non si ponesse affatto né come setta filosofica né come religione per pochi iniziati;
– il cristianesimo, non avendo una patria (un territorio geografico) da difendere, non si legava a usi e costumi che potessero distinguerlo nettamente da altre ideologie o religioni. I pochi riti che praticavano erano alla portata di tutti, facili da ricevere, da imparare e da amministrare. I cristiani non hanno mai avuto particolari regole dietetiche, rigide osservanze da rispettare…: è stato anche questo che ha permesso loro di universalizzarsi molto facilmente.

http://www.lulu.com/content/libro-a-copertina-morbida/cristianesimo-primitivo/9799846

Memoria e Natura

La memoria di cui abbiamo veramente bisogno non può riguardare solo la nostra attuale dimensione terrena. Noi siamo figli dell’universo e dobbiamo avere una “memoria universale”, che ci permetta di vivere umanamente in ogni luogo dell’universo.

In tal senso la memoria deve per forza andare al di là delle sue forme storiche, perché tutta la storia del genere umano possa ricordare quel che ha perduto e perché possa desiderare di ritrovarlo.

Il punto è: ci potrà ancora essere “storia”, cioè “movimento”, quando avremo ritrovato quel che si è perduto? Oppure il cammino, per poterlo ritrovare, non avrà mai fine?

Noi non abbiamo bisogno di distruggere per esistere, non abbiamo bisogno di odiarci per poter essere. Però abbiamo bisogno di problemi da risolvere, di contraddizioni da superare. La frustrazione ci è cara, anche se le comodità che andiamo a ricercare ci tolgono il gusto della vittoria, la soddisfazione personale di aver trovato una soluzione al problema.

Oggi per noi storia vuol dire “non aver pace”. I problemi ci angosciano, temiamo di perdere il benessere raggiunto, desideriamo averlo a tutti i costi per non essere schiacciati dall’egoismo altrui. Noi siamo costantemente insoddisfatti di quel che non siamo, perché quel che siamo ci appare come il “non essere”.

Dal non essere dobbiamo, anzi vogliamo passare all’essere, senza però sapere quale sia. Dovremmo farlo rispettando le libertà altrui, senza violare l’essere altrui, ma questo, nelle società e civiltà antagonistiche, non è mai stato fatto. La ricerca dell’identità è sempre avvenuta schiacciando le identità altrui.

Sappiamo solo una cosa, che il tempo è illimitato e che la materia è soggetta a continua trasformazione. Siamo terreni ma destinati all’universo. La memoria delle cose terrene deve diventare “memoria universale”, cioè ricordo dell’intero genere umano, che vuole essere se stesso.

Quindi di tutta la memoria storica sarà meglio per noi conservare quello che serve al nostro essere. Su questa terra dobbiamo scoprire qual è la memoria da ricordare, il desiderio da desiderare, l’esperienza da vivere nell’infinità del tempo.

Noi dobbiamo diventare quel che siamo veramente, perché abbiamo smesso di esserlo, e nonostante gli altissimi prezzi che di volta in volta abbiamo pagato, la nostra dimenticanza va aumentando. Noi non siamo più capaci di tornare ad essere noi stessi con le sole nostre forze.

Questo perché non lasciamo che sia la natura, con le sue leggi, a determinarci. Per noi la natura è solo una risorsa da sfruttare il più possibile, senz’altra preoccupazione.

La natura ha una memoria superiore alla nostra, ha delle leggi non scritte che risalgono alla nascita dell’universo o, quanto meno, del nostro sistema solare. Queste leggi si sono tramandate senza il concorso dell’uomo.

Il conflitto tra le nostre leggi e quelle della natura è inconciliabile. Se la natura vuole sopravvivere, non avrà molta scelta: dovrà liberarsi di noi, anche a costo di rendere se stessa invivibile, come nei deserti o nei ghiacciai.

Noi dobbiamo valorizzare gli esseri umani naturali, quelli che si oppongono al concetto di “civiltà” e che, allo stesso tempo, non fanno della natura un nuovo dio da adorare.