Che cosa vuol dire “trasformare le cose”?

Noi “occidentali” siamo capaci solo di distruggere. Infatti tutto quello che costruiamo implica la distruzione irreversibile di qualcosa che appartiene all’ambiente naturale. La differenza fondamentale tra la nostra civiltà e quelle basate sull’autoconsumo è che queste si limitano a trasformare la natura, senza distruggerla.

Per trasformare la natura bisogna usare mezzi naturali, ricavati dalla stessa natura. Questo significa che dovremmo accontentarci di ciò che ci offre la superficie terrestre: non ha alcun senso “umano” o “naturale” andare a scavare troppo in profondità. Quando si è fatta una buca e si è piantato un seme, questo è sufficiente per l’alimentazione.

L’uomo deve vivere di ciò che gli offre la natura in superficie: caccia, pesca, allevamento, agricoltura… Le primissime popolazioni vivevano soprattutto di raccolta di cibo selvatico: tuberi, radici, frutti, funghi, miele, erbe, foglie, uova, insetti… La caccia venne dopo.

Quando si vanno a cercare risorse nel sottosuolo, la comunità originaria non esiste più: al suo posto sono subentrate le differenze di genere, di casta o di classe e quindi la necessità di avere eccedenze alimentari da controllare. Le civiltà antagonistiche sono nate proprio dall’esigenza di controllare queste eccedenze. Si pensava al futuro distruggendo tradizioni millenarie.

Noi dovremmo nutrirci di prodotti visibili a occhio nudo, che non richiedono particolari trasformazioni, al pari delle tribù che vivevano a contatto delle foreste. Invece di difendere queste popolazioni nell’habitat ove esistono, facciamo di tutto per “civilizzarle”, per farle diventare come noi.

Ma la nostra esistenza è del tutto artificiale e quindi innaturale. Non si conciliano le trasformazioni ottenute artificialmente con le esigenze riproduttive della natura. Esiste artificio là dove il prodotto che si ottiene non è facilmente riciclabile, cioè non si reintegra velocemente coi meccanismi riproduttivi della natura.

Non si può assegnare alla natura il compito di smaltire i nostri rifiuti e i nostri strumenti di lavoro in un lasso di tempo di molto superiore alla nostra esistenza. Se con la fine della nostra vita, tutto quello che abbiamo usato rimane, vorrà dire che noi avremo obbligato qualcuno, a prescindere dalla sua volontà, a smaltire quanto ci apparteneva. Un tempo i beni ch’erano appartenuti alla persona, venivano deposti nella sua tomba, vicini al suo corpo, nell’ingenua credenza che potesse averne bisogno anche nell’aldilà. E i morti si seppellivano in posizione fetale, perché avrebbero dovuto rinascere in una nuova dimensione, che non poteva essere molto diversa da quella già vissuta.

Una comunità o una generazione non può far pagare a un’altra comunità o alla generazione successiva il proprio impatto ambientale. Vivere un’esistenza naturale vuol dire che la natura è preposta a darci i mezzi necessari alla nostra sussistenza. Questi mezzi possono essere trasformati, ma rispettandone le caratteristiche di fondo. Dal ramo di un albero posso ricavare l’arco e la freccia con cui cacciare, ma se taglio il tronco per fare legna da ardere, sono già un anti-ecologista, a meno che io non sia in grado di garantire che nell’arco della mia vita tutti gli alberi da me tagliati potranno essere sostituiti con altri nuovamente piantati.

L’essere umano, all’interno del suo clan di appartenenza (poiché per un’esistenza naturale è da escludere qualunque individualità isolata), deve usare ciò che gli serve per sopravvivere: tutto quanto eccede questo scopo, va rifiutato.

Si possono catturare degli animali selvatici, addomesticarli e utilizzarli per la sopravvivenza. Ma tenere questi animali come reclusi, in appositi stabilimenti o, peggio ancora, negli zoo, o usarli come cavie, inseminarli artificialmente, riprodurli in laboratorio, obbligarli a gare sportive o a combattimenti o a comportamenti per loro del tutto innaturali, è immorale.

Noi dovremmo alimentarci con quanto la natura ci offre spontaneamente e con quanto produciamo nel rispetto delle sue esigenze riproduttive. Se vogliamo dare un senso alla nostra umanità, dobbiamo anzitutto accettare ch’essa si lasci fare dalla natura.

Il vero problema è come far accettare delle verità che dovrebbero essere evidenti e che millenni di cosiddetta “civiltà” han reso assurde.