Fondi speculativi all’assalto della sanità americana

Mario Lettieri* e Paolo Raimondi**

Negli Usa, com’è noto, l’assistenza sanitaria è privata e coperta da polizze assicurative. Da qualche tempo, però, i fondi di private equity stanno comprando pezzi importanti del sistema sanitario americano e anche le reti sanitarie di base. Un fenomeno da tenere sotto la lente, perché “merce di esportazione”. Soprattutto in Europa.  I fondi equity sono poco regolati e puntano al massimo profitto in tempi brevi. Solitamente operano attraverso dei manager che gestiscono capitali di un numero limitato di partner privati e istituzionali. Spesso le loro operazioni di acquisizioni sono fatte attraverso il cosiddetto “leveraged buyout”, cioè mediante lo sfruttamento della capacità d’indebitamento della società acquisita. Il che rende indispensabile un ritorno veloce di dimensioni rilevanti.

La spesa sanitaria negli Usa è una parte notevole del pil. E’ passata dal 5% del 1960 al 18% del 2020. Dovrebbe arrivare al 20% nel 2024. I costi ospedalieri sono cresciuti del 42% nel periodo 2007-2014 e si ritiene che, in futuro, le spese per la sanità assorbiranno il 25-50% del salario della cosiddetta classe media americana. Fino alla legge Affordable Care Act (ACA) del 2010, meglio conosciuta come Obamacare, una parte del sistema sanitario era regolata e sostenuta con fondi pubblici da due strutture, Medicare per gli over 65 e Medicaid, per le famiglie a basso reddito. Pur con i suoi limiti, l’Obamacare ha dimezzato il numero delle famiglie americane ancora senza una copertura assicurativa sanitaria.

All’interno dell’Obamacare era stato introdotto il concetto di Accountable Care Organizations (ACOs)  per rendere la sanità più efficiente e meno costosa per i pazienti. Invece, si è avuto una maggiore concentrazione del settore sanitario con la formazione di veri e propri cartelli di ospedali, di cliniche e di centri diagnostici. Nel 2021 il processo di acquisizioni e di concentrazioni è cresciuto enormemente. Nel secondo trimestre del 2021, rispetto a quello del 2020, gli investimenti per gli acquisti di studi medici sarebbero cresciuti di 10 volte. La società di consulenza Solic Capital Mangement, sostiene che gli investimenti per acquisizioni nella sanità sarebbero stati ben 126,1 miliardi di dollari nel periodo menzionato rispetto ai 12,1 miliardi del 2020. Gli istituti di lunga degenza, gli ospedali e la medicina telematica sarebbero i settori più interessati.

Oggi gli investitori nel sistema sanitario sono principalmente i fondi di private equità e certi enti finanziari specialmente creati per acquisizioni mirate. Il loro “appetito” è cresciuto anche in relazione all’American Family Bill, di circa 3.500 miliardi di dollari, proposta dal  presidente Biden. Ovviamente, tra i fondi equity e le assicurazioni è scoppiata una “guerra” per il controllo del settore sanitario americano.

Secondo un articolo del New York Times del 2019, un’organizzazione di medici, che fortemente si oppose alla proposta di legge per disciplinare il fenomeno delle “fatturazioni a sorpresa”, fatte attraverso la maggiorazione dei costi e la pratica delle prestazioni mediche più costose e, a volte, non indispensabili, aveva avuto un consistente appoggio di due grandi ditte fornitrici dei settori dell’emergenza sanitaria, la Envision, controllata dal fondo equity KKR, e la TeamHealth, controllata dal fondo Blackstone. Vanguard, BlackRock e Bain & Co. sono i fondi equity più attivi nella sanità mondiale con parecchie decine di miliardi di dollari di asset. Oltre ai fondi “leader” americani, vi sono quelli con base a Londra e in Francia, che operano soprattutto in Europa e in Italia.

La privatizzazione della sanità, se non è regolata, può diventare il problema sociale ed economico più serio per le famiglie e per i governi. Lo abbiamo visto durante la pandemia, quando la debolezza delle strutture sanitarie pubbliche, soppiantate da quelle private, e la mancanza di imprese farmaceutiche funzionanti nell’interesse generale, hanno messo i governi e le sanità pubbliche in grande affanno nell’affrontare l’emergenza Covid.

*già sottosegretario all’Economia **economista

Oggi 30 ottobre Lanciano diventa capitale dell’intercultura

Oggi 30 ottobre Lanciano diventa capitale dell’intercultura ospitando due importanti appuntamenti la cui partecipazione è libera e gratuita.

L’associazione Them Romano di Lanciano in collaborazione con la Regione Abruzzo, l’UCRI (Unione delle Comunità Romanès in Italia), l’Anpi di Lanciano, l’ANPI di Lecce, l’associazione Logos Cultura di Pescara, l’ARCI di Pescara, l’Associazione Il Sorriso di Marinella di Pescara, l’ Università della LIBERTÀ “Nicola Perrotti”- Città di Penne (Pescara), la Novagro dell’imprenditore lancianese Francesco Pace e altre associazioni locali promuovono i due importanti appuntamenti lancianesi.
Alle ore 11.00 presso il Parco delle Memorie si terrà l’anniversario dell’inaugurazione in Italia del primo grande monumento al Samudaripen (genocidio) dei rom e sinti alla presenza delle autorità, di studenti ed insegnanti, associazioni e rom e sinti e con la partecipazione del Coro Polifonico di Pescara diretta dal M^ Nicola Russo.
Alle ore 16.30 presso il Teatro Fenaroli si svolgerà la solenne cerimonia di premiazione del 28^ Concorso Artistico Internazionale “Amico Rom” il più importante e longevo concorso al mondo che riguarda la popolazione romanì (rom, sinti, kale, manouches e romanichals).
Il concorso è stato vinto dalla scrittrice Rom Serba Maja Jovanovic, che sarà presente alla premiazione.
Il Premio alla Carriera 2021 andrà alla docente universitaria kali/gitana spagnola Ana Gimenez ed al Parlamentare Macedone Rom Samka Ibraimoski.
Il Premio Eccellenza Romani 2021 è stato conferito al ristoratore laertino Giuseppe Barbetta (Laterza), al chimico e farmacista Moreno Di Rocco (Montesilvano), al pugile campione europeo Michele Di Rocco (Roma) ed al Presidente del Centro di Cultura Rom di Craiova avvocato Romeo Tiberiade (Romania).
Il Premio PHRALIPÉ 2021 (Solidarietà, Fratellanza, Cittadinanza Onoraria Rom) verrà conferito quest’anno al ricercatore del CNR Sandro Turcio (Castellammare di Stabia), al violinista Marco Bartolini (Pesaro), alla presidente dell’ISTORECO Fausta Messa (Sondrio), al musicista e intellettuale Gualtiero Lamagna (Marano di Napoli -NA), alla scrittrice per i diritti umani Maria Angela Zecca (Lecce).

Nel Comitato d’Onore Internazionale figurano tante personalità e tante eccellenze abruzzesi che saranno presenti per la consegna dei premi.
Un evento artistico internazionale imperdibile. Per conoscere, capire e rispettare l’arte, la lingua e la cultura romanì in quanto patrimonio dell’umanità.
Per Info e Contatti:
danieladerentiis@gmail.com
340 6278489

La mania di spezzare le frasi NON è mia (Lo fanno in redazione perché i motori di ricerca privilegiano le frasi corte) https://www.blitzquotidiano.it/opinioni/nicotri-opinioni/italia-bel-paese-dove-il-no-suona-dante-in-crisi-da-no-vax-e-no-green-pass-che-si-autoproclamano-popolo-3426511/

https://www.blitzquotidiano.it/opinioni/nicotri-opinioni/italia-bel-paese-dove-il-no-suona-dante-in-crisi-da-no-vax-e-no-green-pass-che-si-autoproclamano-popolo-3426511/

La “trappola” della dipendenza dalle materie prime

Mario Lettieri* e Paolo Raimondi**

Il rapporto “State of Commodity Dependence 2021” recentemente pubblicato dalla Conferenza delle Nazioni Unite sul Commercio e lo Sviluppo (Unctad) evidenzia l’aumento nell’ultimo decennio del numero dei paesi dipendenti dalle materie prime: da 93 paesi nel 2008-2009 a 101 nel 2018-2019. L’Unctad considera un paese dipendente dalle esportazioni di merci quando più del 60% del totale delle sue esportazioni è composto di materie prime e di prodotti agricoli. Più che una condizione, è una vera e propria “trappola”, che blocca la crescita di molte economie.

Il valore nominale delle esportazioni mondiali di materie prime ha raggiunto 4.380 miliardi di dollari nel 2018-2019, con un aumento del 20% rispetto al 2008-2009. La dipendenza rende i paesi più vulnerabili agli shock economici con inevitabili impatti negativi sulle entrate fiscali, sull’indebitamento e sullo sviluppo economico. Infatti, nel 2008-2009 la maggior parte dei paesi, il 95%, che dipendeva dalle materie prime, è rimasta tale nel 2018-2019. Naturalmente, la dipendenza tende a colpire principalmente i paesi in via di sviluppo. Lo sono ben 87 dei 101 emersi nel 2019. In specifico, dei 101 paesi, 38 facevano affidamento sulle esportazioni di prodotti agricoli, 32 sulle esportazioni minerarie e 31 sui combustibili.

La dipendenza è particolarmente forte in Africa. Tre quarti dei paesi africani lo è per oltre il 70% del loro export. In Africa centrale e occidentale essa è mediamente pari al 95%. Anche tutti i 12 paesi del Sud America hanno un livello di dipendenza dalle materie prime superiore al 60% e per tre quarti di essi la quota supera l’80%. Nell’Asia centrale, il Kirghizistan, il Kazakistan, il Tagikistan, l’Uzbekistan e il Turkmenistan, hanno registrato una quota media delle esportazioni di materie prime sul totale dell’export di merci superiore all’85%.

Consapevole di ciò, l’Unctad ha esortato i paesi in via di sviluppo a migliorare le proprie capacità tecnologiche per sfuggire alla “trappola”. Un processo non facile in assenza di sostegni e di trasferimenti di tecnologia. Infatti, l’analisi mostra che i livelli di tecnologia sono molto bassi nei paesi succitati. Il “Technology Development Index”, l’indice di sviluppo tecnologico dei paesi cosiddetti commodity-dependent developing countries,  è mediamente dell’1,55 rispetto al 5,17 dei paesi in via di sviluppo che non dipendono dalle materie prime, come Cina, India, Messico, Turchia e Vietnam.

Il “Frontier Technology Readiness“, relativo all’utilizzo delle nuove tecnologie, dà un punteggio medio dello 0,25 ai paesi dipendenti rispetto allo 0,47 degli altri.

Si tenga presente che l’indice dei prezzi delle materie prime, elaborato dall’Unctad, che, a causa della pandemia, nel periodo gennaio 2020 – aprile 2021 era diminuito del 36%, a luglio ha raddoppiato il suo valore e i prezzi dei prodotti alimentari sono aumentati del 41%. L’indice Fao sul cibo ha già raggiunto i 127,4 punti lo scorso agosto, con un aumento del 3,1% in un mese. Si ricordi che alla vigilia dell’esplosione dei prezzi dei beni alimentari del 2011, che portarono alle rivolte del pane in molti paesi, l’indice era di punti 137,1.

Secondo l’Unctad, la correlazione tra i prezzi delle materie prime e la crescita economica può arrivare al 70%.  Milioni di persone, soprattutto nelle aree rurali dei paesi in via di sviluppo, non hanno ancora accesso a cibo, elettricità, acqua e servizi igienico-sanitari. Si prevede che la domanda di cibo aumenterà del 60%, man mano che la popolazione mondiale si avvicinerà ai 10 miliardi entro il 2050.

La “trappola” delle materie prime, di fatto, è il proseguimento “moderno” del vecchio rapporto colonialistico. Sembra di rileggere “La ricchezza delle nazioni” di Adam Smith, scritta prima del 1776, che, di là delle teorie economiche, come la divisione del lavoro, invitava le colonie inglesi nel Nord America a limitarsi a produrre cotone perché le manifatture e lo sviluppo industriale erano riservati all’Inghilterra.

Si ricordi che quell’imposizione coloniale fu una delle cause principali che portarono alla Rivoluzione americana e alla nascita e all’indipendenza degli Stati Uniti.

*Già sottosegretario all’Economia

**Economista