News del 26 aprile

Il 22 aprile nella regione del Kashmir indiano, un gruppo di 26 turisti è stato ucciso, tra cui cittadini provenienti da India e Nepal. Il crimine è stato rivendicato da Resistance Front, una fazione legata al gruppo terroristico pakistano Lashkar-e-Taiba.
L’India ha reagito bloccando le chiuse del fiume Indo verso il Pakistan. Islamabad considera questa violazione dell’approvvigionamento idrico come un “atto di guerra”.
Per entrambi i Paesi il bacino dell’Indo è una fonte d’acqua vitale per l’agricoltura: un accordo del 1960 regolava la distribuzione di ben sei fiumi.
L’India ha già annunciato l’espulsione di tutti i pakistani cittadini e degli ambasciatori, la cancellazione dei loro visti e la chiusura della frontiera con quel Paese. Sta pensando anche di abolire l’accordo di cessate il fuoco del 2021.
In tutto il Pakistan si stanno verificando proteste anti-indiane: la folla grida “La guerra continuerà finché il Kashmir non sarà liberato”. Il Kashmir è una regione suddivisa tra India, Cina e Pakistan, sempre fonte di tensioni sin dalla fine dell’India britannica nel 1947. Dopo l’abolizione dello status speciale del Jammu e Kashmir nel 2019, l’India ha intensificato i suoi sforzi per integrare la regione.
Il governo pakistano ha chiuso il suo spazio aereo alle compagnie aeree indiane; ha sospeso tutti i trattati bilaterali, compreso l’accordo di Simla del 1972 sulla linea di controllo.
Si ricorda che entrambe sono potenze nucleari: le atomiche indiane sono 180; quelle pakistane 170. L’esercito indiano è più del doppio di quello pakistano.
Da dove nasce questo improvviso conflitto? Dal fatto che gli USA stanno provocando un’altra guerra per procura su larga scala lungo la rotta delle merci cinesi verso l’Europa e del petrolio mediorientale verso la Cina. Infatti l’escalation è avvenuta subito dopo la visita del vicepresidente statunitense Vance in India. L’ingenuo presidente Modi è convinto di avere l’appoggio americano in caso di conflitti con Cina o Pakistan.
Il Pakistan è l’alleato militare più vicino a Pechino (è il maggiore acquirente di armi cinesi) e la Cina è il principale partner commerciale del Pakistan.
Il Pakistan rappresenta per la Cina un ponte sicuro verso il petrolio iraniano (anche Teheran è vicina a Islamabad): un ponte che Stati Uniti e India potrebbero non consentire di attraversare via mare se il confronto tra Cina e USA raggiungesse un nuovo livello.
Naturalmente queste tensioni servono anche a Washington per indurre Pechino a essere più accomodante nei negoziati sui dazi.

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Zelensky dimostra sempre più di non avere contezza di ciò che afferma. Infatti continua a ribadire che solo il popolo ucraino decide il destino dei propri territori.
Tutti i territori temporaneamente occupati, tra cui la Crimea, sono ancora considerati ucraini in conformità con la Costituzione e il diritto internazionale.
Ha poi aggiunto che le questioni territoriali potranno essere discusse solo dopo un cessate il fuoco incondizionato. Allo stesso tempo, ha riconosciuto che Kiev non ha armi sufficienti per riconquistare la Crimea, ma che esistono sanzioni e strumenti diplomatici.
Zelensky ha affermato che l’Ucraina conta sul sostegno degli Stati Uniti, così come fa Israele: ciò potrebbe includere la difesa informatica, i sistemi di difesa aerea e lo sviluppo delle infrastrutture, senza la presenza obbligatoria dell’esercito americano.
Questo presidente il cui mandato è scaduto dall’aprile 2024, ha uno strano modo di ragionare.
Non si rende conto che parte del suo popolo ha già deciso di voler stare sotto la Russia. Lo dimostrano vari referendum: quello del 2014 in Crimea e Sebastopoli; quello del 2022 a Donetsk, Lugansk, Zaporozhye e Kherson.
Hanno un valore i referendum per la secessione o l’indipendenza oppure no?
Questa guerra in Ucraina sembra essere un conflitto non tanto tra Ucraina e Russia o tra NATO e Russia, quanto tra Stato centrale di Kiev e regioni periferiche espresse da minoranze nazionali. Se una minoranza chiede di separarsi completamente da un potere centrale, significa che ci sono motivi gravissimi, altrimenti non lo farebbe.
Che senso ha impedire alle proprie minoranze nazionali di chiedere aiuto alla Russia quando il governo centrale si avvale dell’aiuto dell’occidente collettivo per reprimerle? Anzi il governo golpista di Kiev è frutto del sostegno euroamericano, e senza questo sostegno non ci sarebbe stata una guerra civile, durata ben 8 anni, contro la propria minoranza russofona.
D’altronde in Ucraina è dal 2019 che non si fanno più elezioni. Cosa può sapere Zelensky degli orientamenti politici del suo popolo, che peraltro dal 2022 ad oggi si è ridotto a 33 milioni di abitanti, rispetto ai 41 d’anteguerra?
Ben 11 partiti sono stati messi al bando e centinaia di oppositori si trovano in carcere. Il governo di Kiev è solo una dittatura che lo stesso popolo ucraino dovrebbe abbattere a prescindere dall’adesione o meno alla Federazione Russa.
Immaginiamo cosa potrebbe accadere in Estonia o in Lettonia, se i governi centrali fossero altamente russofobici come quello ucraino. Là il 25% è di origine russa. Inevitabilmente si rischierebbe un replay.

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Durissima Maria Zakharova contro il Segretariato dell’ONU. In genere è più diplomatica. Ha detto:
Sin dal colpo di stato incostituzionale di Kiev del 2014, il Segretariato delle Nazioni Unite ha costantemente perseguito una politica di “doppi standard” riguardo agli eventi in Ucraina.
Non abbiamo ricevuto alcuna critica dai rappresentanti del Segretariato nei confronti dei sostenitori di Maidan, mentre il regime di Kiev ha condotto una vera e propria guerra contro i cittadini delle regioni orientali di quella che allora era l’Ucraina per oltre 8 anni.
Non vi sono state richieste da parte dei rappresentanti dell’ONU di un dialogo diretto tra Kiev e il Donbass, come previsto dalla risoluzione 2202 del Consiglio di sicurezza, che ha approvato il pacchetto di misure per l’attuazione degli accordi di Minsk.
Per i rappresentanti dell’ONU è diventata la norma ignorare sistematicamente le palesi violazioni da parte del regime di Kiev delle norme fondamentali del diritto umanitario internazionale, tra cui:
– l’uso di civili come “scudi umani”,
– lo spiegamento di equipaggiamento militare e l’istituzione di postazioni di tiro nelle zone residenziali,
– tortura e maltrattamenti di prigionieri di guerra e civili,
– uccisioni mirate di civili.
Quando si verificarono la “messa in scena di Bucha” e i tragici eventi alla stazione ferroviaria di Kramatorsk nell’aprile 2022; durante l’evacuazione dei civili dalla zona di “Azovstal” nel maggio 2022; dopo l’attacco terroristico al ponte di Crimea nell’ottobre 2022; quando il mondo intero fu testimone dei crimini disumani della cricca di Kiev contro la popolazione civile nella regione di Kursk in seguito all’invasione delle forze ucraine nell’agosto 2024; dopo gli omicidi mirati di giornalisti russi che prestavano servizio sia al fronte che sul territorio russo, nessuno del Segretariato dell’ONU tentò di notare nulla.
Viceversa, osserviamo regolarmente come la parte russa venga accusata di presunti attacchi deliberati alle infrastrutture civili ed energetiche dell’Ucraina. Un esempio recente sono i commenti del portavoce del Segretario generale, Stéphane Dujarric, in merito agli eventi di aprile nella città di Sumy, con considerazioni e finzioni su… una serie di attacchi alle città ucraine che “hanno provocato vittime tra la popolazione civile e una massiccia distruzione”.
Il Segretario generale si è compromesso con una serie di dichiarazioni valutative parziali sulla volontà della popolazione nelle regioni di Zaporižžja e Kherson, così come nelle repubbliche popolari di Donetsk e Luhansk. Secondo lui, “la decisione di annettere le regioni di Donetsk, Luhansk, Zaporižžja e Kherson non avrà alcun valore legale” e anzi “merita di essere condannata”.
Gli attuali funzionari dell’ONU dimenticano che il loro ruolo è quello di agire come custodi dei princìpi della Carta nella loro interezza, complessità e interrelazione.
Per noi è ovvio che il comportamento del Segretario generale e dei suoi subordinati è completamente incompatibile con l’essenza, la formulazione e lo spirito dell’art. 100 della Carta dell’ONU, che richiede al personale del Segretariato di rispettare il principio di imparzialità, inclusa la necessità di “astenersi da qualsiasi azione che possa influire negativamente sulla loro posizione di funzionari internazionali che sono responsabili solo nei confronti dell’Organizzazione”.
Le azioni e le dichiarazioni del Segretario generale non sono conformi all’art. 97 della Carta dell’ONU, che gli assegna il ruolo di “capo amministrativo dell’Organizzazione”. Tali funzioni non garantiscono al capo del Segretariato il diritto di rilasciare dichiarazioni politiche impegnate a nome dell’intera Organizzazione e di interpretare le norme della Carta e i documenti dell’Assemblea Generale.
In questo contesto è quasi strano parlare di un possibile ruolo di mediazione del Segretariato nella crisi ucraina.
Insomma da queste dichiarazioni così nette pare evidente che la Russia abbia intenzione di ripensare seriamente la funzione dell’ONU, o quanto meno di rimettere in discussione la credibilità del suo Segretariato.

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“Zelensky può avere la pace adesso o combattere per altri tre anni prima di perdere l’intero Paese”, ha tuonato Trump.
Però è comodo scaricare tutto su Zelensky. Inutile che Trump dica che questa non è la sua guerra ma quella di Biden. Questa è la guerra voluta dagli USA, di cui Trump è presidente. Il golpe del 2014 l’hanno organizzato loro, con prove evidenti.
Zelensky, come tanti altri nazionalisti e neonazisti ucraini, sono stati gli ingenui di turno che han creduto alle sirene occidentali, quando queste promettevano una facile vittoria contro la Russia. Adesso si sentono traditi e non sanno cosa fare. Gli stessi occidentali non sanno letteralmente come uscirne, salvando la faccia. Trump può fare tutte le dichiarazioni che vuole, può anche staccarsi dalle intenzioni degli statisti europei più sciagurati, che vogliono continuare la guerra, ma non può pretendere che Mosca si pieghi alla sua volontà.
Putin non è entrato in guerra a cuor leggero: ci ha pensato otto anni prima di farlo, poiché credeva negli Accordi di Minsk. Le condizioni dell’operazione militare speciale erano state fissate chiaramente sin dall’inizio, e non sono ancora state adempiute tutte, e non lo saranno finché l’occidente, quindi inclusi gli USA, non smetterà di sostenere la giunta di Kiev. Trump ha ragione solo su una cosa: se Zelensky non accetterà la resa incondizionata, perderà l’intero Paese. Solo che non lo perderà fra tre anni, ma molto prima.
A Putin non può interessare minimamente che Trump voglia una pace affrettata, non avendo gli USA più soldi da spendere per questa proxy war. Personalmente non credo neppure che auspichi una rimozione violenta di Zelensky ad opera di qualche killer pagato dalla CIA. Piuttosto è il popolo ucraino che deve convincersi d’aver sostenuto un regime che di democratico non aveva assolutamente nulla. Questo perché, per avere una propria sicurezza esistenziale, non può bastare alla Russia che l’Ucraina non entri nella NATO o sia smilitarizzata o il governo sia denazificato. Gli ucraini devono capire che non è in nome della russofobia che si può costruire la fiducia reciproca. E non devono neppure pensare che, siccome han perso la guerra, saranno costretti ad accettare la democrazia.