Domande senza risposte

Può esistere, nella propria vita pratica, un comportamento morale differente rispetto a quello dominante, solo perché basato su una diversa concezione della vita? Cioè quando si oppone la propria ideologia o filosofia politica a quella di un avversario, si è legittimati a pensare che l’opposizione sta avvenendo anche nel modo di vivere l’etica? Quale processo dobbiamo ritenere più affidabile: quello che, partendo da un determinato modo di vivere la moralità, produce, come conseguenza naturale, una corrispondente concezione della vita, oppure dobbiamo ritenere che la teoria abbia un certo primato sulla pratica e che quindi quella parte di società che lotta per un cambiamento non può aspettarsi da noi una significativa coerenza, visto che i poteri forti ci impediscono di realizzare le nostre idee?

Si può davvero essere delle persone oneste quando a livello istituzionale domina la disonestà? Ma se non si riesce ad essere onesti come si vorrebbe, che speranza si può avere, lottando contro il sistema, di realizzare una vera alternativa? Dobbiamo quindi dare per scontato che, lottando contro un sistema corrotto, nessuno può pensare di poterlo fare sbandierando una purezza interiore? Dobbiamo quindi dichiararci preliminarmente disponibili ad autoeducarci sul piano morale il giorno in cui avremo sconfitto politicamente la corruzione del sistema? O dobbiamo forse iniziare a farlo da subito, almeno nei limiti del possibile?

Ma quali saranno o possono essere le condizioni operative per poter compiere questo lavoro etico su di sé? Perché le rivoluzioni politiche ad un certo punto si trasformano sempre in dittature? Dobbiamo forse sentirci rassegnati in partenza proprio perché siamo convinti della inevitabilità di questi terribili capovolgimenti di fronte? Che cos’è che c’impedisce d’essere noi stessi, una volta che abbiamo tolto di mezzo chi c’impediva di diventarlo?

Davvero è solo una questione di persone che gestiscono il potere? O non è forse una questione di “sistema”? Ma se è una questione di “sistema”, a che serve cambiare le persone? Per quanto tempo queste nuove persone riusciranno a dimostrare che sono diverse rispetto a quelle precedenti? E se invece, memori delle esperienze passate, diventassero ancora più scaltre, riducendo ancora di più la capacità di resistere al male? Quand’è che possiamo dire con sicurezza di una persona: “ecco quella è davvero onesta”? Quand’è che possiamo basarci su delle certezze e non su delle apparenze?

Quando le cose più importanti della nostra vita non dipendono dalla nostra volontà ma da quella dei poteri forti, davvero possiamo avere delle certezze in positivo? Davvero possiamo dire con sicurezza di qualcuno che vediamo solo sul luogo di lavoro o in televisione o in una riunione condominiale o di partito, che è una persona sincera, onesta, affidabile?

Che cos’è che ci manca per essere davvero umani e conformi a natura? Forse il fatto che non siamo più in grado di controllarci a vicenda? E come possiamo controllarci a vicenda, nelle cose essenziali della vita, quando si vive in Stati centralizzati, dove tutti i poteri vengono gestiti dall’alto? Come possiamo soddisfare autonomamente i nostri bisogni quando dipendiamo da mercati gestiti da monopoli che collegano interi continenti?