La vita erotica, e non eroica, dei superuomini

Non è la prima volta che scrivo di un libro: questa è la volta di “La vita erotica dei supereroi”, l’ultimo romanzo di Marco Mancassola uscito sul finire del 2008 e già in ristampa (www.marcomancassola.com). Lo seguo con dedizione materna fin dagli esordi con “Il mondo senza di me” del 2001: allora aveva 27 anni, io molti di più ma mi colpì al cuore, lo fece battere un po’ più forte. Nonostante credo di condividere poco o nulla del suo mondo, le sue emozioni, il suo stile. Eppure…

Per Marco la musica è importante. Nei suoi scritti cita band e canzoni, i suoi reading sono spesso arricchiti da dj set. Alla dance ha incentrato interamente un suo libro, “Last love parade” un saggio-memoriale lungo la storia della cultura dance e della musica elettronica (Mondadori Strade Blu 2005 – Oscar Mondadori 2006). E con due musicisti e altrettanti artisti visivi ha dato vita alla band creativa Louis Böde, con cui ha firmato nel 2007 la raccolta di fiabe noir “Kids&revolution” Tornando al suo ultimo lavoro, letto avidamente, mancano agganci o riferimenti musicali…. “Non vedo perché avrebbero dovuto esserci – mi risponde Marco – ogni romanzo è un’avventura a sé. Ogni romanzo ha i suoi orizzonti. Comunque qualche musica è citata: Jeff Buckley, Schubert, Madonna. Il cantante blues morto giovane, il compositore romantico morto altrettanto giovane, la vecchia volpe del pop.”

I tuoi supereroi sono in pensione: ognuno sta reagendo a modo suo al cambiamento, con fatica. L’età gioca brutti scherzi: i superpoteri, sfoderati ora in privato, magari per potenziare la resa erotica, non sono più quelli smaglianti di un tempo. E a te fa paura la decadenza del corpo e della mente, insomma invecchiare? “Per nulla. Suppongo che con il tempo le possibilità del corpo e della mente si restringano, ma quelle dello spirito, qualunque cosa sia lo spirito, di sicuro si espandono… Se ho descritto la vita di alcuni eroi ormai maturi, quasi anziani, non è stato per esorcizzare una mia paura. L’ho fatto piuttosto per parlare, con pietà e a volte ironia, di un’epoca che impedisce alle persone di invecchiare in modo sano. L’epoca contemporanea strumentalizza la vecchiaia proprio come strumentalizza la gioventù: i media e i luoghi comuni ci fanno oscillare tra i due modelli dell’anziano derelitto, povero, vittima designata di ogni possibile stravolgimento sociale, e quello dell’anziano che invece resta in pista a tutti i costi, spalmato di finta giovinezza, smanioso, consumista ed erotizzato. Insomma, da una parte il nostro presidente del consiglio ultrasettantenne sempre abbronzato, che si vanta del proprio vigore sessuale; dall’altra il pensionato intervistato dal TG4 in qualche strada di periferia, che racconta con voce stentorea il proprio terrore per tutto ciò che gli accade intorno. Sono due poli della stessa banalizzazione. In entrambi i casi, la vecchiaia appare un inferno. Eppure, il ruolo più evidente della vecchiaia è sempre stato quello di meditare, di pacificarsi, di allungare qualche sereno consiglio ai più giovani. Il mondo odierno sembra mettere grande impegno neldimenticare che la vecchiaia può essere, anzitutto, un’età di saggezza e di luminoso distacco.

I vecchi supereroi non vengono sostituiti da altri altrettanto validi: non servono più? “Non so se servono o meno. So che non sono più creduti. Noi non siamo più in grado di avere eroi, di riconoscerli, di credere in loro senza cedere prima o poi alla tentazione di distruggerli. Nel nostro spazio sociale non esistono eroi, soltanto star. Un personaggio come Obama, ad esempio, entra nel mito prima di entrare nella storia. Una volta si conquistava il riconoscimento del mondo dopo essere diventati eroi a forza di fatti: adesso i fatti sono superflui. Conta soltanto l’isteria mediatica che si scatena intorno a qualcuno. Noi non sappiamo offrire fede autentica a nessuno, solo entusiasmo effimero. Ci annoieremno presto di Obama, ci annoieremo di tutti. Al possibile eroe, chiediamo troppe cose e tutte confuse”.

Le disavventure dei tuoi supereroi sono ambientate negli Usa: un simbolo della decadenza occidentale?“’America’ ci è sempre parso un paesaggio ideale, cinematografico, mitico, romantico, morale, persino metafisico. L’America è il nostro teatro dell’anima, il luogo dove ogni storia sembra in grado di aprirsi a una lettura universale. Nel libro ho messo un personaggio italiano che incarna il mio punto di vista di fronte a questo orizzonte. L’America appare però uno spazio esaurito, in senso tanto metaforico quanto fisico. Il suo stesso paesaggio geografico ha smesso da un pezzo di essere frontiera aperta, nuova scoperta. Se ci pensiamo, la fine del mito americano potrebbe risalire agli anni Settanta, quando gli Stati Uniti hanno smesso di mandare astronauti sulla Luna e hanno interrotto il loro programma di esplorazioni spaziali. Se l’America non si espande all’infinito, se non conquista nuove frontiere, allora che razza di America è? Al contrario, l’America si è ripiegata sullo spazio chiuso di un mondo sempre più stretto. Di nuovo, si tratta di un processo sia metaforico che concreto. Mi sembra interessante pensare all’ultima ondata di speculazione edilizia che ha intasato il paesaggio americano… Milioni di case suburbane tutte uguali. Sono state proprio quelle case, rimaste vuote, a dare il via alla crisi del debito e della finanza mondiale. L’America era un paesaggio libero su cui proiettare i nostri sogni. Adesso è uno spazio sovraccarico. Un teatro con troppa scenografia”.

Ritroveremo presto Marco Mancassola in libreria con “Les limbes”: “E’ un libro che uscirà in Francia per l’editore Gallimard. Raccoglie un paio di testi già editi in Italia e un testo del tutto inedito. Parla del nostro stato di attesa e di incertezza…”