L’ultimo socialismo possibile: quello di mercato

Il marxismo è sempre stato visto dalla borghesia come un proprio irriducibile nemico a motivo del suo concetto di “proprietà comune dei mezzi produttivi”. In realtà la vera proprietà “sociale” di tali mezzi si è verificata, da quando l’uomo esiste, solo in epoca preistorica, o quanto meno soltanto presso quelle popolazioni che non hanno mai conosciuto alcuna rivoluzione né verso la proprietà “statale” dei mezzi produttivi, né verso quella “privata”.

La borghesia dell’Europa occidentale e degli Stati Uniti è lontanissima dall’accettare l’idea di una proprietà collettiva dei mezzi produttivi, proprio perché la proprietà in generale è nata e si è sviluppata, soprattutto in queste aree geografiche, in maniera fortemente individualistica, almeno a partire dallo schiavismo. Gli europei sono talmente portati a identificare la proprietà privata dei mezzi produttivi con lo schiavismo che non ebbero alcuna difficoltà a ripristinarlo nelle Americhe, dopo averlo abbandonato nell’Europa feudale da almeno un millennio.

Il capitalismo è stato fatto nascere da una borghesia che si concepiva come classe antagonistica nei confronti delle istituzioni dominanti (chiesa romana e impero feudale); poi, quand’essa è riuscita a imporsi anche politicamente, gli Stati che ha costruito dovevano semplicemente servire a difendere gli interessi privati di una classe particolare.

Il marxismo ha cercato di porre un argine ai guasti di questo marcato individualismo, ma, sul piano pratico, è riuscito soltanto a realizzare un “socialismo burocratico di stato”, sostanzialmente privo di borghesia e quindi di proprietà privata. Il risultato è stato del tutto fallimentare. Il marxismo ha fallito proprio là dove appariva più alternativo al capitale.

Ora il testimone sembra essere passato alla Cina, dove si sta sperimentando un socialismo di tipo “borghese”, dove cioè l’individualismo sul piano economico viene controllato da una gestione autoritaria del potere politico. Come possono conciliarsi questi due aspetti è per noi occidentali inspiegabile, proprio per le due opposte ragioni dette sopra: o si dà un individualismo borghese in cui il ruolo dello Stato è marginale, in cui cioè la politica è subordinata all’economia; oppure si permette allo Stato di prevalere nettamente e, in tal caso, l’uguaglianza imposta con la forza finisce col negare la libertà di coscienza, l’iniziativa individuale, gli interessi soggettivi. La via di mezzo sembra essere stata trovata, magicamente, dalla Cina, ed è probabile che, col passare degli anni, il suo esempio verrà imitato da altre realtà geo-politiche, tradizionalmente insofferenti a una gestione troppo individualistica delle risorse umane e naturali.

Tuttavia, comunque vadano le cose, l’umanità è ancora molto lontana dal vivere un’esperienza davvero “sociale” nella gestione dei mezzi produttivi. Una qualche idea, in merito, potrebbero darcela le ultime comunità primitive ancora esistenti sul pianeta, ma il loro destino sembra essere segnato: quello d’essere integrate nel nostro sistema sociale. Integrarsi, beninteso, per scomparire, o con le buone o con le cattive. Con realtà del genere, infatti, noi non riusciamo assolutamente a convivere: le loro risorse naturali ci fanno gola, ovunque esse siano. Se proprio non vogliono lasciarsi assorbire o sradicare, queste realtà possono ritirarsi nei deserti, nelle riserve predisposte per loro, nelle zone più aride e desolate del mondo, e se proprio vogliono opporsi con la forza, sappiano che non avranno scampo.

Noi siamo fatti così: la natura ci è soltanto serva. Abbiamo questa pretesa dai tempi dello schiavismo e abbiamo continuato ad averla anche sotto il feudalesimo, sotto il capitalismo e il socialismo statale, e ora l’abbiamo anche sotto il socialismo di mercato, in stile “asiatico”.

Sotto questo aspetto appare del tutto naturale che il socialismo scientifico, contestando il capitalismo, non abbia capito che la vera alternativa a quest’ultimo poteva essere soltanto un ritorno all’epoca preistorica. Non avendo capito l’importanza del comunismo primitivo, tutta la critica marxista del capitale rischia d’avere un valore molto approssimativo. Il fatto stesso che le idee dei classici del marxismo abbiano fino ad oggi trovato una realizzazione solo nella forma del socialismo statale e ora in quella del socialismo di mercato, la dice lunga.

Dopo il fallimento del socialismo burocratico avremmo dovuto smettere di criticare il capitalismo in nome dello stesso marx-leninismo. Non perché l’ideologia borghese sia migliore di quella marxista, ma proprio perché quest’ultima, così come è, non può costituire un’efficace alternativa a quella, in quanto necessita di una profonda revisione.

Ora, è noto che tutte le volte che si parla di “revisionare” il marxismo, si finisce col fare gli interessi privati della borghesia. Fino ad oggi tutte le revisioni del marxismo sono state revisioni borghesi o socialdemocratiche.

Guardando quella attuale della Cina, dovremmo dire che anch’essa rientra nelle revisioni borghesi. Tuttavia non è esattamente così. Se è una revisione borghese, non lo è alla maniera occidentale. In Cina il partito comunista e il suo principale strumento di controllo, lo Stato, giocano un ruolo di primo piano, come mai nessuna borghesia occidentale permetterebbe. Questo significa che nei prossimi decenni o forse nei prossimi secoli sarà facile che chi si sente ispirato dal marxismo s’illuda di poter trovare nell’esperienza cinese una vera alternativa al capitalismo occidentale.

1) – I “buchi” del grande questionario proposto a tutti i fedeli da papa Francesco. 2) – Urge un nuovo mercato dei capitali per le piccole e medie industrie europee

All’inizio dello scorso novembre Papa Francesco ha indetto la III Assemblea Generale Straordinaria del Sinodo dei Vescovi, da tenere in Vaticano dal 5 al 19 ottobre 2014 sul tema “Le sfide pastorali della famiglia nel contesto dell’evangelizzazione”.

E il Vicariato di Roma ha voluto precisare di che si tratta (  http://www.vicariatusurbis.org/spiov/spiov2013/index.php?option=com_content&view=article&id=107:un-questionario-per-la-famiglia&catid=20:attualita&Itemid=113 ): “La tematica di questo Sinodo s’inserisce in un itinerario di lavoro in due tappe: la prima, è l’Assemblea del 2014, volta a precisare lo status quaestionis e a raccogliere testimonianze e proposte dei Vescovi per annunciare e vivere credibilmente il Vangelo per la famiglia; la seconda, è l’Assemblea Generale Ordinaria prevista per il 2015, al fine di cercare linee operative per la pastorale della persona umana e della famiglia”.

Per la prima volta nella storia della Chiesa, in preparazione del Sinodo è stato pubblicato un documento preparatorio che contiene tra l’altro un questionario riguardante le principali sfide sulla famiglia. Il questionario ha 38 domande destinate a tutti i fedeli, una sorta di primarie, alla cui diffusione planetaria devono provvedere tutte le singole diocesi. In Italia la rivista “Il Regno” dei Dehoniani di Bologna lo ha pubblicato online invitando i lettori a compilarlo al seguente indirizzo: http://www.ilregno.it/it/cf-regno.php#2459.

Il paragone con le primare calza anche per le differenze tra “iscritti e non iscritti al partito”, che tante polemiche suscitò nel PD nella tornata dell’anno scorso a causa della pozione di e verso Matteo Renzi, e i dubbi che serpeggiano. Differenze e dubbi sintetizzati dall’intellettuale cattolico Raniero La Valle:

“Ma funzionerà la consultazione, davvero chiunque è abilitato a mandare le sue risposte al Sinodo, oppure varranno solo i documenti che perverranno attraverso le gerarchie delle diocesi e delle conferenze episcopali? Certo non tutti nella Chiesa sono contenti: forse si è osato troppo, può darsi che la cosa sia sfuggita di mano, può darsi che qualcuno nelle Sacre Logge ora vorrebbe tornare indietro. Tuttavia il fatto è che il papa ha fatto pubblicare le domande, gli uffici della Santa Sede le hanno fatte mettere su Internet (basta un clic per conoscerle!) e il nuovo segretario del Sinodo, mons. Baldisseri in diretta alla Radio Vaticana ha detto che la consultazione è canalizzata attraverso i vescovi, “però liberamente ciascuno potrà inviare un testo”, e poi lo ha confermato rispondendo a un quesito del National Catholic Reporter”. Continua a leggere