Micro: lo spiacevole caso di Ignazio Posadinu detto “Belbo”. Macro: la volontà di nuocere alla Russia. E dal 1° settembre: Aruotalibera o Arruotalibera?

Non so ancora se domani, lunedì 1° settembre, il mio blog sul sito de L’espresso vivrà o no, se ancora affidato a me, che ne ho coniato a suo tempo anche il nome Aruotalibera, oppure ad altri. Prima delle ferie estive mi è stato detto che forse mi sarebbe rimasto. Forse. Un forse che derivava dal fatto che, a quanto mi hanno spiegato, ci si stava chiedendo se e come ripensare l’intero blocco dei dieci “blog d’autore”. Poi però, colpa forse delle vacanze, che peraltro io non ho fatto perché impegnato a Milanao anche a scrivere un nuovo libro, non ho saputo più nulla. Continua a leggere

I burattinai che muovono il presidente georgiano Saakashvili

Penso sia utile farsi dell’attuale, pericolosa e forse decisiva crisi georgiana una idea meno omologata alle verità ufficiali chiaramente suggerite per prendere due piccioni con una fava: colpevolizzare la Russia e sabotare le Olimpiadi cinesi già pre-sabotate con l’enfasi precotta e a senso unico sul Tibet. Riporto perciò un articolo di Frederick William Engdahl, un esperto che per oltre 30 anni ha scritto su temi come l’energia, la politica e l’economia, compreso il primo shock petrolifero a inizio anni ‘70. Engdahl ha collaborato con riviste quali Foresight Magazine, Grant’s Investor .com, la giapponese Nihon Keizai Shimbun, European Banker e Business Banker International. E’ anche un apprezzato conferenziere invitato a congressi internazionali su argomenti di geopolitica, economia ed energia.

Ovviamente sento già le accuse di chi cerca sempre di tappare la bocca a chi osa fare certi nomi, ma come sempre è meglio non curarsene.

I burattinai che muovono il presidente georgiano Saakashvili

di F. William Engdahl, 12 Agosto 2008

L’attacco militare a sorpresa della Georgia contro l’Ossetia Meridionale, avvenuto l’8 Agosto, rende necessario studiare più’ da vicino la controversa figura del presidente georgiano e dei suoi burattinai. Il 41-enne Mikhail Saakashvili si presenta come un uomo senza principi, un dittatore corrotto legato non solo agli Usa e alla Nato, ma anche ai servizi militari e d’intelligence israeliani. Continua a leggere

Quanta ipocrisia sulla Cina e la Russia. Cuba no, Sud Ossezia sì?

Basta guardare come sono composte le prime pagine dei giornali per sospettare che la crisi georgiana sia stata spinta in scena per offuscare le Olimpiadi di Pechino. Gli articoli sui record e anche sulle medaglie d’oro italiane non hanno lo spazio adeguato, cioè quello che hanno sempre avuto durante le Olimpiadi passate, devono contendere lo spazio alla crisi russo-georgiana-osseta, alle foto dei carri armati, dei militari russi e dei morti. Chi ha ragione, in questa crisi? Andiamo per ordine.

E’ da tempo che si tenta di creare grossi problemi economici alla Cina, la prima mossa è stata l’enorme allarme sull’influenza aviaria. Ricordate? Pareva che gli uccelli in arrivo dall’ex celeste impero avrebbero provocato una mezza apocalisse nell’immacolato, sano e ricco Occidente. Invece l’unica cosa che provocò fu la paura di molti nostri operatori economici ad andare non solo in Cina, ma anche nelle vicinanze come per esempio in Vietnam, per continuare a concludere affari specie nel settore tessile. Continua a leggere

Non so che ho fatto, ma mi sento colpevole: parola di Beck

Una doverosa premessa: sono una fan di Beck, da sempre, e questo vuol dire che tendo ad essere assai poco obiettiva e a puntare inevitabilmente verso l’entusiasmo piuttosto che la delusione ogni qual volta si rifà vivo su disco. Ma per l’ultimo “Modern guilt” non devo scomodare qualsivoglia cieca ( e sorda) benevolenza: checché ne dicano gli immancabili detrattori, quelli che pretendono infinite innovazioni e strabilianti colpi di scena, è un vero piacere godersi queste nuove dieci canzoni. Beck ha quasi 40 anni, la metà spesi a far musica. Gli esordi sono stati fulminanti: perché chiedergli di fare solo e ancora capolavori? Potremmo chiedergli viceversa di andare in pensione se ci regalasse delle ciofeche, ma così non è. Non ancora. E allora ben venga “Modern guilt” a farci da colonna sonora dell’estate e oltre…con la sua proverbiale, inalterata capacità di dare un’aria di spigliata naturalezza, di sfrontata facilità anche al sound più complesso. Ovvero svogliatezza + genialità.

L’album si apre con “Orphans”, rock ridotto all’osso come ben sottolinea il video in bianco e nero, il classico trio chitarra+basso+batteria su uno sfondo tutto bianco. Anche la seguente “Gamma ray” ci riporta ad un basic pop anni Sessanta timbrato però inconfondibilmente Beck: bastan poche note e si riconosce contenti il marchio di fabbrica. Un’impronta che non puzza di ripetizione stantia, ma anzi mi dà un senso di appartenenza, di complicità. Giocato sul contrasto tra colori e bianco e nero, optical e total white il video, intrigante e autocelebrativo come sempre. “Chemtrails” ripesca dai 60 e 70 un pizzico di psichedelica e una batteria che butta sul progressive. La title track è quella che risente di più della produzione affidata da Beck a Danger Mouse, la metà dei Gnarls Barkley (il suo socio è il rapper Cee-Lo): nel testo confessa di non sapere che ha fatto di male, di che sentirsi colpevole, ma prova ugualmente vergogna e paura. Con Mouse Beck divide gran parte della strumentazione (il primo si occupa di beats, tastiere, sintetizzatori, il secondo spazia come sempre tra chitarre, percussioni, flauto, pianoforte, e basso) lasciando a pochi comprimari le briciole. Con “Youthless” il riff della chitarra si fa più serrato, nervoso, le voci si rincorrono, le tastiere anche, e poi la canzone, come quasi tutte le altre del disco, si tronca di netto. Cambio ancora di binario in “Walls”, archi tirati per le lunghe, cori femminili e batteria che rimbomba. Nei credits leggiamo che contiene un campionamento da “Amour, vacances et baroque”: su questo pezzo strumentale di Paul Piot & Paul Guiot scorre pari pari (voce femminile compresa) tutta la strofa. Nella seguente “Replica” (la mia preferita) il ritmo è ipersincopato, irripetibile, mentre il cantato e i cori volano oltre. E chissà perché alla fine mi vengono in mente i Weather Report. “Soul of a man” , forse la canzone più debole del disco, ci riporta al rock semplice ma efficace delle prime del cd. Ma è solo una pausa per riprendere fiato: arriva il pop ballabile di “Profanity prayers” e poi si chiude con una ballata, “Volcano”. Il testo parla di mal di vivere, ma per fortuna Beck si salva con la sua solita ironia: se quella ragazza giapponese si era buttata nel vulcano per cercare le sue radici, un senso alla sua esistenza, lui vuole solo scaldarsi un po’ le ossa…

Voto? da brava fan son troppo di parte, non riesco a scendere sotto l’8.

Uno dei due piloti dello sgancio della bomba atomica su Nagasaki era un italo americano, figlio di emigrati dal Viareggino

Nei giorni scorsi ci sono stati gli anniversari dell’uso delle prima due bombe atomiche su popolazioni civili. Il 6 agosto 1945 quella su Hiroshima. Tre giorni dopo, 9 agosto, quella su Nagasaki. Storia e tragedia note, anche se si tende ormai a dimenticarle o a ricordarle solo come facciata retorica. Le nuove generazioni dimenticano, ma mano sempre di più e sempre meglio. I fatti, anche i più terribili, vengono ricordati solo sui libri di Storia. Qualcuno, preferibilmente trasfigurato in mito, riesce a far parte dell’identità e del dna di un popolo, anche se di solito si preferiscono le leggende pure e semplici. E’ così, con le sdrammatizzazioni successive, di generazione in generazione, che gli errori più orrendi tendono a essere ripetuti. La Storia, si sa, è maestra di vita: peccato solo che gli esseri umani non amano imparare… Continua a leggere

Invasione della Cecoslovacchia del ‘68 e dell’Iraq del 2003: l’arma iniziale sono sempre le bugie. Amici di Israele: quelli facinorosi è meglio perderli

Agosto 1968: ero in vacanza con due amiche in tenda in un campeggio della Jugoslavia, dalle parti di Porec, in italiano Parenzo, quando è arrivata la notizia dell’invasione della Cecoslovacchia da parte dei sovietici e altre truppe del Patto di Varsavia. Finiva così la “primavera di Praga” che cercava di ampliare gli spazi di libertà e democrazia senza uscire dal Patto né dall’economia “comunista”, o meglio statalizzata. I carristi si ritrovano in piazza S. Venceslao ricoperti di insulti, la folla gli chiede perché hanno invaso il Paese e loro piuttosto frastornati, perché non hanno trovato resistenza e nessuno li minaccia, balbettano che sono venuti a difendere il comunismo e il Paese contro “i traditori” e le mire occidentali. Insomma, le truppe erano state imbottite di balle prima di mandarle a occupare la Cecoslovacchia. Continua a leggere

SIGUR ROS E L’AFA NON C’E’ PIU’

E’ un perfetto antidoto contro la calura ferragostana l’ultimo album dei Sigur Ros, e non solo perché vengono dalla fredda Islanda e fanno da colonna sonora ideale delle sere d’inverno (se poi fuori nevica è il massimo). Il loro è un mondo a parte, infantile e bucolico. E la strada che vediamo sulla copertina di “Con un ronzio nelle orecchie suoniamo all’infinito” (non trovo i caratteri giusti sulla tastiera per scriverlo nella lingua originale…) dista anni luce dalle nostre autostrade intasate da esodi e controesodi: in quattro saltano spensierati il guard rail ma senza fare un frontale. Nudi per giunta. Una copertina smilza, di cartone, che ripropone pari pari quelle dei dischi in vinile, dal sapore freak anni Settanta: i corpi nudi alla Woodstock non hanno nulla di ammiccante, di pubblicitario, e svelano una carica erotica naif solo nel video della canzone d’apertura, “Gobbeldigook”.

Il cambio di rotta preannunciato da un piccolo adesivo si sente solo nella prima parte del disco, ricordando l’antitesi tra “canzoni solari” e “oscure” di “()” del 2002 (sottolineata da una pausa di 30 secondi proprio a metà album). Una svolta “pop” che non delude, notevole ma non invadente. Si parte a tutto ritmo con la già citata “Gobbeldigook”, è tutto un battito di mani, di tamburi, di la-la-la-la, seguita a ruota da “Luni…” che può ricordare (in meglio) gli Arcade Fire. L’atmosfera si fa più rarefatta, per riprendere vigore con un incipit ripreso pari pari da “Boys don’t cry” dei Cure. Le percussioni si faranno ancora sentire, ma il suono torna ad essere marchiato Sigur Ros, e ci regala ancora una volta brividi e occhi umidi, come nell’apertura sinfonica di “Ara bàtur” (registrata negli studi londinesi “Abbey road” con la London Sinfonietta e un coro di voci bianche) per chiudersi con voce, pianoforte e ottoni dell’unica traccia cantata in inglese, “All alright”.

Qualche dato tecnico: il disco è stato registrato in giro per il mondo, da New York all’Havana, e non più esclusivamente in Islanda. Sul sito del quartetto è in vendita una versione deluxe con fotografie e dvd.

Curioso il duplice aggancio con quanto scrissi nel pezzo d’esordio su “Arruotalibera”: produzione e missaggio sono di Flood (già al servizio dei Nine Inch Nails), Bjork condivide con i Sigur Ros nazionalità e amicizia e ha suonato con loro “Gobbeldigook” nel giugno scorso a Reykjavik. La potete vedere su “You tube” che batte allegra su un rullante.

Voto? 8