Occidente al capolinea

Secondo il “Washington Post” lo scenario prioritario per la pianificazione dell’esercito americano è il tentativo della Cina di annettere Taiwan. Cioè se l’esercito americano dovesse impegnarsi in ostilità su larga scala, non avverrebbe in Iran o in Ucraina, ma nello Stretto di Taiwan.
Il Segretario alla Difesa Hegseth ha dichiarato senza mezzi termini nel febbraio scorso che gli USA si trovano al cospetto di un concorrente alla pari, la Cina comunista, e questa avrebbe capacità e intenzioni di minacciare non solo gli USA qua talis, ma soprattutto i loro interessi nazionali fondamentali nell’Indo-Pacifico (si pensi al rapporto con le Filippine e con altre isole contese nel Mar Cinese Meridionale). Ecco perché sono costretti a dare priorità alla guerra di deterrenza nel Pacifico.
Se questo non è un atteggiamento imperialistico, che cos’è? Che sta facendo l’occidente? Gli USA hanno intenzione di guerreggiare con la Cina, lasciando alla UE il compito di prendersela con la Russia e a Israele quello di spadroneggiare in Medioriente? Si stanno mettendo d’accordo nel ripartirsi le zone geo-strategiche d’influenza per un conflitto risolutivo entro i prossimi anni? Si stanno impegnando in maniera decisiva in un riarmo generalizzato contro i loro nemici storici? contro il cosiddetto “impero del male”? Ma che cos’è questo: uno scenario apocalittico neotestamentario?
Oppure queste sono tutte spacconate per porre delle basi chiaramente dittatoriali all’interno dei singoli Paesi occidentali, che non sanno più come fare a garantire i livelli tradizionali di benessere?
Sinceramente parlando, ritengo che gli USA non abbiano abbastanza potere per contenere da soli l’espansione cinese, poiché Pechino sta costruendo stretti legami con Mosca. La convergenza dei due grandi imperi – russo e cinese – rende impossibile la vittoria degli Stati Uniti. Se poi le nazioni dei BRICS+ decidessero di stipulare degli accordi di tipo militare che non siano bilaterali ma multilaterali, è l’intero occidente che non avrebbe alcuna possibilità di successo.

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La leadership cinese si sta imponendo nel mondo senza particolare clamore. Noi occidentali invece, nel passato, avevamo bisogno di fare delle crociate, di diffondere ai primitivi e ai pagani la teologia del “Verbo”, cattolica o protestante che fosse. Abbiamo cercato di cristianizzare il pianeta nel momento stesso in cui cercavamo di conquistarlo.
La Cina invece appare più laica, estranea a queste pretese ideologiche. Quando si rivolge all’Asia occidentale, al Sud-est asiatico, all’Africa, all’America Latina e al Pacifico, fa capire chiaramente che non ha intenti colonialistici, come gli europei o gli americani (ma mettiamoci dentro anche i nipponici).
L’intento dei cinesi è quello di fare affari reciprocamente vantaggiosi. Creano strutture e infrastrutture, favoriscono l’industrializzazione e i servizi sociali dei Paesi con cui vengono a contatto, s’impegnano in ingenti investimenti. Lavorano sottobanco, senza esporsi mediaticamente. Somigliano alla borghesia dei tempi feudali, quando comandava l’aristocrazia terriera, che amava vivere di rendita sulle spalle dei contadini. Anche a noi occidentali piace fare i rentier.
I cinesi invece stanno cominciando a dirci che il vero potere economico-produttivo ce l’hanno loro. A noi è rimasto quello politico-militare e, in aggiunta, quello finanziario, tipico del mondo moderno. Ma stiamo diventando per loro e per l’intero Sud Globale un freno allo sviluppo, un intralcio insopportabile. Stiamo diventando obsoleti.
Sotto questo aspetto quando senti declamare e osannare le conquiste culturali e scientifiche del nostro passato, hai la netta sensazione che ci stiano guardando con pietà e commiserazione, come quando si guarda un anziano che non sa più quel che dice.
Non ci rendiamo conto che il meglio di noi l’han già preso gli altri, buttando via tutto il resto; e il meglio lo stanno usando contro di noi, per sostituirci, proprio perché noi vogliamo conservarlo come se fossimo un aristocratico medievale che vive in un giardino fiorito, mentre il resto dell’umanità non è altro – secondo quel razzista di Borrell – che una jungla.
E che dire di Trump quando accusa gli europei d’essere dei parassiti nei confronti del suo Paese? Perché loro, con la loro moneta, cosa sono e cosa pretendono di continuare ad essere nei confronti dell’intero pianeta? Ma i cinesi ci stanno dicendo che la pacchia è finita per l’occidente collettivo nel suo insieme. Facciamocene una ragione e deponiamo le armi. Per colpa nostra il pianeta ha già versato fin troppo sangue.

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La facciamo tanto grande, ma le cose si ripetono. Il capitalismo, da quello commerciale dei veneziani a quello finanziario degli statunitensi, si è sempre comportato nella stessa maniera. Il Paese che s’accorgeva di non avere più le forze per competere con un altro Paese concorrente, finiva col finanziare quest’ultimo, limitandosi a vivere di rendita sulla base degli interessi riscossi.
L’ha fatto Venezia nei confronti dell’Olanda, l’Olanda nei confronti dell’Inghilterra e questa nei confronti degli Stati Uniti. Ora Trump si è accorto che il suo Paese, se non vuole scomparire dal novero dei Paesi più potenti del mondo, non può, anzi non deve permettere che la Cina abbia un’industria superiore alla sua. Solo che ormai è tardi. La politica dei dazi è disperata, anzi patetica.
L’occidente euroamericano ha investito molto in Cina (come anche in India, Russia ecc.), sia in termini industriali che finanziari. Sembrava che tutto funzionasse, poiché anche tanti altri Paesi, inclusa la Cina, acquistavano titoli pubblici americani, che offrivano buoni interessi. Erano questi Paesi che tenevano finanziariamente in piedi l’economia americana, che altrimenti sarebbe collassata da un pezzo a causa delle proprie storture interne, dei propri individualismi esasperati.
Oggi tutto questo non funziona più. Soprattutto perché, quando si ha un debito pubblico finanziato da Paesi stranieri, si è facilmente ricattabili. Non sono i cinesi in debito con gli americani, ma il contrario. Chi un tempo era il primo della classe in termini produttivi, oggi è quasi l’ultimo, e pensava di poter restare il primo grazie alle proprie rendite finanziarie o grazie al fatto di aver trasferito le proprie aziende là dove il costo del lavoro era irrisorio, come appunto in Cina.
Ora i cinesi hanno imparato a produrre come e anche meglio degli americani (e degli europei naturalmente), e vogliono essere loro a dettar le regole. E non hanno paura dei grandi oligarchi privati, che coi loro fondi finanziari sembrano avere un potere immenso. I cinesi mostrano di non avere paura di niente e di nessuno. Si sentono un collettivo molto forte, numeroso, organizzato. Saranno loro a gestire il capitalismo nel prossimo futuro. Non aspettiamoci che sarà meglio: sarà solo diverso.