Articoli

1) – La vera vergogna è che l’Europa tollera tutte le atrocità di Israele. E che gli Usa vi si inchinano. 2) – Il Family Day

Il rabbino capo Shmuel Eliyahu ha scritto su Facebook, martedì 19 gennaio, che i palestinesi dovrebbero essere giustiziati per garantire la sicurezza di Israele.

“L’esercito israeliano dovrebbe smettere di arrestare i palestinesi”, ha scritto sulla sua pagina Facebook, “ma dovrebbe giustiziarli e non lasciare alcun superstite”.
Secondo il PNN, Eliyahu è famoso per il suo atteggiamento razzista e per le sue affermazioni controverse sugli arabi e sui musulmani. E’ stato chiamato dal governo per condurre una campagna ufficiale e di rappresaglia contro gli arabi per, nelle sue parole, “restaurare la forza deterrente di Israele.”
Il rabbino della città di Safed, estrema destra, assetato di sangue, membro del principale concilio dei rabbini, ha anche dichiarato che i palestinesi sono il nemico dello Stato di Israele e che “devono essere distrutti e schiacciati per mettere fine alle violenze”.
Nel 2007, secondo il Jerusalem Post, Eliyah aveva affermato che “se non si fermano dopo che ne avremo uccisi 100, bene ne uccideremo 1000. E se non si fermano dopo questi 1000, ne dovremo uccidere 10.000. Se nemmeno allora si fermeranno, ne uccideremo 100.000, persino un milione”.
Nel 2012 Eliyahu era stato contestato per queste sue affermazioni razziste, tra le quali queste, riportate dai quotidiani nazionali israeliani: “La cultura araba è molto violenta” e “Gli arabi si comportano secondo vari codici e norme violente che sono poi sfociate in un’ ideologia”.
Il rabbino avrebbe dichiarato che esempi di questa nuova “ideologia” araba includono ora rubare attrezzature agricole agli ebrei e ricattare i contadini per la protezione contro i furti. Egli avrebbe apparentemente anche detto che “nel momento in cui si lascia spazio per gli arabi, tra gli ebrei, già cinque minuti prima questi incominciano a fare quello che vogliono”. Il ministero della Giustizia ha lasciato cadere le accuse perché “le affermazioni potrebbero essere state alterate dai giornalisti”.
Il Jerusalem Post lo ha citato nella sua affermazione: “Dovremmo farli vivere per poi lasciarli liberi e offrire così un altro gesto a favore un altro presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas? Il fatto che essi ancora bramino di commettere attacchi terroristici mostra che noi non stiamo agendo con abbastanza forza”.
Per rincarare la dose a proposito della sua fatwa Eliyahu ha scritto, sulla sua pagina Facebook, che “gli ufficiali di polizia israeliani che permettono ai palestinesi di rimanere in vita dovrebbero essere giudicati anche’essi”.
Ha proseguito dicendo: “Non possiamo permettere a un palestinese di sopravvivere dopo che è stato arrestato. Se lo si lascia vivo, rimane la possibilità che questo venga rilasciato e uccida altre persone. Dobbiamo estirpare questo male dall’interno della nostra società”.
Traduzione di Marta Bettenzoli

http://www.infopal.it/rabbino-israeliano-lancia-un-appello-per-giustiziare-i-palestinesi/

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Sì, Israele sta commettendo esecuzioni extragiudiziarie

Di Gideon Levy – Haaretz – 17 gennaio 2016
Potremmo dirlo così: Israele giustizia persone senza processo praticamente ogni giorno. Ogni altra definizione sarebbe una menzogna. Se una volta c’era qui una discussione sulla pena di morte per i terroristi, ora sono giustiziati anche senza processo (e senza che se ne discuta). Se una volta c’era un dibattito sulle regole d’ingaggio, oggi è chiaro: spariamo per uccidere ogni palestinese sospetto.
Il ministro della Sicurezza Pubblica, Gilad Erdan, ha illustrato chiaramente la situazione quando ha detto: “Ogni terrorista deve sapere che non sopravviverà all’attacco che sta per compiere,” e praticamente tutti i politici lo hanno seguito con nauseabonda unanimità, da Yair Lapid [fondatore del partito di centro “Yesh Atid” (C’è un futuro). Ndtr.] in su. Non erano mai stati rilasciati tante licenze di uccidere, né il dito era stato così nervoso sul grilletto.
Nel 2016, non c’è bisogno di essere Adolf Eichmann [criminale nazista rapito in Argentina, processato e giustiziato in Israele. Ndtr.] per essere giustiziati, basta essere un’adolescente palestinese con delle forbici. I plotoni d’esecuzione sono attivi ogni giorno. Soldati, poliziotti e civili sparano a quelli che hanno accoltellato israeliani, o hanno cercato di farlo o sono sospettati di averlo fatto, e anche a coloro che hanno investito israeliani con la loro auto o sembra che lo abbiano fatto.
In molti casi, non c’era bisogno di sparare, e sicuramente non di uccidere. Nella maggior parte dei casi la vita di chi ha sparato non era in pericolo. Sparano per uccidere persone che avevano un coltello o persino forbici, o gente che ha semplicemente messo le mani in tasca o ha perso il controllo della propria auto.
Li uccidono indiscriminatamente – donne, uomini, ragazzine, ragazzini. Gli sparano mentre stanno fermi, ed anche quando non sono più pericolosi. Sparano per uccidere, per punire, per sfogare la propria rabbia e per vendicarsi. Qui c’è un tale disprezzo che questi incidenti sono a malapena raccontati dai media.
Sabato scorso [16 gennaio 2016] al checkpoint di Beka’ot (chiamato Hamra dai palestinesi), nella valle del Giordano, alcuni soldati hanno ucciso l’uomo d’affari Said Abu al-Wafa , di 35 anni, padre di 4 figli, con 11 pallottole. Contemporaneamente, hanno ucciso anche Ali Abu Maryam, un bracciante agricolo e studente di 21 anni, con tre pallottole. L’esercito israeliano non ha spiegato le ragioni dell’uccisione dei due uomini, salvo sostenere che c’era il sospetto che qualcuno avesse sfoderato un coltello. Ci sono delle telecamere di sicurezza sul posto, ma l’esercito israeliano non ha mostrato il filmato dell’incidente.
Il mese scorso altri soldati dell’IDF hanno ucciso Nashat Asfur, padre di tre figli che lavorava in un mattatoio israeliano per polli. Gli hanno sparato nel suo villaggio, Sinjil, dalla distanza di 150 metri, mentre stava camminando verso casa per un matrimonio. All’inizio di questo mese, Mahdia Hammad, quarantenne madre di 4 figli, stava guidando verso casa attraverso il suo villaggio, Silwad. Ufficiali della polizia di frontiera hanno crivellato la sua macchina con dozzine di proiettili dopo aver sospettato che volesse investirli.
I soldati non hanno avuto sospetti di nessun genere sulla studentessa di cosmetologia Samah Abdallah, 18 anni. Hanno sparato all’auto di suo padre “per sbaglio”, uccidendola; hanno sospettato il pedone sedicenne Alaa al-Hashash di volerli accoltellare. Ovviamente hanno giustiziato anche lui.
Hanno ucciso anche Ashrakat Qattanani, 16 anni, che aveva un coltello e inseguiva una donna israeliana. Prima un colono l’ha investita con la sua macchina, e quando era a terra ferita, soldati e coloni le hanno sparato per almeno quattro volte. Un’esecuzione, cos’altro?
E quando i soldati hanno sparato alla schiena a Lafi Awad, 20 anni, mentre stava scappando dopo aver lanciato delle pietre, non si è trattato di un’esecuzione?
Sono solo alcuni dei casi che ho documentato nelle scorse settimane su Haaretz. Il sito web dell’associazione [israeliana] per i diritti umani B’tselem presenta un elenco di altri 12 casi di esecuzioni.
Margot Wallström, ministra degli Esteri svedese, una dei pochi ministri al mondo che hanno ancora una coscienza, ha chiesto che si indaghi su queste uccisioni. Non c’è una richiesta più morale di questa. Avrebbe dovuto essere fatta dal nostro stesso ministro della Giustizia.
Israele ha risposto con i suoi soliti ululati. Il primo ministro ha detto che ciò era “oltraggioso, immorale e ingiusto”. e Benjamin Netanyahu comprende bene questi termini: è esattamente il modo in cui descrivere la campagna di esecuzioni criminali da parte di Israele sotto la sua guida.
(traduzione di Amedeo Rossi)

Gideon Levy : Yes, Israel Is Executing Palestinians Without Trial

http://frammentivocalimo.blogspot.it/2016/01/gideon-levy-si-israele-sta-giustiziando.html

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http://frammentivocalimo.blogspot.it/2016/01/gideon-levy-loccupazione-israeliana.html

Sintesi personale

DUBLINO – La permanenza in America ha reso Michael Sfard ottimista : “Un giorno l’occupazione finirà” ha scritto in un toccante articolo

Ha descritto come l’occupazione crollerà in un brevissimo lasso di tempo, come Israele cambierà bruscamente, come improvvisamente tutti diranno che erano sempre stati contro l’occupazione. La sua descrizione accende l’immaginazione, infonde speranza, tonifica e ci stimola a continuare la lotta.

E ‘successo in Sud Africa, nell’ Unione Sovietica e a Berlino E ‘così piacevole da leggere Sfard da essere tentati di credergli e ,conseguentmente, è così difficile essere un guastafeste.

Eppure ci sono alcuni fattori che potrebbero determinare il prolungamento dell’ occupazione israeliana , forse non per sempre, ma sicuramente molto più a lungo di quanto Sfard speri . Osservi Michael ciò che sta accadendo qui : una ragazza di 13 anni con un coltello viene giustiziata tra le acclamazioni della folla o con silenzio passivo
Nessuno ha predetto la fine dell’apartheid in Sud Africa, ma l’ apartheid non ha mai avuto forti alleati e finanziatori generosi come l’apartheid israeliana nei territori ha. Non c’era un presidente americano che ha tenuto un discorso nell’ ambasciata israeliana a Washington, un atto imbarazzante di adulazione a uno Stato che non ha mai ascoltato il suo consiglio e a un ambasciatore che non ha fatto altro che minarne il prestigio .

Non c’è nessuno stato al mondo che oserebbe agire in quel modo verso un potere globale Eppure Barack Obama continua a piegarsi ad Israele. Questo non è certamente il modo per porre fine all’occupazione.

Quando in Francia passa una legge che vieta il boicottaggio di Israele, è assolutamente chiaro che l’occupazione è qui per rimanere . Israele non ha mai inteso terminarla . Il mondo continuerà a utilizzare misure come la marcatura dei prodotti provenienti dagli insediamenti, ma a fornire armi e a supportare l’occupazione . Con questo tipo di comportamento l’occupazione non finirà

A differenza di Israele il Sudafrica non aveva un prigioniero come l’ America, né il senso di colpa dell’ ‘Europa. Così è stato possibile organizzare una campagna di sanzioni in tutto il mondo che alla fine hanno portato al crollo del suo regime. Ci possono essere differenze di opinioni sul piano internazionale , ma i media e i politici hanno ancora molta paura d’Israele per motivi non chiari.

Contro l’abominio del Sud Africa vi sono state figure esemplari : Nelson Mandela, neri e bianchi, tra cui non pochi ebrei . Israele è troppo forte e i palestinesi sono troppo deboli e divisi. A volte, sembra che la loro leadership abbia già rinunciato . Questo non contribuirà alla fine della occupazione.

La società israeliana sta galoppando verso l’estremo opposto. Con il suo sciovinismo e razzismo radicato, la sua vita vissuta nella negazione , nelle bugie e nel lavaggio del cervello, come si può prevedere che Israele si risvegli dal suo sonno? Perché dovrebbe? Si può continuare con l’occupazione fino a quando ciò gli aggrada , quindi perché dovrebbe porre fine ad essa? Chi si preoccupa dei palestinesi? E a chi interessa ciò che il mondo antisemita e gli odiatori di Israele pensano. . Non ci sono segni di speranza, interni o esterni, caro Michele.

Scrivo queste righe nella mia camera d’albergo a Dublino, di fronte al General Post Office, dove è iniziata la lotta per l’indipendenza 100 anni fa. Ci sono voluti 750 anni per eliminare l’occupazione britannica, molto meno brutale e feroce di quella israeliana.

Gideon Levy : Don’t Celebrate the Israeli Occupation’s Impending Demise Just Yet

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UNA AGGIUNTA SUL FAMILY DAY

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“In Israele il terrorismo ha vinto già 20 anni fa” (in realtà da 65)

L’israeliano Etgar Keret autore per il Corriere della Sera del seguente  articolo riconosce che con l’uccisione venti anni fa del primo ministro Yitzahk Rabin, colpevole agli occhi di settori del rabbinato, delle forze armate e dei servizi segreti di volere la pace con i palestinesi, in Israele ha vinto il terrorismo. Che infattti è riuscito a bloccare la via della pace facendo imboccare la Israele la via disastrosa e sanguinosa della guerra permanente e della dittatura militare sui territori palestinesi, che, non dimentichiamolo, sono governati dall’arbitrio di ufficili militari.

In realtà però in Israele il terrorismo ha vinto sin dalla sua nascita, anzi fin dalla sua gestazione. Nel ’48 infatti è proseguita la “pulizia etnica” iniziata già l’anno prima contro i palestinesi, cacciati in massa con le armi – almeno 700 mila esseri umani – dalle loro case e dalle loro terre (cosa di cui non si parla mai, sono stati derubati in massa anche dei loro risparmi depositati in banca e dei gioielli delle loro donne) perché colpevoli di trovarsi nella parte della Palestina assegnata dall’Onu in maggior parte alla minoranza ebraica. Tale violenta pulizia etnica è stata condotta con l’esecuzione dell’ormai famoso Piano D, studiato fin nei minimi particolari già da anni e tradotto in realtà da bande militari e paramilitari con la bandiera della stella di Davide.

L’esistenza del Piano D è stata rivelata decenni dopo dai “nuovi storici” israeliani come Ben Morris e Ilan Pappè, che servendosi degli stessi archivi militari finalmente resi almeno in parte accessibili hanno scoperto e reso pubblico che la nascita di Israele, alla pari di quella di molti Stati specie nelle Americhe, è stata realizzata “con la violenza, la menzogna e il sangue”. Ovviamente a spese dei più deboli.

E sempre nel ’48, per l’esattezza il 17 settembre, venne ucciso a Gerusalemme dai terroristi israeliani della banda Stern l’inviato dell’Onu conte Volke Bernadotte, colpevole di voler rendere operante la soluzione dell’Onu che prevedeva la nascita anche dello Stato palestinese. E non dimentichiamo che i successivi uomini di governo  israeliano provenivano, compreso lo stesso Rabin, dalle fila della banda Stern e delle altre organizzazioni che nel ’47 avevano cacciato brutalmente i palestinesi tramite l’esecuzione del Piano D.

Tutto ciò premesso, ecco l’articolo di Etgar Keret:

“Quella dell’assassinio di Rabin non è una storia nuova. È una storia che noi israeliani ci raccontiamo da venti anni. Alcuni dettagli sono scomparsi col passar del tempo ma il pathos si è intensificato e alla fine siamo rimasti con la seguente versione: vent’anni fa qui regnava un re coraggioso e benvoluto, pronto a fare qualsiasi cosa per il bene del suo popolo. Un giorno, dopo aver radunato il popolo nella piazza principale della città e aver cantato insieme un inno alla pace, l’amato sovrano fu assassinato da uno dei suoi sudditi che, con tre colpi di pistola, non solo uccise lui ma anche la speranza della pace. Al posto di quel monarca ne arrivò un altro, grande nemico del precedente, che sostituì la speranza con il sospetto e con una guerra senza fine.

Ogni anno raccontiamo a noi stessi questa storia triste e piena di autocommiserazione in cui c’è tutto ciò che serve: un eroe, un malvagio, un crimine imperdonabile e una brutta fine. Manca però una cosa, un personaggio chiave che è stato cancellato dalla trama senza che quasi ce ne accorgessimo: il popolo di Israele.
Infatti, per quanto sia triste ammetterlo, Benjamin Netanyahu non ha strappato la corona a Rabin dopo la sua morte autoproclamandosi re. Netanyahu è stato eletto dopo la morte di Rabin nel corso di elezioni democratiche. Lo stesso popolo che ha pianto la morte dell’amato sovrano ha scelto Netanyahu subito e senza esitazione, accantonando completamente l’idea della pace, rieleggendolo più volte e optando per la sua linea politica. Così, a distanza di tempo, l’assassinio di Yitzhak Rabin si è rivelato uno degli omicidi politici più riusciti dell’era moderna che deve il suo successo non solo alla mano ferma del killer ma anche al popolo di Israele, il quale ha aiutato l’assassino a promuovere la sua visione ideologica.

La storia è piena di assassinii politici che hanno ottenuto l’effetto opposto di quello auspicato dai loro esecutori. L’assassinio di Martin Luther King promosse il processo di uguaglianza dei neri e quello di Lincoln non ripristinò la schiavitù negli Usa. Quello di Rabin, invece, ha realizzato il progetto dell’assassino, Yigal Amir, e fermato il processo di pace. Ma Amir non sarebbe riuscito nella missione senza l’elezione di Netanyahu da parte di noi cittadini d’Israele. Quel Netanyahu che pochi mesi prima aveva incitato le piazze a opporsi a Rabin e al processo di pace. Così, nella vera storia, a differenza di quella che noi amiamo raccontarci, il popolo di Israele non è solo vittima ma anche partner del crimine. E in questa tragedia, come in ogni tragedia, il castigo non è tardato a venire.

Vent’anni dopo l’assassinio di Rabin siamo nel pieno di una nuova ondata di terrorismo. La prima Intifada, iniziata più di venti anni fa con lanci di sassi e accoltellamenti durante gli accordi di Oslo, si fece via via più ingegnosa. Terroristi suicidi cominciarono a farsi saltare in aria con cinture esplosive e infine si passò a una grandine di missili. Ora siamo al punto di partenza, ai brutali accoltellamenti e ai lanci di pietre. Sembra che più si vada avanti, più le cose rimangano le stesse. O forse, sarebbe giusto dire, «quasi le stesse». In questa seconda ondata di accoltellamenti, infatti, le atrocità sono le stesse ma qualcosa per noi, cittadini di Israele, è cambiato. E il cambiamento si è avvertito soprattutto in occasione del linciaggio di Haftom Zarhum, un rifugiato eritreo scambiato per un terrorista avvenuto a Be’er Sheva una settimana fa. Nonostante non avesse compiuto alcun gesto minaccioso né avesse armi da fuoco con sé, Zarhum è stato colpito con sei proiettili e quando già giaceva a terra sanguinante è stato picchiato da alcuni presenti, preso a calci e colpito in testa con una pesante panchina. Uno degli aggressori, arrestato dopo il fatto, ha detto: «Se fosse stato un terrorista tutti mi avrebbero ringraziato». Certo non sarebbe stato condannato dai ministri membri del governo che hanno chiesto di rendere più flessibili le norme che regolano l’uso delle armi da fuoco. E non sarebbe stato condannato nemmeno da uno dei leader dell’opposizione, Yair Lapid, secondo cui troppi terroristi palestinesi vengono catturati vivi. Il tono dominante nei corridoi della Knesset durante l’attuale ondata di terrore è chiaro: dimenticate le regole e il rispetto della legge, chiunque brandisce un coltello, merita la morte.

L’assassinio di Rabin, vent’anni fa, ha segnato un punto di svolta. Che, contrariamente a quanto la maggior parte di noi ama pensare, non è quello in cui abbiamo smesso di prendere l’iniziativa e siamo diventati vittime. Quel riuscito omicidio a sfondo ideologico non ha influito sul grado di controllo che abbiamo sulle nostre vite ma solo sul sistema di valori in base al quale alcuni di noi scelgono di agire. Di recente, a una figura di spicco dei coloni, Daniella Weiss, è stata fatta una domanda a proposito delle minacce di morte ricevute dal presidente di Israele Reuven Rivlin da parte di elementi dell’estrema destra. «Nessuno ucciderà Rivlin», ha risposto lei sprezzante, «non è abbastanza importante». E con questa affermazione ha rivelato una dolorosa verità: in Israele, dopo l’era Rabin, un omicidio politico viene visto non solo come un trauma nazionale ma anche come uno strumento pragmatico, efficace e sempre presente in sottofondo, capace di ribaltare la situazione.

E così, nel ventesimo anniversario dell’assassinio del primo ministro Yitzhak Rabin gli israeliani moderati continuano a sperare in due cose: in un nuovo e coraggioso leader che riesca a riempire il grande vuoto lasciato da Rabin e, nel caso si trovi un simile leader, che non venga ucciso pure lui”.

RAZZISMO E SUPREMATISMO DA INCUBO DI TROPPI ISRAELIANI

DOV WEISSGLASS, portavoce di Ariel Sharon, Ha’aretz, 6 ottobre 2004:
“Il significato del piano di disimpegno [da Gaza] consiste nel congelamento del piano di pace. E congelando tale processo si impedisce la formazione di uno Stato palestinese e si impedisce la discussione sui rifugiati, sulle frontiere e su Gerusalemme. Di fatto, l’intero pacchetto chiamato Stato palestinese, con tutte le sue implicazioni, viene rimosso dall’agenda ufficiale a tempo indeterminato. Il tutto con la benedizione presidenziale (USA) e con la ratifica delle due Camere del Congresso”.
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Oltre che, bisogna aggiungere, con la benevola complicità della sempre più ipocrita e serva Europa, la famosa civilissima Europa “dalla civiltà superiore”
RUTH GABISON, professoressa all’Università Ebraica di Gerusalemme, ex dirigente dell’Associazione per i Diritti Civili e candidata alla Corte Suprema, ad Ha’aretz il 1°dicembre di non ricordo quale anno:
“Israele ha il diritto di controllare la crescita naturale [cioè demografica] dei palestinesi”.
Letteralmente: “Le-Israel yesh zkhut le-fakeah al ha-gidul ha-tivi shel ha-‘Aravim”
Se questo non è colonialismo, razzismo, suprematismo, fetore di nazismo….

E non vorrei ci si dimenticasse di ARNON SOFFER, professore all’Università di Haifa, al The Jerusalem Post del 10 maggio 2004:
“Perciò, se vogliamo restare vivi, dobbiamo uccidere, uccidere e uccidere. Tutto il giorno, ogni giorno [….]. Se non uccidiamo, cessiamo di esistere [….] La separazione unilaterale non garantisce la “pace”, garantisce uno stato sionista-ebraico con una schiacciante maggioranza di ebrei”.

“SÌ, È LA TERZA INTIFADA E VI SPIEGO”.

di Ramzy Baroud – 13 ottobre 2015

Quando fu pubblicato il mio libro “Searching Jenin” [In cerca di Jenin] dopo il massacro israeliano nel campo profughi di Jenin nel 2002 fui interrogato ripetutamente dai media e da molti lettori per aver usato il termine ‘massacro’ per quella che Israele presentava come una legittima battaglia contro ‘terroristi’ con base nel campo.

Le domande erano mirate a trasferire il racconto da una discussione riguardante possibili crimini di guerra a una disputa tecnica sull’applicazione del linguaggio. Per loro la prova delle violazioni israeliane dei diritti umani contava poco.

Questo genere di riduzionismo è spesso servito da preludio a qualsiasi discussione riguardante il cosiddetto conflitto arabo-israeliano: gli eventi sono presentati e definiti utilizzando terminologia polarizzante che presta scarsa attenzione a fatti e contesti e si concentra principalmente su percezioni e interpretazioni.

Dunque a queste stesse persone dovrebbe importare poco se o no giovani palestinesi come Isra’ Abed, 28 anni, abbattuto con numerosi colpi d’arma da fuoco il 9 ottobre ad Affula e Fadi Samir, 19 anni, ucciso dalla polizia israeliana qualche giorno prima erano, in realtà, palestinesi che brandivano coltelli in una condizione di autodifesa e sono stati abbattuti dalla polizia. Persino quando emergono prove video che contestano la versione ufficiale israeliana e rivelano, come nella maggior parte degli altri casi, che i giovani uccisi non rappresentavano alcuna minaccia, la versione israeliana sarà sempre accettata come un fatto da alcuni. Isra’, Fadi e tutti gli altri sono ‘terroristi’ che hanno messo a rischio la sicurezza di cittadini israeliani e, ahimè, in conseguenza hanno dovuto essere eliminati.

La stessa logica è stata usata per tutto lo scorso secolo, quando le attuali cosiddette Forze di Difesa Israeliane operavano ancora come milizie armate e bande organizzate in Palestina, prima che questa fosse ripulita etnicamente per diventare Israele. Da allora questa logica è stata applicata in ogni contesto possibile in cui Israele si è trovato, a quanto affermato, costretto a usare la forza contro ‘terroristi’, potenziali ‘terroristi’ palestinesi e arabi e la loro ‘infrastruttura terroristica’.

Non è affatto questione di che genere di armi i palestinesi usino, se mai le usano. La violenza di Israele riguarda la percezione israeliana della realtà cucita a propria misura: che Israele è un paese assediato la cui stessa esistenza è sotto costante minaccia da parte dei palestinesi, che essi resistano usando armi o siano bambini che giocano sulla spiaggia di Gaza. Non c’è mai stata una deviazione dalla norma nella storiografia del discorso ufficiale israeliano che spiega, giustifica o celebra la morte di decine di migliaia di palestinesi nel corso di anni: gli israeliani non hanno mai colpe e non è mai richiesto alcun contesto di ‘violenza’ palestinese.

Gran parte del dibattito attuale a proposito delle proteste a Gerusalemme, nella West Bank e di recente al confine di Gaza è centrata sulle priorità israeliane, non sui diritti dei palestinesi, che sono chiaramente pregiudicati. Una volta di più Israele parla di ‘disordini’ e di ‘attacchi’ partiti dai ‘territori’, come se la priorità sia garantire la sicurezza degli occupanti armati; che si tratti di soldati o di coloni estremisti.

Razionalmente ne segue che lo stato opposto ai ‘disordini’, quello della ‘pace’ e della ‘quiete’, si ha quando milioni di palestinesi accettano di essere sottomessi, umiliati, occupati, assediati e regolarmente uccisi, linciati da folle di ebrei israeliani o bruciati vivi, abbracciando il loro miserabile destino e tirando avanti come se nulla fosse.

È ottenuto così il ritorno alla ‘normalità’; ovviamente all’elevato prezzo di sangue e violenza, di cui Israele ha il monopolio, mentre le sue azioni sono raramente messe in discussione. I palestinesi possono allora assumere il ruolo di perpetua vittima e i loro padroni israeliani possono continuare a presidiare posti di controllo miliari, a rubare terreni e a costruire altri insediamenti illegali in violazione della legge internazionale.

La questione oggi non dovrebbe riguardare gli interrogativi fondamentali su se i palestinesi uccisi brandissero coltelli o no, o rappresentassero effettivamente una minaccia per la sicurezza dei soldati e di coloni armati. Dovrebbe piuttosto essere incentrata principalmente sullo stesso atto violento dell’occupazione militare e degli insediamenti illegali in terra palestinese, tanto per cominciare.

Da questa prospettiva, allora, brandire un coltello è, di fatto, un atto di autodifesa; discutere della sproporzione o meno della reazione israeliana alla ‘violenza’ palestinese è del tutto accademico.

Confinarsi a definizioni tecniche significa disumanizzare l’esperienza collettiva palestinese.

“Quanti palestinesi dovranno essere uccisi perché sia il caso di usare il termine ‘massacro’”? è stata la mia risposta a chi ha contestato il mio uso del termine. Analogamente, quando dovranno essere uccisi, quante proteste dovranno essere mobilitate e quanto ci vorrà prima che le attuali ‘agitazioni’, ‘rivolte’ o ‘scontri’ tra dimostranti palestinesi ed esercito israeliano diventino una ‘Intifada’?

E perché addirittura dovrebbe essere chiamata una ‘Terza Intifada’?

Mazin Qumsiyeh descrive ciò che sta accadendo in Palestina come la ‘Quattordicesima Intifada’. Dovrebbe saperlo, visto che è stato l’autore dell’eccezionale libro ‘Resistenza popolare in Palestina: una storia di speranza ed emancipazione’. Tuttavia io mi spingerei anche oltre e suggerirei che ci siano state molte più Intifade, se si usano definizioni che siano relative all’espressione popolare degli stessi palestinesi. Le Intifade – scuotersi di dosso – diventano tali quando comunità palestinesi si mobilitano in tutta la Palestina, unificandosi al di là di programmi settari o politici e attuano una sostenuta campagna di proteste, di disobbedienza civile e altre forme di resistenza dalla base.

Lo fanno quando hanno raggiunto un punto di rottura, il cui processo non è dichiarato mediante comunicati stampa o conferenze televisive, ma è tacito e tuttavia duraturo.

Alcuni, pur benintenzionati, sostengono che i palestinesi non sono ancora pronti per una terza Intifada, come se le rivolte palestinesi fossero un processo calcolato, messo in atto dopo molte deliberazioni e trattative strategiche. Nulla può essere più lontano dal vero.

Un esempio è l’Intifada del 1936 contro il colonialismo britannico e sionista in Palestina. Era stata inizialmente organizzata da partiti arabi palestinesi, che erano prevalentemente autorizzati dallo stesso governo del Mandato Britannico. Ma quando i fellahin, i contadini poveri e in gran parte non istruiti, cominciarono ad avvertire che la loro dirigenza era cooptata – come accade oggi – agirono fuori dai confini della politica, lanciando e sostenendo una ribellione che durò tre anni.

I fellahin allora, come è sempre stato, fecero le spese della violenza britannica e sionista, cadendo a frotte. Quelli abbastanza sfortunati da essere catturati furono torturati e giustiziati: Farhan al-Sadi, Izz al-Din al-Qassam, Mohammed Jamioom, Fuad Hijazi sono tra i molti leader di quella generazione.

Tali scenari si sono costantemente replicati da allora e con ciascuna Intifada il prezzo pagato in sangue pare aumentare regolarmente. Tuttavia altre Intifade sono inevitabili, che durino una settimana, tre o sette anni, poiché le ingiustizie collettive subite dai palestinesi restano il comun denominatore tra generazioni successive di fellahin e dei loro discendenti di profughi.

Quella che sta avvenendo oggi è un’Intifada, ma è superfluo attribuirle un numero, poiché la mobilitazione popolare non segue sempre la logica netta richiesta da alcuni di noi. La maggior parte di quelli che guidano l’attuale Intifada erano o bambini oppure non erano nemmeno nati quando l’Intifada al-Aqsa iniziò nel 2000; certamente non vivevano quando l’Intifada dei Sassi esplose nel 1987. In realtà molti potrebbero ignorare i dettagli dell’Intifada originale del 1936.

Questa generazione è cresciuta oppressa, confinata e soggiogata, in totale conflitto con il fuorviante lessico del “processo di pace” che ha prolungato uno strano paradosso tra fantasia e realtà. Manifestano perché vivono un’umiliazione quotidiana e devono sopportare l’incessante violenza dell’occupazione.

Inoltre avvertono una totale sensazione di tradimento da parte della loro dirigenza, che è corrotta e cooptata. Perciò si ribellano e tentano di mobilitare e sostenere la loro ribellione più a lungo che possono, perché non hanno altro orizzonte di speranza che la loro azione.

Non lasciamoci impantanare dai dettagli, da definizioni e cifre autoimposte. Questa è un’Intifada palestinese anche se finisce oggi. Ciò che davvero importa è come rispondiamo alle implorazioni di questa generazione oppressa; continueremo ad assegnare maggiore importanza alla sicurezza dell’occupante armato che non ai diritti di una nazione oppressa?

Ramzy Baroud è un giornalista internazionale indipendente, scrittore e fondatore di PalestineChronicle.com. Il suo libro più recente è ‘My Father Was a Freedom Fighter: Gaza’s Untold Story’[Mio padre era un combattente della libertà: la storia non narrata di Gaza].

Da Z Net Italy- Lo spirito della Resistenza e’ Vivo

www.znetitaly.org

Fonte: https://zcomm.org/znetarticle/of-course-it-is-an-intifada-this-is-what-you-must-know/

Originale: Ma’an News Agency

Traduzione di Giuseppe Volpe

©2015 ZNet Italy- Licenza Creative Commons CC BY NC-SA 3.0

“DOBBIAMO UCCIDERE, UCCIDERE, UCCIDERE. TUTTO IL GIORNO, OGNI GIORNO!.

“Perciò, se vogliamo restare vivi, dobbiamo uccidere, uccidere e uccidere. Tutto il giorno, ogni giorno [….]. Se non uccidiamo, cessiamo di esistere [….] La separazione unilaterale non garantisce la “pace”, garantisce uno stato sionista-ebraico con una schiacciante maggioranza di ebrei”.
Arnon Soffer, professore all’Università di Haifa. The Jerusalem Post del 10 maggio 2004

UN PO’ DI INFORMAZIONE SULLE ATROCITA’ DI ISRAELE CONTRO I PALESTINESI

Non mi conosci. Io sono solo un ragazzo californiano che una volta si innamorò di Israele e vi è rimasto, ma se sei una persona che sostiene Israele in California o in qualsiasi altro posto al di fuori di qui, ho un messaggio per te.
E lo stesso messaggio se si appartiene a StandWithUs o a J Street, o alla Coalizione ebrei repubblicani o al New Israel Fund, all’AIPAC o all’ Americans for Peace Now: “Prima di sostenere Israele un altro giorno, scarica e apri un rapporto chiamato “Ecco come ci siamo battuti a Gaza :. ‘testimonianze e fotografie dalla operazione “soldati a Gaza” (2014) “

Leggilo e non tornare a difendere Israele prima di averlo letto fino in fondo L’onestà è l’elemento centrale. L’onestà di decine di soldati coraggiosi e profondamente sfregiati che hanno prestato servizio in quella guerra la scorsa estate. Non sarà facile da leggere , né deve esserlo.
Chiunque tu sia, qualunque sia la tua politica, è necessario sapere che cosa è successo a Gaza. È necessario essere in grado di iniziare a spiegare – prima di tutto a te stesso – perché almeno la metà, e forse molti di più dei 2.200 palestinesi uccisi dall’esercito israeliano erano civili, molti dei quali bambini. È necessario cominciare a percepire la portata della devastazione in vaste aree della Striscia , dovute all’IDF e alle direttive del governo . E’ necessario , caso dopo caso,, cominciare a sapere cosa è successo.Questo è necessario per il tuo stesso bene
http://frammentivocalimo.blogspot.it/2015/05/bradley-burston-lettera-per-i.html?spref=fb

http://www.democracynow.org/2015/5/6/kill_anything_israeli_soldiers_say_gaza

http://rufini.blogautore.repubblica.it/2015/05/08/spara-a-tutto-quello-che-si-muove/

http://www.today.it/mondo/bambini-palestinesi-violentati-soldati-israeliani.html

http://www.ilgiornale.it/news/i-soldati-israeliani-contro-tel-aviv-gaza-gravissime-irregol-1123852.html

http://monni.blogautore.espresso.repubblica.it/2015/05/04/breaking-the-silence-denuncia-operazioni-esercito-israeliano-a-gaza/

http://frammentivocalimo.blogspot.it/2013/05/1948-e-i-rifugiati-palestinesi-ben.htmlhttp://frammentivocalimo.blogspot.it/2013/05/1948-e-i-rifugiati-palestinesi-ben.html

GIDEON LEVY: 1) – LA SINTASSI INTERNA DELLA VIOLENZA (DI ISRAELE); 2) – IL VERO VOLTO DELLE FORZE ARMATE (DI ISRAELE)

http://frammentivocalimo.blogspot.it/2013/04/gideon-levy-la-sintassi-interna-della.html del 12 aprile 2013

http://frammentivocalimo.blogspot.it/2014/08/gideon-levy-idfs-real-face.html del 31 agosto 2014

1) http://frammentivocalimo.blogspot.it/2013/04/gideon-levy-la-sintassi-interna-della.html

venerdì 12 aprile 2013

Gideon Levy : La sintassi interna della tempesta .

Venendo in difesa di Amira Hass dopo il suo controverso editoriale sul lancio di sassi palestinese, Gideon Levy sostiene che le critiche contro la Hass mettono a nudo l’ipocrisia, o l’ignoranza, di vaste aree dell’opinione pubblica israeliana.
di Gideon Levy
La tempesta che si è scatenata sull’importante parere di Amira Hass, “La sintassi interna del lancio di sassi palestinese,” è stata benvenuta. Ha messo a nudo tutto in una volta l’ipocrisia, o l’ignoranza, di vaste aree dell’opinione pubblica israeliana.

L’ipocrisia, perché la folla indignata ignora l’originaria, fondamentale, istituzionalizzata e metodica violenza insita nel fatto stesso dell’occupazione e dei suoi meccanismi. L’ignoranza, perché è sottinteso che i ferventi oppositori potrebbero proprio non sapere quanto crudele sia la tirannia militare nei territori.
Inoltre, coloro che hanno accusato così furiosamente la Hass di “aver attraversato il confine” e di “incitamento all’omicidio” non hanno letto il suo pezzo fino in fondo. Non contiene istigazione a delinquere, ma piuttosto una preoccupazione leale e coraggiosa per la lotta di liberazione palestinese, che è assente nel dialogo israeliano.  Se c’è qualche che propugna nel suo commento, è indirizzata principalmente alla lotta non violenta contro l’occupazione, sotto forma di appello alla documentazione, dell’andare a lavorare le terre rubate e del superare la paura degli interrogatori. Anche l’atto di prendere le pietre si giustifica soltanto come ultimo, inevitabile rifugio. Il commento è stato pubblicato pochi giorni dopo che gli ebrei avevano letto sul Haggadah, che racconta la storia di una lotta per la libertà di un diverso popolo, una lotta che includeva calamità ben più terribili dei sassi lanciati contro i negatori della libertà. Generazioni di ebrei leggono questo testo con stupore e meraviglia, raccontandolo ai loro figli. Ma non sono disposti ad applicare la stessa regola di base – la stessa giustizia interna, secondo la quale la resistenza, inclusa la resistenza violenta, è un diritto di nascita e un dovere di ogni nazione sconfitta, come ha scritto la Hass – a tutti e non solo gli ebrei. Continua a leggere

La disonestà della classe dirigente e l’immoralità di quella militare d’Israele, che ingannano e usano in modo cinico (anche) i propri giovani


L’esultanza di questi giovani soldati dopo la nuova terribile mattanza a Gaza dimostra l’imbecillità dell’età giovanile di ogni parte del globo quando è imbevuta di nazionalismo e dimostra l’odio contro i palestinesi con il quale in Israele i cittadini vengono formati fin dalle scuole elementari, grazie ai programmi scolatici che, come rivelato da molti docenti di storia israeliani, hanno deliberatamente falsato la Storia e la narrazione della nascita di Israele. E’ come se in Italia si scoprisse che Garibaldi e i garibaldini anziché avere “fatto l’Italia” con le famose battaglie (più qualche strage in Sicilia…) l’hanno fatta con la pulizia etnica di oltre 500 villaggi, paesi, quartieri e città oltre che con una serie impressionante di stragi di civili, esecuzioni sommarie, saccheggi e ruberie varie. E’ come scoprire che in Italia Garibaldi anziché andarsene in esilio a Caprera s’era fatto un ranch sul territorio di un paese di meridionali evacuato e distrutto così come ha fatto Sharon nel Negev con il territorio di un paese “ripulito”. Continua a leggere

LA DISFATTA MORALE DI ISRAELE

http://nena-news.it/amira-hass-la-disfatta-morale-di-israele-ci-perseguitera-per-anni/Amira Hass: “La disfatta morale di Israele ci perseguiterà per anni”

Scrive la giornalista israeliana Amira Hass: “Se vittoria vuol dire causare al nemico una pila di bambini massacrati, allora Israele ha vinto. Queste vittorie si aggiungono alla nostra implosione morale, la sconfitta etica di una società che ora si impegna a non fare un’auto-analisi, che si bea nell’autocommiserazione a proposito di ritardi nei voli aerei?”.

La casa distrutta del leader di Hamas Ismail Haniyeh (Foto: Finbarr O’Reilly/Reuters)
[PINO NICOTRI: DA NOTARE CHE LUI E’ ALL’ESTERO, PERCIO’ BOMBARDARGLI LA CASA E’ STATO SOLO UN ATTO DI BARBARIE, I MILITARI ISRAELIANI GLI HANNO MASSACRATO LA FAMIGLIA, I PARENTI, GLI AMICI ED EVENTUALI INQUILINI SOLO PER IL GUSTO PEGGIO CHE ANIMALESCO DELLA VENDETTA, ACCECATI DA UN ODIO SEMPRE PIU’ BESTIALE, ANCHE SE IN REALTA’ LE BESTIE NON ODIANO. A ODIARE SIAMO SOLO NOI ESSERI COSIDDETTI UMANI]

di Amira Hass – Haaretz

Ramallah, 30 luglio 2014, Nena News – Se la vittoria si misura in base al numero dei morti, allora Israele e il suo esercito sono dei grandi vincitori. Da sabato, quando ho scritto queste parole, a domenica, quando voi le leggete, il numero [dei morti palestinesi] non sarà più di 1.000 (di cui il 70-80% civili), ma anche di più [sono 1200, ndt].

Quanti altri ancora? Dieci corpi, diciotto? Altre tre donne incinte? Cinque bambini uccisi, con gli occhi semichiusi, le bocche aperte, i loro piccoli denti sporgenti, le loro magliette coperti di sangue e tutti trasportati su una sola barella? Se vittoria vuol dire causare al nemico una pila di bambini massacrati su una sola barella, perché non ce ne sono abbastanza, allora avete vinto, capo di stato maggiore Benny Gantz e ministro della Difesa Moshe Ya’alon, voi e la nazione che vi ammira. Continua a leggere

ANCHE LA GIORNALISTA ISRAELIANA AMIRA HASS METTE A NUDO LA FOLLIA DI ISRAELE

Il nuovo massacro continua. L’ennesimo. Così come continua l’indecente silenzio dell’Italia, dell’Europa e degli Usa. Silenzio che certifica il nuovo collasso morale del Vecchio Continente e dell’Occidente in generale, che ha anche partorito il nuovo disastro libico. Pubblico volentieri questo articolo di Amira Hass, giornalista israeliana che vive a Ramallah, in Cisgiordania, scrive per il quotidiano Ha’aretz e ha una rubrica su Internazionale.


“C’è del metodo in questa follia. E il cieco rifiuto di Israele di comprendere la portata della vendetta che sta portando avanti a Gaza ha una sua logica. L’intera nazione è un esercito. L’esercito è la nazione. Entrambi sono rappresentati da un governo ebreo-democratico e da mezzi d’informazione fedeli, e tutti quanti lavorano insieme per vendicarsi dei traditori palestinesi, la cui colpa è quella di non riconoscere l’assoluta normalità della situazione.
I palestinesi sono disobbedienti. Non vogliono adattarsi. Pensavamo che sarebbe bastato trattarne bene alcuni e riempire il portafogli di pochi, lasciando che le enormi donazioni di Stati Uniti ed Europa gonfiassero le tasche di un immaginario governo palestinese.
Le incessanti manifestazioni di protesta nei villaggi della Cisgiordania non hanno minimamente intaccato la fede israeliana nella normalità della sua dominazione esercitata su un altro popolo. Il boicottaggio e le sanzioni hanno un po’ confuso il nostro ego, ma non è bastato a farci recepire il messaggio. Il governo di riconciliazione palestinese sembrava averci spinto a fare un passo avanti e rifiutare finalmente l’ostentazione di normalità imposta da Israele. Ma non ce l’ha fatta, perché troppe forze all’interno di Al Fatah e Hamas non lo hanno sostenuto.
Allora è toccato ai razzi di Hamas disturbare il sonno degli occupanti. Dite quello che volete, ma sono riusciti dove le manifestazioni, i boicottaggi e la cancellazione dei concerti hanno fallito.
Nazione, esercito, governo e mezzi d’informazione: avete occhi e orecchie, eppure non vedete e non sentite. Continuate a sperare che il sangue palestinese già versato e quello che ancora deve scorrere basteranno a riportare la calma e la cara vecchia occupazione. Rifiutate di usare le vostre competenze per fermarvi in tempo, prima che si verifichi un disastro ancora più grave. Lo avete già fatto l’ultima volta, e la volta prima.
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Perché la stampa nasconde che l’esercito israeliano nel cercare i tre ragazzi scomparsi ha ammazzato altri 7 palestinesi, compresi 2 bambini, e ne ha feriti altri 118?

LETTERA AL SINDACO DI ROMA INVIATA DA ASSO-PACE-PALESTINA

Caro Sindaco,

Le scriviamo in merito alla sua decisione di esporre pubblicamente nella piazza del Campidoglio le foto dei tre giovani coloni israeliani misteriosamente scomparsi in Cisgiordania, nella zona C controllata dall’esercito israeliano. Come lei, anche noi di AssoPacePalestina speriamo che questi ragazzi ritornino al più presto sani e salvi alle loro famiglie. Vorremmo però cogliere l’occasione per richiamare alla sua attenzione  la violenza della rappresaglia con cui l’esercito israeliano ha deciso di colpire, indiscriminatamente, un intero popolo – quello palestinese -causando, ad oggi, 7 morti, 118 feriti e 471 arresti, distruzione di infrastrutture, restrizione totale della libertà di movimento, invasioni di migliaia di soldati nelle città palestinesi autonome. Una punizione collettiva, in violazione della legalità. Internazionale. che fa il pari con la detenzione di più 5.700 prigionieri palestinesi, tra loro membri del Parlamento, uomini,minorenni,donne di cui ad oggi più di 200 in detenzione amministrativa.

Mentre non sappiamo nulla dei ragazzi israeliani, sappiamo già che Ahmad, 20 anni, Mohammed, 14 anni, Ali, 10 anni,  Mustafà, 22 anni, Mahmoud, 30 anni,  Jamal, 60 anni, e  ancora Ahmad, 27 anni, non torneranno più: pallottole israeliane gli hanno fermato il cuore. Continua a leggere

SOPRAVVISSUTO DI AUSCHWITZ: “POSSO IDENTIFICARMI CON I GIOVANI PALESTINESI”

E’ stata pubblicata nel 2009, ma si tratta purtroppo di un tema ancora attuale. Che resterà tale per chissà quanto tempo ancora.

Intervista a Hajo Meyer, ebreo antisionista

SOPRAVVISSUTO DI AUSCHWITZ: “POSSO IDENTIFICARMI CON I GIOVANI PALESTINESI”

Di Adri Nieuwhof, The Electronic Intifada, 2 Giugno 2009[1]

Hajo Meyer, autore del libro The End of Judaism [La fine del giudaismo], è nato a Bielefeld, in Germania, nel 1924. Nel 1939 fuggì da solo, all’età di 14 anni, in Olanda, per salvarsi dal regime nazista, e non potè andare a scuola. Un anno dopo, quando i tedeschi occuparono l’Olanda, visse in clandestinità con un documento di riconoscimento maldestramente contraffatto. Meyer venne catturato dalla Gestapo nel Marzo del 1944 e deportato ad Auschwitz una settimana dopo. E’ uno degli ultimi sopravvissuti di Auschwitz.

Adri Nieuwhof: Cosa vuol dire per presentarsi ai lettori di EI [Electronic Intifada]?

Hajo Meyer: Dovetti abbandonare la scuola secondaria a Bielefeld dopo la Notte dei Cristalli, nel Novembre del 1938. Per un bambino curioso come me e per i suoi genitori fu un’esperienza terribile. Perciò, posso pienamente identificarmi con i giovani palestinesi che vengono intralciati nei loro studi. E non posso identificarmi in alcun modo con i criminali che impediscono ai giovani palestinesi di studiare.

AN: Cosa l’ha spinta a scrivere il suo libro, La fine del giudaismo? Continua a leggere

Altra vergogna senza limite in Israele contro un bambino di 5 anni. Protagonista lo stesso esercito che protegge sempre e comunque ogni sopruso e atto di teppismo dei coloni.

Tanto più grave, greve e incivile il comportamento della soldataglia israeliana contro il bambino di 5 anni Waadi Maswada, accusato e di avere lanciato un sasso contro l’auto di alcuni coloni a Hebron, sia perché non si tratta di un’eccezione sia perché si tratta della stessa soldataglia che a Hebron protegge i coloni teppisti qualunque atto di prepotenza facciano contro i palestinesi sia infine perché MAI i soldati sono intervenuti contro gli infiniti casi di pietre lanciate addosso a persone fisiche palestinesi. Lanci, quest’ultimi, documentati da una marea di video. A Hebron, ricordiamolo, oltre 100 mila palestinesi cono costretti a vivere sopportando soprusi di ogni genere, compresa la vergognosa chiusura di molte strade e centinaia di negozi, perché Israele ha voluto e vuole far spazio alle poche centinaia di coloni di una vicina colonia. Abitata da una tale gentaglia che venera ancora la tomba del pluriassassino Baruch Goldstein che qualche anno fa abitava proprio in quella colonia e una mattina andò a far strage con il suo mitra di palestiensi in preghiera nella moschea di Abramo. Sulla tomba, che fa bella mostra di sé all’interno della colonia, ancora oggi si legge che Goldstein era un uomo giusto e santo e che quella mattima compì una buona azione…

L’unica nota positiva di questo obbrobbrio incivile contro un (altro) bambino palestinese è che l’intero episodio è stato ripreso e denunciato da attivisti di una organizzazione pacifista che riunisce sia israeliani che palestinesi. Altra nota positiva è che a dar spazio alla denuncia in Italia sono i giornali di Carlo De Benedetti che a volte ci tiene a far sapere che lui è ebreo. Queste due note positive sono la miglioare dimostrazione che si può essere israeliani e filoisraeliani senza per questo essere fascisti o avere posizioni repellenti come quella di chi si affanna vergognosamente perfino a giustificare il nuovo sopruso consumato a Hebron prima contro un bimbo di 5 anni e poi anche contro suo padre.

Altra nota comunque positiva è che in Israele documenti come questi filmati non vengono sequestrati e possono circolare, almeno quando sono prodotti da organismi che comprendono anche israeliani.

http://www.youtube.com/watch?v=0LKhQS5f9oo

http://www.youtube.com/watch?v=TxA3oI9PZRc

https://triskel182.wordpress.com/2013/07/12/quel-bambino-palestinese-arrestato-per-un-sasso-adriano-sofri/

Quel bambino palestinese “arrestato” per un sasso (Adriano Sofri).

TRATTARE un bambino di cinque anni e nove mesi, che piange spaventato, come se fosse un pericoloso nemico adulto, e umiliare suo padre davanti a lui e a causa di lui, non è solo un’infamia: vuol dire fare di quello e di tanti altri bambini, asciugate le lacrime, irriducibili e temibili nemici. Continua a leggere

L’antisemitismo del quale non si parla e che si vuole tenere accuratamente nascosto

Di Amira Hass

Haaretz
Ecco una statistica che non vedrete nelle ricerche sull’anti-semitismo, per quanto lo studio possa essere meticoloso. nei primi sei mesi dell’anno, sono stati registrati 154 assalti di tipo anti-semita, 45 dei quali attorno a un solo villaggio. Alcuni temono che il record dell’anno scorso di 411 attacchi -un numero notevolmente maggiore dei 312 del 2010 e  dei 168 nel 2009 – potrebbe essere superato questo anno.
Cinquantotto incidenti sono stati registrati soltanto in giugno, compresi lanci di pietre mirati ad agricoltori e pastori, finestre fatte a pezzi, incendi dolosi, danni a condutture d’acqua e a cisterne, alberi da frutta sradicati, e un luogo di culto danneggiato. Talvolta gli assalitori sono mascherati, a volte no; a volte attaccano  di nascosto,  talvolta alla luce del giorno.
Ci sono stati due attacchi violenti al giorno, in sedi separate, il 13, 14 e 15 luglio. Le parole “morte” e “vendetta” sono state  scarabocchiate in varie zone; un messaggio più originale promette che “Noi faremo ancora massacri.”
Non è un caso che i diligenti ricercatori  di antisemitismo  abbiano omesso questi dati. La ragione è che non li considerano rilevanti, dal momento  che i Semiti che sono stati attaccati vivono nei villaggio che si chiamano Jalud, Mughayer e At-Tuwani, Yanun e Beitilu. La dose giornaliera di terrore (altrimenti nota come terrorismo) che viene inflitta a questi Semiti, non viene compilata in un  rapporto statistico ordinato, né viene notata dalla maggior parte della popolazione ebraica di Israele e del mondo – anche se gli incidenti rassomigliano alle storie raccontate dai nostri nonni. Continua a leggere