La fine di un’epoca
A noi europei manca una guerra mondiale o una contro la Russia e saremo al tappeto. Per noi sarà l’ultima, poiché, con le armi micidiali che l’umanità ha sviluppato, non c’è bunker che tenga. Non torneremo al Medioevo ma al paleolitico: poche comunità di poche persone sparse in un intero continente, senza neppure essere in contatto tra loro, intente, come Giobbe, a grattarsi con un coccio le pustole della lebbra acquisita. E a chiedersi, sempre come lui, cosa abbiamo fatto di così grave da meritarci un castigo così grande.
Condotta da quella scriteriata della von der Leyen e da altri statisti che le somigliano, l’Unione Europea non aiuta certo gli Stati che la compongono. Anzi li obbliga a indebitarsi sempre di più per assurde esigenze militari e nel tentativo di cercare introvabili rifornimenti energetici alternativi a quelli russi, o molto più costosi per le nostre tasche e dannosi per l’ambiente.
Siamo in mano a folli che si dichiarano filo-americani anche quando gli USA fanno chiaramente capire che ci detestano e che vogliono tenerci come servi ubbidienti, come loro imitatori nel condurre un’esistenza senza Stato sociale, in mano a oligarchi senza scrupoli, coi dollari stampati negli occhi come lo zio di Paperino.
Ci stanno portando via i nostri risparmi, gli ultimi asset strategici rimasti, e poi vengono a dirci che siamo noi i parassiti, siamo noi ad avere un favorevole avanzo commerciale a loro spese, come se fosse una nostra colpa avere prodotti migliori dei loro, più competitivi, più sani e genuini.
Gli europei devono svegliarsi, devono liberarsi dei loro statisti corrotti e iniziare a costruire un continente più democratico, più autogestito, più indipendente dalle mire coloniali degli Stati Uniti, dove libertà giustizia uguaglianza non siano parole vuote.
Devono anzitutto nazionalizzare le basi NATO, ricondurle sotto il controllo degli Stati, togliere loro qualunque extraterritorialità, espellere le forze militari americane dal continente, e chiedere ai russi di negoziare la rinuncia progressiva a qualunque arma di distruzione di massa.
Morire di morte violenta, solo perché qualcuno ce lo impone, è assurdo. Far morire gli altri al nostro posto, come stiamo facendo con gli ucraini o i palestinesi e sicuramente con altre popolazioni del pianeta, è vergognoso. Solo per questo meriteremmo di scomparire dalla faccia della terra, perché non siamo degni di esistere.
Dovremmo comportarci come in certi film sentimentali, i cui protagonisti se ne dicono di tutti i colori e poi si pentono, ammettendo reciprocamente di aver detto cose che non volevano e che sono disposti a dimenticare e a ricominciare tutto da capo. Perché queste cose le vediamo solo nei film, mentre nella realtà procediamo a testa bassa con tutti i pregiudizi possibili e immaginabili?
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Dai tempi della crisi dei subprime (2007-8), i cui effetti si sono fatti sentire per un decennio, passando per la crisi pandemica (2020-21), che ha bloccato i commerci mondiali, cui è succeduta la guerra russo-ucraina (2022-25), che ha determinato la più grande crisi energetica europea, la dedollarizzazione e la nascita dei BRICS, le popolazioni occidentali son forse quelle che, anche se non muoiono sui campi di battaglia come quelle slave o palestinesi, vivono come se fossero completamente disorientate, avendo perduto le certezze di un tempo.
Infatti stanno subendo non solo una progressiva erosione dei loro risparmi e del potere d’acquisto delle loro monete, ma anche lo sgretolamento delle loro convinzioni etiche e politiche. Cominciano ad avere la netta percezione che la questione dei diritti umani e della democrazia rappresentativa siano giunte al capolinea. Che sia perché la gran parte dell’umanità non ne voglia sapere, in quanto vive valori diversi dai nostri, o perché sono due questioni che noi gestiamo con molta ipocrisia, sembra non fare molta differenza per noi. Di fatto il mondo che ci eravamo costruiti a nostra immagine ci sta facendo capire che non vuole più esistere. Ci sembra come un figlio che vuole andarsene di casa, perché ha idee diverse dalle nostre e le vuole vivere in autonomia.
La questione dei dazi appare, simbolicamente, come l’azione disperata di un padre che non si rassegna all’emarginazione. L’occidente somiglia a quelle persone che non accettano d’invecchiare e non vogliono farsi da parte. Pensano di avere ancora diritto a dire la loro, con la prosopopea dei tempi migliori, in cui noi si comandava e gli altri obbedivano.
Gli USA, abituati all’individualismo più esasperato, vogliono pensare solo a stessi: non riconoscono amici parenti alleati… Se riescono a sopravvivere affossando il mondo intero, non si fanno scrupoli. Sono scomposti, disordinati, irrazionali. S’illudono di poterci dare un colpo ai fianchi da toglierci il respiro, ma sta per arrivare l’ultimo round e i più suonati sono loro. La storia è un giudice imparziale. L’incontro non è truccato, e loro hanno perso. Delocalizzando le loro imprese, è stato come se avessero assunto sostanze dopanti, quelle finanziarie, e ora ne pagano le conseguenze. Gli altri producono beni industriali, perché hanno imparato in fretta a farlo. Noi stampiamo solo carta-moneta. Le ultime industrie veramente innovative che abbiamo prodotto, quella satellitare e quella infotelematica, ce le hanno copiate molto velocemente. Pensavamo che ci avrebbero messo un secolo, invece ci hanno lasciato a bocca aperta.
Non ammettere la sconfitta, si diventa ridicoli, anzi patetici. Militarmente la Russia è più forte (da sola è stata in grado di affrontare 32 Paesi della NATO) ed economicamente lo è la Cina, che dei dazi americani se ne fa un baffo. Dovremmo tutti prenderne atto e imparare a ridimensionarci, anche nello stile di vita.
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Mi piace Andrea Zhok, soprattutto quando dice che “Il nesso tra capitalismo e guerra è non accidentale, ma strutturale, stringente.”
Questo significa, come si è sempre detto, che di tanto in tanto il capitalismo ha bisogno di autodistruggersi per ricostruirsi, oppure ha bisogno di distruggere qualcosa per fare un favore all’industria bellica o all’edilizia.
Il problema di fondo è che il capitale ha bisogno di autovalorizzarsi di continuo, cioè ha bisogno di sfruttare profitti e interessi. Non può stare fermo. Non ha pace.
E qual è il Paese in cui ha bisogno di muoversi più che altrove? Gli USA, è evidente, che da tempo vivono basandosi sul primato della finanza. L’economia non coincide più da loro con la produzione ma con la speculazione. Il passaggio da Biden a Trump è l’espressione più eloquente che il primato della finanza, per conservarsi come tale in uno Stato ultraindebitato e in un mondo multipolare, deve per forza ricattare minacciare intimidire…
Non può esistere libero scambio quando un Paese vuole vivere sulle spalle altrui, sfruttando i privilegi del dollaro. Deve per forza esserci una guerra, anzi più di una, se condotte a livello regionale. Peccato però che in un villaggio globale una guerra regionale abbia subito effetti mondiali.
Zhok lo dice chiaro e tondo: il capitalismo non ha bisogno di una guida politica ma di essere incrementato. E, a tal fine, il commercio ha un’importanza relativa: oggi ciò che più conta è l’investimento finanziario. I grandi oligarchi si stanno chiedendo dove far fruttare di più i loro capitali, e la guerra e i risparmi altrui sembrano piatti succulenti.
Bisognerà ricordarsi di due cose quando questo momento drammatico finirà (ovviamente se ci saremo ancora): dobbiamo eliminare non solo le armi di distruzione di massa, ma anche la massa di capitali che producono distruzione.
Fonte: inchiostronero.it