La natura e il suo becchino

Il fatto che l’essere umano sia l’unico ente di natura in grado di dominare la stessa natura è poco spiegabile. Sarebbe come se gli uomini creassero delle macchine che, ad un certo punto, per qualche motivo, si rifiutassero di eseguire i loro ordini. Giusto nei film di fantascienza. Se ciò nella realtà fosse possibile, saremmo rimasti alla zappa e alla vanga: non ci piace davvero perdere tempo e tanto meno avere spiacevoli sorprese dalle nostre fatiche, anche se, quando capitano, facciamo di tutto per farle pagare agli altri. O forse avremmo smesso di creare macchine perché queste stesse, giunte a un grado pericolosissimo di sofisticazione, ci avrebbero fatti fuori, com’è successo a Chernobyl, a Fukushima e in tanti altri posti ancora.

Certo una macchina si può guastare, ma pensiamo che possa sempre essere riparata (anche se oggi cominciamo a nutrire dei dubbi col nucleare di mezzo), e quando viene definitivamente dismessa, è perché è stata sostituita da un’altra, ancora più funzionale e sicura. Almeno così crediamo. In un primo momento infatti siamo convinti che i pro siano di molto superiori ai contro. Da tempo sappiamo che ogni macchina ha effetti positivi e negativi, ma di quelli veramente negativi ci accorgiamo sempre troppo tardi. Questo perché viviamo nel mondo dei sogni, nell’illusione di poter dominare la natura in ogni suo aspetto, senza controindicazioni rilevanti.

Chi ha la mia età si ricorda benissimo quando si scriveva con la cannetta e l’inchiostro o con la stilografica. Ci si sporcava, si aveva bisogno della carta assorbente o bisognava aspettare che le parole si asciugassero, magari aiutate dal nostro alito, ma il vantaggio era che il tutto costava molto poco, non solo per le boccette d’inchiostro ma soprattutto perché le penne erano ricaricabili. Poi venne la comodità della biro di plastica, che però non è ricaricabile, non è biodegradabile, non è riciclabile e per la natura fu un inferno.

Dunque la natura avrebbe creato un soggetto che le può sfuggire di mano in qualunque momento, e che anzi le può fare dei danni addirittura irreparabili (come p.es. le desertificazioni o le contaminazioni radioattive, ma anche talune forme d’inquinamento fisico-chimico).

Diciamo che questo potere devastante l’uomo l’ha manifestato soprattutto negli ultimi due secoli, cioè da quando la rivoluzione industriale, grazie al capitalismo (ma il socialismo reale non ha fatto certo di meglio), s’è imposta, in maniera diretta o indiretta, su quasi tutto il pianeta.

Ora, come si spiega che la natura sia stata così ingenua da creare il proprio becchino? Qui delle due l’una: o la natura possiede meccanismi di autodifesa che noi non conosciamo, oppure l’essere umano ha un’origine che non è semplicemente “naturale” o “terrena”.

Indubbiamente noi siamo nati su questa Terra dopo che la natura s’era formata, la quale quindi, per esistere, non aveva alcun bisogno di noi. Eppure da quando noi esistiamo, la Terra ha subìto sconvolgimenti epocali, molti dei quali del tutto irreversibili. Lo spazio vitale in cui poter vivere in tranquillità si sta riducendo drasticamente.

Cosa voglia dire questo, in prospettiva, resta un mistero. Certamente noi non possiamo andare avanti con questi ritmi di devastazione ambientale. Abbiamo creduto per troppo tempo che non vi fosse alcun limite al saccheggio o all’uso indiscriminato delle risorse naturali.

Il problema è che l’essere umano non può vivere senza natura. Nel passato non esisteva neppure il rischio di una scomparsa del genere umano per motivi ambientali, anche se indubbiamente i deserti che abbiamo creato con le nostre deforestazioni, da un pezzo ci fanno capire quanto siamo scriteriati.

Oggi questo rischio è sempre più prossimo. Quanto più distruggiamo la natura, tanto più ammaliamo noi stessi, minacciamo la nostra esistenza, mortifichiamo le nostre identità. E al momento non si può certo dire che siamo pronti per trasferirci su altri pianeti.

Se l’economia non si sottomette all’ecologia, per noi è finita. Se i nostri criteri produttivi non si sottomettono a quelli riproduttivi della natura, finiremo con l’autodistruggerci. Non possiamo porre la natura nelle condizioni di sperare che il genere umano scompaia dalla faccia della Terra. Dobbiamo elaborare quanto meno delle leggi in cui venga dichiarato che un crimine contro la natura è un crimine contro l’umanità, per il quale si deve scontare la pena finché non si è risarcito il danno.

4 commenti
  1. controcorrente
    controcorrente says:

    Caro Enrico,
    hai ragione, l’uomo è un’animale strano !
    Tu usavi già la Stilografica, pensa, io ancora il pennino con la boccetta di inchiostro incastonata nel banco!
    Nel complesso direi che i Dinosauri sono stati spazzati via da una causa esterna…,mentre non si sa se ci fosse qualche Dinosauro con qualche grado sviluppato di coscienza,diversa dagli altri…
    In questo caso poi ,non sono poi nemmeno tanto sicuro se sia giusto o meno definire un meteorite una causa esterna, visto che la Terra piaccia o meno è inserita in suo contesto naturale e come diversamente chiare la galassia ?
    Il celebre matematico Henry Poincaré, definì il pensiero come”un lampo tra due lunghe notti.Ma quel lampo è tutto !”
    Non ci resta che sperare in un lampo, oppure arrenderci all’idea che Ontologicamente parlando il destino nostro sia proprio la più o meno cosciente auto-estinzione.
    Nel frattempo almeno vediamo di non confondere scienza con industrializzazione…
    Su economia ed industrializzazione e individualismo sono già state scritte parole importanti..mi pare di ricordare..!!
    Il mio fatalismo mi fa solo sperare su quel lampo, o piuttosto vista la soggettività del tempo individuale, ricordare che ci sono ore che possono valere secoli, mentre i secoli sono sempre secoli..e sperare in qualche ora!

    cc

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  2. controcorrente
    controcorrente says:

    Caro Enrico,

    nel tuo intervento precedente ti richiamavi all’Olismo.
    Basterebbe a volte ,molto più modestamente a mio avviso, l’introduzione di un briciolo di “interdisciplinarità”al fine di evitare che specialismi su specialismi portino ad un discorso tra sordi.
    Temo che lo “sviluppo economico”,che non saprei nemmeno io più come definire,spinga sempre più nel verso opposto,ovvero nel finire per ridurre le speculazioni del pensiero,(qualsivoglia esse siano)ad un dibattere entro cenacoli di “specialisti”dei propri saperi.
    Le scienza naturali, viaggiano forse, nel senso opposto , poiché mi risulta che alcune delle più grandi scoperte scientifiche degli ultimi tempi nascano proprio dall’unione di saperi che si inter allacciano al fine di pervenire ad un fine comune.
    Ma è bene sottolineare che l’obiettivo “finale” è il più delle volte “commissionato” e solo e sempre rigidamente legato alla stessa finalità..appunto !
    Le scienze umanistiche, ovvero gli altri saperi , divergono nel senso che ben difficilmente si ritrovano nel tentativo di formulare o meglio, riformulare i propri specialismi allo scopo di raggiungere anche solo una qualche finalità di scopo.
    Ed invece ve sarebbe un’estremo bisogno,visto che teoricamente dovrebbe occuparsi dell’uomo in generale e dei suoi destini.
    Qualche volte si assiste a dei tentativi in tal senso…,ma servono solo più per dar “lustro” a chi caccia i “danè “….e conquistare magari qualche copertina utile allo scopo di vendere meglio qualche prodotto del momento !
    Chiudo precocemente..sennò finisce che mi perdo…,quindi tutto questo pistolotto, solo per sottolineare che a questo punto mi riesce difficile il “rinunciare” a qualche vecchio “detto” se si vuole come tu affermi che l’economia (e qui intesa “non” come disciplina a se stante) si debba piegare all’ecologia diversamnte il finale è autodistruttivo.
    Ovvero “parole come decrescita felice” mi fanno venire l’orticaria, se non si specifica bene quale ecologia possibile e quale possibile nuova economia possa avviarla,sapendo bene che ecologia è scienza , mentre economia è potere, interessi,controllo dei meccanismi,se vogliamo politica economica .
    Ovvero ancora, bisogna evitare che nasca l’ennesima moda ..ma che agli effetti pratici..si riduca poi alle parole,parole,parole…
    Un po di sano essenzialismo (sic, non esiste nemmeno nel vocabolario),nel definire qualche “percorso utile”,insomma, non guasterebbe !

    cc

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  3. Enrico Galavotti
    Enrico Galavotti says:

    Secondo me l’interdisciplinarietà potrebbe esistere nelle scuole se nella società si facesse uno sforzo a vedere le cose in maniera integrata, e questo dovrebbe essere un compito della politica, visto che noi a scuola possiamo fare solo cultura. Ma la politica non lo fa, perché è schiava del profitto e se ne frega dell’ecologia e vede la cultura solo in funzione del business (vendere p.es. giornali riviste libri cd dvd ecc.).
    D’altra parte come può esserci integrazione se la città fagocita completamente la campagna? Se il lavoro intellettuale surclassa nettamente quello manuale? Se l’uomo domina la donna? Se la civiltà schiaccia la natura? E così via. Oggi abbiamo addirittura che la finanza ha la pretesa di sostituirsi all’economia!
    L’Europa occ. il Giappone e gli Usa han già dato, e persino la Russia, che dal ’91 ad oggi non ha fatto che copiarci. E sinceramente parlando non mi pare che in Cina e in India vi siano alternative al nostro sistema.
    Cosa ci resta? In Americalatina forse i discorsi più interessanti sono quelli di tipo ambientalista (L. Boff è sempre interessante). L’Africa continua a non avere voce in capitolo, anche se io confido in questo continente, che però prima deve liberarsi del colonialismo e dell’islam e avere più fiducia in se stesso.
    Sì convengo che l’idea di decrescita, in sé e per sé, non vuol dir nulla: un capitalismo in crisi perenne potrebbe anche farla propria per imporci uno stile di vita da poveracci, mentre la ristretta minoranza se la gode come prima.
    ciaooo

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  4. Enrico Galavotti
    Enrico Galavotti says:

    Sinceramente parlando non vedo nessuna differenza tra scienza e industrializzazione. L’una supporta l’altra, e nella stessa pretesa di dominio della natura. Se ci mettiamo a guardare le cose dal punto di vista della natura (che ha bisogno di riprodursi agevolmente per permettere a noi di farlo), dovremmo abolirle entrambe, d’emblée, senza ripensamenti, anzi ripensando in toto i concetti di scienza e tecnologia.
    Prendi il tuo cellulare: ti sopravvivrà di sicuro, perché anche se lo cambi, nessuno lo riciclerà (non è una zappa o una vanga, sempre utili per l’orto), cioè andrà a finire in una discarica i cui costi di smaltimento per l’ambiente saranno superiori al prezzo dello stesso cellulare, persino ai vantaggi del suo uso. Noi non lo sappiamo perché l’ambiente non ci interessa e ci pare inverosimile che un pianeta non riesca a sopportare un singolo cellulare obsoleto.
    Siamo talmente abituati a guardare le cose in maniera universale che non riusciamo a capire quanto forte sia il nostro impatto sul piano locale. Per questo sogno il valore d’uso che soppianti quello di scambio.
    Quando pensiamo ai costi di smaltimento, pensiamo ai costi economici (macchinari, personale…), ma non mettiamo in conto quelli ambientali (inquinamento dell’aria, dell’acqua, della terra che sta sopra e che sta sotto). Hai mai visto un cimitero delle macchine? Le riducono a un cubo, dopo averle spogliate di tutto, ma il cubo resta, occupa spazio, forma coi compagni del mucchio incredibili montagne e tutti rimarranno lì in eterno, come esempio della nostra sragione.
    ciaooo

    Rispondi

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