NEWS del 28 aprile 2025

In questa guerra russo-ucraina l’atteggiamento più curioso degli occidentali (americani ed europei in primis) è la totale incapacità ad ammettere che la Russia sul piano militare è più forte dell’intero occidente collettivo.
Sono passati oltre tre anni e non c’è stato neanche un momento in cui le forze armate russe abbiamo mostrato che in una guerra di logoramento avrebbero potuto essere sconfitte.
La guerra è rimasta sul piano convenzionale (per fortuna, bisogna dire) e la NATO l’ha persa. La Russia ha saputo tener testa, da sola, a 32 Paesi! Non solo, ma, mentre vinceva sul piano militare, si riorganizzava su quello economico-finanziario, affrontando con successo le mille sanzioni occidentali, il congelamento di 300 miliardi di dollari della propria Banca centrale, e persino contribuendo alla creazione di un mondo multipolare e di una mastodontica organizzazione come quella dei BRICS, per non parlare delle nuove relazioni stabilite con quei Paesi africani che vogliono liberarsi del colonialismo europeo.
Dunque, a questo punto, l’occidente cos’ha intenzione di fare? Vuol fare intervenire direttamente la NATO nel conflitto, mantenendolo sul piano convenzionale? Vuole trasformarlo da convenzionale a nucleare? Prima di scendere in campo esplicitamente vuole investire miliardi di capitali nel riarmo? Al momento sembra che stia chiedendo all’Ucraina di resistere il più possibile, cioè il tempo sufficiente affinché la NATO si riarmi per bene e che possa dichiarare guerra alla Russia con un esercito numericamente non inferiore a quello russo. Ma può l’Ucraina resistere altri 3-4-5 anni?
Diciamo questo perché, a leggere le proposte di pace americane ed europee, appare chiaro che non esiste un vero negoziato risolutivo. Alla Russia si chiede soltanto di retrocedere dai territori conquistati. Sul piano giuridico le si riconosce solo la Crimea. Tutti gli altri territori vengono riconosciuti di pertinenza russa solo pro tempore, nel senso che se è vero che al momento li hanno conquistati militarmente, è anche possibile che li perdano in un prossimo futuro.
Si pretende, come base di partenza per una trattativa, la fine delle ostilità, cioè l’occidente pretende una cosa come se sul campo di battaglia fosse lui a vincere. Infatti parla di un cessate il fuoco totale e incondizionato in cielo, a terra e in mare, e che il rispetto di questo ceasefire sarà monitorato dagli Stati Uniti e sostenuto da Paesi terzi, i quali non possono essere disarmati.
Un’Unione Europea altamente belligerante e perdente chiede alla Russia come deve regolarsi nelle trattative di pace. Mi chiedo se nella storia delle guerre del genere umano si sia mai vista una cosa del genere. Sembriamo un chihuahua che abbaia a un rottweiler.

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Ammettiamo una cosa inconfutabile: dai tempi dell’espansione della NATO verso est l’occidente non ha mai fatto una proposta relativa alla sicurezza generale del continente europeo, valida per tutti i Paesi che lo compongono.
Altra verità lapalissiana è che la Russia non è solo un Paese asiatico, ma anche europeo. E la sua sicurezza esistenziale non può essere decisa dagli USA, dalla UE o dalla NATO. Va decisa, come minimo, in una conferenza europea, se non internazionale, visto che non si potrebbero escludere gli Stati Uniti.
Ma poi, pensiamoci bene, considerando che i commerci si svolgono a livello mondiale, come potrebbe essere esclusa da una conferenza del genere un Paese come la Cina? Chi più di lei avrebbe bisogno che nel continente europeo fosse garantita una pace di lunga durata? Un Paese che investe centinaia di miliardi nelle infrastrutture solo per potersi espandere commercialmente nel mondo, ha bisogno come il pane di sicurezza e stabilità.
Ebbene, in Europa non ci sono neanche le basi minime per assicurare la pace nel continente. E non possiamo credere che tale pace possa essere garantita dalle sceneggiate clownesche di Trump.

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Non facciamoci illusioni. Stiamo sì assistendo, in tempo reale, alla fine del capitalismo occidentale, ma non a quella del capitalismo in sé. Si tratta solo di un passaggio di testimone da una forma a un’altra.
Nella storia del genere umano queste transizioni sono eventi naturali, anche se per lo più avvengono in maniera cruenta, poiché, quando si costruiscono potenti società schiavistiche (e anche la nostra lo è, seppure il salariato è giuridicamente libero), non piace morire nel proprio letto: si preferisce combattere il più possibile.
Si pensi al passaggio dalla civiltà greca a quella romana, che rappresentavano due forme di schiavismo privato, con la differenza che uno era basato sull’autonomia delle città-stato, che alla bisogna si univano tra loro per formare delle leghe, mentre l’altro faceva del diritto, della cittadinanza, dell’impero e del suo principe qualcosa di universale.
Lo schiavismo statale era invece rappresentato da Egitto e Persia, che nulla poterono contro i Romani, il primo, e contro i Greci, la seconda.
I Romani erano affascinati dalla cultura greca, ma questo non gli impedì di dominarli fino a quando Costantino non decise di trasferire la capitale dell’impero a Bisanzio, favorendo così un’altra epocale transizione, quella dal paganesimo al cristianesimo.
Oggi sta avvenendo la stessa cosa: Russia e Cina, dopo aver ammesso la superiorità occidentale sul piano tecnico-scientifico, ora ci stanno facendo vedere di sentirsi superiori: l’una sul piano militare, l’altra su quello economico, ed entrambe contro l’intero occidente collettivo.
Smettiamola però con le infatuazioni, con gli entusiasmi da stadio. Sempre capitalismo è. E non diventa più umano o più democratico solo perché l’iniziativa produttiva e commerciale è controllata dallo Stato; o solo perché, come succede in Cina, il capitale viene schermato o circonfuso ideologicamente dalle dottrine del socialismo scientifico, seppur con caratteristiche atipiche.
Diciamo solo che in questo momento noi occidentali dobbiamo abbassare la cresta e guardare le cose da un angolo. Anzi, se fossimo davvero intelligenti, come nel passato abbiamo dimostrato in tanti campi dello scibile umano, dovremmo iniziare a cercare qualcosa che vada oltre i soliti criteri del profitto industriale o della rendita finanziaria, che noi stessi peraltro abbiamo inventato. E questo naturalmente senza ripetere gli errori del socialismo statalizzato.

NEWS del 27 aprile

Funzionari ucraini ed europei hanno respinto alcune proposte statunitensi su come porre fine al conflitto ucraino.
Ma cos’è che dà tanto fastidio? Il riconoscimento alla Russia dei territori sud-orientali che ha conquistato sul campo o che hanno voluto passare sotto Mosca tramite regolari referendum? Queste non sono cose che Putin potrà mettere nel negoziato. Se non vengono riconosciute, la trattativa non parte neanche.
Peraltro gli USA riconoscono de jure solo il possesso della Crimea; per gli altri quattro territori (Donetsk, Luhansk, Zaporizhzhia e Kherson) accettano solo un possesso de facto, dovuto alla forza militare non al diritto dei referendum. Questa è una posizione assolutamente ridicola, poiché implica che, appena l’Ucraina si sarà ripresa militarmente, la guerra scoppierà di nuovo.
Mosca non può accettare neppure che possa essere istituito, preventivamente, un cessate il fuoco, e solo dopo l’avvio dei negoziati. Ancora non s’è capito che la procedura dev’essere invertita: prima l’occidente deve smettere di appoggiare finanziariamente e militarmente Kiev, poi Kiev deve chiedere la resa, e infine si stabilisce la divisione del territorio. In caso contrario la guerra continuerà ad libitum e i russi prenderanno sempre più territori, benché non siano interessati all’area occidentale del Paese, a ovest del Dnepr. A meno che la NATO non voglia entrarvi: in tal caso procederà a occupare anche questa parte del Paese.
L’altra assurda proposta americana prevede che l’Ucraina riconquisti il territorio nella provincia di Kharkov (Kharkiv), che confina proprio con le due regioni di Donetsk, Luhansk. Certo, così da lì, tra qualche anno, i neonazisti potrebbero far ripartire il contrattacco. Proprio non ci siamo. Quello che si è conquistato sul piano militare non può essere ceduto in alcuna maniera. Neppure gli USA lo farebbero. Non si capisce perché debba farlo la Russia.
Anche l’idea stessa che gli USA si prendano il controllo della centrale nucleare di Zaporizhzhia non sta né in cielo né in terra. È inutile che Trump dica che è Zelensky a non volere la pace. È altrettanto inutile che minacci la Russia di spiacevoli conseguenze se non accetta proposte del genere. La pace non può essere ottenuta pensando di fare un favore agli interessi economico-finanziari degli USA, tanto meno se su un territorio già russo.
La delegazione americana chiede anche che gli ucraini possano ottenere un passaggio senza ostacoli lungo il fiume Dnepr, che arrivi sino al controllo della costa di Kinburn, occupata dai russi sin dal maggio 2022. Così, di fatto, potranno accedere al Mar Nero da un territorio già russo, osservando bene l’intera flotta russa e organizzando degli attentati terroristici contro i russi, civili o militari che siano. Anche questa è una proposta fantapolitica, che fa solo perdere tempo. Peraltro proprio a Kinburn si svolse nel 1855 una battaglia navale che i russi persero contro gli anglo-francesi durante la guerra di Crimea. Non lo sanno gli occidentali che i russi sono un popolo amante dei simboli?
Altra proposta priva di qualunque prospettiva: la sicurezza dell’Ucraina sarà garantita da Paesi europei e “altri Paesi amici” (?). Ovviamente l’Ucraina non entrerà nella NATO ma potrà sempre entrare nella UE. Si può essere più antidiplomatici di così? Come può Mosca accettare una presenza militare europea, seppur con funzioni di peacekeeping, quando in questo momento la UE viene considerata l’ostacolo principale al raggiungimento della pace (tant’è che non viene neppure ammessa in sede negoziale)? Peraltro, essendo la UE quasi coincidente con la NATO, è evidente che, se anche si assicura che l’Ucraina non entrerà nella NATO, questa però entrerà in Ucraina.
E che dire della proposta economica di Trump, relativa al fatto che Washington e Kiev attueranno un accordo di cooperazione in materia di minerali? In quali territori ciò avverrà se ancora non si sa come sarà divisa l’Ucraina?
Insomma l’unica cosa valida delle proposte americane riguarda la revoca delle sanzioni e la ripresa della cooperazione economica in materia di energia e altri settori industriali. Ecco, deve essere stata questa cosa che agli statisti russofobici della UE non è andata a genio. Per loro le sanzioni devono rimanere a tutti i costi e i miliardi congelati alla Banca centrale della Russia vanno utilizzati per ricostruire l’Ucraina.

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Ha scritto Trump: “Putin non aveva motivo di lanciare missili contro aree civili, città e paesi negli ultimi giorni. Questo mi fa pensare che forse non vuole fermare la guerra, ma sta solo giocando con me e che bisogna trattarlo in modo diverso, attraverso ‘operazioni bancarie’ o ‘sanzioni secondarie’? Troppe persone stanno morendo!”.
Trump parla come un bambino viziato, capriccioso. Appena dice qualcosa, pretende che gli altri si conformino ai suoi desiderata, come fossero dei lacchè. Non capisce che Putin va trattato come suo pari. Non è uno scolaretto che va punito per colpa di qualche marachella. Anche perché potrebbe, se volesse, distruggere completamente l’Ucraina in pochi giorni. E non ci sarebbe alcun Paese al mondo in grado di fermarlo. Se non lo fa, è perché ha un certo senso dell’etica, è lontanissimo dall’idea di terrorizzare i civili, tanto più che gli ucraini sono strettamente imparentati coi russi. Lo sono da quando il cristianesimo ortodosso ha messo le prime radici tra gli slavi proprio in quel Paese. La Chiesa russa fa risalire le sue origini al battesimo del principe Vladimir I di Kiev nel 988. Per i russi non ha alcun senso distruggere questa nazione. Sarebbe come cancellare la propria memoria. Né possono farlo per far capire agli occidentali che non hanno intenzione di scherzare. Non possono radere al suolo Kiev per far capire agli euroamericani che devono smettere di sostenere militarmente i neonazisti che governano il Paese.
Sono in grado gli americani o gli europei di capire questa cosa? Sarebbero disposti gli americani a bombardare a tappeto una città come Londra? Le atomiche le hanno sganciate sui giapponesi perché li consideravano una razza inferiore. Ma non l’avrebbero mai fatto sulla Germania nazista, che pur non era meno feroce del Giappone.
A volte ci si chiede: la von der Leyen, la Kallas, Borrell, Stoltenberg, Rutte, Metsola, Macron, Starmer, Draghi, Meloni, Tajani e tanti altri statisti e persone di spicco in Europa da dove vengono? In quale pianeta vivono? Che studi hanno fatto? Hanno mai capito qualcosa dei russi o degli slavi in generale? Riescono vagamente a intuire che non hanno radici culturali identiche alle nostre?
Insomma si fa una certa fatica a capire se Trump sia proprio limitato di suo, o se sia impossibile aspettarsi che gli USA possano votare un presidente migliore. Da come parla, sembra che gli americani non sappiano nulla né di storia né di democrazia. Si esprimono come da noi si potrebbe fare al bar o dal barbiere.

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Forse non ci rendiamo bene conto che contro i russi, in una guerra convenzionale, è impossibile vincere. È un territorio troppo grande.
Hitler infatti non pensava minimamente di occupare la sua area asiatica. Sapeva benissimo di non averne le forze. Si sarebbe accontentato dell’area europea, che per lui andava dal Mare di Barents al Mar Nero. Semplicemente sperava che, occupando Mosca, l’intera URSS si sarebbe arresa. Tuttavia quando si rese conto che Mosca non riusciva a espugnarla, fece un errore che pagò caro: invece di attestarsi sulle posizioni già acquisite, decise di occupare Stalingrado, poiché gli facevano gola le riserve energetiche del Caucaso.
Forse pochi sanno che il tentativo di conquistare questa città, gli costò una sconfitta colossale: 1,5 milioni di uomini, tra morti, feriti e arresi. Non si era mai vista una cosa del genere. Lo stesso Hitler fu costretto a dichiarare il lutto nazionale nel febbraio 1943.
Nonostante ciò non si arrese. Anzi, nel saliente di Kursk, fu organizzata una gigantesca battaglia di carri armati: in tutto ve n’erano 1.200. I nazisti erano convinti che i loro Tigre, Pantera e Ferdinand fossero migliori, imbattibili. Invece fu un’altra tragedia: i tedeschi persero un altro mezzo milione di uomini.
Sappiamo tutti come andò a finire. I nazisti si arresero solo a Berlino. Ma, prima di questa resa incondizionata, aveva già perso milioni di militari. Sono cifre che nessuna “NATO” al mondo, per nessuna ragione, potrebbe sopportare, nessun Paese occidentale sarebbe disposto a sostenere, neanche se si preparasse alla guerra nell’arco di una decina d’anni.
I tedeschi iniziarono la guerra in Russia il 22 giugno 1941 e la terminarono in Germania l’8 maggio 1945. Nessun esercito europeo o americano sarebbe in grado di condurre una guerra così devastante per un periodo così prolungato e con perdite così colossali. La stessa Russia perse oltre 27 milioni di persone. L’intera Italia a quel tempo arrivava a circa 45 milioni di abitanti. Immaginiamo cosa possa voler dire che, finita la guerra, più di una persona attorno a ognuno di noi è scomparsa.
Quando la NATO attacca usa la tattica hitleriana della guerra-lampo. Questo vuol dire che prepararsi per una guerra convenzionale di lungo periodo, destinata ad avere perdite colossali, è una cosa che può venire in mente solo a dei politici che non sanno nulla di questioni militari. Al loro confronto i nostri generali sono delle menti illuminate.
Dunque una guerra contro la Russia può essere condotta solo sul piano nucleare, col rischio però di tornare, nel migliore dei casi, all’età della pietra.
L’occidente ha provato a distruggere la Russia al tempo della guerra fredda, usando propaganda, spionaggio e consumismo, e quasi vi era riuscito. Ma con Putin la musica è cambiata. I russi se lo ricorderanno nei secoli a venire.
La Russia non ha solo infinite riserve sul piano energetico, ma anche grandi capacità di riscatto sociale, di orgoglio nazionale, di tenuta morale, di spirito collettivistico, di sopportazione dei sacrifici che noi in Europa (ma diciamo pure nell’occidente collettivo) abbiamo perduto dopo molti secoli di vita borghese.
Tenere in allarme le popolazioni europee può voler dire solo una cosa: gli statisti, e naturalmente tutte le oligarchie che loro rappresentano, essendo profondamente corrotti, si stanno preparando a sostituire la democrazia formale con una dittatura reale. La Russia servirà solo come pretesto, proprio perché nessuna dittatura ha senso se non vi è un pericoloso nemico da sconfiggere. E gli Stati Uniti faranno lo stesso con la Cina, tanto tra europei e americani ci s’intende.

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In Italia il mainstream ha taciuto del fatto che Zoran Milanović ha trionfato nel secondo turno delle elezioni presidenziali croate, tenutesi lo scorso 12 gennaio, venendo confermato alla guida del Paese per un altro mandato quinquennale (il regime però è parlamentare non presidenziale, e sia il parlamento che il governo restano sotto il controllo del centro-destra, apertamente filo-atlantista).
Aveva avuto un risultato schiacciante: il 74,68% dei voti, contro il 25,32% raccolto dal suo avversario, Dragan Primorac, candidato sostenuto dall’Unione Democratica Croata, formazione di centro-destra che fa capo al premier Andrej Plenković, e che è stata oggetto di numerosi scandali di corruzione, tant’è che al tempo del suo primo mandato, anche grazie alle sue denunce, ben 30 ministri furono costretti a dimettersi.
La vittoria è stata snobbata perché rappresenta un segnale politico che vede sempre più popoli europei votare contro le politiche militariste della NATO e dell’Unione Europea.
Già durante il suo primo mandato Milanović (sostenuto dalle forze di centro-sinistra e in particolare dal partito socialdemocratico) aveva bloccato l’invio di ufficiali croati alla missione NATO in Germania per la formazione di truppe ucraine e aveva promesso che nessun soldato croato avrebbe partecipato a missioni in Ucraina.
Milanović ha sottolineato l’importanza di proteggere il Paese dall’essere “trascinato in guerra” e ha ribadito che il suo obiettivo è mantenere una posizione equilibrata che tenga conto degli interessi nazionali, piuttosto che seguire ciecamente i diktat di Bruxelles e Washington.
Insomma sarebbe una gran cosa se nella UE si cominciassero a premiare dei politici o degli statisti che promuovono una visione più indipendente della politica estera, opponendosi all’interventismo militare.

News del 26 aprile

Il 22 aprile nella regione del Kashmir indiano, un gruppo di 26 turisti è stato ucciso, tra cui cittadini provenienti da India e Nepal. Il crimine è stato rivendicato da Resistance Front, una fazione legata al gruppo terroristico pakistano Lashkar-e-Taiba.
L’India ha reagito bloccando le chiuse del fiume Indo verso il Pakistan. Islamabad considera questa violazione dell’approvvigionamento idrico come un “atto di guerra”.
Per entrambi i Paesi il bacino dell’Indo è una fonte d’acqua vitale per l’agricoltura: un accordo del 1960 regolava la distribuzione di ben sei fiumi.
L’India ha già annunciato l’espulsione di tutti i pakistani cittadini e degli ambasciatori, la cancellazione dei loro visti e la chiusura della frontiera con quel Paese. Sta pensando anche di abolire l’accordo di cessate il fuoco del 2021.
In tutto il Pakistan si stanno verificando proteste anti-indiane: la folla grida “La guerra continuerà finché il Kashmir non sarà liberato”. Il Kashmir è una regione suddivisa tra India, Cina e Pakistan, sempre fonte di tensioni sin dalla fine dell’India britannica nel 1947. Dopo l’abolizione dello status speciale del Jammu e Kashmir nel 2019, l’India ha intensificato i suoi sforzi per integrare la regione.
Il governo pakistano ha chiuso il suo spazio aereo alle compagnie aeree indiane; ha sospeso tutti i trattati bilaterali, compreso l’accordo di Simla del 1972 sulla linea di controllo.
Si ricorda che entrambe sono potenze nucleari: le atomiche indiane sono 180; quelle pakistane 170. L’esercito indiano è più del doppio di quello pakistano.
Da dove nasce questo improvviso conflitto? Dal fatto che gli USA stanno provocando un’altra guerra per procura su larga scala lungo la rotta delle merci cinesi verso l’Europa e del petrolio mediorientale verso la Cina. Infatti l’escalation è avvenuta subito dopo la visita del vicepresidente statunitense Vance in India. L’ingenuo presidente Modi è convinto di avere l’appoggio americano in caso di conflitti con Cina o Pakistan.
Il Pakistan è l’alleato militare più vicino a Pechino (è il maggiore acquirente di armi cinesi) e la Cina è il principale partner commerciale del Pakistan.
Il Pakistan rappresenta per la Cina un ponte sicuro verso il petrolio iraniano (anche Teheran è vicina a Islamabad): un ponte che Stati Uniti e India potrebbero non consentire di attraversare via mare se il confronto tra Cina e USA raggiungesse un nuovo livello.
Naturalmente queste tensioni servono anche a Washington per indurre Pechino a essere più accomodante nei negoziati sui dazi.

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Zelensky dimostra sempre più di non avere contezza di ciò che afferma. Infatti continua a ribadire che solo il popolo ucraino decide il destino dei propri territori.
Tutti i territori temporaneamente occupati, tra cui la Crimea, sono ancora considerati ucraini in conformità con la Costituzione e il diritto internazionale.
Ha poi aggiunto che le questioni territoriali potranno essere discusse solo dopo un cessate il fuoco incondizionato. Allo stesso tempo, ha riconosciuto che Kiev non ha armi sufficienti per riconquistare la Crimea, ma che esistono sanzioni e strumenti diplomatici.
Zelensky ha affermato che l’Ucraina conta sul sostegno degli Stati Uniti, così come fa Israele: ciò potrebbe includere la difesa informatica, i sistemi di difesa aerea e lo sviluppo delle infrastrutture, senza la presenza obbligatoria dell’esercito americano.
Questo presidente il cui mandato è scaduto dall’aprile 2024, ha uno strano modo di ragionare.
Non si rende conto che parte del suo popolo ha già deciso di voler stare sotto la Russia. Lo dimostrano vari referendum: quello del 2014 in Crimea e Sebastopoli; quello del 2022 a Donetsk, Lugansk, Zaporozhye e Kherson.
Hanno un valore i referendum per la secessione o l’indipendenza oppure no?
Questa guerra in Ucraina sembra essere un conflitto non tanto tra Ucraina e Russia o tra NATO e Russia, quanto tra Stato centrale di Kiev e regioni periferiche espresse da minoranze nazionali. Se una minoranza chiede di separarsi completamente da un potere centrale, significa che ci sono motivi gravissimi, altrimenti non lo farebbe.
Che senso ha impedire alle proprie minoranze nazionali di chiedere aiuto alla Russia quando il governo centrale si avvale dell’aiuto dell’occidente collettivo per reprimerle? Anzi il governo golpista di Kiev è frutto del sostegno euroamericano, e senza questo sostegno non ci sarebbe stata una guerra civile, durata ben 8 anni, contro la propria minoranza russofona.
D’altronde in Ucraina è dal 2019 che non si fanno più elezioni. Cosa può sapere Zelensky degli orientamenti politici del suo popolo, che peraltro dal 2022 ad oggi si è ridotto a 33 milioni di abitanti, rispetto ai 41 d’anteguerra?
Ben 11 partiti sono stati messi al bando e centinaia di oppositori si trovano in carcere. Il governo di Kiev è solo una dittatura che lo stesso popolo ucraino dovrebbe abbattere a prescindere dall’adesione o meno alla Federazione Russa.
Immaginiamo cosa potrebbe accadere in Estonia o in Lettonia, se i governi centrali fossero altamente russofobici come quello ucraino. Là il 25% è di origine russa. Inevitabilmente si rischierebbe un replay.

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Durissima Maria Zakharova contro il Segretariato dell’ONU. In genere è più diplomatica. Ha detto:
Sin dal colpo di stato incostituzionale di Kiev del 2014, il Segretariato delle Nazioni Unite ha costantemente perseguito una politica di “doppi standard” riguardo agli eventi in Ucraina.
Non abbiamo ricevuto alcuna critica dai rappresentanti del Segretariato nei confronti dei sostenitori di Maidan, mentre il regime di Kiev ha condotto una vera e propria guerra contro i cittadini delle regioni orientali di quella che allora era l’Ucraina per oltre 8 anni.
Non vi sono state richieste da parte dei rappresentanti dell’ONU di un dialogo diretto tra Kiev e il Donbass, come previsto dalla risoluzione 2202 del Consiglio di sicurezza, che ha approvato il pacchetto di misure per l’attuazione degli accordi di Minsk.
Per i rappresentanti dell’ONU è diventata la norma ignorare sistematicamente le palesi violazioni da parte del regime di Kiev delle norme fondamentali del diritto umanitario internazionale, tra cui:
– l’uso di civili come “scudi umani”,
– lo spiegamento di equipaggiamento militare e l’istituzione di postazioni di tiro nelle zone residenziali,
– tortura e maltrattamenti di prigionieri di guerra e civili,
– uccisioni mirate di civili.
Quando si verificarono la “messa in scena di Bucha” e i tragici eventi alla stazione ferroviaria di Kramatorsk nell’aprile 2022; durante l’evacuazione dei civili dalla zona di “Azovstal” nel maggio 2022; dopo l’attacco terroristico al ponte di Crimea nell’ottobre 2022; quando il mondo intero fu testimone dei crimini disumani della cricca di Kiev contro la popolazione civile nella regione di Kursk in seguito all’invasione delle forze ucraine nell’agosto 2024; dopo gli omicidi mirati di giornalisti russi che prestavano servizio sia al fronte che sul territorio russo, nessuno del Segretariato dell’ONU tentò di notare nulla.
Viceversa, osserviamo regolarmente come la parte russa venga accusata di presunti attacchi deliberati alle infrastrutture civili ed energetiche dell’Ucraina. Un esempio recente sono i commenti del portavoce del Segretario generale, Stéphane Dujarric, in merito agli eventi di aprile nella città di Sumy, con considerazioni e finzioni su… una serie di attacchi alle città ucraine che “hanno provocato vittime tra la popolazione civile e una massiccia distruzione”.
Il Segretario generale si è compromesso con una serie di dichiarazioni valutative parziali sulla volontà della popolazione nelle regioni di Zaporižžja e Kherson, così come nelle repubbliche popolari di Donetsk e Luhansk. Secondo lui, “la decisione di annettere le regioni di Donetsk, Luhansk, Zaporižžja e Kherson non avrà alcun valore legale” e anzi “merita di essere condannata”.
Gli attuali funzionari dell’ONU dimenticano che il loro ruolo è quello di agire come custodi dei princìpi della Carta nella loro interezza, complessità e interrelazione.
Per noi è ovvio che il comportamento del Segretario generale e dei suoi subordinati è completamente incompatibile con l’essenza, la formulazione e lo spirito dell’art. 100 della Carta dell’ONU, che richiede al personale del Segretariato di rispettare il principio di imparzialità, inclusa la necessità di “astenersi da qualsiasi azione che possa influire negativamente sulla loro posizione di funzionari internazionali che sono responsabili solo nei confronti dell’Organizzazione”.
Le azioni e le dichiarazioni del Segretario generale non sono conformi all’art. 97 della Carta dell’ONU, che gli assegna il ruolo di “capo amministrativo dell’Organizzazione”. Tali funzioni non garantiscono al capo del Segretariato il diritto di rilasciare dichiarazioni politiche impegnate a nome dell’intera Organizzazione e di interpretare le norme della Carta e i documenti dell’Assemblea Generale.
In questo contesto è quasi strano parlare di un possibile ruolo di mediazione del Segretariato nella crisi ucraina.
Insomma da queste dichiarazioni così nette pare evidente che la Russia abbia intenzione di ripensare seriamente la funzione dell’ONU, o quanto meno di rimettere in discussione la credibilità del suo Segretariato.

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“Zelensky può avere la pace adesso o combattere per altri tre anni prima di perdere l’intero Paese”, ha tuonato Trump.
Però è comodo scaricare tutto su Zelensky. Inutile che Trump dica che questa non è la sua guerra ma quella di Biden. Questa è la guerra voluta dagli USA, di cui Trump è presidente. Il golpe del 2014 l’hanno organizzato loro, con prove evidenti.
Zelensky, come tanti altri nazionalisti e neonazisti ucraini, sono stati gli ingenui di turno che han creduto alle sirene occidentali, quando queste promettevano una facile vittoria contro la Russia. Adesso si sentono traditi e non sanno cosa fare. Gli stessi occidentali non sanno letteralmente come uscirne, salvando la faccia. Trump può fare tutte le dichiarazioni che vuole, può anche staccarsi dalle intenzioni degli statisti europei più sciagurati, che vogliono continuare la guerra, ma non può pretendere che Mosca si pieghi alla sua volontà.
Putin non è entrato in guerra a cuor leggero: ci ha pensato otto anni prima di farlo, poiché credeva negli Accordi di Minsk. Le condizioni dell’operazione militare speciale erano state fissate chiaramente sin dall’inizio, e non sono ancora state adempiute tutte, e non lo saranno finché l’occidente, quindi inclusi gli USA, non smetterà di sostenere la giunta di Kiev. Trump ha ragione solo su una cosa: se Zelensky non accetterà la resa incondizionata, perderà l’intero Paese. Solo che non lo perderà fra tre anni, ma molto prima.
A Putin non può interessare minimamente che Trump voglia una pace affrettata, non avendo gli USA più soldi da spendere per questa proxy war. Personalmente non credo neppure che auspichi una rimozione violenta di Zelensky ad opera di qualche killer pagato dalla CIA. Piuttosto è il popolo ucraino che deve convincersi d’aver sostenuto un regime che di democratico non aveva assolutamente nulla. Questo perché, per avere una propria sicurezza esistenziale, non può bastare alla Russia che l’Ucraina non entri nella NATO o sia smilitarizzata o il governo sia denazificato. Gli ucraini devono capire che non è in nome della russofobia che si può costruire la fiducia reciproca. E non devono neppure pensare che, siccome han perso la guerra, saranno costretti ad accettare la democrazia.

Vivere a debito

L’America d’oggi è la rappresentazione del capitale fittizio: il dollaro funziona come valuta di riferimento del sistema internazionale dei pagamenti finché mantiene la fiducia nei suoi confronti.
Tuttavia la fiducia si dà alle cose serie e col Trump di oggi si fa molta fatica, che un giorno dice una cosa e il giorno dopo l’opposto, come se non fosse lui in persona a parlare, ma gli interessi che lo affiancano.
C’eravamo già accorti dei bluff colossali degli Stati Uniti in altre occasioni. Dapprima collegarono la convertibilità del dollaro all’oro, costringendo gli altri Paesi a collegare le loro monete al dollaro. Poterono far questo poiché si era capito chiaramente che gli USA avrebbero vinto la seconda guerra mondiale, senza subire in patria alcun vero danno. Anzi, sarebbero stati loro a finanziare la ripresa economica degli Stati europei semidistrutti.
Poi, quando loro stessi si accorsero che per sostenere le guerre successive al secondo conflitto mondiale, occorrevano ingentissimi capitali (si pensi solo alle guerre di Corea e del Vietnam), ecco che ci ripensarono, e decisero che il dollaro era meglio collegarlo al petrolio, visto ch’era una materia prima molto più diffusa e usata dell’oro e visto che in Medioriente gli USA avevano saputo efficacemente sostituirsi a Francia e Gran Bretagna, considerati “imperialisti” dal mondo arabo.
A partire dal 1971 iniziarono praticamente a vivere di rendita, in quanto tutti i Paesi industrializzati del mondo avevano bisogno del petrolio per svilupparsi.
Di questi improvvisi voltafaccia, in base ai quali gli USA pensano solo ai loro interessi nazionali, in barba a tutti i rapporti di fiducia con altri Paesi, e a tutte le alleanze commerciali e militari, ne abbiamo visti parecchi.
Durante la crisi dei mutui subprime del 2008 venne alla luce un immenso “schema Ponzi”, che non fu pagato solo dagli americani, ma anche dall’intero pianeta (tutte le banche si riempirono di “titoli tossici”, che non valevano nulla).
Quando uno Stato permette alle banche di emettere prestiti superiori alla consistenza dei loro depositi, vuol dire che si sta creando capitale fittizio. Quando uno Stato o una Banca centrale salva le banche in procinto di fallire, emettendo banconote come se fosse una tipografia, vuol dire che la ricchezza è puramente illusoria e altre bolle potrebbero scoppiare negli anni a venire.
Creare denaro dal denaro, grazie alla sua semplice circolazione, senza passare per la produzione di merci, può essere fatto solo da un Paese arrogante, che pensa di continuare a vivere di rendita e di continuare a dominare il pianeta sul piano militare. Queste pretese oggi vengono messe in discussione dai Paesi del BRICS+ e da tutto il Sud Globale. Gli USA han tirato troppo la corda e ora un capitombolo è inevitabile. La politica daziaria è un atteggiamento da disperati. Stanno facendo la parte dell’agrario feudale, cui la nascente borghesia toglieva il potere da sotto i piedi.

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Il debito funziona finché c’è circolazione di merci. Fu inventato dai mesopotamici (una delle prime società schiavistiche) per rispondere alle esigenze del lavoro della società e del commercio di materie prime come argento o legno. I babilonesi scambiavano i prodotti stipulando promesse di pagamento, delle proto-cambiali che fungevano da sostituto del denaro che veniva accettato nella misura in cui qualcuno lo garantiva.
Oggi tutti i Paesi sono indebitati e ogni Paese cerca di correggere questo processo scaricando sugli altri contraddizioni che così diventano mondiali. L’economia globale si basa su un debito che non è ripagabile, sul fatto che gli USA, come tutti gli altri Paesi, possono contrarre nuovo debito solo se qualcuno gli fa credito. Il rapporto debito globale/PIL supera il 300%.
Praticamente noi viviamo solo di debiti. Già alla nascita in Italia abbiamo 50.000 euro di debiti. Non c’è più alcuna responsabilità nei confronti del denaro. Possiamo fare qualunque progetto basato sul debito. Ogni giorno ci si chiede perché risparmiare quando i debiti sono diventati generalizzati, cioè riferibili all’intera popolazione nazionale e persino internazionale. È così che muore la fiducia tra le generazioni, quella che per es. tiene in piedi lo Stato sociale (pensioni, sanità scuola…).
A questo punto è evidente che, andando avanti di questo passo, l’unica vera alternativa al denaro diverrà il baratto: un bene contro un altro bene, il cui valore verrà deciso dall’uso, non dal mercato. Là dove c’è baratto, c’è valore d’uso non di scambio, e dove c’è valore d’uso c’è autoconsumo, e il mercato si riduce appunto al baratto.
Ma perché miliardi di persone possano fare autoconsumo, bisogna prima espropriare la terra a chi la usa come capitalista agrario. Poi, siccome sarà piena di veleni e supersfruttata, bisognerà riconvertirla. Insomma non sarà facile.

Ride bene chi ride ultimo

Trump si era divertito un mondo quando aveva detto a Zelensky, davanti ai giornalisti: “Non hai le carte per vincere”. Aveva dato sfoggio del fatto che è proprietario di alcuni casinò.
Ma sul piano commerciale ora è la Cina che gli dice: “Non hai le carte per vincere, datti una calmata”.
Infatti non c’è dubbio che le conseguenze dei dazi possono avere un certo peso per i produttori cinesi orientati all’export, soprattutto quelli delle regioni costiere che producono mobili, abbigliamento, giocattoli ed elettrodomestici per i consumatori americani.
Ma questi produttori sanno velocemente come regolarsi. Infatti la prima volta che Trump ha posto i dazi alla Cina è stato nel 2018. In quell’anno le esportazioni cinesi dirette negli USA rappresentavano il 19,8% dell’export totale della Cina. Ma già nel 2023 tale percentuale era scesa al 12,8%.
Entro il 2022 gli USA facevano affidamento sulla Cina per 532 categorie di prodotti chiave, quasi quattro volte il livello del 2000, mentre la dipendenza della Cina dai prodotti statunitensi si era dimezzata nello stesso periodo.
La Cina domina la catena di approvvigionamento globale delle terre rare, fondamentale per l’industria militare e high-tech, fornendo circa il 72% delle importazioni statunitensi di questi minerali.
La Cina mantiene anche la capacità di prendere di mira settori chiave dell’export agricolo statunitense, come pollame e soia, fortemente dipendenti dalla domanda cinese e concentrati negli Stati a maggioranza repubblicana.
I dazi praticamente avevano e ancora adesso hanno spinto il Paese ad accelerare la sua strategia di espansione della domanda interna, liberando il potere d’acquisto dei consumatori e rafforzando l’economia interna.
Hanno avuto la stessa funzione delle sanzioni nei confronti della Russia, le cui aziende hanno sostituito quelle che se ne sono andate. Inoltre hanno indotto a cercare nuovi partner commerciali.
Coi suoi dazi tariffe sanzioni embarghi crediti usurari l’occidente fa il bullo coi Paesi più piccoli, più deboli, ma con quelli più grandi e più forti trova solo un muro di gomma. Si mangia le mani per le occasioni perdute. Prepara delle ritorsioni di tipo militare, che però contro questi colossi lo metteranno al tappeto.
Noi siamo destinati a uscire dalla storia, proprio perché è la storia che vuole uscire da noi.

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Nel 2024 l’export statunitense verso la Cina ha raggiunto i 143,5 miliardi di dollari, in calo del 3% rispetto al 2023. Le importazioni dalla Cina però sono arrivate a 438,9 miliardi di dollari.
Dunque chi è più forte? Chi produce di più con una fatica immane o chi si diverte a speculare sul piano finanziario?
Si noti che nel 2000 il deficit americano nella bilancia commerciale con Pechino era di soli 83 miliardi di dollari.
Rispondendo alla domanda di un giornalista nello Studio Ovale della Casa Bianca, Trump ha già dovuto ridimensionare le sue pretese dicendo: “Il 145% è tanto. Non sarà così alto… non sarà nemmeno lontanamente vicino a quel livello. Scenderà significativamente, ma non arriverà allo zero”.
Ancora però non ha capito che con un Paese come la Cina lo squilibrio commerciale non si risolve. Per non parlare del fatto che proprio tale squilibrio ha come contropartita il fatto che la Cina (come tanti altri Paesi) sostiene il dollaro, i prestiti bancari, i titoli di stato, il bilancio e persino le borse e tutte le rendite parassitarie degli Stati Uniti.
Se Trump non si dà una calmata, la guerra commerciale si trasformerà in guerra militare, e questa volta, in maniera inedita, gli USA sperimenteranno distruzioni e devastazioni all’interno dei loro stessi confini.

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Visto che sul piano diplomatico l’intero occidente collettivo è piuttosto carente, o perché sostiene acute guerre commerciali, o perché non vuole concludere le due guerre militari in corso (quelle condotte dai due regimi dittatoriali di Kiev e Tel Aviv), siamo costretti a porci la seguente domanda: perché mai la guerra dovrebbe rappresentare un orizzonte di soluzione delle crisi generate dal capitale, che sostanzialmente sono dovute a una caduta del tasso di profitto?
Qui le risposte da dare potrebbero essere almeno quattro:
1) la guerra si presenta come una spinta non negoziabile a investimenti massivi, che possono rilanciare un’industria esangue. Grandi commesse pubbliche nel nome del “sacro dovere della difesa” possono riuscire a estrarre le ultime risorse pubblicamente disponibili per riversarle in commesse private. Di qui l’intenzione non solo di aumentare la quota del PIL riservata alla difesa nazionale, riducendo quindi quella destinata al Welfare, ma anche di usare i risparmi privati dei cittadini, depositati in banche e poste, per il riarmo europeo.
2) La guerra rappresenta una grande distruzione di risorse materiali, di infrastrutture, di esseri umani. Tutto ciò, che dal punto di vista del comune intelletto umano è una grande disgrazia, dal punto di vista dell’orizzonte di investimenti è una magnifica prospettiva. Infatti si tratta di un evento che “ricarica l’orologio della storia economica”, evitando quella saturazione di investimento micidiale per le sorti del capitale, bisognoso di autovalorizzarsi di continuo. Dopo una grande distruzione si riaprono praterie per investimenti facili, che non hanno bisogno di alcuna innovazione tecnologica: strade, ferrovie, acquedotti, case, e tutto l’indotto di servizi. Non a caso i grandi capitali cercano già ora di accaparrarsi le commesse per la futura ricostruzione, prima ancora che le guerre finiscano. La più grande distruzione di risorse di tutti i tempi – la seconda guerra mondiale – fu seguita dal più grande boom economico dagli inizi della rivoluzione industriale.
3) I grandi detentori di capitali finanziari non hanno paura di perdere il loro potere quando vi sono in atto delle guerre, a meno che non vengano espropriati da rivoluzioni popolari, che però in occidente mancano da un pezzo. Il denaro, avendo natura virtuale, rimane intoccato da qualunque grande distruzione materiale (purché ovviamente non vi sia un annichilimento planetario, ma nessuno vuole una soluzione finale del genere).
4) La guerra sembra avere il potere di congelare o arrestare tutti i processi di potenziale rivolta, tutte le manifestazioni di scontento dal basso. La guerra è un potente meccanismo per disciplinare le masse, ponendole in una condizione di subordinazione da cui non possono uscire, pena l’essere identificati come “complici del nemico”.
Per queste ragioni l’orizzonte bellico, per quanto al momento lontano dagli umori predominanti nelle popolazioni europee, è una prospettiva da prendere sul serio. Non dobbiamo pensare che una guerra possa scoppiare dall’oggi al domani. Ci vuole un certo tempo per attuarla, e non bastano né le armi né gli uomini. Ci vuole una propaganda convincente per le popolazioni che non saranno in prima linea, ma che dovranno comunque subire pesanti conseguenze.

Niente di nuovo sul fronte occidentale

Chissà perché è molto più facile distruggere che costruire. Forse perché per costruire ci vuole l’impegno di intere popolazioni, mentre per distruggere bastano poche persone, cioè scienziati militari politici: pochi irresponsabili, privi di coscienza morale o che si danno intenti morali per compiere cose disumane.
Per uno scienziato costruire un ordigno particolare, che in un attimo produce un’energia immensa, è considerato un’impresa di successo, anche se sa benissimo che non avrà uno scopo civile ma militare.
La frenesia prende anche un militare che usa ordigni del genere su quanti più nemici possibili, proprio perché gli è stato insegnato che sono tutti pericolosi, tutti colpevoli di qualcosa, anche i neonati. E questa distruzione serve per evitare che muoiano i propri commilitoni. Abbiamo già visto questo film americano in Giappone, e ora lo stiamo rivedendo a Gaza.
Un politico poi, che, usando le tasse dei cittadini, chiede allo scienziato di produrre bombe di distruzione di massa e al militare di usarle contro un nemico ben individuato, non può che essere soddisfatto di sé quando vede che il nemico si arrende.
Siamo in mano a pazzi consapevoli di sé, che pensano di essere nel giusto proprio quando compiono azioni abominevoli. Se dopo una guerra costoro riusciranno a sopravvivere, come potranno essere giudicati? Come minimo, in via preventiva, il popolo che li giudica dovrebbe fare un’ammissione di colpevolezza e dire: “Questi mostri li abbiamo generati noi. Giudicandoli, giudichiamo noi stessi e tutta l’ideologia che ci ha indotti a compiere cose che ci apparivano assurdamente giuste”.

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La prima guerra mondiale è servita per distruggere i tardi imperi feudali che avevano appena iniziato a imborghesirsi: russo, prussiano, austro-ungarico e ottomano. Il grande capitalismo europeo (Francia e Inghilterra) aveva bisogno di smembrarli per meglio dominarli. Solo con la Russia non vi riuscì a causa della rivoluzione bolscevica.
La seconda guerra mondiale servì per impedire che le ultime nazioni giunte sulla strada del capitalismo (Germania, Italia, Giappone) potessero minacciare i poteri coloniali di Francia e Inghilterra, le quali però, pur uscendo vittoriose grazie all’impegno di USA e URSS, si trovarono nettamente surclassate dalla superiorità economica e finanziaria degli USA, che non avevano subìto alcun danno materiale al proprio interno, a parte il crack borsistico del 1929.
Ora sta per scoppiare la terza guerra mondiale. Ovviamente ci vorrà tempo. Ma sin da adesso è evidente, agli occhi delle potenze occidentali, chi sono i principali “Stati canaglia” dell’Impero del Male: Cina, Russia, Iran e Corea del Nord. L’occidente teme anche il gruppo dei BRICS+, che, nel suo insieme, esprime una grande potenza produttiva e commerciale.
La compravendita di bunker sarà un affare colossale, al pari della fabbricazione di armi letali. I poveretti potranno illudersi coi kit salvavita. Se avranno qualche soldo in più si compreranno un rilevatore Geiger, magari in qualche negozio cinese.

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Nella prima guerra mondiale sono state eliminate più di 10 milioni di persone. Nella seconda più di 50 milioni. Nella terza potrebbero essere più di 500 milioni. Al capitale non importa molto: da tempo sostiene che siamo troppi e che non ci sono abbastanza risorse per tutti. L’ideologia è quella malthusiana.
Andando avanti di questo passo, le apocalissi finiranno solo quando saremo tornati all’età della pietra. Piccole comunità autarchiche che eviteranno di mettersi in contatto tra loro per paura di contaminarsi. Già oggi esistono comunità del genere, che non vogliono vederci neppure da lontano. Le chiamiamo “incontattate”.
In effetti se non cambiamo cultura ideologia mentalità, e ci limitiamo a un semplice pentimento morale per i disastri che combiniamo, la prossima volta sarà mille volte peggio, perché nel frattempo le armi saranno diventate più potenti e sofisticate. Né l’etica né la politica sono in grado di cambiare le cose in positivo e alla radice. Occorre una nuova visione della realtà.
E questa visione non pare possibile trovarla là dove esiste urbanizzazione, industrializzazione e finanziarizzazione. Qui è sbagliato il paradigma interpretativo, l’angolo visuale, la prospettiva.
Qui non è più questione di capitalismo (privato o statale) né di socialismo (statale o mercantile). C’è qualcosa di sbagliato a monte, qualcosa che precede le scelte politiche che si fanno a valle. È lo stile di vita che va ripensato, totalmente, integralmente.

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Certo che se ha ragione Marx quando diceva che il capitalismo ha bisogno periodicamente di distruggere le cose per poterle ricostruire, altrimenti non riesce ad autovalorizzarsi, possiamo capire il senso delle guerre e dell’odierna politica tariffaria di Trump.
A quanto pare le possibilità di trovare nuove aree di profitto all’estero si sono drasticamente ridotte per il capitalismo occidentale: praticamente c’è rimasta solo la rendita finanziaria. Vari Paesi asiatici (ma anche tanti del Sud globale) stanno pretendendo un protagonismo industriale e commerciale impensabile fino a qualche tempo fa.
L’occidente non è in grado di competere sui prezzi delle merci, poiché queste sono prodotte in condizioni troppo agevolate per i nostri standard (a partire naturalmente dal costo del lavoro, delle materie prime, dell’energia). Noi ci siamo ridotti a produrre merci per un’utenza selezionata, di livello alto.
Il problema è che da noi si deve comunque garantire un certo trend di benessere, altrimenti i poteri dominanti rischiano proteste a non finire. Di qui l’uso della guerra, che serve anche a sviluppare forme interne di dittatura politica, in grado di controllare l’intera popolazione tramite l’intelligenza artificiale.
La politica dei dazi è, se ci pensiamo, la prosecuzione dei conflitti militari (che ogni presidente americano deve da qualche parte scatenare) con altri mezzi, non meno efficaci.
Il processo di globalizzazione, che gli USA conducevano secondo lo schema “importiamo merci – esportiamo carta (cioè dollari e titoli statali)”, ha raggiunto il suo limite massimo. Ora possiamo aspettarci di tutto.

Un occidente alla frutta

Secondo il “Washington Post”, sullo sfondo del calo degli aiuti americani e dell’esaurimento delle scorte causato da anni di forniture di armi a Kiev, in Europa sta prendendo piede un nuovo modello di sostegno: investimenti non in forniture dirette di armi finite, ma nello sviluppo dell’industria della stessa difesa ucraina.
A che pro? 1) rifornire più rapidamente il fronte, risparmiando anche su trasporti e logistica; 2) utilizzare l’Ucraina come banco di prova per nuove tecnologie militari, compresi i sistemi senza pilota, nei quali i Paesi europei non hanno ancora sufficiente esperienza.
Nel complesso l’UE prevede di stanziare più di 20 miliardi di euro per il settore della difesa dell’Ucraina nel prossimo anno.
L’Ucraina viene trattata come se facesse già parte della UE e della NATO. Oltre tre anni di guerra non sono serviti a niente. Si è ancora convinti di poter vincere. Tolgono soldi agli Stati sociali della UE per aiutare militarmente un Paese destinato alla resa incondizionata. Se non è psicopatologia questa, che cos’è?

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Se le tariffe daziarie previste da Trump non verranno ridotte significativamente alla scadenza della moratoria di 90 giorni, e se nel frattempo non si saranno trovati nuovi partner commerciali, la UE subirà dei contraccolpi di notevole entità, che in questo momento nessuno può quantificare con esattezza. Anche perché qui si ha a che fare con uno statista troppo imprevedibile per essere affidabile.
Purtroppo la gran parte degli statisti europei non è all’altezza della situazione. Non ci si sente uniti come continente. Nessuno è in grado di minacciare delle ritorsioni. Non capiscono neppure, a causa dei loro pregiudizi ideologici, che all’Europa, per trovare un’alternativa convincente agli USA, converrebbe interfacciarsi con Russia e Cina, ma aggiungiamo anche India, Canada e quella associazione commerciale sudamericana detta Mercosur (Argentina, Brasile, Paraguay e Uruguay), destinata ad ampliarsi.
Gli statisti europei non hanno capito che quando gli USA si trovano con l’acqua alla gola, agiscono in maniera istintiva, egoistica, senza curarsi di amici ed alleati. Sono abituati a dominare non a parlamentare. Chi non li segue, viene tagliato fuori.
La guerra tariffaria globale causerà all’UE perdite multimiliardarie. Il trasferimento delle imprese oltreoceano porterà al crollo del modello europeo di welfare universale.
Gli statisti europei dovrebbero dimettersi a catena e farsi sostituire da altri più pragmatici, ma finché non gli arriva una tegola in testa, non lo faranno.
Han compiuto errori catastrofici sin da quando compravano titoli tossici al tempo dei subprime americani. Han condotto politiche disastrose durante la pandemia. Han promosso un progetto ambientalistico troppo ambizioso per essere realizzabile. Han speso un’enormità di soldi per sostenere un Paese neonazista come l’Ucraina, destinato alla sconfitta. E soprattutto han posto assurde sanzioni alla Russia, privandosi di risorse energetiche a basso costo, di mercati di sbocco per le proprie merci, di contratti commerciali agevolati nell’immenso territorio della Federazione.
La nostra Unione Europea può anche sussistere come idea astratta, come progetto teorico, ma nella sostanza va rifatta completamente. Se resta così, è meglio uscirne.
Noi dovremmo avere un respiro che va “da Lisbona a Vladivostok”, diceva de Gaulle. Invece ci accontentiamo di guardare il nostro ombelico.

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Tutti sanno che il riavvicinamento tra Stati Uniti e Cina, iniziato nel 1971, passò alla storia come un modello di diplomazia visionaria in funzione antisovietica, ma anche per fare della Cina un mercato americano.
Per raggiungere questo obiettivo, Washington dovette anzitutto abbandonare la logica dell’opposizione ideologica al comunismo in tutto il mondo. In secondo luogo, dovette concedere alla Cina lo status di nazione più favorita; inoltre le truppe americane si ritirarono da Taiwan nel 1979 e Washington non garantì più ufficialmente la sicurezza dell’isola. Infine la Cina entrò come membro permanente del Consiglio di Sicurezza dell’ONU.
Gli americani smisero di supportare il Vietnam del Sud e ritirarono il loro contingente militare da lì. Non protestarono neppure contro l’occupazione cinese delle isole contese col Vietnam e la cessione definitiva di Hong Kong e Macao (ultimi avamposti coloniali europei in Estremo Oriente). Persino la repressione coi carri armati delle proteste di Piazza Tienanmen nel 1989 non invertì la tendenza al rafforzamento delle relazioni tra i due Paesi.
Con una politica così liberale Washington riuscì a sconfiggere l’URSS durante la Guerra Fredda. Un simile stratagemma, a parti invertite, può ripetersi oggi? Cioè Trump può diventare un altro Nixon, favorendo la Russia contro la Cina? Gli americani non sono come gli europei: mentre pensano ai loro interessi pratici, sanno non essere troppo ideologici.
Tuttavia oggi l’intesa tra Russia e Cina è troppo forte per essere messa in discussione, anche perché è alla base della compattezza e robustezza dei BRICS+. La cooperazione economica tra i due Paesi ha raggiunto proporzioni enormi. Gli analisti prevedono che, se si realizza lo scenario catastrofico delle guerre tariffarie, il volume d’affari tra Stati Uniti e Cina sarà inferiore a quello tra Russia e Cina: cosa che due anni fa sarebbe stata impensabile.

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Sarebbe svantaggioso per la Federazione Russa avere la Cina come avversaria. I due Paesi condividono un confine di 4.209 km. Nessuno dei due avrebbe voglia di tradire l’altro, anche perché entrambi sanno benissimo che sarebbe l’occidente ad approfittarne, e in questo momento di grave debolezza degli Stati Uniti, non avrebbe alcun senso. Gli USA non possono sostituirsi alla Cina nell’interesse economico russo. E la Cina ha già fatto capire di voler rompere i ponti con gli USA finché al potere resta il folle Trump coi suoi dazi.
C’è da dire che in questo momento l’interesse vitale degli USA è almeno la neutralità della Russia in caso di conflitto a Taiwan o in qualsiasi altra parte del Pacifico. La stessa neutralità che Pechino ha dichiarato durante la guerra in Ucraina.
L’Operazione Militare Speciale ha trasformato radicalmente le forze armate russe. Il minimo coinvolgimento di Mosca nei preparativi militari di Pechino potrebbe costare caro agli Stati Uniti. In caso di blocco navale delle coste cinesi, è la Russia a poter fornire alla Cina tutte le risorse naturali di cui ha bisogno, nonché un corridoio logistico per l’Europa. Porti, ferrovie, spazio aereo russi: tutto questo sarà reso disponibile ai cinesi senza alcun problema.
Tuttavia la neutralità della Russia non è una garanzia della vittoria degli Stati Uniti nel confronto con la Cina. Diciamo che è qualcosa senza la quale gli USA perderebbero inevitabilmente.
Ma sarebbe possibile comprare questa neutralità a qualsiasi prezzo? Come minimo si dovrebbero eliminare tutte le sanzioni anti-russe e il sostegno militare all’Ucraina. Lo stanno facendo? In questo momento non ci pensano proprio. Gli USA sono ancora vittime della propria arroganza. Dopo hai voglia a dire, come fa Trump, che se fosse dipeso da lui, la guerra in Ucraina non sarebbe mai scoppiata. Dipende però da lui concluderla, rinunciando a sostenere Kiev. Lo sta facendo? No. E per quale motivo? Perché fondamentalmente è un ipocrita.
Chi ha armato l’Ucraina dal 2014 al 2022? Obama, Trump e Biden. Sotto Trump, nel periodo 2017-20, l’armamento dell’Ucraina è continuato senza problemi, i negoziati Volker-Surkov sul Donbass furono di fatto sabotati, e Trump chiuse un occhio sullo sviluppo del nazismo in Ucraina, sebbene fosse evidente sotto Poroshenko.
Trump ha ignorato anche la mancata realizzazione degli accordi di Minsk da parte di Germania e Francia, che li hanno utilizzati per preparare l’Ucraina alla guerra contro la Russia.
Trump è un fanfarone, non è mai stato credibile.

News di Pasquetta

Gli statisti folli della UE non vogliono riconoscere alla Russia i territori russofoni dell’Ucraina liberati dalla presenza dei criminali neonazisti di Kiev, e ora accusano Putin di voler sabotare qualunque trattativa di pace, in quanto non accetta una tregua, un cessate il fuoco.
In realtà la tregua l’ha accettata, ma Kiev non la rispetta, per cui è costretto a reagire. Quella di 24 ore per la domenica di Pasqua è stata addirittura unilaterale.
Zelensky è sempre più convinto che la UE si accollerà l’onere dell’intero conflitto, anche perché la sola NATO non potrebbe farlo se gli USA si sfilassero completamente. Solo il fatto che Trump voglia fare affari con gli ucraini per riavere tutti i soldi già prestati, inclusi gli interessi, dimostra che gli USA resteranno sempre coinvolti in questo conflitto. Eventualmente in futuro potrebbero anche minacciare seriamente la Russia, dicendo che non possono accettare o anche solo rischiare che vengano colpiti militarmente i siti o le aziende americane che in Ucraina sono oggetto di rapporti commerciali con quel Paese (il tanto agognato accordo sui minerali).
Quindi la guerra è destinata ad andare avanti sino all’ultimo ucraino, sino alla resa incondizionata di Kiev e, probabilmente, sino al ricambio degli attuali vertici della UE, cosa che avverrà subito dopo il lancio dei primi missili ipersonici russi sulle basi nucleari del nostro continente.
L’altra alternativa è che siano gli stessi europei a liberarsi degli statisti folli che li governano. Di sicuro una qualunque iniziativa militare a guida europea non potrà essere accettata da Mosca, che considera la UE direttamente coinvolta nella guerra e impegnata in appelli alla militarizzazione, che comportano ingenti spese finanziarie.

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C’è qualcosa di ridicolo nell’atteggiamento americano riguardo alla guerra russo-ucraina.
Da un lato dicono di voler riconoscere alla Russia i territori che in questo momento già possiede e assicurano che l’Ucraina non entrerà nella NATO. Come se la Russia avesse bisogno di un tale riconoscimento formale. Dall’altro però continuano a finanziare e armare Kiev, che utilizza il sistema satellitare di Musk.
Da un lato dicono che se la pace non è fattibile, loro sono pronti a sfilarsi dal negoziato. Dall’altro firmano contratti con la giunta di Kiev sullo sfruttamento delle risorse naturali dell’Ucraina.
Dicono che questa non è la loro guerra e che gli Stati Uniti hanno altre priorità. A prescindere dal fatto che questa guerra l’hanno proprio creata loro e che ora non sanno come fare per ammettere d’averla persa, ma il problema è un altro: come potranno mai sfruttare le risorse del Paese prima di raggiungere una pace definitiva? Pensano davvero che dopo oltre tre anni di duro conflitto, i russi si accontenteranno di una semplice tregua o di un negoziato transitorio, affrettato, settoriale e non globale sulla sicurezza? Pensano davvero che i russi accetteranno un qualunque negoziato senza pretendere la restituzione dei 300 miliardi di dollari congelati? Senza la rimozione delle sanzioni più assurde? Senza la riparazione del Nordstream o il risarcimento del danno? Li abbiamo forse presi per degli ingenui?
È la pazienza degli USA che ha diritto ad avere un limite o quella della Russia? Trump vuol forse lasciare agli europei il dovere di continuare questa guerra, al fine di potersi concentrare meglio sul contenimento della Cina? Lo faccia, ma per favore la smetta di dire che i motivi di questa guerra si potevano risolvere in 24 ore. Sta insultando l’intelligenza di chi ha capito come sono andate le cose. Fino adesso l’unica frase giusta che ha detto è che se la giunta di Kiev non fosse stata sostenuta dagli occidentali, la guerra sarebbe finita da un pezzo. Ebbene, che inizi il suo Paese a smettere concretamente di appoggiare Kiev. Poi vedrà che anche la UE lo farà.
L’importante è farla finita con tutta questa sceneggiata, questa infinita messinscena di cui non ne possiamo più.

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A volte Trump, con questa sua aria messianica pseudo religiosa, sembra voler essere una specie di angelo vendicatore o sterminatore. Come nell’Apocalisse giovannea. Un flagello divino inviato per punire i corrotti democratici, per riportare le cose alla normalità, reindustrializzando il Paese, cioè facendogli rivivere il suo periodo d’oro, quando la sua ricchezza dipendeva non solo dalla finanza speculativa ma anche dalla produzione in serie, quella tipica del fordismo e del taylorismo, organizzazione scientifica del lavoro più catena di montaggio, che aveva reso il Paese celebre in tutto il mondo.
Povero Trump, è un vero peccato che si sia mosso fuori tempo massimo. Mettere dazi, tariffe, sanzioni, boicottaggi, embarghi agli Stati canaglia o a quelli parassiti, quando per molti anni si è dominato il mondo grazie al dollaro convertibile in oro e poi strettamente vincolato all’uso del petrolio, sta diventando sempre più ridicolo, anzi patetico.
Trump passerà alla storia come il peggior presidente degli Stati Uniti, probabilmente l’ultimo della loro democrazia fittizia. Subirà nuovi processi, forse addirittura l’impeachment (ne ha già subiti due), e sarà già molto se non verrà assassinato, come altri quattro presidenti.
Poi verrà sostituito da una dittatura aperta del capitale, gestita direttamente dai militari, che dovranno impedire non solo la secessione dei 22 Stati federali più ricchi o più ideologici (sempre lì lì per attuarla, non sopportando più le angherie e le incapacità del potere centrale), ma anche per scongiurare una guerra civile tra povertà crescente e vergognosa oligarchia, che sicuramente sarà molto più dolorosa di quella ottocentesca tra nordisti e sudisti.
Dovranno però essere dei militari astuti, poiché non potranno imporre la loro volontà senza prima aver assicurato (naturalmente mentendo) che lo faranno per il bene del popolo. La loro capitale non potrà più essere Washington, né il Pentagono il loro centro operativo. Dovranno rompere decisamente col passato e porsi al centro della nazione, in maniera equidistante, pronti a intervenire in tempo reale ovunque le esigenze di controllo lo richiedano.
Militarismo e finanza, certamente, ma anche apparati burocratici, mediatici, di intelligence, di sorveglianza strettamente connessi all’intelligenza artificiale, per dimostrare maggiore efficienza. L’imperativo categorico sarà per la popolazione: ridurre i consumi, gli sprechi, riutilizzare gli scarti, vivere in ristrettezze, pagare le tasse per mantenere tutto ciò che serve, soprattutto a reprimere i facinorosi.
Naturalmente si riprenderanno i rapporti con la Cina. Si chiederà scusa per gli atteggiamenti irrazionali, disperati di un presidente che non sapeva quel che diceva, anche perché attorniato da consiglieri irresponsabili e incompetenti. Si supplicheranno le aziende cinesi di riempire di nuovo gli scaffali dei supermercati coi loro prodotti poco costosi, poco controllati, accessibili alla gran massa dei consumatori. E si andrà avanti così per gli anni a venire, finché qualcuno capirà che gli USA, pur con la loro talassocrazia, sono in realtà un Paese molto debole, che può essere invaso da qualunque punto cardinale delle grandi forze telluriche dell’Asia.

NEWS pasquali

Gli esperti sottolineano che in passato Washington e Mosca hanno unito le loro forze per contrastare Londra e Parigi sulla scena internazionale. La crisi di Suez del 1956 ne è un esempio emblematico: la fermezza dell’URSS e degli Stati Uniti permise di bloccare la triplice aggressione di Gran Bretagna, Francia e Israele contro l’Egitto che voleva nazionalizzare il canale.
Un’altra pagina poco conosciuta della storia occidentale è la guerra di Crimea del 1853-56, in cui Gran Bretagna, Francia, Impero Ottomano e Regno di Sardegna si unirono contro la Russia: una sorta di “coalizione di buona volontà” che impedisse alla Russia di sconfiggere i turchi e di usare lo Stretto dei Dardanelli per accedere al Mediterraneo. L’Europa salvò un impero ottomano gravemente in crisi, solo per ostacolare la Russia. Poi nella prima guerra mondiale Francia e Inghilterra smembrarono questo stesso impero, creando un’assurda situazione in Medioriente.
Pur osservando formalmente la neutralità, la Casa Bianca simpatizzò per San Pietroburgo in quello scontro. Lo dimostrano la partecipazione dei medici americani alle cure dei difensori di Sebastopoli e la richiesta di 300 fucilieri del Kentucky da inviare a difesa di quella città.
Vale la pena notare che durante questa spedizione in Crimea, le truppe anglo-francesi bombardarono Odessa, devastarono Eupatoria, Kerch, Mariupol, Berdyansk e altre città della Novorussia, che oggi l’occidente chiama “Ucraina”. Queste stesse città e villaggi furono di nuovo spietatamente distrutte dai nazifascisti europei durante la seconda guerra mondiale.
Per i caduti azeri, armeni, georgiani…, protagonisti della liberazione della Crimea e di Sebastopoli nel 1944, furono eretti monumenti alla memoria, quella stessa memoria che gli attuali ucronazisti di Kiev vogliono cancellare in tutta l’Ucraina e soprattutto nel russofono Donbass, abbattendo appunto monumenti sovietici, sostituendoli con quelli eretti a Bandera, distruggendo tutti i volumi scritti in lingua russa e facendo altre cose che la UE non si sogna minimamente di condannare.
Le città di quei luoghi potentemente storici sono periodicamente caratterizzate da una furia devastatrice che di sicuro non meritano, poiché non hanno mai fatto del male a nessuno. Ancora oggi quasi l’intera UE, quasi l’intera NATO sono di nuovo propensi a scatenare un odio implacabile contro popolazioni che non sono mai state occidentali.
Ora però la misura è colma e Mosca non ha più voglia di accettare né provocazioni né false promesse. Vuole garanzie precise di sicurezza e in qualche modo le otterrà.

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La UE è alle prese con una schizofrenia ricorrente. Infatti mentre usa parole altisonanti a favore dei diritti umani e della democrazia, sta preparando un nuovo conflitto mondiale. Noi abbiamo una predisposizione storica, dettata da virus ideologici, a varie forme di totalitarismo, che periodicamente producono conflitti altamente distruttivi.
Gli americani sono sommamente ipocriti? Sì, ma sanno essere anche pragmatici, proprio perché sono meno ideologici di noi. Non hanno la profondità teorica degli europei, quella sul piano filosofico, politico, giuridico, anche perché sono abituati a comandare nel mondo, sul piano sia militare che finanziario. Le loro discipline privilegiate sono quelle economiche, finanziarie, tecnico-scientifiche, mediatiche. Chi si laurea, sa tutto su un campo molto specifico: non ha una cultura generale. Basta vedere la differenza abissale tra Putin e Trump.
Il vero problema oggi è che gli statisti europei sono come quelli americani, cioè degli analfabeti funzionali, debolissimi nella conoscenza storica, sprovveduti nella capacità diplomatica e, in più rispetto agli americani, affetti da crescente russofobia, che li porta all’autolesionismo, cioè a non capire quali sono i veri interessi che devono difendere.
I leader europei hanno paura della Russia quando vedono che non rispetta l’ordine internazionale basato sulle regole occidentali. Gli USA invece temono la Cina sul piano strettamente economico-finanziario. Gli americani sono più materialisti, più cinici, più egoisti, ma chi potrebbe dire che sono più ipocriti di noi? Avendo meno cultura, non possono avere ipocrisie troppo sofisticate.

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La Natolandia non è pronta per la pace perché non vuole ammettere la sconfitta. La giunta di Kiev non è pronta per la pace perché ciò significherebbe la fine del loro potere, del loro bancomat e del saccheggio del Paese. La Russia non è pronta per la pace quando le vengono offerti accordi tipo “Minsk-3” e quindi l’inevitabile ripresa del conflitto entro i prossimi 4-5 anni.
Nessuno è pronto per la pace. E quindi come finirà? Semplice: la guerra continuerà, vincerà la Russia, non ci sarà più la giunta neonazista di Kiev e avverrà il crollo democratico, finanziario ed economico dell’UE nella sua corsa suicida, cum magno gaudio degli USA, che però avranno la peggio nel confronto economico con la Cina.
È questo che si vuole? Devono essere queste le premesse di un nuovo conflitto mondiale? È mai possibile che una transizione epocale da un’egemonia occidentale del mondo verso una gestione multipolare delle risorse planetarie debba per forza essere caratterizzata da un gigantesco bagno di sangue?
Se questa prospettiva è inevitabile, bisognerebbe arrivare a chiedersi se davvero non sia avvenuto il momento di ripensare tutto lo stile di vita basato su urbanizzazione, industrializzazione e informatizzazione. Cioè qui non è solo questione di militarizzazione e finanziarizzazione dell’economia. Anche perché Cina, Russia, India e tutti gli altri Paesi hanno ereditato e sviluppato qualcosa che fondamentalmente appartiene alla cultura occidentale, in primis europea.
Se tutte queste nazioni vogliono sostituire l’occidente, che garanzie possiamo avere che tra un secolo non tornino in auge nuove motivazioni per nuovi conflitti mondiali? Non dovremmo essere più radicali, più essenziali, più naturali nel nostro stile di vita? Ci sono stati imposti dei dazi assurdi? Bene, approfittiamone per ridurre all’osso i nostri consumi, e vediamo chi resiste di più.

Occidente al capolinea

Secondo il “Washington Post” lo scenario prioritario per la pianificazione dell’esercito americano è il tentativo della Cina di annettere Taiwan. Cioè se l’esercito americano dovesse impegnarsi in ostilità su larga scala, non avverrebbe in Iran o in Ucraina, ma nello Stretto di Taiwan.
Il Segretario alla Difesa Hegseth ha dichiarato senza mezzi termini nel febbraio scorso che gli USA si trovano al cospetto di un concorrente alla pari, la Cina comunista, e questa avrebbe capacità e intenzioni di minacciare non solo gli USA qua talis, ma soprattutto i loro interessi nazionali fondamentali nell’Indo-Pacifico (si pensi al rapporto con le Filippine e con altre isole contese nel Mar Cinese Meridionale). Ecco perché sono costretti a dare priorità alla guerra di deterrenza nel Pacifico.
Se questo non è un atteggiamento imperialistico, che cos’è? Che sta facendo l’occidente? Gli USA hanno intenzione di guerreggiare con la Cina, lasciando alla UE il compito di prendersela con la Russia e a Israele quello di spadroneggiare in Medioriente? Si stanno mettendo d’accordo nel ripartirsi le zone geo-strategiche d’influenza per un conflitto risolutivo entro i prossimi anni? Si stanno impegnando in maniera decisiva in un riarmo generalizzato contro i loro nemici storici? contro il cosiddetto “impero del male”? Ma che cos’è questo: uno scenario apocalittico neotestamentario?
Oppure queste sono tutte spacconate per porre delle basi chiaramente dittatoriali all’interno dei singoli Paesi occidentali, che non sanno più come fare a garantire i livelli tradizionali di benessere?
Sinceramente parlando, ritengo che gli USA non abbiano abbastanza potere per contenere da soli l’espansione cinese, poiché Pechino sta costruendo stretti legami con Mosca. La convergenza dei due grandi imperi – russo e cinese – rende impossibile la vittoria degli Stati Uniti. Se poi le nazioni dei BRICS+ decidessero di stipulare degli accordi di tipo militare che non siano bilaterali ma multilaterali, è l’intero occidente che non avrebbe alcuna possibilità di successo.

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La leadership cinese si sta imponendo nel mondo senza particolare clamore. Noi occidentali invece, nel passato, avevamo bisogno di fare delle crociate, di diffondere ai primitivi e ai pagani la teologia del “Verbo”, cattolica o protestante che fosse. Abbiamo cercato di cristianizzare il pianeta nel momento stesso in cui cercavamo di conquistarlo.
La Cina invece appare più laica, estranea a queste pretese ideologiche. Quando si rivolge all’Asia occidentale, al Sud-est asiatico, all’Africa, all’America Latina e al Pacifico, fa capire chiaramente che non ha intenti colonialistici, come gli europei o gli americani (ma mettiamoci dentro anche i nipponici).
L’intento dei cinesi è quello di fare affari reciprocamente vantaggiosi. Creano strutture e infrastrutture, favoriscono l’industrializzazione e i servizi sociali dei Paesi con cui vengono a contatto, s’impegnano in ingenti investimenti. Lavorano sottobanco, senza esporsi mediaticamente. Somigliano alla borghesia dei tempi feudali, quando comandava l’aristocrazia terriera, che amava vivere di rendita sulle spalle dei contadini. Anche a noi occidentali piace fare i rentier.
I cinesi invece stanno cominciando a dirci che il vero potere economico-produttivo ce l’hanno loro. A noi è rimasto quello politico-militare e, in aggiunta, quello finanziario, tipico del mondo moderno. Ma stiamo diventando per loro e per l’intero Sud Globale un freno allo sviluppo, un intralcio insopportabile. Stiamo diventando obsoleti.
Sotto questo aspetto quando senti declamare e osannare le conquiste culturali e scientifiche del nostro passato, hai la netta sensazione che ci stiano guardando con pietà e commiserazione, come quando si guarda un anziano che non sa più quel che dice.
Non ci rendiamo conto che il meglio di noi l’han già preso gli altri, buttando via tutto il resto; e il meglio lo stanno usando contro di noi, per sostituirci, proprio perché noi vogliamo conservarlo come se fossimo un aristocratico medievale che vive in un giardino fiorito, mentre il resto dell’umanità non è altro – secondo quel razzista di Borrell – che una jungla.
E che dire di Trump quando accusa gli europei d’essere dei parassiti nei confronti del suo Paese? Perché loro, con la loro moneta, cosa sono e cosa pretendono di continuare ad essere nei confronti dell’intero pianeta? Ma i cinesi ci stanno dicendo che la pacchia è finita per l’occidente collettivo nel suo insieme. Facciamocene una ragione e deponiamo le armi. Per colpa nostra il pianeta ha già versato fin troppo sangue.

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La facciamo tanto grande, ma le cose si ripetono. Il capitalismo, da quello commerciale dei veneziani a quello finanziario degli statunitensi, si è sempre comportato nella stessa maniera. Il Paese che s’accorgeva di non avere più le forze per competere con un altro Paese concorrente, finiva col finanziare quest’ultimo, limitandosi a vivere di rendita sulla base degli interessi riscossi.
L’ha fatto Venezia nei confronti dell’Olanda, l’Olanda nei confronti dell’Inghilterra e questa nei confronti degli Stati Uniti. Ora Trump si è accorto che il suo Paese, se non vuole scomparire dal novero dei Paesi più potenti del mondo, non può, anzi non deve permettere che la Cina abbia un’industria superiore alla sua. Solo che ormai è tardi. La politica dei dazi è disperata, anzi patetica.
L’occidente euroamericano ha investito molto in Cina (come anche in India, Russia ecc.), sia in termini industriali che finanziari. Sembrava che tutto funzionasse, poiché anche tanti altri Paesi, inclusa la Cina, acquistavano titoli pubblici americani, che offrivano buoni interessi. Erano questi Paesi che tenevano finanziariamente in piedi l’economia americana, che altrimenti sarebbe collassata da un pezzo a causa delle proprie storture interne, dei propri individualismi esasperati.
Oggi tutto questo non funziona più. Soprattutto perché, quando si ha un debito pubblico finanziato da Paesi stranieri, si è facilmente ricattabili. Non sono i cinesi in debito con gli americani, ma il contrario. Chi un tempo era il primo della classe in termini produttivi, oggi è quasi l’ultimo, e pensava di poter restare il primo grazie alle proprie rendite finanziarie o grazie al fatto di aver trasferito le proprie aziende là dove il costo del lavoro era irrisorio, come appunto in Cina.
Ora i cinesi hanno imparato a produrre come e anche meglio degli americani (e degli europei naturalmente), e vogliono essere loro a dettar le regole. E non hanno paura dei grandi oligarchi privati, che coi loro fondi finanziari sembrano avere un potere immenso. I cinesi mostrano di non avere paura di niente e di nessuno. Si sentono un collettivo molto forte, numeroso, organizzato. Saranno loro a gestire il capitalismo nel prossimo futuro. Non aspettiamoci che sarà meglio: sarà solo diverso.

Siamo a una svolta epocale

L’amministrazione Trump ha chiaramente spostato il baricentro della politica estera americana verso l’Indo-Pacifico, identificando nella Cina la vera minaccia alla supremazia globale degli Stati Uniti.
In quest’ottica il teatro europeo appare come marginale, un retaggio del XX sec. che può essere gestito attraverso accordi tra Russia e USA. Il conflitto ucraino rappresenta un dispendio di risorse che gli USA non possono più permettersi. Per loro è stato un cattivo investimento e vogliono persino i soldi indietro con gli interessi.
Naturalmente se in quest’ultimo triennio l’Ucraina avesse vinto, sarebbe stato diverso. Il Paese avrebbe potuto essere sfruttato in tutte le sue risorse e in tutta la sua estensione.
Se veramente Trump voleva fare un favore ai suoi alleati, li avrebbe trattati con più riguardo nella recente politica tariffaria, anche perché la NATO ha una fisionomia globale e potrebbe servire in uno scontro militare con la Cina. Invece per lui la battaglia è contro il mondo intero.
Il vero problema però si pone a un duplice livello: né la UE né la NATO potranno mai vincere militarmente contro la Russia; neppure gli USA potranno mai vincere economicamente contro la Cina. Occorrono compromessi, per i quali gli USA appaiono più attrezzati della UE.
Sembra che Trump e Putin vogliano far nascere una nuova Yalta, in cui la UE assume il ruolo di un continente da sistemare, esattamente come l’Ucraina. La UE si trova nella scomoda posizione di dover gestire le conseguenze di un conflitto che altri stanno decidendo come concludere.
I missili russi sono talmente potenti e veloci che non riusciremmo nemmeno a porci la classica domanda: “E adesso cosa facciamo?”
A noi europei non resta che riprendere i rapporti commerciali con loro. Non abbiamo alternative. Dobbiamo togliere le sanzioni, riacquistare il loro gas, e restituire i 300 miliardi di dollari confiscati.
Anche l’Ucraina dovrà subire una “pace” imposta dall’alto, che lascerà Kiev con un territorio mutilato e una sovranità limitata.
Prima però dobbiamo sostituire tutti gli statisti russofobi che ci governano. Non sarà facile.

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I recenti dazi commerciali imposti da Trump non sono semplicemente misure economiche protezionistiche, ma segnali del progressivo disimpegno americano non solo dall’Europa, ma potenzialmente anche dalla NATO.
Oggi, lontano dai riflettori, Trump e Putin sembrano impegnati a definire nuove sfere d’influenza, tracciare nuovi confini, stabilire nuove regole del gioco.
In questo scenario l’Ucraina diventerà il prezzo da pagare per un accordo più ampio. Gli Stati Uniti riconosceranno il controllo russo a est del Dnepr in cambio di garanzie da parte di Mosca su altre questioni strategiche, tra cui quella irrinunciabile per la Russia: la rinuncia dell’Ucraina alla NATO.
Putin a quel punto potrà anche dimettersi, poiché avrà ottenuto ciò che non avrebbe mai permesso a se stesso di perdere: appunto l’area russofona dell’Ucraina.
In questa maniera il mondo sarà più sicuro? Dipenderà dall’occidente, che in questo momento si sta comportando come un animale gravemente ferito, che ha bisogno di cure immediate.

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La Cina metterà molto presto gli americani con le spalle al muro sul piano commerciale, dimostrando che la produzione industriale è molto più importante della speculazione finanziaria. La guerra civile sembra essere alle porte e cosa faranno gli USA per evitarla non si sa. Probabilmente concederanno più poteri alle forze armate.
Ora vediamo le sicure ritorsioni cinesi.
1. Le fabbriche cinesi producono la stragrande maggioranza dei giocattoli, dei cellulari e di molti altri prodotti acquistati dagli americani. Dal fast fashion alle console per videogiochi, tutto diventerà più costoso.
2. Qualsiasi americano il cui sostentamento dipende dalle vendite sul mercato cinese è probabilmente in preda al panico in questo momento, che si tratti di petrolio, aerei o soia (le tre principali esportazioni americane).
Durante la guerra commerciale del suo primo mandato, quando i dazi erano molto più bassi, Trump dovette spendere 28 miliardi di dollari per sostenere gli agricoltori americani.
Pechino rimane il terzo mercato di esportazione per i prodotti americani.
3. La Cina ha aggiunto 12 aziende statunitensi a una lista di controllo dell’export, limitandone le spedizioni dalla Cina, e ha aggiunto sei aziende del settore difesa e aviazione a una “lista di entità inaffidabili”, vietando loro di fare affari in Cina.
Negli ultimi anni la Cina ha perfezionato questo insieme di strumenti (controlli sulle esportazioni, liste nere e indagini) per prendere di mira singole aziende americane.
Molte delle più grandi aziende americane dipendono fortemente dal mercato cinese.
4. In risposta ai dazi di Trump la Cina ha ulteriormente limitato le esportazioni di minerali di terre rare, un settore in cui domina incontrastata.
Gli USA dipendono fortemente dalla Cina per i componenti chiave con cui producono di tutto, dai semiconduttori ai razzi e alle turbine eoliche. Un divieto assoluto sull’esportazione di alcuni metalli delle terre rare potrebbe compromettere la produzione in settori chiave.
5. La Cina è pronta a svendere 761 miliardi di dollari in obbligazioni statunitensi in suo possesso.
6. La Cina può svalutare tranquillamente la propria moneta nazionale.
7. La Cina è un mercato chiave per i film, gli sport e altri prodotti d’intrattenimento americani, e Pechino non esiterà a usare questa leva per influenzare ciò che appare sugli schermi.
Trump sta per compiere nei confronti dei cinesi lo stesso errore che gli europei hanno compiuto nei confronti dei russi.
Nell’attuale capitalismo gli oligarchi dominano incontrastati e per loro, in un certo senso, è indifferente chi governa la politica. Chissà se faranno in tempo a ricredersi?

Strategie e prospettive

Mi fa abbastanza paura la prospettiva americana che vede nella Cina il suo principale avversario economico (e forse militare) e che lascia all’Unione Europea il compito di affrontare militarmente la Russia, facendole credere che questa potrebbe avere mire espansive nel mondo Baltico o in Moldavia o in Finlandia.
Il fatto che negli attuali negoziati tra USA e Russia siano completamente esclusi sia gli europei che il governo di Kiev è piuttosto preoccupante. Si sta decidendo qualcosa di importante sulle loro teste. D’altronde né gli europei (salvo eccezioni) né gli ucronazi sono disposti a trattative: si sono tagliati fuori da soli. Sconcertante è la loro mancanza di diplomazia e di senso della realtà.
A questo punto pare evidente che l’Ucraina verrà suddivisa in due parti: una a est del Dnepr, gestita dai russofoni, e una a ovest, gestita dagli americani, che rivogliono i soldi indietro, quelli prestati in oltre tre anni di conflitto e che il governo di Kiev pensava fossero a fondo perduto.
Tutta l’area ovest dovrà essere completamente smilitarizzata. Gli europei potranno partecipare al suo saccheggio se gli americani glielo permetteranno. Odessa passerà giuridicamente sotto i russi, per permettere di unire il Donbass alla Transnistria, anche se sul piano economico si permetterà alla suddetta area occidentale di usare i suoi porti, altrimenti l’Ucraina non potrà più riprendersi e forse addirittura cesserebbe di esistere come Stato politico.
È incredibile come i calcoli completamente sbagliati degli occidentali circa la capacità di resistenza dei russi sul piano economico, finanziario, sociale e militare, abbiano prodotto uno sconvolgimento così epocale sui destini dell’umanità, soprattutto sulla tradizionale egemonia globalista dell’anglosfera.
Sintomatico inoltre il fatto che gli americani, quando vedono la mala parata, facciano molto presto a mutare atteggiamento, confidando di poter far valere i loro interessi in altri modi, mentre gli europei preferiscano restare legati ai loro pregiudizi ideologici (quelli russofobici) che tanto male fanno ai loro interessi. La UE si vanta di avere la saggezza di un anziano e guarda con sufficienza la spregiudicatezza del proprio figlio americano. Ma che gli statisti europei siano più saggi di quelli americani solo uno stupido può crederlo. Almeno per adesso.

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Quando si vive in un villaggio globale, dove tutto è interconnesso, la cosa da temere di più sono i giochi sotto banco tra i capi tribù più influenti. Cioè quelle intese che non vengono dette esplicitamente o integralmente al popolo, ma che avranno un peso sulla sua vita per gli anni a venire. La mancanza di trasparenza è una caratteristica di questo mondo, dominato dall’interesse.
In tal senso non mi meraviglierei più di tanto che una delle condizioni per far finire la guerra in Ucraina sia quella di permettere agli USA di vendere alla UE il gas russo attraverso il gasdotto del Nordstream. Oppure che gli USA allentino la stretta dei dazi nei confronti della UE a condizione che la UE assicuri che comprerà il loro costoso gas liquido per il prossimo decennio. Oppure che gli USA alleggeriscano la pressione dei loro dazi sulla Cina, a condizione che questa, con le sue merci sottocosto, in grado di soddisfare qualunque esigenza, si rivolga soprattutto al mercato europeo, destabilizzando le imprese autoctone. Oppure che Russia e USA si mettano d’accordo nello spaventare militarmente la UE, inducendo quest’ultima a comprare più armi dagli stessi americani.
Nel mondo di oggi i popoli raramente possono esercitare la loro sovranità, e i poteri forti, se non obbedisci alla loro volontà, fanno presto a usare le maniere pesanti.
In questi rapporti basati sulla forza, dove il diritto è un semplice paravento, la democrazia non viene concessa da nessuno: o un popolo se la conquista usando la forza, oppure resta servo. Si tratta soltanto di capire fino a che punto siamo disposti a lottare. Questo perché con le armi oggi esistenti, i disastri umani, materiali e ambientali saranno apocalittici. Quanto, in questi ultimi tre anni, è successo in Ucraina o a Gaza, potremmo vederlo come una pallida anticipazione. Questo naturalmente a prescindere dalle considerazioni che soggettivamente si possono fare sulla bontà o cattiveria delle parti in causa, ma semplicemente limitandosi a guardare l’esito finale nell’uso delle armi distruttive. Togliere la vita a migliaia di persone o traumatizzarle per tutta la vita, o riportarle – come spesso si dice – all’età della pietra, son cose che si fanno in un tempo incredibilmente breve. Certo, già nella seconda guerra mondiale ci eravamo accorti di questa cosa, ma, a quanto pare, le promesse che ci eravamo fatti di non ripetere gli errori compiuti, erano solo da marinaio.
Ora però dobbiamo deciderci se guardare le cose dalla finestra o se uscire di casa.

La fine di un’epoca

A noi europei manca una guerra mondiale o una contro la Russia e saremo al tappeto. Per noi sarà l’ultima, poiché, con le armi micidiali che l’umanità ha sviluppato, non c’è bunker che tenga. Non torneremo al Medioevo ma al paleolitico: poche comunità di poche persone sparse in un intero continente, senza neppure essere in contatto tra loro, intente, come Giobbe, a grattarsi con un coccio le pustole della lebbra acquisita. E a chiedersi, sempre come lui, cosa abbiamo fatto di così grave da meritarci un castigo così grande.
Condotta da quella scriteriata della von der Leyen e da altri statisti che le somigliano, l’Unione Europea non aiuta certo gli Stati che la compongono. Anzi li obbliga a indebitarsi sempre di più per assurde esigenze militari e nel tentativo di cercare introvabili rifornimenti energetici alternativi a quelli russi, o molto più costosi per le nostre tasche e dannosi per l’ambiente.
Siamo in mano a folli che si dichiarano filo-americani anche quando gli USA fanno chiaramente capire che ci detestano e che vogliono tenerci come servi ubbidienti, come loro imitatori nel condurre un’esistenza senza Stato sociale, in mano a oligarchi senza scrupoli, coi dollari stampati negli occhi come lo zio di Paperino.
Ci stanno portando via i nostri risparmi, gli ultimi asset strategici rimasti, e poi vengono a dirci che siamo noi i parassiti, siamo noi ad avere un favorevole avanzo commerciale a loro spese, come se fosse una nostra colpa avere prodotti migliori dei loro, più competitivi, più sani e genuini.
Gli europei devono svegliarsi, devono liberarsi dei loro statisti corrotti e iniziare a costruire un continente più democratico, più autogestito, più indipendente dalle mire coloniali degli Stati Uniti, dove libertà giustizia uguaglianza non siano parole vuote.
Devono anzitutto nazionalizzare le basi NATO, ricondurle sotto il controllo degli Stati, togliere loro qualunque extraterritorialità, espellere le forze militari americane dal continente, e chiedere ai russi di negoziare la rinuncia progressiva a qualunque arma di distruzione di massa.
Morire di morte violenta, solo perché qualcuno ce lo impone, è assurdo. Far morire gli altri al nostro posto, come stiamo facendo con gli ucraini o i palestinesi e sicuramente con altre popolazioni del pianeta, è vergognoso. Solo per questo meriteremmo di scomparire dalla faccia della terra, perché non siamo degni di esistere.
Dovremmo comportarci come in certi film sentimentali, i cui protagonisti se ne dicono di tutti i colori e poi si pentono, ammettendo reciprocamente di aver detto cose che non volevano e che sono disposti a dimenticare e a ricominciare tutto da capo. Perché queste cose le vediamo solo nei film, mentre nella realtà procediamo a testa bassa con tutti i pregiudizi possibili e immaginabili?

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Dai tempi della crisi dei subprime (2007-8), i cui effetti si sono fatti sentire per un decennio, passando per la crisi pandemica (2020-21), che ha bloccato i commerci mondiali, cui è succeduta la guerra russo-ucraina (2022-25), che ha determinato la più grande crisi energetica europea, la dedollarizzazione e la nascita dei BRICS, le popolazioni occidentali son forse quelle che, anche se non muoiono sui campi di battaglia come quelle slave o palestinesi, vivono come se fossero completamente disorientate, avendo perduto le certezze di un tempo.
Infatti stanno subendo non solo una progressiva erosione dei loro risparmi e del potere d’acquisto delle loro monete, ma anche lo sgretolamento delle loro convinzioni etiche e politiche. Cominciano ad avere la netta percezione che la questione dei diritti umani e della democrazia rappresentativa siano giunte al capolinea. Che sia perché la gran parte dell’umanità non ne voglia sapere, in quanto vive valori diversi dai nostri, o perché sono due questioni che noi gestiamo con molta ipocrisia, sembra non fare molta differenza per noi. Di fatto il mondo che ci eravamo costruiti a nostra immagine ci sta facendo capire che non vuole più esistere. Ci sembra come un figlio che vuole andarsene di casa, perché ha idee diverse dalle nostre e le vuole vivere in autonomia.
La questione dei dazi appare, simbolicamente, come l’azione disperata di un padre che non si rassegna all’emarginazione. L’occidente somiglia a quelle persone che non accettano d’invecchiare e non vogliono farsi da parte. Pensano di avere ancora diritto a dire la loro, con la prosopopea dei tempi migliori, in cui noi si comandava e gli altri obbedivano.
Gli USA, abituati all’individualismo più esasperato, vogliono pensare solo a stessi: non riconoscono amici parenti alleati… Se riescono a sopravvivere affossando il mondo intero, non si fanno scrupoli. Sono scomposti, disordinati, irrazionali. S’illudono di poterci dare un colpo ai fianchi da toglierci il respiro, ma sta per arrivare l’ultimo round e i più suonati sono loro. La storia è un giudice imparziale. L’incontro non è truccato, e loro hanno perso. Delocalizzando le loro imprese, è stato come se avessero assunto sostanze dopanti, quelle finanziarie, e ora ne pagano le conseguenze. Gli altri producono beni industriali, perché hanno imparato in fretta a farlo. Noi stampiamo solo carta-moneta. Le ultime industrie veramente innovative che abbiamo prodotto, quella satellitare e quella infotelematica, ce le hanno copiate molto velocemente. Pensavamo che ci avrebbero messo un secolo, invece ci hanno lasciato a bocca aperta.
Non ammettere la sconfitta, si diventa ridicoli, anzi patetici. Militarmente la Russia è più forte (da sola è stata in grado di affrontare 32 Paesi della NATO) ed economicamente lo è la Cina, che dei dazi americani se ne fa un baffo. Dovremmo tutti prenderne atto e imparare a ridimensionarci, anche nello stile di vita.

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Mi piace Andrea Zhok, soprattutto quando dice che “Il nesso tra capitalismo e guerra è non accidentale, ma strutturale, stringente.”
Questo significa, come si è sempre detto, che di tanto in tanto il capitalismo ha bisogno di autodistruggersi per ricostruirsi, oppure ha bisogno di distruggere qualcosa per fare un favore all’industria bellica o all’edilizia.
Il problema di fondo è che il capitale ha bisogno di autovalorizzarsi di continuo, cioè ha bisogno di sfruttare profitti e interessi. Non può stare fermo. Non ha pace.
E qual è il Paese in cui ha bisogno di muoversi più che altrove? Gli USA, è evidente, che da tempo vivono basandosi sul primato della finanza. L’economia non coincide più da loro con la produzione ma con la speculazione. Il passaggio da Biden a Trump è l’espressione più eloquente che il primato della finanza, per conservarsi come tale in uno Stato ultraindebitato e in un mondo multipolare, deve per forza ricattare minacciare intimidire…
Non può esistere libero scambio quando un Paese vuole vivere sulle spalle altrui, sfruttando i privilegi del dollaro. Deve per forza esserci una guerra, anzi più di una, se condotte a livello regionale. Peccato però che in un villaggio globale una guerra regionale abbia subito effetti mondiali.
Zhok lo dice chiaro e tondo: il capitalismo non ha bisogno di una guida politica ma di essere incrementato. E, a tal fine, il commercio ha un’importanza relativa: oggi ciò che più conta è l’investimento finanziario. I grandi oligarchi si stanno chiedendo dove far fruttare di più i loro capitali, e la guerra e i risparmi altrui sembrano piatti succulenti.
Bisognerà ricordarsi di due cose quando questo momento drammatico finirà (ovviamente se ci saremo ancora): dobbiamo eliminare non solo le armi di distruzione di massa, ma anche la massa di capitali che producono distruzione.
Fonte: inchiostronero.it

NEWS del 14 aprile 2025

L’imprevedibilità in uno statista non è una cosa normale, o comunque può non essere una cosa piacevole. Mette angoscia, panico, un senso di frustrazione molto fastidioso. Non fa bene né ai mercati, né alle borse, né alle fluttuazioni dei prezzi, delle monete, né alla stipulazione dei contratti. Non fa bene a niente. Il mondo non può sopportare un’incertezza del genere per colpa di una persona instabile come Trump. Lui si può vantare d’aver superato i test psicologici che vuole, ma di fatto resta una mina vagante, che il mondo intero guarderà sempre con molto sospetto e che cercherà d’evitare come la peste.
Per es. il 10 aprile ha improvvisamente esteso per un altro anno l’applicazione dell’ordine esecutivo n. 14024, introdotto da Biden nel 2021, secondo cui la Russia va sanzionata perché conduce attività di sabotaggio nei processi democratici negli Stati Uniti e nei Paesi alleati, destabilizza aree strategiche per la sicurezza americana e viola i princìpi del diritto internazionale.
Sono tutte falsità. Ma anche se fossero delle verità, non ha senso metterle in mostra ora che si cerca a tutti i costi una trattativa per porre fine al conflitto in Ucraina.
Quando si cerca un negoziato, che deve per forza essere vantaggioso per tutte le parti in causa, bisogna essere diplomatici. Non si possono usare ricatti minacce intimidazioni… Chi crede di essere Trump? Con chi crede di avere a che fare? E soprattutto: da quale staff viene consigliato e supportato?
Inutile, anzi controproducente minacciare nuove sanzioni nel caso in cui Mosca venga ritenuta responsabile di un eventuale fallimento nei colloqui sul cessate il fuoco in Ucraina.
Questa guerra non l’ha voluta la Russia, che ha confidato per ben 8 anni nell’efficacia dei due Accordi di Minsk. Gli USA devono smettere di accusarla di averla iniziata. Putin è intervenuto per porre fine a una guerra civile che durava dal 2014 e che l’ONU non è mai riuscito a fermare.
Gli USA han proposto una pausa nei bombardamenti su infrastrutture energetiche, appoggiata pubblicamente sia da Mosca che da Kiev. Ma Kiev non la rispetta e la pazienza di Mosca non può essere infinita.
Io se fossi in Putin direi agli abitanti di Kiev: “Vi diamo 48 ore di tempo per andarvene, poi la città scomparirà dalle carte geografiche”. Una guerra non può durare in eterno, e non è che la Russia può mettere a repentaglio la vita dei propri soldati solo perché ora vi sono molti Paesi che chiedono d’inviare proprie truppe in quel teatro di guerra per imparare a fare i militari direttamente su un campo che sicuramente resta più significativo di mille esercitazioni simulate.

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Con il crollo del saliente ucro-atlantista di Kursk, si torna a parlare dell’arrivo di mercenari occidentali in Ucraina, poiché molti di loro sono principalmente diretti a quella fatiscente linea difensiva ucraina, che consiste di 4 villaggi di confine russi ancora occupati (2 nella regione di Kursk e 2 nella regione di Belgorod). Han ricevuto l’ordine folle di mantenere a tutti i costi una posizione difensiva. Sono di lingua inglese e polacca, ma sono stati avvistati anche membri di altre nazionalità, come colombiani e francesi. E poi dobbiamo sentire i neonazisti di Kiev lamentarsi quando vedono combattere contro di loro anche militari nordcoreani e cinesi. Dovrebbero anzi ringraziare i russi che fino adesso han dimostrato di poter contare solo sulle proprie forze.
Sembra di assistere al rapporto surreale tra Hitler e Paulus a Stalingrado: “Dovete resistere sino all’ultimo uomo. Gli aiuti arriveranno presto”. Poi, “più che ’l dolor poté ’l digiuno”, come disse Dante parlando del conte Ugolino. Il che voleva dire che tu puoi avere nella testa tutte le idee che vuoi, ma poi alla fine devi arrenderti all’evidenza dei fatti. Una cosa che la von der Leyen e molti altri statisti europei sono lungi dal capire. Si ostinano a trattare gli USA coi guanti bianchi, quando se c’è un Paese che odia l’Europa e il suo Stato sociale son proprio loro.
Chissà se questi mercenari faranno in tempo a capire che buttare via la propria vita per una manciata di soldi non è cosa degna di un essere umano. Nessuno si ricorderà del loro impegno, perché non potranno rivelarlo. Nessuno li premierà ufficialmente, perché sarebbe vergognoso per un governo ammettere d’averli arruolati. Nessuno sarà tenuto a rispettare il diritto internazionale se verranno catturati. Nessuno sarà tenuto a restituire ai parenti i loro corpi.

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Pavel Palisa, vice capo dell’ufficio presidenziale ucraino, si è lamentato che meno di 500 giovani tra i 18 e i 24 anni han firmato contratti militari speciali negli ultimi due mesi.
Ha dovuto ammettere, un po’ sconsolato, che qualcuno ha acconsentito solo verbalmente, attirato dai soldi e dai benefici promessi, ma poi non ha mai firmato, forse perché influenzato dai genitori. Certo, i giovani di quella età han bisogno che siano i genitori a dissuaderli dal voler morire quasi sicuramente nel giro di qualche settimana. Come se dopo un triennio di sconfitte qualcuno sia ancora convinto di poter trionfare sul nemico.
Poi ha aggiunto, per ovviare a questo problema di reclutamento: “Per essere sufficientemente forti e non avere simili sfumature nel coinvolgimento dei cittadini nell’esercito, mi sembra che dobbiamo studiare l’esperienza d’Israele. Se una persona è veramente un cittadino e afferma di ricevere una posizione dallo Stato, un’istruzione o qualsiasi altro sussidio dal bilancio statale in generale, deve prestare servizio militare.” Quindi praticamente bisognerebbe arruolare tutti, incluse le donne. Inoltre, per converso, a coloro che non prestano servizio militare, dovrebbe in qualche modo essere limitato l’accesso alla pubblica amministrazione, ai pagamenti di bilancio e all’istruzione gratuita.
A volte ci si chiede, al cospetto di affermazioni così deliranti, se certi funzionari siano imbeccati da qualcuno, oppure se siano proprio limitati nelle capacità cognitive.
A quanto pare, facendo affermazioni del genere, deve per forza dare per scontato che il popolo ucraino non si sia mai chiesto il motivo per cui ha bisogno di uno Stato che, invece di offrirgli una vita normale, gliela distrugge. Per un neonazista come lui pare assolutamente normale che esista un governo che obbliga il proprio popolo a vivere in uno stato di permanente conflitto armato coi propri vicini. E questo senza considerare che se anche vincessero la guerra, gli ucraini sarebbero schiavi per varie generazioni di tutti gli Stati occidentali che hanno fornito loro armi e soldi.

Ricatti trumpiani

Trump sta ricattando il mondo intero. Gli sta facendo piovere addosso tutte le colpe del suo stesso Paese. Gli USA non stanno assumendo le loro responsabilità, ma è come se dichiarassero guerra all’umanità. “America first” vuol dire “America contro tutti”.
Qui non stiamo assistendo, come nel caso dell’URSS, a una sorta di “implosione”, ma a una vera e propria dichiarazione di guerra commerciale contro un pianeta giudicato ingrato, che ha voltato le spalle a chi fino adesso ha avuto la pretesa di guidarlo, di dirigerlo verso il benessere consumistico, la democrazia e i diritti umani.
Trump vuol far vedere che gli USA sono ancora i più forti, ma se c’è qualcosa di “forte” è soltanto la loro mancanza di realismo, la pervicacia con cui vogliono rimanere sulla cresta dell’onda in un mondo che non vuole essere più dominato dalla loro economia, anzi dalla loro finanza, né dalle loro armi.
Gli unici Paesi a non subire la ghigliottina dei dazi sono quelli che a causa delle tante sanzioni già presenti, non hanno nessun commercio diretto con loro. Ora per avere uno sconticino su queste tariffe unilaterali, bisogna umiliarsi, come un servo col suo padrone.
E pensare che la giustificazione con cui le ha imposte, è totalmente falsa: non è vero che ha guardato le tasse che i Paesi importatori mettono alle merci americane, ma ha guardato soltanto il dislivello nella bilancia commerciale tra import ed export. In questa maniera ha punito il fatto che certi beni sono molto apprezzati dagli stessi cittadini americani, come per es. il cibo italiano. Ha punito il libero commercio, in cui il migliore ha diritto di vincere la concorrenza.
Ha punito il suo stesso Paese, poiché non è colpa dei consumatori se negli anni ’70 gli USA han preferito dare più importanza alla moneta che non all’industria. Si sono nello stesso tempo finanziarizzati all’eccesso (soprattutto con la politica del petro-dollaro e con la vendita di appetibili titoli statali) e deindustrializzati, delocalizzando le loro imprese all’estero, là dove era più vantaggioso sul piano dei profitti.
Compravano gran parte delle merci del mondo con una moneta priva di un sottostante reale, anche se ben protetta dalla forza militare. E ora pensano improvvisamente di rimediare, ricattando il mondo intero, con un atteggiamento a dir poco mafioso.
Sono ancora convinti di poter imporre la loro volontà. Fino a Biden volevano far credere che questa volontà veniva imposta per un fine di bene – la democrazia – o per combattere l’impero del male – il comunismo –, ma con Trump la verità è venuta a galla: gli USA mirano anzitutto a tutelare se stessi e degli altri Paesi non gli importa proprio nulla.
Senonché il mondo è cambiato. Non si lascia più intimidire. Nessuno può impedire il libero commercio a livello mondiale. Sono nati nuovi attori globali: Russia, Cina, India; e nuovi attori regionali stanno crescendo d’importanza: Iran, Brasile, Sudafrica… I commerci internazionali sono ora di pertinenza di un mondo multipolare, in cui la sovranità nazionale gioca un peso rilevante.
Lo dimostra anche il fatto che in Italia molte aziende stanno trasferendo la loro sede giuridica a San Marino, dove i dazi americani sono solo del 10%. Sta accadendo quel che si era già visto nei rapporti tra USA, Cina e Messico. La Cina, supertassata dagli USA, aveva trasferito le proprie sedi di riferimento in Messico, continuando a essere molto competitiva sul mercato americano.

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Ovviamente penso che la politica dei dazi, lanciata dall’amministrazione di Trump, sia contraria al libero commercio mondiale, per quanto questo sia largamente compromesso dai monopoli delle multinazionali e da una gestione ricattatoria del credito finanziario, che penalizza soprattutto i Paesi più deboli.
Tuttavia penso che a questo punto si dovrebbe anche rivalutare l’autarchia. Questo perché non ha davvero alcun senso comprare dei beni che provengono da migliaia di chilometri di distanza, prodotti in una maniera non controllabile e, nel caso di quelli alimentari, assurdamente presenti in qualunque momento dell’anno.
Dovremmo approfittare di questa scriteriata politica commerciale per ripensare un consumismo che ci fa diventare schiavi di bisogni inventati, non indispensabili, che ci fa diventare ideologicamente materialisti e totalmente indifferenti alle sorti della natura. Le cose vengono consumate e dismesse con una voracità e una velocità che per l’ambiente è del tutto insopportabile.