Niente di nuovo sul fronte occidentale
Chissà perché è molto più facile distruggere che costruire. Forse perché per costruire ci vuole l’impegno di intere popolazioni, mentre per distruggere bastano poche persone, cioè scienziati militari politici: pochi irresponsabili, privi di coscienza morale o che si danno intenti morali per compiere cose disumane.
Per uno scienziato costruire un ordigno particolare, che in un attimo produce un’energia immensa, è considerato un’impresa di successo, anche se sa benissimo che non avrà uno scopo civile ma militare.
La frenesia prende anche un militare che usa ordigni del genere su quanti più nemici possibili, proprio perché gli è stato insegnato che sono tutti pericolosi, tutti colpevoli di qualcosa, anche i neonati. E questa distruzione serve per evitare che muoiano i propri commilitoni. Abbiamo già visto questo film americano in Giappone, e ora lo stiamo rivedendo a Gaza.
Un politico poi, che, usando le tasse dei cittadini, chiede allo scienziato di produrre bombe di distruzione di massa e al militare di usarle contro un nemico ben individuato, non può che essere soddisfatto di sé quando vede che il nemico si arrende.
Siamo in mano a pazzi consapevoli di sé, che pensano di essere nel giusto proprio quando compiono azioni abominevoli. Se dopo una guerra costoro riusciranno a sopravvivere, come potranno essere giudicati? Come minimo, in via preventiva, il popolo che li giudica dovrebbe fare un’ammissione di colpevolezza e dire: “Questi mostri li abbiamo generati noi. Giudicandoli, giudichiamo noi stessi e tutta l’ideologia che ci ha indotti a compiere cose che ci apparivano assurdamente giuste”.
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La prima guerra mondiale è servita per distruggere i tardi imperi feudali che avevano appena iniziato a imborghesirsi: russo, prussiano, austro-ungarico e ottomano. Il grande capitalismo europeo (Francia e Inghilterra) aveva bisogno di smembrarli per meglio dominarli. Solo con la Russia non vi riuscì a causa della rivoluzione bolscevica.
La seconda guerra mondiale servì per impedire che le ultime nazioni giunte sulla strada del capitalismo (Germania, Italia, Giappone) potessero minacciare i poteri coloniali di Francia e Inghilterra, le quali però, pur uscendo vittoriose grazie all’impegno di USA e URSS, si trovarono nettamente surclassate dalla superiorità economica e finanziaria degli USA, che non avevano subìto alcun danno materiale al proprio interno, a parte il crack borsistico del 1929.
Ora sta per scoppiare la terza guerra mondiale. Ovviamente ci vorrà tempo. Ma sin da adesso è evidente, agli occhi delle potenze occidentali, chi sono i principali “Stati canaglia” dell’Impero del Male: Cina, Russia, Iran e Corea del Nord. L’occidente teme anche il gruppo dei BRICS+, che, nel suo insieme, esprime una grande potenza produttiva e commerciale.
La compravendita di bunker sarà un affare colossale, al pari della fabbricazione di armi letali. I poveretti potranno illudersi coi kit salvavita. Se avranno qualche soldo in più si compreranno un rilevatore Geiger, magari in qualche negozio cinese.
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Nella prima guerra mondiale sono state eliminate più di 10 milioni di persone. Nella seconda più di 50 milioni. Nella terza potrebbero essere più di 500 milioni. Al capitale non importa molto: da tempo sostiene che siamo troppi e che non ci sono abbastanza risorse per tutti. L’ideologia è quella malthusiana.
Andando avanti di questo passo, le apocalissi finiranno solo quando saremo tornati all’età della pietra. Piccole comunità autarchiche che eviteranno di mettersi in contatto tra loro per paura di contaminarsi. Già oggi esistono comunità del genere, che non vogliono vederci neppure da lontano. Le chiamiamo “incontattate”.
In effetti se non cambiamo cultura ideologia mentalità, e ci limitiamo a un semplice pentimento morale per i disastri che combiniamo, la prossima volta sarà mille volte peggio, perché nel frattempo le armi saranno diventate più potenti e sofisticate. Né l’etica né la politica sono in grado di cambiare le cose in positivo e alla radice. Occorre una nuova visione della realtà.
E questa visione non pare possibile trovarla là dove esiste urbanizzazione, industrializzazione e finanziarizzazione. Qui è sbagliato il paradigma interpretativo, l’angolo visuale, la prospettiva.
Qui non è più questione di capitalismo (privato o statale) né di socialismo (statale o mercantile). C’è qualcosa di sbagliato a monte, qualcosa che precede le scelte politiche che si fanno a valle. È lo stile di vita che va ripensato, totalmente, integralmente.
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Certo che se ha ragione Marx quando diceva che il capitalismo ha bisogno periodicamente di distruggere le cose per poterle ricostruire, altrimenti non riesce ad autovalorizzarsi, possiamo capire il senso delle guerre e dell’odierna politica tariffaria di Trump.
A quanto pare le possibilità di trovare nuove aree di profitto all’estero si sono drasticamente ridotte per il capitalismo occidentale: praticamente c’è rimasta solo la rendita finanziaria. Vari Paesi asiatici (ma anche tanti del Sud globale) stanno pretendendo un protagonismo industriale e commerciale impensabile fino a qualche tempo fa.
L’occidente non è in grado di competere sui prezzi delle merci, poiché queste sono prodotte in condizioni troppo agevolate per i nostri standard (a partire naturalmente dal costo del lavoro, delle materie prime, dell’energia). Noi ci siamo ridotti a produrre merci per un’utenza selezionata, di livello alto.
Il problema è che da noi si deve comunque garantire un certo trend di benessere, altrimenti i poteri dominanti rischiano proteste a non finire. Di qui l’uso della guerra, che serve anche a sviluppare forme interne di dittatura politica, in grado di controllare l’intera popolazione tramite l’intelligenza artificiale.
La politica dei dazi è, se ci pensiamo, la prosecuzione dei conflitti militari (che ogni presidente americano deve da qualche parte scatenare) con altri mezzi, non meno efficaci.
Il processo di globalizzazione, che gli USA conducevano secondo lo schema “importiamo merci – esportiamo carta (cioè dollari e titoli statali)”, ha raggiunto il suo limite massimo. Ora possiamo aspettarci di tutto.