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Machiavelli e l’autonomia della politica

Si fa fatica oggi a dire che Machiavelli aveva torto nel volere una politica separata dalla morale. Semplicemente perché la morale cui egli si riferiva era quella religiosa o che trovava nel cristianesimo le propria fondamenta. Ed era una morale ch’egli disprezzava profondamente, in quanto vedeva i cattolici troppo passivi al cospetto delle ingiustizie, troppo fiduciosi nella provvidenza divina e nella magnanimità delle istituzioni, soprattutto in quelle clericali.

Non c’è dubbio che non può esservi laicità della politica là dove questa è determinata dalla fede religiosa: determinata o in maniera diretta, come accadeva nello Stato della chiesa, dove il papato costituiva una monarchia assolutistica, e lo è ancora oggi; o in maniera indiretta, come accadeva negli Stati confessionali, gestiti da laici credenti o comunque da governi che con una determinata chiesa avevano stabilito dei rapporti privilegiati, come, in forza del Concordato, è ancora oggi in Italia.

E tuttavia ci si chiede: che bisogno c’era, separando la politica dalla morale religiosamente ispirata, separarla anche dalla morale tout-court? Era forse questo l’unico modo per fondare una “scienza della politica”? Chi l’ha detto che una disciplina può ritenersi “scientifica” soltanto quando non ha riferimenti alla morale? E se fosse proprio questa mancanza di riferimenti a farle perdere il senso della realtà e quindi la propria scientificità?

Machiavelli diceva che bisogna guardare la realtà così com’è, e rifuggiva da quelle costruzioni ideali di tipo utopistico che prospettavano come una realtà avrebbe dovuto essere (molto famosa era l’Utopia di Thomas More). Ma il giudizio ch’egli dava della realtà del suo tempo era estremamente negativo: gli uomini, per lui, erano fondamentalmente guidati dall’ambizione e dall’avidità personale. Modificare una situazione del genere era per lui impossibile, certamente non con gli strumenti della democrazia o della mera denuncia etico-religiosa: non poteva non ricordarsi, visto che ne era stato un testimone oculare, del fallimento dell’operato di Savonarola, “profeta disarmato”.

Ma allora a cosa doveva servire la politica? Doveva servire soltanto a gestire nel migliore dei modi l’esistente. Cioè la politica era lo strumento che il governo doveva usare per consolidare lo Stato; e se, per fare questo, si doveva ricorrere a mezzi immorali, come p.es. il tradimento o l’assassinio, il fine superiore – ch’era appunto quello dell’integrità dello Stato, e possibilmente del suo rafforzamento – li avrebbe successivamente giustificati. In politica, come non è sempre vero che una buona azione morale sia politicamente utile, così non è detto che non lo sia un’azione moralmente illecita. Quante volte gli interpreti del Machiavelli hanno giustificato le sue concezioni della politica semplicemente perché voleva l’unificazione nazionale eliminando lo Stato della chiesa?

Machiavelli avrebbe detto che si può decidere dell’efficacia di una qualunque azione soltanto di volta in volta, nella concreta contingenza. È l’utilità contestuale che deve decidere dell’efficacia di un’azione.

In sostanza egli parlava come un borghese ateo e fondamentalmente come una persona cinica, priva di moralità. Gli storici han cercato di giustificarlo dicendo che l’idea che aveva di “sovrano” era quella di un “uomo di stato” e non quella di un opportunista che entra in politica per coltivare i suoi interessi personali. Cioè il suo cinismo sarebbe stato in realtà una forma di realismo politico, per cui, al massimo, si può parlare di “amoralità” e non di “immoralità”. Tra i “grandi” la pensavano così anche Hegel, Gramsci e Althusser.

Questo però non giustifica nulla. Non si diventa meno cinici agendo come “uomini di stato”. Anzi, può apparire in una luce alquanto perversa o mostruosa, il fatto che un politico, pur avendo un elevato senso dello Stato, si pieghi ad accettare soluzioni particolarmente indegne sul piano morale.

Semmai ci si può chiedere da dove Machiavelli avesse preso una concezione della politica così spregiudicata, la quale, peraltro, non si faceva scrupolo ad usare la religione come instrumentum regni. La risposta è molto semplice: l’aveva presa dalla stessa chiesa romana. Il suo modello era il papato, non era certo la democrazia. Machiavelli non aveva elaborato una politica soltanto per separarsi dall’egemonia di quella pontificia, ma anche per riprodurla in forma laicizzata. Sicché, mettendo all’Indice tutte le sue opere, la chiesa non si rendeva conto di mettere all’Indice se stessa.

1° febbraio, Giorno della Memoria. 28 gennaio, terza udienza del processo all’Operazione Condor. LA VERGOGNA DEL SILENZIO GENERALE!

1) Ieri, 1° febbraio, era Il Giorno della Memoria. Che però non è fregato nulla a nessuno e nessuno lo ha infatti ricordato perché riguarda un pezzetto del gigantesco Olocausto di indigeni perpetrato nelle Americhe da noi europei man mano diventati americani.

2) E il 28 gennaio c’è stata a Roma la terza udienza preliminare del processo per le vittime italiane dell’Operazione Condor, come venia chiamato in codice lo sterminio clandestino nel Sud America dei militari golpisti foraggiati dagli Usa degli oppositori politici, veri o presunti, tragicamente noti come desaparecidos, cioè scomparsi.

Il 25 gennaio si è invece molto parlato della Giornata della Memoria che riguarda invece lo sterminio degli ebrei nella Germania nazista. Il solito nostro uso di due pesi e due misure è stato particolarmente sfacciato perché è stata ospite di molte iniziative – da “Che tempo che fa” a Rai Tre a cerimonie e interviste – una anziana signora  nipote di un ebreo milanese deportato ad Auscwitz e madre di una ragazza desaparecida in Argentina. Molta giusta commozione. Ma, ongiustamente, neppure un accenno all’udienza imminente al trbunale di Roma e tanto meno all’Olocausto dei “musi rossi” americani. Il che la dice lunga anche sulla nostra ipocrisia, nutrita dal non disinteressato buonismo e politicamente corretto “de sinistra”.

Propongo pertato un paio di articoli, il secondo è un’intervista, apparsi sui rispettivi due argomenti. E un commento apparso al primo. Commento che dovrebbe far riflettere in particolare oggi, visto che c’è un papa gesuita. Cioè di un ordine religioso che ha preso parte alla persecuzione degli “indiani d’America”.

1) – http://www.famigliacristiana.it/articolo/indiani_010212101431.aspx

INDIANI SIOUX, IL GIORNO DELLA MEMORIA

01/02/2012  Il 1 febbraio 1876 gli Stati Uniti dichiararono guerra ai Sioux che non volevano abbandonare i territori dov’era stato scoperto l’oro. E fu l’inizio del massacro di Wounded Knee.

Oggi cade l’anniversario di una dichiarazione di guerra troppo spesso ignorata o non considerata come tale. Il 1 febbraio 1876 il ministro degli Interni degli Stati Uniti d’America dichiarò guerra ai Sioux “ostili”, quelli cioè che non avevano accettato di trasferirsi nelle riserve, dopo che era stato scoperto l’oro nelle Black Hills, il cuore del territorio Lakota. Come si potevano traferire migliaia di uomini, donne e bambini dalla terra dov’erano nati, in una stagione dell’anno in cui il territorio era coperto di neve? Molti indiani pare neanche ricevettero l’ordine, in quanto impegnati nelle loro attività di caccia, lontano dalla propria residenza. Continua a leggere

Lo strano bipolarismo italiano: dai guelfi e ghibellini ai parlamentarelfi e berluschini. Mentre il Chiavaliere è in partenza per Israele con intenti bellicosi anche nei confronti di un editore italiano…

La degenerazione politica è arrivata ormai al punto di registrare non solo la ventesima legge ad personam per evitare processi e condanne a Silvio Berlusconi, ma anche la prima legge ad familias per evitare che finiscano nei guai anche suo  figlio Piersilvio nonché il fedele Fedele Confalonieri con l’inchiesta Mediatrade che ha svelato il meccanismo berlusconiano di accumulo di fondi neri e naviga ormai verso il dibattimento in aula. Di fatto l’Italia è prigioniera della pretesa dell’attuale capo del governo di essere legibus solutus con la scusa che è stato “eletto dal popolo”. Scusa risibile a fronte delle dimissioni date per molto meno da molto più civili leader politici e dell’impeachment evitato sul filo del traguardo dal presidente Usa Bill Clinton e dalle dimissioni cui fu costretto un altro presidente Usa, Nixon, reo “solo” di una irruzione nella sede del partito avversario per sapere cosa ci fosse scritto nei loro documenti e programmi elettorali e di avere mentito all’opinione pubblica. Bazzecole di fronte agli addebiti mossi e provati nei confronti di Berlusconi. Ripeto ancora una volta che per renderlo indegno di sedere non già a palazzo Chigi ma anche solo in parlamento basta e avanza il molto disonesto tentativo di far nominare ministro della Giustizia il suo avvocato, Cesare Previti, addetto alla corruzione di giudici romani e al conseguente scippo di imperi editoriali altrui. Corruzione che la Corte di Cassazione nel rendere definitiva la condanna di Previti ha scritto chiaro e tondo nella sentenza essere stata consumata in tandem col suo datore di lavoro Berlusconi Silvio. Continua a leggere

PROGETTO PER USCIRE DALLA CRISI (I)

Dietro di noi abbiamo un lungo periodo in cui l’uomo è vissuto pacificamente nella comunità democratica primordiale, cui ad un certo punto ha cominciato a contrapporsi la civiltà schiavistica (il “peccato originale” dell’umanità).

Contro questa civiltà hanno cercato di lottare le religioni più significative della storia: ebraismo, buddhismo, cristianesimo, islam, ma senza alcun successo, al punto che i nuovi tentativi di liberazione (rivoluzioni borghesi e soprattutto socialiste) sono avvenuti all’insegna di una religione molto laicizzata o assente del tutto.

Ai nostri giorni esperienze analoghe a quelle del comunismo primitivo sono praticamente ridotte a un nulla, in quanto il sistema di vita borghese ha coinvolto l’intero pianeta, mentre quello di tipo socialista, essendo strettamente vincolato a istituzioni statali, s’è rivelato del tutto fallimentare. Un socialismo burocratico, amministrato dall’alto, non riesce a sviluppare la democrazia e inevitabilmente implode.

Tuttavia, se resta il problema di cercare nuove forme di socialismo, compatibili con la democrazia e non lontane dallo spirito delle esperienze del comunismo primitivo, resta anche il problema di come superare le contraddizioni del sistema capitalistico, le quali, ponendosi a livello mondiale, producono, quando s’acuiscono, effetti devastanti sull’intero pianeta.

Gli Stati borghesi non sono in grado di risolvere in maniera strutturale tali contraddizioni, poiché essi stessi ne sono parte in causa, espressione storica del loro sviluppo. Di fronte al crollo del socialismo reale i paesi capitalisti si sono illusi che il destino del capitale non avrebbe più incontrato ostacoli di sorta, e ciò sembrava trovare ulteriore conferma nella svolta borghese della società cinese, pur in presenza, in questo paese, di un apparato governativo e amministrativo ancora fortemente autoritario.

Ma l’illusione del capitalismo mondiale è stata di breve durata: le contraddizioni questa volta sono scoppiate non tanto sul terreno economico quanto su quello finanziario. Il capitalismo monopolistico di stato, che nella sua fase più evoluta ha una connotazione marcatamente finanziaria, sembra riportarci indietro, ai tempi del crac borsistico del 1929, cui seguì un decennio dopo lo scoppio della II guerra mondiale. Il capitalismo mondiale non ha gli strumenti per risolvere in maniera organica le proprie crisi cicliche, se non facendone pagare le conseguenze ai lavoratori e ai ceti più deboli.