Il nucleare in Iran, l’embargo e gli attacchi d’Israele

È incredibile come al giorno d’oggi, in cui continuamente parliamo di diritti umani, nessuno dica niente su come Israele, che è una potenza nucleare, impedisca all’Iran di diventarlo. Cosa direbbero a noi se di tanto in tanto andassimo a bombardare la Francia solo perché nel 1987 abbiamo rinunciato con un referendum al nucleare?

Sembra addirittura che il sabotaggio israeliano dell’importante impianto nucleare di Natanz (a 300 km a sud di Teheran) stia avendo delle conseguenze sulla politica interna dell’Iran, già in fermento a causa della crisi economica provocata dalle 1.500 sanzioni internazionali volute dagli USA (un numero enorme, senza precedenti, che sta portando al collasso l’economia del Paese).

Lo scontro tra ultraconservatori, guidati da Ali Khamenei (la principale figura politica e religiosa del Paese, ritenuta più potente dello stesso parlamento), e moderati, il cui leader è il presidente Hassan Rouhani, è diventato più acuto. Anche perché i primi non vorrebbero nessun accordo con gli americani. Esattamente come gli israeliani, che, per motivi opposti, han sempre detto di non fidarsi dell’Iran.

Abituati come siamo a ragionare in termini di buoni e cattivi, ci sembra che gli iraniani siano più cattivi degli israeliani, per cui ci fa piacere quando, in un modo o nell’altro, quel regime teocratico mostra vistose crepe. E così non ci rendiamo conto che le istituzioni iraniane sono gestite, non meno di quelle israeliane, da politici orgogliosi del proprio fondamentalismo, disposti a difenderlo in qualunque maniera.

A giugno in Iran si terranno le elezioni presidenziali, ma sin da adesso possiamo scommettere che vinceranno gli ultraconservatori, cioè quelli che sanno meglio sfruttare politicamente l’embargo economico dell’occidente e gli attacchi militari d’Israele. Basti pensare che è il Consiglio dei Guardiani, controllato dai radicali, a fare una preselezione dei candidati ammessi alle elezioni. E poi il presidente Rouhani non potrà candidarsi per un terzo mandato, essendo al potere dal 2013.

In ogni caso il sistema non è ancora crollato: né per le sanzioni, né per le grosse proteste antigovernative degli ultimi due anni, né per le tensioni nel Golfo Persico, né dopo l’uccisione del potente generale Qassem Suleimani, considerato uno degli esponenti più influenti dell’intero regime.

I colloqui relativi al nucleare iraniano in corso a Vienna non porteranno a niente. Infatti Joe Biden vuole sì tornare agli accordi del 2015, interrotti da Trump nel 2018, ma vuole anche che l’Iran non punti i suoi missili balistici a lungo raggio contro Israele o verso l’Oceano Indiano. Non solo, ma Teheran, prima di riportare l’arricchimento dell’uranio nei limiti previsti dall’intesa (un ridicolo 4%), pretende che gli USA ritirino subito la maggior parte delle sanzioni economiche. Sarà un dialogo tra sordi e se l’Iran deciderà di avvalersi dell’appoggio cinese, pur di non darla vinta all’occidente, la situazione in Medio Oriente diverrà esplosiva. Già oggi si ritiene che l’Iran abbia superato il suddetto limite di almeno 5 volte. E con la Cina è stato firmato un accordo di cooperazione strategica globale di 25 anni. Cina, Iran e Russia hanno anche condotto esercitazioni militari congiunte senza precedenti nel Golfo di Oman e nell’Oceano Indiano alla fine del 2019.

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