In attesa di riprendermi dallo chock del nuovo viaggio in Palestina, dove i palestinesi sono trattati sempre più come “Untermenschen” (i “sub umani” del Terzo Reich), occupiamoci del caso di Elisa Claps a Potenza: i depistatori sono all’opera come per il caso di Emanuela Orlandi. Nella vicina Matera perfino la processione più importante testimonia la secolare prepotenza del clero

Alla faccia dei colpevolisti depistatori, le analisi del dna hanno dimostrato che Danilo Restivo sarà anche “strano”, ma non c’entra una mazza con le tracce di sperma lasciate nel tombale sottotetto. E così è ormai scandalosamente chiaro che nel caso di Elisa Claps, la ragazza di Potenza sparita 17 anni fa, uccisa per l’esattezza il 23 settembre 1993,  il cui cadavere è stato rinvenuto solo in tempi recenti nel sottotetto della chiesa della Santissima Trinità, si registrano comportamenti giornalistici simili a quelli che da 27 anni avvalorano le più grandi cazzate pur di tenere in piedi il “mistero” del “rapimento” – chiaramente mai avvenuto – della bella ragazzina del Vaticano Emanuela Orlandi. A Potenza, e non solo, anche i sassi sanno che alla buonanima del parroco di quella chiesa,  don Mimì Sabia, passato a miglior vita nel 2008, le belle giovani piacevano moltissimo. Tanto che quasi ogni sera andava nell’istituto femminile delle canossiane in via Ciccotti 28 per confessare le irrequiete  ragazze. Ma quella della confessione era più che altro una scusa, visto che più d’una volta don Mimì è stato preso a male parole e a volte anche a botte dai fidanzati delle ragazze, che più che confessate erano quindi importunate. Che oggi le monache di via Ciccotti siano in allarme lo si capisce subito non appena si vada da loro o anche solo si telefoni per chiedere una informazione qualunque senza essere già ben conosciuto: di cosa hanno paura? Continua a leggere

Il pregio di cercare alternative

L’intera vita occidentale è ormai diventata di un’assurdità inusitata. Non possiamo neppure dire: pur dopo sessant’anni di pace entro i confini di Stati Uniti, Europa e Giappone, perché diremmo una sciocchezza. Abbiamo in realtà avuto decine di conflitti regionali, in varie parti del pianeta, in cui in un modo o nell’altro siamo stati coinvolti, e la situazione sociale, interna alle nazioni economicamente più avanzate, mostra una crescente tensione, specie dopo l’ultimo dissesto finanziario originario negli Usa e propagandatosi ovunque. La crisi, generata dalle banche, dagli istituti finanziari, dalle borse, dalle speculazioni dei broker, da manager senza scrupoli e da affaristi di ogni risma, è stata fatta pagare ai lavoratori e ora che una timida ripresa sembra affacciarsi sui mercati, i livelli occupazionali restano al palo, anzi continuano a calare: ciò a riprova che le leggi del capitale sono opposte a quelle del lavoro.

Gli occidentali sembrano essere diventati un problema irrisolvibile per l’intero pianeta e, dopo il crollo del “socialismo reale”, la loro cultura del business, in Cina, in Russia, in India, in Brasile e in tanti altri territori che fino a poco tempo o facevano parte del blocco socialista o appartenevano al cosiddetto “Terzo mondo”, non è più vista come una sorta di invasione extraterrestre, ma come un modello da imitare, il più in fretta possibile, sfruttando a piene mani le risorse umane e naturali dei propri territori.

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Fondamentalmente noi siamo nocivi alla salute e all’ambiente, intenzionati a vivere di rendita sino al giudizio universale e privi di idee credibili, in quanto costantemente incoerenti nella pratica. Viviamo senza far nulla di davvero utile all’umanità. La quasi totalità dei consumatori occidentali non sa neppure l’origine di ciò che mangia, non conosce la fatica che ci vuole a produrre il proprio cibo. Noi conosciamo il nome dell’azienda che lo produce o lo smercia, ma non conosciamo chi materialmente lo realizza, in quali condizioni lo fa, se viene equamente retribuito. Sappiamo soltanto che di sicuro non è lui a decidere il prezzo dei suoi prodotti. Per il resto nulla di nulla, e poi con qualche scrupolo di coscienza parliamo di “commercio equo solidale”.

Non sappiamo da dove, precisamente, viene ciò che usiamo, a parte la generica provenienza della nazione. Anzi, quando ci dicono che molte cose provengono dal Terzo mondo, pensiamo di essere noi a fare un piacere a loro comprando i loro prodotti. Come se loro fossero sui mercati coi nostri stessi titoli. Che poi in fondo sono i nostri stessi monopoli che sui nostri mercati vendono i loro prodotti.

Anche quando pensiamo di essere utili a qualcuno, in realtà produciamo cose che altri han già deciso per noi (i proprietari dei nostri mezzi di lavoro); cose che sicuramente non faranno il bene della natura, poiché sono tutte artificiali (dove la chimica, i derivati del petrolio e altre sostanze di sintesi hanno assoluta preminenza); cose che faranno anche crescere il pil di una nazione ma che non miglioreranno la qualità della vita, proprio perché noi non sappiamo più cosa voglia dire “vivere in maniera naturale”.

Per noi “qualità” vuol dire “comodità”, cioè ottenere le stesse cose e anche di più e meglio, il più velocemente possibile (per risparmiare sul tempo, che è un nemico mortale per l’obsolescenza dei macchinari), il meno faticosamente possibile (per risparmiare sul costo del lavoro) e, nel migliore dei casi (ma qui ci vuole una dirigenza davvero illuminata), il meno pericolosamente possibile, onde evitare che le spese della formazione incontrino ostacoli insormontabili nei problemi della sicurezza.

In pratica “qualità della vita” vuol dire “godersi la vita”, lasciando ad altri il compito di faticare e di rischiare veramente. “Qualità della vita” significa aver tempo libero da dedicare ai propri interessi individuali o di piccolo gruppo.

Noi ci illudiamo di essere noi stessi quando pensiamo di poterlo essere in maniera autonoma. Quando p.es. viviamo da sedentari e quindi da alienati, ci ritagliamo un certo spazio per fare ginnastica, cioè per bruciare energie e restare in forma, non per produrre qualcosa di utile alla comunità (salvo il fatto che, se siamo in salute, la sanità pubblica spende meno per noi).

Le nostre case, per fare un altro esempio, non servono solo per mangiare e dormire, ma anche e soprattutto per viverci. La nostra vita è chiusa nelle quattro mura delle nostre abitazioni, che per noi sono un punto di forza del nostro benessere. Chiusi così, non abbiamo coscienza di nulla, non ci interessa più di tanto quel che sta fuori. Le news ci arrivano attraverso la televisione, mescolate assurdamente tra loro, dalle tragiche alle insulse, con assoluta indifferenza, come se fossero soltanto merci da vendere in un grande supermercato, dove pensiamo che la libertà stia nel poter scegliere tra venti dentifrici diversi.

Le news dicono tante cose, ma su nessuna di esse si può far qualcosa. Si può soltanto cambiare velocemente canale, per vedere e sentire sempre le stesse cose. Chi naviga in rete pensa di poter “interagire” con qualcuno, illudendosi di poter incidere su qualcosa o di poter avere ampie conoscenze con cui amministrare meglio la propria vita. Si pensa che, essendo in tanti, un qualche potere di resistenza o di cambiamento delle cose, lo si abbia e a volte sembra effettivamente così.

Ma i poteri forti non mollano, hanno più resistenza di noi, più mezzi, e tornano all’attacco, aggiustando il tiro delle loro restrizioni, il cui scopo è sempre quello di tutelare dei privilegi acquisiti. Non basta la rete virtuale per resistere, ci vuole anche quella reale.

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La nostra democrazia è la nostra dittatura quotidiana, che non ha bisogno d’essere feroce, in quanto ci ha già svuotati dentro. Siamo come pinoli chiusi, che all’apparenza sembriamo pieni, ma che si schiacciano al primo colpo.

Ci siamo illusi che dagli operai, dagli studenti, dagli intellettuali progressisti, dalla Russia e dalla Cina comuniste, dal Terzo mondo anticapitalista o non-allineato potessero venir fuori idee rivoluzionarie, in grado di cambiare le cose nella sostanza. Invece al massimo sono state cambiate alcune forme, alcune leggi, alcune abitudini, ma la sostanza è rimasta uguale: noi continuiamo a non restare padroni della nostra vita, siamo eterodiretti. Che sia un monopolio politico o economico non fa differenza. Che l’ideologia si serva dello Stato, del partito o delle aziende non cambia nulla.

La democrazia parlamentare, formale, statale, delegata, e poi il mercato, il valore di scambio, i bisogni indotti, i capitali dominanti, i profitti estorti, le rendite vergognose, gli interessi accumulati, la corruzione dilagante – tutto questo è la nostra alienazione, la nostra dittatura quotidiana.

Noi dobbiamo uscire da questo stato di cose, se ci è rimasto un briciolo di dignità. Dobbiamo opporre resistenza affermando insieme un’autonomia produttiva, una sorta di autoconsumo para-feudale, senza servaggi, senza clericalismi di sorta, in cui sia finalmente il valore d’uso delle cose a farla da padrone.

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Quali possono essere le prime regole fondamentali per riappropriarci della nostra vita, cercando di delegare ad altri meno cose possibili?

  1. Non usare mai nulla che la natura non possa riciclare agevolmente.
  2. Le cose che servono per riprodursi devono durare il più possibile.
  3. Se proprio si è costretti a scegliere tra esigenze umane e naturali, scegliere quelle naturali, perché si sbaglia di meno.
  4. Prima di creare qualcosa di artificiale chiedersi se quanto si trova in natura può essere sufficiente (o se si può fare usando materiali naturali).
  5. Quando è in gioco la sopravvivenza di un collettivo di vita, non fare mai scelte a titolo individuale.
  6. Progresso significa migliorare i rapporti con la natura, conservandola il più possibile integra e permettendole una facile riproduzione.
  7. Primato del valore d’uso vuol dire anzitutto primato dell’autoconsumo.
  8. Non parlare di cose che non conosci, che non riguardano la tua vita di gruppo o su cui non puoi offrire alcun contributo significativo per migliorarle.
  9. Ricomponi tutto il sapere alle cose essenziali che servono per vivere e riprodursi.
  10. Attieniti alle regole fondamentali della democrazia diretta:
    • nessuna decisione è irrevocabile;
    • il bisogno è superiore alla legge;
    • più bisogni più diritti;
    • nessuno è insostituibile o infallibile, neanche un organo collettivo;
    • la minoranza deve rispettare la volontà della maggioranza, previo dibattito franco e aperto;
    • a ognuno secondo il bisogno, da ognuno secondo le capacità;
    • le esigenze di un collettivo sono sempre superiori a quelle del singolo individuo;
    • la violazione della libertà di coscienza comporta la violazione di qualunque altra legge;
    • più la democrazia è delegata e meno poteri deve avere;
    • nessun ruolo o funzione può essere a vita o ereditario;
    • il diritto di espressione non può essere usato fino al punto da compromettere il diritto di associazione;
    • metodo e contenuto, sostanza e forma devono il più possibile coincidere;
    • la verità è sempre relativa alle condizioni di spazio e tempo, anche se la verità oggettiva è superiore a quella soggettiva.

Perché alla Fiat non licenziare anche i manager e gli azionisti incapaci che l’hanno portata a questo punto di inadeguatezza ormai fuori mercato?

Come è noto, tre operai del reparto montaggio dello stabilimento di Melfi (Potenza) della Fiat – dove si produce la Punto Evo – sono stati prima sospesi e poi licenziati con l’accusa di aver ostacolato il percorso di un carrello robotizzato durante un corteo interno. Secondo l’azienda il blocco del carrello robotizzato impediva di lavorare agli operai che non partecipavano allo sciopero e al corteo interno. Ed è di oggi la notizia di un quarto licenziamento, sempre per motivi dello steso tipo, piuttosto speciosi. Ma tralasciamo.

Bene. Ma allora perché non licenziare i manager e gli azionisti di riferimento incapaci che con le loro incapacità e strategie perdenti impediscono di lavorare a centinaia di migliaia di dipendenti compromettendo anche il futuro di molti di loro? Altro che blocco del carrello robotizzato: nei primi sei mesi del 2010 la quota di mercato della Fiat nell’Europa composta da 27 Paesi è calata del 20, 8%. Si è cioè ridotta nel giro di sei mesi addirittura di un quinto! A fronte di un mercato dell’auto di fatto stazionario anche se registra un incrementino dello 0,2%. Detto in parole povere, la Fiat è fuori gioco, va peggio di tutti i suoi principali e con la sua fettina del 7,4% di quota di mercato è solo la sesta casa automobilistica del Vecchio Continente. Che fine hanno fatto le profezie dell’Avvocato, cioè dello scomparso Gianni Agnelli che in realtà non era neppure avvocato, di quando – pochi anni fa – si diceva sicuro che la Fiat sarebbe cresciuta fino a diventare uno dei pochi giganti automobilistici mondiali? Evidentemente sono state seppellite con lui. Purtroppo. Continua a leggere

Strano questo Bossi: invece di urlare contro la legge che affossa le intercettazioni telefoniche e ambientali, consegnando così ancor più la “sua” Milano e la sua “Lumbardia” alle varie mafie, prima tace come tacerebbe chi fosse stato eventualmente comprato da Berluscon de’ Berlusconi e poi si mette addirittura a urlare a favore della legge affossatrice

Strano comportamento quello di  Umberto Bossi sulla legge contro le intercettazioni telefoniche e ambientali. Avrei voluto scriverlo già domenica, poi però imprevisti piuttosto impegnativi mi hanno portato via tempo e attenzione costringendomi al rinvio, ma nel frattempo gli avvenimenti mi hanno dato ragione in modo imprevisto e clamoroso. Mi spiego. Se c’è un politico che dovrebbe essere massimamente d’accordo nel mantenere la possibilità di usare con manica larga le intercettazioni telefoniche e ambientali ebbene quello dovrebbe essere Bossi. Anni fa ha cominciato Oreste Del Buono col dire che Milano è la più grande città calabrese, poi un prefetto in una intervista spiegò che l’abbondanza di negozi e bar che a Milano aprono e falliscono dopo poco tempo è dovuta al fatto che la mafia calabrese per riciclare i suoi quattrini usa per l’appunto l’apertura e il fallimento di un gran numero di esercizi pubblici. Si scoprì anche che le migliori “famiglie” di Platì, epicenro della ‘Ndrangheta, sono tutte presenti a Milano come soci di un noto club sportivo, mi pare di pesca. Infine, l’anno scorso c’è stato uno spettacolo teatrale a Vigevano che denunciava ad alta voce l’ingresso a gonfie vele della ‘Ndrangheta nel Milanese, spettacolo del quale potete farvi un’idea guardando guesto video: http://www.youtube.com/watch?v=wszVT_XCXco . E’ uscito perfino un libro dal titolo chiarissimo: “A Milano comanda la ‘Ndrangheta”, di Giuseppe Caruso e Davide Carlucci, del quale potete farvi un’idea guardando e ascoltando questo video con intervista a uno dei due autori: http://blogbookshop.blogspot.com/2009/10/libri-milano-comanda-la-ndrangheta-di.html . Continua a leggere

Il MinzoloFeltrismo, malattia servile del giornalismo già affetto da doppiopesismo. I 7 senatori del Pdl autori dell’incredibile “emendamento 1707″ protettore dei pedofili. L’ipocrisia di Netanyahu anche con Obama, la disponibilità servile di Frattini e il significato della grave ammissione sul massacro dei pacifisti turchi diretti a Gaza. Dal Belgio a Potenza problemi pesanti per la Chiesa.

La cosa strana è che nessuno sappia ribattere a tono. E così il solito Vittorio Feltri anche questa volta ha potuto gettare palate di merda addirittura sul presidente della Repubblica senza che nessuno facesse notare l’ipocrisia e il doppiogiochismo del suo (s)ragionamento. E infatti: se il baldo Feltri, un tanto al chilo, sospetta che Giorgio Napolitano abbia “chissà quale segreto da nascondere” perché un parlamentare del PD ha inseito in un progetto di legge una clausola per “l’immunità penale totale” del cpo dello Stato, come mai non chiede altrettanto ad altta voce e a caratteri cubitali “quali segreti ha da nascondere” Berlusconi visto che da anni fugge ai magistrati con ormai quasi 20 leggi ad personam, cioè a suo esclusivo uso e consumo? Come mai il baldo Feltri, un tanto al chilo, non chiede al alta voce e a caratteri cubitali “quali segreti ha da nascondere” il Nano Supremo e Gran Chiavaliere Papino il Breve visto che vuole, vuole, fortissimamente vuole la legge bavaglio alla stampa e anti intercettazioni? C’è stato l’indecoroso e indecente caso Brancher, il ridicolo ministro all’Immunità della Cricca&C, però Vittorio Feltri, un tanto al chilo, s’è ben guardato dal chiedere ad alta voce e a caratteri cubitali “quali segreti ha da nascondere” anche questo ex dipendente Fininvest rimasto dipendente del padrone della Fininvest. Continua a leggere

Il governo italiano è sempre più cialtrone e baro, degno dell’indegnità di un Marcello Dell’Utri. E’ arrivato al punto di sostenere la bestialità che “il crocifisso è simbolo nazionale dell’Italia”, buttando così nel cesso il tricolore più di Bossi. In Israele perfino il governo è diventato “terrorista antisemita filo Hamas”?

Per dire che il signor Marcello Dell’Utri anche se eletto è indegno di stare nel parlamento italiano non c’è bisogno di notare che è stato condannato anche in appello a ben 7 anni di galera per appoggio esterno alla mafia. Bastano e avanzano i suoi due commenti alla sentenza: “E’ tutta spazzatura”; “Il mio eroe resta Mangano”. Non so se, come peraltro a non pochi sembra da tempo, se il signor Dell’Utri sia spazzatura, ma è più facile lo sia lui che la magistratura italiana o un collegio giudicante o anche solo una sentenza.  Una sentenza può essere sbagliata, succede, ma proprio per questo esistono i gradi di appello fino alla Cassazione. Se un privato cittadino amareggiato da una condanna a 7 anni di galera può andare comprensibilmente in escandescenze e dire che “è tutta spazzatura”, un parlamentare non può invece esprimersi in questo modo. E purtroppo il signor Dell’Utri si esprime in questo modo contro la magistratura e tutta una serie di processi e sentenze già da anni, in sintonia del resto con il suo socio e datore di lavoro Silvio Berlusconi e con avvocati corruttori condannati in via definitiva come Cesare Previti, altra persona indegna del ruolo che ha ricoperto in parlamento e – vergogna della Repubblica italiana – perfino nel governo come ministro. Continua a leggere