Invasione della Cecoslovacchia del ‘68 e dell’Iraq del 2003: l’arma iniziale sono sempre le bugie. Amici di Israele: quelli facinorosi è meglio perderli

Agosto 1968: ero in vacanza con due amiche in tenda in un campeggio della Jugoslavia, dalle parti di Porec, in italiano Parenzo, quando è arrivata la notizia dell’invasione della Cecoslovacchia da parte dei sovietici e altre truppe del Patto di Varsavia. Finiva così la “primavera di Praga” che cercava di ampliare gli spazi di libertà e democrazia senza uscire dal Patto né dall’economia “comunista”, o meglio statalizzata. I carristi si ritrovano in piazza S. Venceslao ricoperti di insulti, la folla gli chiede perché hanno invaso il Paese e loro piuttosto frastornati, perché non hanno trovato resistenza e nessuno li minaccia, balbettano che sono venuti a difendere il comunismo e il Paese contro “i traditori” e le mire occidentali. Insomma, le truppe erano state imbottite di balle prima di mandarle a occupare la Cecoslovacchia.

Stessa storia per la guerra in Iraq. Panzane sulle responsabilità irachene nell’attentato alle Torri Gemelle. Panzane sulle bombe atomiche di Saddam. E truppe angloamericane che sbarcano nel Paese mesopotamico convinte di essere lì per difendere la democrazia anche degli Usa!

Balle anche per la eventuale guerra o attacco limitato all’Iran, Paese che la signora Clinton, candidata alle elezioni per fortuna trombata, ha minacciato di “incenerire” (sic!) se avesse osato attaccare Israele, il cui stato maggiore militare pare proprio non vede l’ora di attaccare una serie di impianti “nucleari” iraniani. L’Iran ha oltre 65 milioni di abitanti, qualcuno in più dell’Italia. La signora moglie dell’ex presidente amante dei servizi orali delle stagiste ha cioè beatamente minacciato di massacrare in un sol colpo una popolazione più grande dell’Italia per evitare cosa? L’Iran al massimo può mandare avanti qualche aereo e qualche missile con testata classica, roba che ricorda i tentativi per fortuna solo patetici di Saddam. 65 milioni di vite umane incenerite a fronte di eventualmente qualche migliaia: in questa sproporzione c’è tutto il disprezzo che neppure ci rendiamo conto di nutrire verso “gli altri”. La signora Clinton ha infatti detto la sua infelice e molto razzista boutade, ma nessuno ha trovato nulla da ridere: cosa volete che siano 65 milioni di “sporchi musi iraniani musulmani… Tutti Ahmadinejad, 65 milioni e mezzo di Ahmadinejad, compresi i neonati e i feti delle donne incinta, tanto cari ai nostri “amici della vita” più o meno teocon e grandi lettori della bibbia alla Casa Bianca.

In questi giorno il mio piccolo e insignificante blog è fatto ancor più oggetto di attacchi e accuse semplicemente demenziali. Qualcuno farnetica di “potenti lobby”, ma è solo perché non ha argomenti, ha invece la coda di paglia e sa che quello all’opera, da tempo e in contatto tra loro, è solo di un gruppo di piccoli mascalzoni cretini: volgari e vigliacchi. Li muove il sacro furore della convinzione di essere amici di Israele e la convinzione demenziale che chiunque non sia sionista, filosionista o allineato al governo a loro caro, e per giunta non si beva le loro esegesi della bibbia e affini, è ipso facto o amico di Ahmadinejad, o di Hamas o di chi vuole riaprire i campi di sterminio. Questo è ciò che offre il convento, o meglio la conventicola. Che pena! Che miseria umana! Che brutti, pericolosi e controproducenti amici boomerang ha Israele, Paese bisognosi invece di ben di meglio.

Il lato curioso è che non c’è nessun arabo, musulmano e nessun palestinese che faccia altrettanto attaccando furiosamente chi in questo blog fa il tifo per Israele o liscia il pelo anche ai suoi non pochi errori. Ci sono musulmani che mi odiano, lo hanno anche messo per iscritto, ma sui loro giornali, non venendo a insozzare il forum di questo blog. Debbo concludere che per quanto fanatici lo sono meno di questo manipoli di imbrattatori che da qualche giorno soffre il caldo più del solito. Non è un bel segno. Conosco qualche musulmano e qualche palestinese: a nessuno è mai venuto in mente di affliggermi con la pretesa di farmi bere le sue esegesi del corano o della bibbia! Qui invece abbiamo a che fare con degli autentici fissati. Quando ero giovane mi sono avvicinato all’ebraismo disgustato dall’integralismo e dalle pretese egemoni del cattolicesimo. Adesso però temo che questo sia da rivalutare, a fronte dell’insistenza da energumeni trinariciuti che cerca di asfissiarci.

In questo forum succede in piccolo cioè che fuori succede più in grande. Se D’Alema dice che Israele farebbe meglio a trattare con Hamas visto che è con i nemici che tutti dobbiamo trattare, viene impallinato. Salvo poi a trattare con Hamas da parte del governo israeliano! Se D’Alema in visita di Stati in Libano osa comportarsi da statista e non da ubriacone e accetta quindi in dono una kefiah o stringe la mano a un ministro o a un importante dirigente politico nazionale, viene attaccato furiosamente dai duri e puri della comunità ebraica romana. Gli stessi che, condannati per questo dalla magistratura, hanno diffamato Michele Santoro solo perché aveva fatto il suo dovere in una puntata del suo programma, minacciando per giunta che se in occasione di una manifestazione pro Israele avesse anche solo osato avvicinarsi all’ex ghetto ebraico gli sarebbe stato dimostrato che non era gradito.

Cui prodest? A Israele no di sicuro. E neppure all’israelismo. I fanatici e i facinorosi fanno solo danno, sono controproducenti come dei boomerang.

Bene, tirèm innanz.

Eccovi un’altra puntata di Benito Li Vigni. Poi non dite che mi disinteresso del problema petrolio… In questa puntata però di parla anche di come, in nome del petrolio per loro, gli angloamericani hanno demolito o molto ridimensionato le aziende italiane che di oro nero si interessavano. Qualcosa di simile era del resto già avvenuto con la demolizione delle capacità nucleari civili italiane tramite lo scandalo, il processo e la condanna a 11 anni di galera di Felice Ippolito, utile a liquidare l’uomo che di quelle capacità era il grande organizzatore.

Buona lettura.

LA STRATEGIA ANGLOAMERICANA DIETRO LE PRIVATIZZAZIONI ITALIANE DEGLI ANNI NOVANTA.

Grandi banche d’affari straniere avrebbero organizzato l’attacco alla lira, per ridurre il costo delle aziende pubbliche da privatizzare.

di Benito Li Vigni

Nel 1992, a trent’anni dalla fine di Enrico Mattei, ucciso mentre stava per spezzare la morsa costruita intorno a lui dal cartello petrolifero dominato da Usa e Gran Bretagna, si scatenò una guerra meno cruenta ma più violenta tra Stati: quella per il prevalere delle rispettive economie. Tutto iniziò poco dopo il crollo del muro di Berlino, quando l’Italia da tempo area di influenza americana, diventò campo di una battaglia subdola e pericolosa combattuta utilizzando tutte le leve possibili: moneta, finanza, produzione. E se un paese si fosse ritrovato in condizione di debolezza, è facile che sarebbe finito per essere colonizzato. In un’intervista rilasciata il 6 dicembre 1996 al quotidiano Il Tempo, l’ex ministro degli Interni Vincenzo Scotti rivelò che nel febbraio 1992 i servizi segreti italiani avevano raccolto informazioni su una imminente destabilizzazione politico-economica dell’Italia, a cui avrebbero concorso forze internazionali e potenti lobby finanziarie estere mobilitate contro l’economia italiana. Il quadro descritto da Scotti corrispondeva a quanto aveva denunciato qualche tempo prima il «Gruppo Solidarietà», emanazione di un movimento politico Usa vicino al partito democratico, con un documento intitolato La strategia angloamericana dietro le privatizzazioni italiane: il saccheggio di un’economia nazionale. In quel documento, inviato ad alcuni organi di stampa, alle forze politiche ed alle istituzioni, si delineava un quadro preoccupante di attacco all’economia italiana nel contesto della cosiddetta «globalizzazione dei mercati», cioè la realizzazione di un unico sistema economico mondiale in cui non vi sarebbe stato più alcun controllo sui movimenti e sulla creazione di capitali.

Un episodio passato inosservato

Che la destabilizzazione fosse in arrivo lo si sapeva da quando l’allora capo della Cia sotto George Bush, William Webster, annunciò che, come conseguenza del crollo del comunismo, l’apparato di spionaggio Usa avrebbe impegnato le sue risorse in una strategia volta a contrastare i rivali economici: l’Europa ed il Giappone. La strategia di contrasto dell’apparato dello spionaggio americano porterà, qualche anno dopo, a molteplici controversie che faranno salire la tensione fra i due continenti, con accuse sempre più frequentemente agitate contro l’Europa. In quel documento del «Gruppo Solidarietà» si riferiva un episodio passato inosservato, e che invece rivestiva una grandissima importanza. «Il 2 giugno 1992 si svolgeva una riunione semisegreta tra i principali esponenti della City, il mondo finanziario londinese, ed i manager pubblici italiani, rappresentanti del governo di allora e personaggi che poi sarebbero diventati ministri. Oggetto di discussione le privatizzazioni. La cosa più grave è che questa riunione si svolse sul panfilo Britannia di proprietà della regina Elisabetta II, la quale fu presente ai colloqui. Il Britannia, dopo avere imbarcato gli ospiti italiani a Civitavecchia, prese il largo e uscì dalle acque territoriali. Avvenne dunque che i potenziali venditori delle aziende da privatizzare (governo e manager pubblici) discutessero di ciò con i potenziali acquirenti, i banchieri londinesi, a casa di questi ultimi».

Le banche d’affari straniere e l’attacco alla lira

Tra quanti, il 2 giugno 1992 complottarono la strategia delle privatizza­zioni a bordo del panfilo Britannia spiccava la presenza della Banca Ro­thschild e di George Soros, famoso per orchestrare con i suoi hedge funds la crisi di monete o di titoli azionari, soprattutto nei paesi del terzo mondo, per poter poi rilevare i capitali a prezzi stracciati in dollari. Soros affermava di es­sere un idealista che promuove la «società aperta», ovvero lo smantellamento dello Stato nazionale ad opera degli sciacalli della finanziarizzazione dell’economia. Secondo alcune interrogazioni parlamentari esponenti di ban­che d’affari straniere avrebbero organizzato l’attacco alla lira, per ridurre il co­sto delle aziende pubbliche da privatizzare. Quanti denunciarono il complotto britannico si chiesero come mai un finanziere d’assalto come George Soros, che aveva fatto tremare le valute di mezzo mondo si interessasse ora dell’Italia. La risposta a questa domanda sta nel memorandum che il «Gruppo Solidarietà» fece circolare in Italia nel giugno 1993, sul vertice segreto che si tenne sul panfilo Britannia al largo di Civitavecchia: in quel vertice si di­scusse la svendita a prezzi stracciati dell’industria dello Stato italiano.

Privatizzare senza liberalizzare per distruggere la concorrenza ottenendo il massimo profitto

Si mandò in porto la liquidazione dell’Iri, l’affare Telecom Italia, quindi Eni, Enel, Comit eccetera. Operazioni che hanno portato a una rivoluzione culturale nel rapporto tra società e mercato, tra società e risparmiatori e che in assenza di una vera liberalizzazione dei mercati hanno trasformato in molti casi il monopolio dello Stato e la sua posizione dominante, in oligopolio, cioè una situazione di mercato in cui una merce o un servizio sono offerti da un numero ristretto di operatori economici, che sono pertanto in grado di influenzare il mercato stesso, distruggendo la concorrenza. Così la strategia di privatizzazione ha costretto l’ente fondato da Enrico Mattei a concentrarsi esclusivamente nel cosiddetto core business del petrolio e del gas e a svendere le diverse attività nei campi della chimica, del tessile, dell’industria meccanica e del settore alberghiero, con un elevato danno per l’occupazione. Con l’ingresso nella logica del mercato e nell’ottica esclusiva del profitto e della privatizzazione, un’azienda strategica come l’Eni, essenzialmente vitale per lo sviluppo del paese, ha dovuto di fatto abbandonare l’obiettivo principale del suo fondatore: quello di assicurare all’Italia «energia a basso costo», ovvero «l’interesse nazionale». Una Eni diversa dunque con un anzionariato preminentemente estero. Una scelta coerente con la realtà del nostro tempo in cui le ideologie sono state soppiantate dal mercato. Le oligarchie dei poteri economici e finanziari, che vedono nel profitto il «valore assoluto» in una lo­gica utilitaristica tipica del liberal capitalismo, hanno avuto la meglio su Mat­tei e il suo oil nationalism che, è stato, in definitiva, il tentativo di dare all’Italia e all’Europa un destino che fosse legato alla crescita di quello che al tempo della sua azione si chiamava «terzo mondo». La «globalizzazione dei mercati» è dunque contro i poveri.

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