1° febbraio, Giorno della Memoria. 28 gennaio, terza udienza del processo all’Operazione Condor. LA VERGOGNA DEL SILENZIO GENERALE!

1) Ieri, 1° febbraio, era Il Giorno della Memoria. Che però non è fregato nulla a nessuno e nessuno lo ha infatti ricordato perché riguarda un pezzetto del gigantesco Olocausto di indigeni perpetrato nelle Americhe da noi europei man mano diventati americani.

2) E il 28 gennaio c’è stata a Roma la terza udienza preliminare del processo per le vittime italiane dell’Operazione Condor, come venia chiamato in codice lo sterminio clandestino nel Sud America dei militari golpisti foraggiati dagli Usa degli oppositori politici, veri o presunti, tragicamente noti come desaparecidos, cioè scomparsi.

Il 25 gennaio si è invece molto parlato della Giornata della Memoria che riguarda invece lo sterminio degli ebrei nella Germania nazista. Il solito nostro uso di due pesi e due misure è stato particolarmente sfacciato perché è stata ospite di molte iniziative – da “Che tempo che fa” a Rai Tre a cerimonie e interviste – una anziana signora  nipote di un ebreo milanese deportato ad Auscwitz e madre di una ragazza desaparecida in Argentina. Molta giusta commozione. Ma, ongiustamente, neppure un accenno all’udienza imminente al trbunale di Roma e tanto meno all’Olocausto dei “musi rossi” americani. Il che la dice lunga anche sulla nostra ipocrisia, nutrita dal non disinteressato buonismo e politicamente corretto “de sinistra”.

Propongo pertato un paio di articoli, il secondo è un’intervista, apparsi sui rispettivi due argomenti. E un commento apparso al primo. Commento che dovrebbe far riflettere in particolare oggi, visto che c’è un papa gesuita. Cioè di un ordine religioso che ha preso parte alla persecuzione degli “indiani d’America”.

1) – http://www.famigliacristiana.it/articolo/indiani_010212101431.aspx

INDIANI SIOUX, IL GIORNO DELLA MEMORIA

01/02/2012  Il 1 febbraio 1876 gli Stati Uniti dichiararono guerra ai Sioux che non volevano abbandonare i territori dov’era stato scoperto l’oro. E fu l’inizio del massacro di Wounded Knee.

Oggi cade l’anniversario di una dichiarazione di guerra troppo spesso ignorata o non considerata come tale. Il 1 febbraio 1876 il ministro degli Interni degli Stati Uniti d’America dichiarò guerra ai Sioux “ostili”, quelli cioè che non avevano accettato di trasferirsi nelle riserve, dopo che era stato scoperto l’oro nelle Black Hills, il cuore del territorio Lakota. Come si potevano traferire migliaia di uomini, donne e bambini dalla terra dov’erano nati, in una stagione dell’anno in cui il territorio era coperto di neve? Molti indiani pare neanche ricevettero l’ordine, in quanto impegnati nelle loro attività di caccia, lontano dalla propria residenza.

Quella dichiarazione di guerra del 1 febbraio fu l’inizio del massacro degli Indiani d’America, che culminerà con l’eccidio di Wounded Knee, passato alla storia grazie a canzoni, libri e film. Sul finire del dicembre 1890, la tribù di Miniconjou guidata da Piede Grosso, appresa la notizia dell’assassinio di Toro Seduto, partì dall’accampamento sul torrente Cherry, sperando nella protezione di Nuvola Rossa. Il 28 dicembre furono intercettati dal Settimo Reggimento, che aveva l’ordine di condurli in un accampamento sul Wounded Knee: 120 uomini e 230 tra donne e bambini furono portati sulla riva del torrente, circondati da due squadroni di cavalleria e trucidati.

“Seppellite il mio cuore a Wounded Knee” di Dee Brown è il libro (anche film) che ha commosso generazioni di persone e ispirato cantanti di tutte le generazioni e latitudini, fino a Fabrizio De Andrè che compose la canzone “Fiume Sand Creek”, Prince e Luciano Ligabue. Protagonista delle lotte indiane per 40 anni fu il Capo Nuvola Rossa (1822-1909) che si confrontò aspramente con l’agente governativo perché venisse rispettata l’autorità tradizionale dei capi indiani. Nel 1888 invitò i Gesuiti a creare una scuola per i bambini Lakota nella riserva indiana, una scelta necessaria per mantenere il legame degli Indiani con la loro terra. Pochi anni prima il governo aveva cercato di obbligare i bambini a frequentare una scuola “bianca” per essere “civilizzati” con risultati disastrosi per la cultura indiana.

Nuvola Rossa andò a Washington più volte di ogni altro capo indiano e rimane il leader più rispettato del suo popolo, insieme ad Alce Nero, noto per la sua forte carica spirituale. Quest’ultimo aveva 13 anni nel 1876 ed era già impegnato nella causa, tanto che l’anno dopo andò a Londra per incontrare la Regina Elisabetta. Così racconta il massacro di Wounded Knee: «Brillava il sole in cielo. Ma quando i soldati abbandonarono il campo dopo il loro sporco lavoro, iniziò una forte nevicata. Nella notte arrivò anche il vento. Ci fu una tempesta e il freddo gelido penetrava nelle ossa. Quello che rimase fu un unico immenso cimitero di donne, bambini e neonati che non avevano fatto alcun male se non cercare di scappare via».

I Sioux, che preferiscono chiamarsi Dakota o Lakota, sono la principale tribù degli Stati Uniti, con 25.000 membri. Ora vivono in riserve nei loro antichi territori. Continuare a raccontare la loro storia (pochi giorni fa è stata la Giornata della memoria) è un modo per non dimenticare di cosa è stato capace l’uomo nel corso della storia e fare in modo che episodi simili non si ripetano.

Commento di Alessandro Profeti10

Sinceramente, crediamo sia opportuno aggiungere qualcosa, e non di poco conto. Dall’intero paragrafo si intuisce la bontà dell’intervento dei gesuiti e la pessima condotta del governo, ma è necessario ricordare che le “scuole bianche” a cui ci si riferisce, furono successivamente istituite dal Governo e assegnate alla gestione proprio dei gesuiti e della chiesa cattolica. E qui, purtroppo, le cose non sono affatto andate bene. Infatti, è proprio in queste scuole che si è consumato con l’imposizione forzata e la violenza il distacco dei bambini Nativi dalle proprie famiglie e la perdita d’identità culturale che tanto ha pesato sulle vittime e che ancora pesa sulle generazioni che si sono susseguite a quelle che questi abusi li hanno vissuti sulla propria pelle.

Non parliamo infatti di episodi isolati, ma di un sistema ben preciso congegnato per isolare i bambini dalle proprie famiglie e dalla propria cultura, proibendone ogni contatto, e cancellare con la forza la loro identità indiana per sostituirla con quella dei bianchi (e con la religione cattolica). Le testimonianze di questo sono ormai innumerevoli e tali al punto che è impossibile parlare e scrivere della storia dei Nativi “dimenticando” questo capitolo durato tanti anni. Dal 1879 fino al 1960, più di 100.000 bambini indiani americani e Nativi dell’Alaska sono stati costretti a frequentare queste scuole. I bambini sono stati allontanati con la forza o rapiti dalle loro case e portati alle scuole. Le famiglie rischiavano la reclusione se si mettevano in mezzo o tentavano di prendersi i loro figli indietro. Circa 100, solo in USA, erano le boarding school, alcune ancora attive fino al 1970.

Generazioni di bambini sono stati sottoposti alla disumanizzazione, la crudeltà e le percosse, le violenze fisiche e sessuali, il tutto destinato a spogliarli della loro identità e la cultura Nativa. L’obiettivo finale era quello di “civilizzare” i bambini. Quello che era iniziato come una conversione dei bambini ad una nuova religione e ad un nuovo modo di vivere, divenne nient’altro che un genocidio culturale. Quelle scuole non erano solo del governo, ma anche della chiesa cattolica. Vi erano preti, suore e funzionari che rispondevano ad essa. Scrivere che “…continuare a raccontare la loro storia è un modo per non dimenticare di cosa è stato capace l’uomo nel corso della storia e fare in modo che episodi simili non si ripetano” è giusto, ma questa storia va raccontata fino in fondo.

Nell’articolo di cui stiamo parlando, questa parte di storia è inesistente, eppure è parte integrante del genocidio fisico e culturale perseguito e compiuto nei confronti di questi popoli. Anche questo NON va dimenticato. Né nel Giorno della Memoria, né mai.

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2) – http://www.huffingtonpost.it/alessio-aringoli/da-auschwitz-a-colonia-dignidad-intervista-di-cristina-guarnieri-a-andrea-speranzoni-_b_4673069.html

Da Auschwitz a Colonia Dignidad. Intervista di Cristina Guarnieri ad Andrea Speranzoni

Domani si terrà presso il Tribunale di Roma la terza udienza preliminare del Processo Condor. I regimi politico-dittatoriali dei Paesi del Cono Sud (Argentina, Bolivia, Brasile, Cile, Paraguay, Perù e Uruguay) si unirono negli anni Settanta in una operazione del terrore chiamata “Piano Condor“, che ha dato vita al neologismo tristemente noto: desaparecidos. 30.000 scomparsi, molti dei quali buttati giù vivi dagli aerei nei “voli della morte” sul Rio de la Plata. 500 bambini rubati e cresciuti sotto falsa identità dalle famiglie stesse dei militari che li avevano strappati ai loro genitori. Un milione e mezzo di esuli sparsi per il mondo, con vite marchiate a fuoco per sempre. Dittature feroci che hanno coinvolto anche migliaia di nostri concittadini. Nelle aule giudiziarie italiane, a 40 anni dall’accaduto, si celebra un processo di portata storica che da un lato si pone il compito di ricostruire i fatti focalizzandosi sulle responsabilità individuali degli imputati e dall’altro rappresenta un gesto simbolico forte e coraggioso per noi e per le generazioni a venire.

Andrea Speranzoni, uno degli avvocati difensori delle vittime, ce lo racconta così:

Il processo di Roma sui desaparecidos italiani, vittime dell'”Operazione Condor”, costituisce una tappa importante per la storia giudiziaria del nostro Paese. Le vittime sono cittadini italiani residenti all’epoca dei fatti in Cile, Argentina e Uruguay, che appartenevano a movimenti di matrice cattolica o socialista e si opponevano alle dittature dell’epoca. Alcuni erano sindacalisti; altri impegnati in battaglie per la giustizia sociale e per l’affermazione dei principi di democrazia e di uguaglianza. Leggere fra le carte d’indagine le loro storie non può non far venire in mente il carattere universale dei principi che li animavano e quanto scritto anche negli articoli 2 e 3 della Costituzione repubblicana italiana. Vi si afferma, infatti, che in democrazia sono garantiti i diritti inviolabili dell’uomo sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità; che tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinione politica e di condizioni economica e sociale; e che le diseguaglianze sostanziali debbono essere livellate. Tali principi personalistici ed egualitari, estranei a qualsiasi concezione autoritaria, animavano il loro agire quotidiano, i loro pensieri e, prima ancora, il loro sentire.

E chi sono gli imputati?

Gli imputati chiamati a rispondere dei reati a titolo concorsuale sono 34. Erano inseriti in diversi modi dentro le strutture amministrative e poliziesche del Piano Condor, un’operazione segreta gestita dai Servizi di Intelligence dei Paesi latino-americani e nata su input del Colonnello dell’Esercito cileno di Pinochet, Manuel Contreras Sepúlveda. Nel 1975 Contreras era a capo della Dirección de Inteligencia Nacional (Dina) e nel mese di ottobre invitò i pari grado degli altri Paesi a partecipare alla cosiddetta Prima Riunione di Lavoro dell’Intelligence Nazionale. La riunione si tenne tra il 25 novembre e il 1° dicembre di quell’anno, con l’intenzione di costituire un coordinamento efficace dei servizi di Intelligence. Il Giudice spagnolo Baltasar Garzón ha correttamente affermato che la Dina era un’organizzazione al di fuori della struttura organica istituzionale delle Forze Armate, alle dipendenze dirette di Augusto Pinochet, che ebbe lo scopo di attuare una serie di attività criminali quali sequestri, torture, omicidi o sparizioni. Un altro magistrato che negli Stati Uniti si occupò dell’attentato contro Orlando Letelier, il procuratore Ernest Lawrence Barcella, affermò che “la Dina, in quanto organizzazione, cospirò allo scopo di commettere attentati terroristici in Spagna, Francia, Italia, Portogallo, Stati Uniti d’America, Messico, Costa Rica, Argentina, Cile e altri Paesi“. Dentro questo contesto criminale operarono vari soggetti, inseriti in una catena di comando determinata. Altri furono reclutati nel corso di singole appendici dell’Operazione. Secondo quanto riferito dal neofascista italiano Vincenzo Vinciguerra, membro del gruppo Avanguardia Nazionale, l’assassinio di Carlos Prats era stato realizzato nell’ambito del Piano Condor. Anche il Governo americano, nel corso delle indagini sul caso Condor, ha fornito importanti informazioni. Nel settembre del 1996 si venne a sapere, attraverso alcuni documenti, che la CIA era a conoscenza già dal 1976 dell’esistenza di questi organismi repressivi del Cono Sud. È in questa cornice – che forse può apparire fantapolitica, ma che è esistita e ha portato alla perpetrazione di crimini e violenze indicibili – che si collocano le storie delle persone colpite. E attraverso le loro storie si cercherà di scrivere una pagina giudiziaria importante, di cui giudici e avvocati saranno interpreti.

Ti sei occupato anche dei crimini commessi dai nazifascisti in Italia: gli eccidi che hanno sterminato intere comunità come Marzabotto, Montesole, Casalecchio o i luoghi del dolore dell’Appennino tosco-emiliano. Che valore hanno questi processi, nella tua esperienza, per le vittime?

I processi sui crimini nazifascisti celebrati in Italia dopo il rinvenimento dell’archivio di fascicoli insabbiati nel 1961, ribattezzato “Armadio della Vergogna”, ha rappresentato per le vittime una riappropriazione della propria storia. Nei crimini contro l’umanità, infatti, la vittima prova l’esperienza traumatizzante di non appartenere più al mondo e alla comunità. I processi, e dentro i processi il momento del racconto pubblico costituito dalle testimonianze, hanno rappresentato la formula di una ricomposizione. Cercare giustizia, da parte delle vittime, è stato ed è comprendere e sconfiggere lo sguardo del dottor Panwitz di cui scrive Primo Levi in Se questo è un uomo. Nei crimini gravi, non intercorre uno sguardo tra autore e vittima. L’atto di giustizia spiega l’assenza di questo sguardo e la supera.

Che valore hanno questi processi per la storia, per il nostro Paese?

Il nostro è un Paese che non ha il vizio della memoria e in cui non è così scontato sentire una parola interamente e integralmente indignata e offesa per l’enormità dei crimini commessi anche sul nostro territorio nazionale dal fascismo e dal nazismo. La storia dei fatti che il processo penale ricostruisce, con un proprio sistema di regole, non è quella con la esse maiuscola; è fatta di tante testimonianze, di tante storie individuali che formano un mosaico collettivo. Un mosaico che però parla, a noi tutti.

Che funzione svolge la memoria all’interno di un processo?

Dentro un processo la memoria nasce dal racconto individuale dei testimoni, dal loro atto di ricordare. Ricordare spesso esperienze dolorose e di sottrazione di affetti familiari e di comunità. Il gesto del ricordare – come ci suggerisce lo scrittore uruguayano Eduardo Galeano nel Libro degli abbracci – richiama l’azione del ritornare a sentire ciò che il cuore conserva come fosse uno scrigno, re-cordis, appunto.

Cosa significa per te, in quanto avvocato, partecipare al Condor?

Partecipare come difensore di parte civile al processo per l’Operazione Condor mette in movimento molte cose dentro di me. Sia da un punto di vista professionale che personale. Mette in gioco scelte difensive che già in passato ho avuto la possibilità di realizzare in processi per reati di terrorismo interno e di eversione e per i processi relativi ai crimini nazifascisti del 1944. Direi però che dietro a queste biografie e dietro ai volti delle vittime trovo legami e strade che mi parlano del presente e che offrono chiavi di lettura per comprenderlo. La domanda di fondo è: come è stato possibile tutto questo? Secondo il rapporto della Commissione Nazionale di Verità e Riconciliazione le vittime della Dina furono quasi 1800.

Oggi pomeriggio, alla Fondazione Lelio Basso di Roma, discuterai insieme ad altri dei rapporti fra ex appartenenti all’esercito nazista e dittature sudamericane. Da “Colonia Dignidad” all’Operazione Condor. Ci parli di qualcuno di loro?

Il riutilizzo di ex appartenenti all’esercito nazista in settori di pianificazione o in settori operativi della cosiddetta “macchina del terrore” è una costante che si è riscontrata in numerosi scenari delle dittature latino-americane. Ricordiamo il caso dell’ex ufficiale delle SS Klaus Barbie, fuggito in Bolivia nel 1951 con il nome di copertura di Klaus Altmann, la tormentata vicenda che riguardò la sua estradizione in Francia e il processo penale a suo carico. Barbie venne individuato già nel 1974, ma fu estradato in Francia solo nel 1983 e condannato all’ergastolo nel 1987. Le condotte contestategli riguardavano arresti, torture, fucilazioni, deportazioni e in particolare l’ordine di rastrellamento compiuto all’interno di un asilo di Izieu, nel corso del quale 43 bambini erano stati arrestati e deportati ad Auschwitz. Fu condannato per 373 omicidi: la condanna giunse 43 anni dopo i fatti. Barbie-Altmann aveva goduto dal 1951 di importanti protezioni.

A Colonia Dignidad, il luogo di tortura gestito dalla Dina cilena retta da Manuel Contreras, erano confluiti diversi ex nazisti e fascisti…

Su Colonia Dignidad il Processo Condor presenta molta documentazione interessante. Colonia Dignidad è un villaggio cileno della provincia di Linares fondato da un gruppo di immigrati tedeschi nel 1961. Il villaggio ebbe delle caratteristiche tipiche di una zona militare inaccessibile: era dotato di un sistema molto severo di protezione e di controllo degli accessi. Il Centro Wiesenthal ha presentato ampia documentazione che testimonia come Josef Mengele, tristemente noto per gli esperimenti sulle “cavie umane” durante l’Olocausto, sia transitato in questo luogo. Durante gli anni della dittatura di Pinochet servì come centro di tortura, inserito a tutti gli effetti nella Dina. Il caso della sparizione e dell’omicidio del cittadino italiano Juan Bosco Maino Canales si svolge in parte proprio a Colonia Dignidad, in parte in un luogo che si chiamava Villa Grimaldi e che fungeva anch’esso da Centro clendestino di detenzione. In quel contesto la magistratura cilena ha accertato peraltro la commissione di gravissimi abusi sessuali su minori di cui si rese responsabile, fra gli altri, il fondatore di Colonia Dignidad, Paul Schäffer, ex ufficiale medico della Luftwaffe, condannato a 20 anni di reclusione e morto nel penitenziario di Santiago nel 2010.

Walter Benjamin scriveva che “esiste un appuntamento misterioso tra le generazioni che sono state e la nostra. Il passato reca con sé un indice segreto che lo rinvia alla redenzione“. Sembra che ci troviamo in questo appuntamento. Il processo Condor cui stiamo partecipando ci obbliga a convocare assieme, in una stessa costellazione, i crimini di guerra nazifascisti e i genocidi delle dittature sudamericane. In che modo si può nutrire una cultura della vigilanza, perché tutto questo non accada mai più?

La cultura della vigilanza deve muovere da un presupposto: la consapevolezza che ciò che è accaduto può ri-accadere, magari in altre forme, in altri contesti geografici o anche in forme simili a quelle già storicamente sperimentate. Chi infatti ha attuato questi crimini che offendono l’umanità intera non è un’entità malvagia astratta: si tratta invece di uomini, di scelte operate da alcuni di loro. Alla base di tutto c’è la pratica della cancellazione dell’umano, l’assenza di uno sguardo empatico sull’altro. Questi passaggi possono facilmente ripetersi, possano trovare un comodo alibi nella miseria economica, nel razzismo, nel timore dell’altro e del diverso.

Le risposte da creare e da proporre in una dimensione sia pubblica che privata sono plurime: il racconto dei testimoni è fondamentale, ma poi ci sono i progetti educativi, un modo approfondito di fare informazione, l’attenzione a ciò che succede attorno a ognuno di noi e il dotarsi di strumenti conoscitivi ampi. Un ruolo importante lo gioca anche il processo penale, che permette di salvare le microstorie dei singoli, pur nella distanza temporale che ci separa dagli eventi, e di ricostruire una memoria storica collettiva.

La consapevolezza del rischio che si riaffacci la disumanizzazione dell’altro non deve sfumare mai dentro di noi. Di questo le vittime dell’Operazione Condor ci parlano.

* Andrea Speranzoni è avvocato penalista del Foro di Bologna. Nell’ultimo decennio ha difeso numerose parti civili nei principali processi per crimini nazifascisti istruiti dopo la scoperta del cosiddetto “Armadio della vergogna”. Si è occupato inoltre di processi relativi all’eversione di destra e al terrorismo in Italia, difendendo i familiari delle vittime.

174 commenti
« Commenti più vecchi
  1. Rodolfo
    Rodolfo says:

    No….caro Ccaino…perche’ lo spirito di quel…
    ” Ma va a dar via al pertus dal panel”
    che non fa’ ridere nemmeno un po’… non ha storia…e’ una frase buttata li…come un pezzo di merda…ed e’ scritto con un principio diverso….
    non so’…ma qualcosa mi dice che Sylvi si trovera’ daccordo con questo mio misero pensiero…..
    Sursum corda
    Rodolfo

  2. Rodolfo
    Rodolfo says:

    Ccaino “Non so a chi fosse rivolto, faccia lei”.
    =
    Dio….vorrei sprofondare sotto terra…
    ma e’ mai possibile tanta CENSURA e CENSURA?
    =
    Me censuro da solo….
    Rodolfo

  3. Caino
    Caino says:

    Briccone di un Nicotri !
    Come direbbero..a-mori…!!
    Aroma ,come profumo,o se vuole sensazione eterica percepita dal naso,(non sporco)che può compensare in parte la mancanza di sostanza..come direbbero ..fino ad un certo punto può soddisfare il” burino”..fintantoché non si in-oseo,dopo possono diventare osei ,per i dispensatori di aromi.
    E qui si potrebbe dribblare una parentesi ..aromi naturali o aromi artificiali ?
    Difficile da decifrare , un mio conoscente che lavorava all’Oreal mi diceva sempre che è meglio sopra-sedere !

    buona serata

    Caino

  4. Rodolfo
    Rodolfo says:

    Oggi 4 Febbraio giornata mondiale contro il cancro….leggo che…con l’aumento della prosperita’ …aumenta anche la protezione contro il cancro attraverso una migliore prevenzione e una diagnosi precoce…. tuttavia…il numero di nuovi casi di cancro aumenta drasticamente …. la causa non e’ solo la crescita della popolazione e le lunghe aspettative di vita… ma anche lo stile di vita occidentale…stress psicologico….poco movimento…cibi frugali..cibi non sani…o grandi abbuffate…
    soluzione : andare contro il trend…trovare uno stile di vita piu’ semplice e regolare….
    Rodolfo

  5. Caino
    Caino says:

    Bravo ottimo consiglio,verrà girato a tutti i delegati Fiom !
    Al posto di in-cazzarvi o in-osearvi, seguite Rodolfo sul Blog, andate contro il Trend,il prossimo consiglio lo posso già anticipare : Per la pace nel mondo ,bevetevi un Cynar !!

    Caino

  6. Caino
    Caino says:

    Ahh dimenticavo , non disperdete nell’ambiente le punte dei carciofi !
    potrebbero sempre tornare utili !

  7. Cerutti Gino
    Cerutti Gino says:

    Se non ci fossi tu a dare le dritte per una vita meno malsana uno non saprebbe cosa fare..
    Bisognerebbe proporti per il Nobel DCP ( Diminuzione Circonferenza della Panza) allegato a quello DCCC (Del Cazzeggio Congenito e Continuato)

    P. S. leggevo che ultimamente nell’Africa australe i carcinomi si stanno avvicinando rapidamente alle quote del cosidetto primo mondo, sopratutto i carcinomi legati alla cattiva alimentazione e quello che più spaventa, sulle le patologie cancerogene al seno delle donne africane.

    C.G.

  8. Rodolfo
    Rodolfo says:

    157Ma di questo passo…
    si potrebbe dire di tutto la stessa cosa….non ti pare?
    Dunque converebbe non parlare piu’ di niente …
    Anche i giornali seri che oggi ne parlano….perche’ dovrebbero farlo….
    tanto son cose che sanno tutti….
    dunque non resta che seguire il consiglio di Caino….
    contro il logorio della vita moderna…prego un Champagne…
    o un Cynar?….mah…non finisco mai di meravigliarmi…
    Rodolfo

  9. sylvi
    sylvi says:

    caro Caino,

    la frase buttata là dal suo amico cc mi è parsa subito oscura. misteriosa ed ambigua.
    Io scinderei la frase per analizzarla meglio.
    Quel primo imperativo:
    – ma va a dar via…-
    appare ,di primo acchito,sì un po aggressivo, impetuoso, veemente….ma poteva essere anche una esortazione alla generosità del donare senza esitazioni o perplessità.
    Anche nel Vangelo Gesù ci comunica più volte ” che c’è più gioia nel donare che nel ricevere!”.

    Il pertu?
    Pur senza conoscenze approfondite del piemontese, il pertu l’ho tradotto a orecchio con ” pertugio, occhiello”…
    e questa parola ha sicuramente un ritmo dolce e musicale.
    In Boccaccio troviamo: ” ad un piccolo pertugio puose l’occhio e vide apertissimamente l’abate stare ad ascoltarlo”.
    Non mi è molto chiaro il contesto…ma questo ho trovato!

    Manzoni poi scrive: “. .. l’educande…, ficcandosi e penetrando tra monaca e monaca, eran riuscite a farsi un po’ di pertugio, per veder anch’esse qualcosa”.
    Una parola, quindi che ha una sua importanza nella letteratura.

    Ma devo confessare che mi ha parecchio lasciato indecisa l’ultimo termine : panel !
    Difficile inserirlo nel contesto della frase così come si esplicava.
    Ho cercato su Internet dove ho trovato panel sinonimo di tafanari.
    Che tafanari in friulano abbia lo stesso significato che in piemontese???
    Che derivasse dal celtico?
    Tanto noi diamo sempre la colpa ai Celti!
    E il mio studio si è fermato a questa domanda.

    Sylvi

  10. Rodolfo
    Rodolfo says:

    Ci sono assonanze….cara Sylvi….
    per esempio al mio paese ….piccolo aggrappato sulla collina….un gioiello dove si mangia divinamente di nome Palazzolo Acreide…
    si dice ….
    “Si nun tinni vai tu fazzu un tafanaru tantu”…
    quel “tantu” e’ seguito da un movimento delle mani che tu ti potrai immaginare…..”tafanaru” sarebbe anche una specie di “coffa” come per dire borsa….
    insomma…”.Se non te ne vai …ti faccio un culo tanto….”
    Rodolfo

  11. Caino
    Caino says:

    Egr sig Cuoca Sylvi,

    lei sarà esperta in Veneto, ma come riprova del fatto che appena Lei si avventura fuori dalla “sua cucina” commette topiche colossali,come nel caso di Kant.

    PERTUS ,NON pertu,che sembrerebbe pure avere del Francesizzante,la” us” finale va leggermente sfumata,sa solo per una questione di,di ah musicalità..come dice lei, se salta la sfumatura ne va della Armonia globale !
    Per cortesia, insomma , per queste questioni, non mi metta in campo pure Gesù ..lasciamolo fuori …questa si che è bestemmiare.

    Sul tafanari ha ragione , una su due!
    Per cui sinonimo per sinonimo, si può dire tranquillamente vada a prenderselo nel Tafanari.
    Suona meno musicalmente , ma rende altrettanto l’idea.

    Buona serata

    Caino

    ps -devo dire che non ha un grande orecchio musicale !

  12. Caino
    Caino says:

    Ahh , ho riletto quanto appena licenziato.
    A scanso di equivoci c’è una frase che può suonare sibillina.
    No, rimane il tutto sul piano puramente discorsivo Kulturale,astratto !
    Come da Lei ben impostato a proposito del linguaggio veneto.
    Assolutamente nulla di personale!
    Di questi tempi, in questo Blog sa ..non si sa mai..

    Caino

  13. Caino
    Caino says:

    Ci sono tipacci , che appena leggono una parolaccia, pensano subito che sia indirizzata a Loro !
    In che mondo in mondo siamo ormai costretti a vivere , cara lamia Marchesa del Cavolo in Broccolino !
    A scanso di equivoci è un estratto di dialogo dal Delcavulus,tra il Conte della Rapa di Testa, e la Marchesa del Cavolo in Broccolino.
    Sicuro che non farà ridere nessun tipaccio,ma …ovvio , e m’a n’a sbatu le bale !

    cai,cai

  14. Anita
    Anita says:

    @@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@

    I pensionati hanno troppo tempo da perdere…questa e’ la mia conclusione dopo aver letto la giornata di oggi, 2-4-2014.

    L’unica cosa di un certo valore e’ la canzone narrata e cantata da Rodolfo: ” Il y avait un jardin ” la quale non ha ricevuto alcun commento o cenno.

    Mentre l’ho dovuta ricercare in Inglese ed in Italiano per chi l’ha ascoltata.

    Gli Americani non sono molto forti nelle lingue straniere oltre la loro nativa originale e scarsi anche di quella.

    Caino…ti sta cadendo la maschera….

    Sono d’accordo con Peter sulla definizione di giornalismo e giornalisti.

    Buon risveglio,
    Anita

  15. Rodolfo
    Rodolfo says:

    Cara Anita
    e’ vero…i pensionati hanno tanto tempo a disposizione…in special modo d’ inverno…tranne se non si hanno le disponibilita’ finanziarie di andare a cercare l’ estate intorno al mondo o di andare a sciare a San Moritz….
    si puo’ essere anche cosi altruisti che come scrive Nicotri.. dedica il suo tempo le sue idee a cose per interesse altrui…. e non suoi… ma per un tempo che ha a disposizione….se non lo avesse certamente non perderebbe tanto tempo nel blog…
    e cosi mi sembra e’ per tutti.. anche per me stesso….che dedico il mio tempo al blog esternando le mie idee…che non necessariamente possono e devono sempre essere sbagliate… come quelle di Nicotri non devono e non possono essere sempre necessiariamente giuste…
    …il contrario sarebbe il colmo…
    per quanto riguarda la mancanza di commenti o cenni alla mia canzone…lo sai che io non mi sono mai lamentato….ne’ mi aspetto commenti…che per certe cose mancano.. per un verso o per l’ altro…
    ma per me e’ indifferente….ricordo solo un commento di Marta ed uno di Sylvi…. che naturalmente mi hanno fatto piacere …degli altri sinceramente non e’ che mi importi molto….
    per altro “sicuramente ” non l’ hanno nemmeno sentita..e cosi e’ difficile commentare qualcosa che non si sente.
    Ma a volte succede anche con certi post e certi miei argomenti ….che non hanno ricevuto e non ricevono commenti e vengono del tutto ignorati….in special modo quando non si ha niente da contrapporre. Ora spunta uno e dice….: “Ah piagnone”…ed ha risolto a suo modo la questione…
    Qui…con l’ eccezione di Peter….siamo tutti …chi piu’ chi meno… pensionati…ci si passa un po’ il tempo….e il tempo passa…
    Rodolfo

  16. Cerutti Gino
    Cerutti Gino says:

    Cerca invece di passare il tuo tempo investendolo nello scrivere meno cazzeggi&cazzate. Non tutti sono disposti a seguirti su questa strada dove tu ti metti a fare l’autostop credendo di viaggiare a sbafo.

    C.G.

  17. Caino
    Caino says:

    Egr sig Peter,
    ed invece io ,sono in accordo con quanto sostenuto da Nicotri.Le vorrei spiegare il perché se ha un attimo di pazienza.

    Nicori sostiene che :

    “IL GIORNALISTA E’ COME UN CUOCO E UN CAMERIERE: PREPARA E METTE IN TAVOLA LE PIETANZE SENZA AVVELENARLE E SENZA MASTICARLE AL POSTO DEL DESTINATARIO.
    PINO NICOTRI”

    Aggiunge poi :Come sappiamo bene, non solo nel caso Orlandi abbondano invece i cuochi camerieri avvelenatori delle pietanze che preparano e masticatori delle stesse prima di servirle in tavola.
    Nulla di trascendentale a ben vedere

    Le pietanze ,qualora non lo avesse inteso, sono i fatti.
    Vista così la cosa ,cadono tutte le sue osservazioni in merito all'”opinionismo”.
    Nicotri non sostiene affatto che i giornalisti non possano esprimere opinioni.
    A mio modesto avviso già il solo elenco dei fatti,debitamente documentati è già di per sé un’opinione, precisa e chiara.
    Il riferimento al caso Orlandi nè è un esempio lampante.
    Es : già l’elenco dei fatti (tutti) in ordine cronologico ,senza trucchi, od omissioni di comodo, tendenti ad avvalorare certe tesi piuttosto che altri è già un’opinione potente.
    Il lettore sulla base dei fatti può farsi un’opinione sua.
    Ma dopo aver elencato i fatti (tutti e non taroccati),mi scusi la ripetizione ,il giornalista potrà dire : Sulla base di questi fatti la mia opinione in merito è…….!
    Aggiungendo eventualmente : sempre che non sopraggiungano altri fatti documentati,che smentiscano i precedenti.

    Non mi sembra nulla di strano,teoricamente uno farebbe bene solo il suo lavoro.
    Le tesi precostituite e di comodo, invece sono altra materia ,legittima , anche magari in buona fede ,cosa che però dubito assai.
    Mi fermo per il momento Qui.

    Caino

  18. Pino Nicotri
    Pino Nicotri says:

    x Rodolfo

    A perdere tempo è lei, nel blog e temo anche nella vita. La sua incorreggibile cafonaggine vedo che, da bravo untore, contagia chi avvicina.
    Quando si deciderà ad andare a farsi fottere altrove farà finalmente cosa giusta. Nel frattempo il suo masochismo hasbarico rallegra non solo i pensionati.
    Lei è più triste di un crisantemo. Avariato.

  19. Uroburo
    Uroburo says:

    Non trovo grande differenza tra le tesi di Caino e quelle di Peter sul giornalismo.
    Nessun giornalista si limita a raccontare i fatti, ma il buon giornalista espone i fatti in modo realistico e poi vi aggiunge i suoi commenti, facendo in modo che le due cose risultino comprensibilmente divise e separate.
    L’ottimo giornalista è poi quello che si sforza di dare un senso ai fatti, il che comporta non solo una valutazione soggettiva (i suoi commenti) attuale ma anche una proiezione del suo parere sul significato del passato e su un possibile futuro.
    Tenendo ben presente che questo dare un senso è, e deve essere, soggettivo ed indicato esplicitamente come tale.
    Volendo dare dei giudizi, da non esperto, a me pare che Scalfari sia ormai solo un commentatore dei fatti che non racconta ormai più; Bocca ala fine della sua carriera pure ma prima era un grande espositore di fatti, pur se con un suo particolare taglio.
    Damilano, a mio modo di vedere, racconta pochissimi fatti (che fa soprattutto intuire, quindi con un procedimento assai poco oggettivo), ed abbonda di commenti. Un procedimento che può essere pericoloso perchè suscita pareri basati non su fatti ma su altri pareri.
    Massimo Giannini espone i fatti e ci crea sopra una sua opinione che comunica ai lettori. Mi sembra uno dei migliori giornalisti della sua generazione, come lo era D’Avanzo.
    Un saluto U.
    PS. Naturalmente i miei sono solo punti di vista di un non esperto.

  20. Uroburo
    Uroburo says:

    PS 2. Ma questo blog non ha nulla di meglio da fare che non continuare a rompere le palle a Rodolfo per qualunque cosa dica?
    Passate tutto il vostro tempo con il naso nel culo degli altri!
    Ma non avete punti di vista personali da esporre senza continuare a sottolineare le (presunte) cazzate degli altri? E le vostre, non le vedete mai?
    Ma Rodolfo può esporre il proprio parere o deve chiedere il permesso a voi? Ma chi siete? Ma chi vi credete di essere? Siete primariamente dei bifolchi senza un minimo di tolleranza nè di rispetto, siete molto più integralisti di Rodolfo, che quanto meno ammette, a differenza della stragrande maggioranza di israeliani ed ebrei, i diritti dei palestinesi (almeno in linea di massima).
    Continuati a rompergli le palle solo perchè si chiama Rodolfo: se IO scrivessi alcune cose che dice lui e contro le quali vi scagliate come delle Erinni non direste una parola.
    Siete prevenuti e vagamente indecenti: avete bisogno di un capro espiatorio per sentirvi meglio e Rodolfo ne è una rappresentazione perfetta; e voi ve ne approfittate.
    Questo blog è diventato solo una rappresentazione di liti di comari in beghe da cortile.
    Per lo più, con qualche rara eccezione, non vale neanche più la pena di leggervi perchè non fate altro che polemizzare sul nulla.
    Uroburo
    PS. Sottolineo per qualche imbecille, che qui sono diventati numerosi, che sulla questione palestinese io mantengo integralmente la mia posizione, che do per nota, e che rimane esattamente opposta a quella di Rodolfo. E che, solitamente, non condivido nulla di quello che scrive Anita, che rimane però una persona per bene e degna di rispetto. La stessa cosa potrei dire di Silvy.
    Questo tanto per la precisione, perchè le interpretazioni cretine ci sono già state e sicuramente torneranno.

  21. Cerutti Gino
    Cerutti Gino says:

    Sicuro che siano altri, al di fuori di Rodolfo,
    a “rompere le palle”?
    Sicuro sicuro?
    Ma tu, i suoi starnazzi e piagnistei li segui oppure ci zompi sopra?
    Le cose bisogna dirle quando sono da dirle, altrochè!

    C.G.

  22. Uroburo
    Uroburo says:

    Caro Gino,
    Rodolfo scrive quello che gli sembra, spesso male.
    Ma tu (e non solo tu) passi il tempo a rimbeccare lui e soprattutto l’Anita, in un ping pong talmente noioso e ripetitivo che mi rifiuto anche solo di prenderlo in considerazione.
    Siete rimasti in tre con rari interventi di altri tre … Dopo di che contenti voi contenti tutti. U.

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