Quale nuova tecnologia per il socialismo democratico?

Non è possibile capire i passaggi da una civiltà a un’altra limitandosi ad esaminare l’evoluzione della tecnologia. Un’analisi del genere, benché strettamente connessa alla relativa formazione socio-economica, diventerebbe di tipo sovrastrutturale, in quanto non terrebbe conto delle motivazioni culturali che portano a fare determinate scelte.

Senza cultura è impossibile spiegarsi perché una civiltà avanzata come quella romana (specie sul piano ingegneristico), rimase ferma, in ambito rurale, alla zappa e alla vanga, e non riuscì a inventare la staffa, la ferratura e il collare da spalla per il cavallo, il giogo frontale per i buoi da traino, la rotazione triennale delle colture, il vomere dell’aratro, l’erpice, il mulino ad acqua, il carro a quattro ruote… La ruota idraulica venne prodotta solo per far fronte alla penuria di schiavi. Resta incredibile come la lavorazione della terra, in una civiltà di tipo mercantile, che sul piano militare aveva le legioni migliori del mondo, sia rimasta praticamente identica per oltre un millennio.

Questa cosa non si può spiegare se non facendo riferimento al fatto che l’economia romana si basava sulla schiavitù. Lo schiavo doveva essere continuamente sorvegliato e costretto a lavorare, poiché non aveva alcun interesse a farlo. Non aveva mai la percezione che, aumentando o migliorando il proprio lavoro, avrebbe di sicuro ottenuto un beneficio a favore della propria emancipazione umana, sociale e civile.

Certo uno schiavo poteva diventare semi-libero (o liberto), ma questo dipendeva esclusivamente dalla magnanimità o generosità del suo padrone. Un proprietario terriero poteva anche trasformare i suoi schiavi in coloni, ma questo dipendeva dai suoi personali interessi e in genere poteva valere solo per le periferie colonizzate, dove i controlli erano più difficili.

Se si pensa che Roma divenne una grande potenza schiavista durante le guerre bisecolari con Cartagine, si è in grado facilmente di spiegare il motivo per cui i ceti benestanti e le stesse autorità politiche non vedevano di buon occhio i miglioramenti tecnologici in ambito lavorativo. Là dove la disponibilità di manodopera schiavile è molto alta e questa manodopera viene acquistata su un mercato del lavoro, lo schiavista ha intenzione di sfruttarla il più possibile e non a sostituirla con la tecnologia.

Questo atteggiamento, semplice e diretto, è del tutto normale in una civiltà basata su rapporti di forza, in cui col concetto di “forza” s’intende proprio quella “militare”. Quando una popolazione veniva sconfitta sul piano militare, il suo destino era quello di subire rapporti schiavili, in forme più o meno gravi. Anche quando un cittadino romano veniva rovinato dai debiti, non c’era pietà che gli risparmiasse un destino da schiavo.

La sottomissione integrale a un padrone rende lo schiavo un semplice oggetto, senza personalità, senza diritti, su cui si può aver potere di vita e di morte. Non ci può essere progresso tecnologico in presenza di schiavismo, proprio perché si ritiene che lo schiavo sia già lo strumento più sofisticato, quello che permette, insieme alle terre che si possiedono, di vivere senza lavorare.

Prima di vedere un progresso tecnologico bisogna aspettare che lo schiavo venga considerato un “essere umano”, ma ciò sarà possibile, seppure parzialmente, solo nel Medioevo, quando gli schiavisti verranno sconfitti dai cosiddetti “barbari”, che non praticavano lo schiavismo come sistema di vita, e che incontreranno una cultura, quella cristiana, disposta a considerare tutti gli uomini “uguali” davanti a dio.

Per il cristianesimo la schiavitù è un titolo di merito, sia perché il “figlio di dio” s’è fatto schiavo per liberare l’umanità dall'”ira divina”, conseguente a quel peccato originale che impedisce agli uomini di compiere il bene, sia perché lo schiavo, una volta resosi cristiano, ha molte più possibilità di salvezza nell’aldilà di quante ne abbia il suo padrone pagano. Ecco perché, se è vero che il cristianesimo non chiede allo schiavo di emanciparsi, se non appunto “cristianamente”, chiede però al suo padrone di trattarlo umanamente e anzi di diventare “cristiano” come lui.

E’ la trasformazione dello schiavo in servo, cioè in persona semi-libera, che porta a fare delle migliorie significative in ambito rurale.

Tuttavia, poiché anche il servo continua a restare un lavoratore giuridicamente sottoposto al feudatario, queste migliorie restano un nulla rispetto a quelle che si verificheranno quando, nella civiltà borghese, si sancirà l’uguaglianza giuridica (davanti alla legge) di tutti gli uomini. Quando si è tutti formalmente uguali, l’unico modo per poter sfruttare un’altra persona è quello di utilizzare qualcosa che faccia da “tramite” o da “ponte”, ed è appunto la tecnologia. Non basta avere capitali o terre, bisogna anche fare investimenti sulle macchine, le quali devono riempire, in un certo senso, il vuoto che il lavoratore crea quando non sta lavorando, essendo un cittadino libero.

Finché lavora sotto padrone, resta schiavo, ma siccome è giuridicamente libero, il tempo del suo lavoro è determinato, è limitato; le macchine vengono proprio a rimpiazzare il tempo mancante, quello che il diritto sottrae al rapporto schiavile. Ecco perché si parla di “schiavitù salariata”.

Poiché lo schiavo moderno è giuridicamente libero, il suo indice di sfruttamento è per così dire super-concentrato nel momento in cui resta schiavo di una macchina il cui uso deve essere massimo. Quando lavora come schiavo, l’operaio è parte integrante delle macchine, che ovviamente determinano la sua produttività. E’ la macchina che gli impone un determinato tasso di rendimento, calcolato scientificamente. A parità di tassi di rendimento, per il capitalista resta più vantaggioso un rapporto di lavoro meno costoso, per cui quanto più un lavoratore si lascia schiavizzare, tante meno possibilità vi sono di trovare una transizione al capitalismo.

La tecnologia quindi è strettamente correlata al sistema produttivo. E’ stato un errore colossale ritenere che nella transizione dal capitalismo al socialismo fosse sufficiente socializzare i mezzi produttivi, conservando inalterata la tecnologia della borghesia, che ha subito uno sviluppo impetuoso proprio perché la finalità era quella di sfruttare al massimo dei lavoratori giuridicamente liberi.

In realtà il socialismo può anche svilupparsi sulla base di una tecnologia di livello inferiore. La tecnologia da sviluppare, una volta realizzato politicamente il socialismo, dovrà essere in rapporto a un lavoratore non solo giuridicamente ma anche socialmente libero. Cioè dovrà essere lui stesso a decidere la tecnologia con cui lavorare.

I criteri per poter stabilire quale tecnologia usare, saranno determinati non dal profitto o dai mercati, ma dalla stessa autosussistenza e non senza trascurare le esigenze riproduttive della natura, che sono vitali per la sopravvivenza del genere umano. La tecnologia dovrà essere molto diversa da quella attuale, in quanto più facilmente realizzabile e riproducibile, utilizzabile, riparabile e reintegrabile nell’ambiente. In una parola dovrà essere eco-compatibile. L’ecologia dovrà avere la preminenza sull’economia: questa sarà solo un aspetto di quella.

Ecco, questa idea di socialismo democratico è ancora tutta da costruire.