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Giulio Regeni, un cadavere gettato contro l’Eni e Al Sisi

La ricerca della verità riguardo l’uccisione al Cairo di Giulio Regeni a volte appare se non proprio pilotata almeno spintonata rudemente verso direzioni prestabilite. Vale a dire:

1) verso la chiusura del cerchio dando tutte le responsabilità agli apparati polizieschi e di sicurezza egiziani, cioè in definitiva al presidente Al Sisi, indicandolo come colpevole quanto meno di omertà
2) e verso il biasimo dell’operato della nostra Eni per metterle almeno i bastoni tra le ruote, colpevole dell’enorme duccesso colto, come vedremo, proprio in Egitto. 

A guardar meglio le cose Al Sisi potrebbe essere invece vittima del tentativo di un qualche “servizio” egiziano di screditarlo, date le lotte feroci che da sempre esistono in Egitto tra militari, anche perché sono loro i veri padroni dell’economia del Paese. Colpevole o vittima Al Sisi, sta di fatto che in ogni caso viene esercitata una pressione enorme anche sull’Eni.
 
La clamorosa notizia sparata di recente dal New York Times con un lungo articolo a firma dell’autorevole giornalista Declan Walsh sembra voler dire tutto, ma in realtà a leggerlo bene non chiarisce nulla, a partire da chi sia la fonte e se racconta fatti veri o no. Chiarisce però invece bene la volontà, appunto, di chiudere il cerchio attorno al collo di Al Sisi.
 
Ecco i passi più importanti – riportati dai giornali italiani – dell’articolo di Walsh, dove il virgolettato è quanto detto a lui dalla fonte, purtroppo anonima, mentre il resto sono parole del giornalista: 

“Gli Stati Uniti vennero in possesso dall’Egitto di prove di intelligence esplosive, prove che dimostravano come Regeni fosse stato rapito, torturato e ucciso da elementi della sicurezza egiziani”. Fonti dell’allora Amministrazione Obama citate dallo stesso giornale affermano che l’amministrazione USA era in possesso di “prove incontrovertibili delle responsabilità egiziane”. A questo punto il materiale venne girato “al governo Renzi su raccomandazione del Dipartimento di Stato e della Casa Bianca”. Ma “per evitare di svelare l’identità della fonte non furono passate le prove così come erano, né fu detto quale degli apparati di sicurezza egiziani si riteneva fosse dietro l’omicidio”. Altre fonti sempre citate dal New York Times affermano: “Non è chiaro chi avesse dato l’ordine di rapire e, presumibilmente, quello di uccidere” Regeni, ma “quello che gli americani sapevano per certo, e fu detto agli italiani, è che la leadership egiziana era pienamente a conoscenza delle circostanze dell’uccisione “del ricercatore””. 
 
Il racconto pubblicato dal New York Times purtroppo è privo di qualunque elemento di prova e quindi potrebbe anche essere falso, la fonte potrebbe avere ingannato a bella posta Walsh per strumentalizzarne l’autorevolezza, tant’è che il governo italiano ha subito seccamente smentito la parte che lo tira in ballo. Ma vediamo come prosegue il racconto dell’articolo del New York Times, sempre tenendo presente che il virgolettato è quanto detto a Walsh dalla sua fonte, mentre il resto sono parole del giornalista:

““Non abbiamo dubbi di sorta sul fatto che i fatti questo fosse conosciuto anche dai massimi livelli”. Insomma, non sapevamo se fosse loro la responsabilità, ma sapevano, sapevano”. Questo portò alcune settimane dopo “l’allora segretario di Stato, John Kerry, a un aspro confronto con il ministro degli esteri egiziano Sameh Shoukry, nel corso di un incontro che si tenne a Washington”. Si trattò di una conversazione “quanto mai burrascosa” anche se da parte della delegazione americana non si riuscì a capire se il ministro stesse erigendo un muro di gomma o semplicemente non conoscesse la verità”.
 
Come si vede, con la prima frase la fonte ammette che gli USA non sapevano se Al SISI e dintorni fossero colpevoli o no, si limita ad affermare che sapevano cosa fosse successo, e con l’ultima frase riporta tutto in alto mare: il ministro degli Esteri egiziano forse del caso Regeni non ne sapeva nulla, cosa piuttosto inspiegabile se Al Sisi e i vari apparati fossero davvero colpevoli. 
 
Dobbiamo ricordare che nell’agosto di due anni fa, qualche giorno prima della scomparsa e uccisione di Regeni, l’ENI aveva scoperto nelle acque del mare egiziano il più grande giacimento di gas del Mediterraneo. Si chiama Zhor e contiene la mostruosa quantità di 850 miliardi di metri cubi di gas, in grado di dare all’Egitto l’autonomia energetica per un bel pezzo e alla società italiana un bel pacco di miliardi di euro. Ce n’è abbastanza per scatenare gli appetiti e la concorrenza dei vari Stati che, come la Francia e l’Inghilterra, per non parlare degli Stati Uniti, per accaparrarsi le altrui fonti energetiche hanno ampiamente e sempre dimostrato di non arretrare di fronte a nulla, guerre comprese.
 
Gli egiziani sono così imbecilli da alienarsi le simpatie dell’Italia dell’ENI con un delitto spettacolare da incapaci? Gli agenti dello spionaggio ti fanno sparire e basta, senza lasciare tracce, e lo sanno fare a iosa anche quelli egiziani, senza ricorrere a torture e sevizie da vecchi film. 
 
Regeni invece è stato ucciso con metodi più da camorra che da “servizi” e il suo cadavere, con bene in vista le prove di quei metodi, è stato dato in pasto all’opinione pubblica indirizzando di conseguenza le indagini in modo fin troppo scoperto. Come se le polizie e i servizi segreti di Al-Sisi dovendo liquidare qualcuno fossero così scemi e autolesionisti da autodenunciarsi mettendo in piazza la via crucis e la crocifissione finale della loro vittima anziché farla sparire totalmente come avvenuto e avviene regolarmente non solo in Egitto. Se del povero Regeni non si fosse fatto trovare nulla, non sarebbe scoppiata nessuna tempesta. 

Bisogna inoltre per onestà e completezza  ricordare che secondo il quotidiano La Stampa ( 
https://www.lastampa.it/2016/02/16/esteri/regeni-a-londra-lavor-per-unazienda-dintelligence-Ue3kZmmArej9wuMH279t5J/pagina.html    ) il 28enne Giulio Regeni, da dieci anni in Inghilterra, dove si è laureato, conoscitore della lingua araba,  e dottorando in un’Università sempre inglese, collaborava – a propria insaputa o no – con i servizi segreti inglesi, il famoso, mitico e sempre sfuggente M16. L’articolo, scritto a Londra, prende lo spunto dal fatto che Regeni aveva lavorato un anno per la Oxford Analytica ( https://en.m.wikipedia.org/wiki/Oxford_Analytica ), società che a detta dell’autore dello stesso articolo, Alessandra Rizzo, è dei servizi inglesi. Affermazione che però non trova conferma ufficiali, ovviamente. Interessante comunque notare che la Oxford Analytica è stata fondata da un ex consigliere del Segretario di Stato Usa Henry Kissinger ed ex membro del potentissimo National Security Council all’epoca di Nixon, nel cui Watergate fu coinvolto, tale David Young ( https://en.m.wikipedia.org/wiki/David_Young_(Watergate)   ).

Forse Regeni con l’M16 non c’entrava nulla, ma l’intervista (  http://www.corriere.it/esteri/16_febbraio_16/regeni-lavoro-ad-oxford-analytica-genitori-giulio-non-era-servizi-23c620a8-d4af-11e5-8855-fe9a1275bf2e.shtml ) al Numero Uno della Oxford Analytica, Graham Hutchings, pubblicata il 16 febbraio dell’anno scorso dal Corriere della Sera e gli annessi “No comment” di una sua collega di lavoro lasciano perplessi. Come che sia, è impensabile che l’M16 dato il campo di studi e ricerche del nostro connazionale non abbia preso diligentemente nota della sua presenza. 
Il giornalista Marco Gregoretti, ex inviato di “Panorama” e vincitore del Premio Saint-Vincent per i suoi servizi sulle violenze (stupri, torture) commesse nelle missioni di pace in Somalia, ha ipotizzato anche una collaborazione con i servizi segreti civili italiani ( 
http://www.marcogregoretti.it/cronaca-misteri/giulio-regeni-era-un-agente-segreto-dellaise/ ). Che però hanno prontamente smentito, anche se in ogni caso non avrebbero potuto fare altro. 
Difficile, se  non impossibile, stabilire con certezza cosa ci sia di vero in quelle notizie. Che a onor del vero paiono un po’ tirate per i capelli, possibile frutto del sensazionalismo che in certi casi non manca mai, ma contribuiscono a rendere il quadro meno decifrabile di quel che sembra o si vuole far sembrare. Il caso riguardante la scomparsa di Emanuela Orlandi, il 22 giugno 1983, è un caso da manuale per quanto riguarda i danni da sensazionalismo e scoopismo a tutt i costi.

Altre perplessità e domande possono nascere dal fatto che è molto impegnata nella campagna “Verità per Regeni” l’organizzazione non governativa (ONG) Amnesty International. I malpensanti hanno notato infatti che il suo organigramma USA riporta presenze come quella della direttrice esecutiva dal 2012 al 2013, Suzanne Nossel, con un passato al Dipartimento di Stato americano, e come quella di chi ne ha preso il posto, Margaret Huang, nel cui curriculum figura un impiego presso il Comitato per gli Affari Esteri del Senato, sempre Usa. Ovviamente c’è chi si chiede se le due manager una volta entrate in Amnesty abbiano o no reciso ogni legame con i citati ambienti di provenienza.
Domande eccessive e fuori luogo? Può darsi. Però non manca neppure chi fa notare che tra i maggiori finanziatori di Amnesty sono comparse la Ford Foundation e la Open Society Foundations. La prima è tra le più ricche fondazioni statunitensi, sovvenziona fin dal 1954  il famoso e molto chiacchierato gruppo Bilderberg. La seconda è invece la cassaforte della quale lo straricco speculatore globale George Soros si serve per finanziare rivoluzioni e sommosse ovunque ci sia da lucrare attirando interi Paesi, dalla Libia all’Ucraina, nell’orbita occidentale e magari anche Nato. 

 Insomma, non si può affatto escludere che Regeni, in nome della ormai secolare lotta feroce per le fonti energetiche, possa essere stato ucciso o fatto uccidere e fatto ritrovare apposta cadavere martoriato, se non per mano almeno per ispirazione dei servizi di Sua Maestà out similia. Che potrebbero anche avere “solo” suggerito a poliziotti e 007 egiziani a libro paga di fare quello che è stato fatto. Non c’è bisogno di accusare in blocco l’M16 o uno degli organi di sicurezza egiziani: noi italiani sappiamo benissimo che certe cose, specie se orrende, possono essere farina del sacco non dei servizi segreti in quanto tali, quelli ufficiali, ma dei loro “pezzi deviati”…
 
Mettere in difficoltà Al Sisi e l’Eni avrebbe l’indubbio vantaggio di prendere due piccioni con una fava. Nonostante tutto, l’Eni in quei giorni tempestosi è però riuscita comunque a portare a casa il contratto per lo sfruttamento di Zhor. Ma è da notare che qualche giorno dopo il ritrovamento del cadavere del nostro connazionale la British Petroleum è riuscita a concludere con l’egiziana Natural Gas Holding Company (EGAS) un bel contratto che prevede tra l’altro lo sviluppo del giacimento Atoll di gas, a nord di Damietta, e una concessione offshore nel delta orientale del Nilo. 
In aggiunta, l’allora presidente francese Hollande è riuscito a vendere all’Egitto armi per oltre un miliardo di dollari, compresi aerei piuttosto vecchi. È impressionante vedere a volte all’aeroporto del Cairo la sterminata quantità di aerei piuttosto obsoleti dismessi soprattutto dall’Europa. Aerei a parte, è noto che Italia e Francia dietro le quinte dei bei sorrisi sono da sempre in lotta dura tra loro per accaparrarsi gas e petrolio altrui. La nostra ENI (in origine acronimo di Ente Italiano Idrocarburi) per poter avere ottimi rapporti con l’Algeria, importante produttrice di gas naturale e petrolio, ne ha finanziato sotto banco la Resistenza contro la Francia coloniale occupante. La Francia in tempi più recenti ha ricambiato il favore organizzando, assieme agli inglesi, la caduta di Gheddafi e la “rivoluzione” libica anche per scalzare l’Italia prendendone almeno in parte il posto nei buoni rapporti, vale a dire negli 11 miliardi di euro di interscambio. Come conferma il recente tentativo della francese Total di soppiantare l’Eni.
 
Così stando le cose, le proteste per la ripresa in questi giorni delle relazioni diplomatiche con l’Egitto, fatta oltretutto passare per uno schiaffo in faccia alla famiglia Regeni, ha un sapore leggermente strumentale, oltre che buonista e “politicamente corretto” a metà tra il libro Cuore e Alice nel Paese delle Meraviglie. Buono solo a farsi un po’ di (dubbia) pubblicità.

COGLIERE AL VOLO COME LA GERMANIA L’OPPORTUNITA’ DI PARTECIPARE AL GRANDE SVILUPPO INFRASTRUTTURALE DEL KAZAKHSTAN. CHE NEL 2017 OSPITERA’ L’EXPO’ SUL TEMA “ENERGIA DEL FUTURO”

Sviluppo infrastrutturale del Kazakhstan: grande opportunità per il “Sistema Italia”

Mario Lettieri* Paolo Raimondi** 

L’Italia dopo l’Expo 2015 di Milano passerà il “testimone” al Kazakhstan che nel 2017 ad Astana organizzerà l’Expo internazionale specializzato dedicato all’“Energia del futuro”. Questo fatto potrebbe diventare un’occasione privilegiata di dialogo con il governo kazako. Occorre che l’Italia, in quanto “sistema Paese”, coinvolga attivamente, secondo noi già da ora, le autorità di Astana con cui preparare insieme i progetti per il futuro.

Potrebbe essere per il nostro Paese l’occasione per allargare gli sbocchi e l’export, in particolare nei settori delle tecnologie, dell’agro-industriale e del nostro più qualificato made in Italy. Del resto, come è noto, il Kazakhstan è già un partner amico. Ora può diventare un alleato strategico.

Il Kazakhstan con una popolazione di 17 milioni di abitanti e un territorio vastissimo di circa 2 milioni e 700 mila kilometri quadrati è il cuore dell’Eurasia, ricco di materie prime, a cominciare dal petrolio e dal gas. Continua a leggere

Anche l’Italia colpita dai giochi di potere internazionali sul petrolio

La geopolitica del petrolio colpisce anche in Italia

Mario Lettieri* e Paolo Raimondi **

La questione petrolio è di indubbia portata globale anche se i riverberi locali incidono non poco sui territori,  nelle economie e sulla stessa salute dei cittadini residenti nelle regioni interessate alle estrazioni. Di conseguenza anche le ricerche e le estrazioni in Basilicata dipenderanno dal mercato globale, le cui oscillazioni tendono al ribasso.

Mentre la domanda ristagna a causa della perdurante crisi industriale ed economica in Europa e del rallentamento delle economie del Far East, in primis quella cinese, l’offerta è cresciuta molto. A ciò si aggiunga che gli USA, con la produzione di shale gas, hanno notevolmente aumentato l’estrazione di greggio (+80%). Anche i significativi risultati dovuti alla cresciuta efficienza energetica, all’aumento delle energie rinnovabili, ai risparmi nei consumi e alla migliore produttività dei settori incidono notevolmente.

Bisogna ricordare che il petrolio è sempre stata un’arma formidabile per mutare e condizionare le vicende e gli assetti geopolitici globali. Perciò la storia mondiale del petrolio è tristemente segnata, oltre che dai danni all’ambiente e alla salute, da guerre, colpi di stato, corruzione e assassinii.

Anche oggi non pochi esperti ed analisti del settore sottolineano che dietro la decisione di far scendere il prezzo del petrolio ci sarebbe anche l’intenzione dell’Arabia Saudita, condivisa con gli alleati americani, di colpire le economie della Russia e dell’Iran. Si tenga in considerazione infatti che le entrate petrolifere rappresentano il 60% delle entrate del governo dell’Iran e il 50% di quelle della Russia.

Una simile mossa venne fatta nel 1985 sempre dall’Arabia Saudita che per un certo periodo di tempo abbassò il prezzo del petrolio di 3,5 volte aumentando nel contempo la produzione di ben 5 volte. Gli sceicchi non dovettero rinunciare ai loro fasti, ma di conseguenza, nei grandi giochi della geopolitica mondiale, l’URSS venne messa in ginocchio. Continua a leggere

La Siria deve cambiare per far largo al gas del Qatar e agli interessi del suo padrone, il fanatico wahabita sceicco Al-Thani già decisivo nella “rivoluzione” libica

Che succede in Siria? Perché la Turchia ha reagito a un non chiaro incidente di frontiera prima con bombardamenti rappresaglia e di recente anche proibendo il sorvolo del proprio territorio a tutti gli aerei siriani, compresi quelli dei voli di linea? E perché l’emiro del Qatar, Al Thani, dal pulpito della 66esima sessione plenaria dell’Onu ha invocato un intervento armato almeno panarabo contro la Siria di Assad? Domande che a quanto pare  hanno una ben precisa risposta: il Qatar vuole esportare il suo gas servendosi dei gasdotti turchi e il governo di Ankara è d’accordo e mira a che l’accordo diventi realtà. Ma andiamo per ordine.

Nei giorni scorsi il quotidiano tedesco Die Welt ha citato un rapporto dettagliato del Bundesnachrichtendienst (BDN), cioè dei servizi segreti tedeschi, il quale rivela che il  95% dei “ribelli” siriani, stimati in poco meno di  15.000 uomini,  è in realtà di origine straniera. Quelli siriani sono appena il 5%.  Ma la percentuale è destinata a calare ancora perché sarebbero in arrivo altri 5.000 mercenari stranieri, compresi uomini di Al Qaeda,  sulla base di accordi tra Paesi occidentali e Arabia Saudita.

Guarda caso, si sta verificando quanto previsto e consigliato al presidente Obama dal think tankSaban Center for Middle East Policy, emanazione della Brookings Institution, che ha sede a Washington. Come abbiamo già fatto rilevare il 27 agosto, il Saban Center è composto da personaggi molto bene inseriti nelle istituzioni politico militari Usa,  compresa la Casa Bianca e la Cia, e per la Siria suggerisce a Obama .  la propria “Valutazione delle opzioni di un cambio di regime”. Opzioni che raccomandano la creazione di zone franche e di corridoi “umanitari”. Lo studio del Saban Center afferma: “E’ possibile che una vasta coalizione con un mandato internazionale possa aggiungere ulteriori azioni coercitive ai suoi sforzi”.  Ecco spiegato perché lo sceicco Al Thani all’Onu ha invocato l’intervento armato multinazionale. Continua a leggere

I trucchi e le manovre degli “esportatori di democrazia” Netanyahu e Al Thani per avere ai piedi l’intero Medio Oriente. Intanto però comincia ad attecchire anche tra israeliani e filo israeliani l’idea di Israele Stato anche dei palestinesi

La 66esima sessione dell’Onu ha visto Netanyahu fare una figura ridicola, da piazzista imbonitore. Dopo 20 anni che si suona l’allarme sulle “bombe atomiche iraniane”, instillando spesso il sospetto che ne abbiano già o le stiano producendo, il piazzista imbonitore Netanyahu, che oltretutto veste come un impiegato del catasto al dì di festa e indossa cravatte di banale mancanza di gusto, il suo allarme lo ha lanciato dicendo che “l’Iran ha terminato la prima fase, entro l’estate 2013 concluderà la seconda e da quel momento in poche settimane consentirà di arrivare all’uranio ad alto potenziale necessario a realizzare un ordigno”. E’ la ripetizione caricaturale della menzogna che Bush figlio ordinò al generale Colin Powell, suo Segretario di Stato,  di raccontare all’Onu per ingannare il mondo intero brandendo una bustina che disse piena dei terribili batteri antrace e cianciando di armi di distruzione di massa accumulate dall’Iraq. Powell però il suo show lo mise in piedi su ordine del suo superiore piazzato alla Casa Bianca, Netanyahu invece lo ha messo in scena di propria volontà, convinto forse che a ordinarglielo sia il suo superiore piazzato nell’alto dei cieli…
Come si vede, nonostante l’ormai ventennale starnazzare “Al lupo! Al lupo!” siamo sempre solo nell’anticamera dell’anticamera del pericolo…. Il piazzista imbonitore di Tel Aviv ha in pratica rimandato all’anno prossimo il molto strombazzato attacco all’Iran, puntando – o sperando – che a scendere in campo affianco all’esercito di Tel Aviv siano soprattutto l’esercito Usa con il contorno della Nato. Come una caricatura del Grande Dittatore di Charlie Chaplin, Netanyahu&C sognano un mondo al loro guinzaglio. Megalomania sorprendente. Oltre che molto pericolosa.
Stessa speranza, o pretesa, pare ce l’abbia l’emiro del Qatar, Hamad bin Khalifa Al Thani, monarca assoluto del suo piccolo regno ma straricco di petrolio. Dopo avere avuto il ruolo principale nell'”esportazione della democrazia” in Libia, l’emiro ha tentato il bis in Siria fomentando da mesi, assieme agli Usa, l’Inghilterra e Israele, la rivolta in Siria. Rivolta che vede impegnati non tanto cittadini siriani quanto contingenti di militari e istruttori militari, soprattutto del Qatar, fatti affluire dall’estero, riforniti di armi Usa e affiancati da mercenari strapagati. Dopo mesi di massacri da ambo le parti e di notizie fasulle per spingere l’Occidente a indignarsi e intervenire quindi in armi, l’emiro ha dichiarato a un giornale del Kuwait che “è ora di prendere atto dell’impossibilità di rovesciare il regime siriano”. Motivo per cui Al Thani ritira le sue truppe  e i suoi mercenari dalla Siria e punta sull’intervento degli eserciti dei Paesi del Golfo in blocco più l’Arabia Saudita, sperando inoltre che si muova anche la Nato. E per “spingere” meglio usa la sua formidabile emittente televisiva Al Jazeera per veicolare versioni di comodo e verità pilotate. Continua a leggere

Siamo giornalisti o Minzo Scondinzolini? Uomini o caporali berluschini piegati in preghiera verso Arcore più delle 5 volte al giorno verso La Mecca dei musulmani? La svolta contro l’Iran di Papino il Breve costerà all’Eni, e all’Italia, la perdita degli impianti di Darkhuin e quindi la proprietà di 100 mila barili di petrolio al giorno più una penale e un danno globale di una marea di miliardi di euro. Una stangata di cui approfitterà la Cina, oltre al governo Netanyahu (accusato anche di assassinio in Oman). Intanto il papalinato incassa dai nostri capi di Stato e di governo il silenzio sul silenzio protettore della pedofilia del clero e altri quattrini per la scuola cattolica

Non posso dire, per educazione e rispetto del codice civile e penale, che il direttore del Tguno Augusto Minzolini mi fa augustamente schifo, percò posso dire che il suo giornalismo è ormai davvero esecrabile, servile, se non proprio schifoso. Anzi, è ridicolo. Continuare a battere il chiodo della “giustizia ad orologeria” affermando che le inchiesta giudiziarie arrivano sempre “guarda caso prima delle elezioni” è un argomento da manus habeas o da disonesti in mala fede o da disinformati, tutte cose gravi per un giornalista che per giunta dirige un telegiornale di una tv pubblica anziché del rione Scassanapoli o Spaccamilano. Di elezioni in Italia ce ne sono a getto continuo, tra elezioni per il parlamento europeo, elezioni politiche, cioè per il parlamento italiano, elezioni regionali, cioè per il parlamento regionale, elezioni provinciali, elezioni regionali…. più non di rado qualche referendum. Stando così le cose, egregi Minzolini dello Strapaese, quando lor signori i magistrati potrebbero fare le inchieste ed emettere gli avvisi di reato e gli eventuali mandati di cattura senza venire accusati di “fare politica con l’uso della giustizia ad orologeria”?
Queste cialtronerie accuse minzolinesche sono a ben vedere un boomerang, che dobbiamo far tornare sulla faccia di bronzo, se non peggio, di chi l’ha lanciato. E infatti: di chi è la responsabilità se nello Strapaese ci sono elezioni a getto continuo? Dei magistrati? O piuttosto di una classe politica sempre più gelatinosa, sfaldata, sfaldante, scollata dall’interesse generale, vale a dire berluscona? Il rincorrersi di elezioni anche regionali è responsabilità dei magistrati o dei politici di stampo leghista, localista, “territorialista” cioè affarista?
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Berlusconi e Travaglio uniti: contro i palestinesi. Papino il Breve seppellisce Obama del Cairo e medita di comprarsi l’Eni spendendo però il meno possibile. Ecco perché gli serve danneggiarla con il demenziale ordine di abbandonare l’Iran, il nostro maggiore fornitore di petrolio: per far calare il prezzo dell’oro nero in Borsa. E se in Italia ci scappasse l’attentato sarebbe l’occasione buona per passare dalle leggi ad personam alle leggi speciali. E’ il Partito dell’Amore, bellezza!

In Israele il nostro capo del governo Silvio Berlusconi ha dato il meglio di sé, cioè a dire il peggio in assoluto. Sulla spinta verso il cielo dei suoi fenomenali tacchi non ha saputo resistere alla tentazione di sentirsi più vicino al Dio della bibbia aggiungendo di getto al testo del discorso scritto l’infelice e indecente frase “La reazione di Israele a Gaza è stata giusta”. Oltre che l’ONU, una bella fetta della stessa popolazione israeliana, compreso un bel gruppo di militari che a Gaza c’erano, tutti sanno che la reazione contro Gaza non è stata affatto “giusta”. Ho dimostrato in una precedente puntata del blog che massacrare in due settimane 1.400 persone su un totale di 1.400.000 abitanti equivale a massacrare l’1 per mille dell’intera popolazione. In appena due settimane! E ho dimostrato che neppure l’intera campagna angloamericana di bombardamenti incendiari sulle città tedesche è arrivata a tanto, e in un periodo 50 volte più lungo. Con la sua bella improvvisata il Chiavalier Papino il Breve ha sotterrato Obama e il suo discorso de Il Cairo, peraltro cadavere già sotterrato da Netanyahu. Diciamo che Berlusconi ne ha sigillato la tomba.
Non vorrei essere nei panni di Marco Travaglio, o del Paolo Guzzanti riciclato nè di altri maestrini “di sinistra”, antiberlusconisti a tutto volume, ma per quanto riguarda Gaza berlusconissimi e filo mattanza anche loro. Travaglio col suo solito tono professorin-ieratico ha subito messo in chiaro nel suo blog, non appena i carri armati e i bombardamenti si sono messi in moto, che quella di Israele non era una guerra offensiva, ma una giusta operazione difensiva. Capisco che oggi è ormai impossibile non dico fare carriera ma anche solo non essere soffocati se non ci si inchina verso chi ha in mano gli assi, però certi eccessi andrebbero evitati. Guzzanti nel suo blog modestamente intitolato “Rivoluzione italiana” ha addirittura augurato a Israele  “buona guerra” contro Gaza, festeggiandola o supportandola con pacifiste del calibro di Fiamma Nierenstein, la vera vincitrice di questa fase politica.
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