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CHI FINANZIA l’ISIS?

Terrorismo e finanza: una storia nota

 di Mario Lettieri* e Paolo Raimondi**

 Si torna a “ riscoprire” i pericolosi e profondi legami tra il terrorismo e la finanza. Al G20 di Antalya sull’argomento è stato presentato anche uno specifico rapporto sull’emergenza terroristica preparato dal Financial Action Task Force.

 Il FATF è il coordinamento giuridico intergovernativo, creato nel 1989, che coinvolge più di 180 Paesi, con il compito di indicare degli standard legali e operativi da far applicare nella lotta contro il riciclaggio di denaro, contro i finanziamenti del terrorismo e altre minacce all’integrità del sistema finanziario internazionale.

 All’ultimo summit esso ha di fatto presentato un sondaggio sui comportamenti dei governi relativi al rapporto tra finanza e terrorismo. Emerge una grave negligenza della maggioranza dei governi a prendere sul serio la lotta contro le commistioni tra certa finanza internazionale, alcune banche, alcuni mediatori finanziari e monetari, con le reti del terrore, da ultimo quelle di al Qaeda e dell’Isis.

 Il rapporto dice che la maggior parte delle giurisdizioni nazionali, circa i due terzi, non ha mai fatto uso pratico delle sanzioni finanziarie mirate contro il terrorismo, anche se sollecitate da risoluzioni ONU. Pochi Paesi hanno comminato condanne per finanziamento del terrorismo. Molte giurisdizioni, il 45% dei Paesi del FATF, non considerano un atto criminale finanziare dei terroristi per scopi non direttamente legati a degli attentanti. Soltanto 33 giurisdizioni, il 17% di tutti i membri, hanno realmente inflitto delle condanne per “finanziamento terroristico”.

 E’ non di meno sorprendente conoscere che sia proprio l’Arabia Saudita a detenere il primato delle azioni contro i reati di collegamento tra terrorismo e finanza. Dal 2010 ad oggi sono stati condannate 863 persone. Secondi arrivano gli USA, capofila della guerra al terrorismo, con circa 100 condanne. I sauditi sono anche i primi nei sequestri di beni e di conti legati a reti terroristiche per circa 31 milioni di euro.

 Si tratta quindi della stessa Arabia Saudita, che con il Qatar, è sempre più denunciata da esperti e anche dai media internazionali come la grande sostenitrice e finanziatrice dell’Isis.

Sembra che l’Arabia Saudita usi gli standard del FATF per difendersi in casa sua e però li violi totalmente nelle sue attività estere e internazionali.

 A questo punto è chiaro che gli interventi dell’aviazione russa contro le centrali terroristiche in Siria e le denunce di Putin per le troppe complicità internazionali dietro alle operazioni militari e finanziarie dell’Isis hanno scoperto un vaso di Pandora fatto di complicità e di calcolate impotenze. Naturalmente tali denunce hanno molto irritato certi giocatori d’azzardo della geopolitica.

 In verità Putin ha detto cose che già si sapevano da tantissimo tempo in Occidente e in particolare negli USA. Per esempio, la Commissione per i Servizi Finanziari del Congresso americano il 13 novembre 2014 aveva organizzato un’audizione dedicata proprio al “Terrorist Financing and the Islamic State” (vedi http://financialservices.house.gov/uploadedfiles/113-99.pdf ), dove David Cohen, sottosegretario al Tesoro per il terrorismo e per l’intelligence finanziario, e altri esperti sono stati tempestati di domande da numerosi parlamentari di maggioranza e di opposizione.

 Era emerso con chiarezza e ricchezza di dati che, mentre al Qaeda poteva contare dopo l’attentato dell’11 Settembre su circa mezzo milione di dollari di sostegni al giorno, l’Isis aveva introiti di 1-2 milioni di dollari al giorno attraverso la vendita di petrolio, i riscatti degli ostaggi e i sostegni da parte delle cosiddette “organizzazioni caritatevoli” soprattutto dei Paesi del Golfo, a cominciare dal Qatar e dall’Arabia Saudita. Si dice anche che si è “fatto uso del sistema finanziario globale per finanziare il terrorismo”. Nell’ audizione della succitata Commissione alcuni parlamentari hanno denunciato che le banche non fanno abbastanza contro simili operazioni finanziarie e il ministero di Giustizia americano e le agenzie preposte non sembrano troppo interessati a imporre dei controlli severi. Il deputato Brad Sherman della California ha sottolineato che il Qatar, anche a livello governativo, “è una delle maggiori fonti di finanziamento”.

 Per quanto riguarda il petrolio in mano all’Isis, la Commissione sapeva che 30.000 barili al giorno, trasportati da almeno 250 autobotti, transitavano attraverso “i confini porosi” della Turchia e del Nord Iraq per essere venduti a compiacenti acquirenti, consapevoli di sostenere le operazioni terroristiche.

 Perché non si è fatto come nella seconda guerra mondiale quando si bombardavano i bersagli strategici? Perché nei territori dell’Isis la rete elettrica era intatta e l’elettricità veniva fornita impunemente dall’Iraq? Perché la cosiddetta “Threat Finance Cell”, la rete di operatori e informatori dell’intelligence americano che aveva operato in Afghanistan ed in Iraq, era stata smantellata? Queste e molte altre simili domande sono state poste dai congressisti bipartisan.

 Il governo di Washington è stato anche accusato di sminuire la gravità dello scontro in quanto continuava a parlare di “degrade”, di indebolire, invece di “defeat”, di sconfiggere le operazioni finanziarie del terrorismo.

 Nell’audizione è stata anche analizzata in dettaglio la cosiddetta “hawala”, cioè la rete informale di operatori privati addetti al trasferimento di denaro, molto attiva nei Paesi islamici a cominciare da quelli del Golfo. Ne emerge che si sapeva molto del loro funzionamento ma non si è fatto niente per contrastarli.

 Perciò sorge doverosa la domanda: perché si è fatto troppo poco? Perché si è aspettato l’intervento russo per scuotere l’apatia occidentale?

 *già sottosegretario all’Economia

**economista

Disgregare la Siria e continuare a rimpicciolire la Russia.

ROMA – L’abbattimento dell’aereo russo per ordine del governo turco è un atto gravissimo che, nonostante il baccano contro la Russia sollevato anche da Obama e dall’intera Nato, non può nascondere alcune cose. Una più chiara dell’altra anche nelle conseguenze future. Che saranno nefaste.
Attacco pretestuoso. Intanto c’è da notare che la Russia se non è amica della Turchia non è comunque una sua nemica, e quindi la presenza di un suo singolo aereo con un equipaggio di appena due persone, aereo non del tipo addetto allo spionaggio e ormai privo di bombe per averle sganciate sui miliziani dell’Isis, NON poteva in ogni caso essere una minaccia. Di nessun tipo.
Ma la cosa più importante è che i filmati mostrano chiaramente come l’aereo colpito e ormai in fiamme sia precipitato in verticale per infine schiantarsi in territorio siriano. Il che DIMOSTRA in modo INCONFUTABILE che l’aereo russo o stava volando sul territorio della Siria, con tanto di autorizzazione del governo siriano, oppure anche se ha superato il confine turco non può averlo superato in profondità.

Poiché era inoltre chiarissimo che – come annunciato da giorni – quel velivolo militare si trovava nella porzione di cielo NON per attaccare la Turchia, cosa peraltro impossibile da fare da solo, ma perché aveva attaccato basi dell’Isis vicine al suo confine, la Turchia – e l’Europa intera – quell’aereo doveva semmai ringraziarlo e difenderlo dai tiri dei terroristi. Invece…. L’abbattimento è quindi un atto pretestuoso. Anzi, un vero e proprio atto di guerra contro la Russia, che certamente il presidente turco Erdogan non può avere deciso senza il permesso degli Usa.

Il “grande gioco” siriano. L’abbattimento DIMOSTRA inoltre che la Turchia, non ostacolata in questo dalla Nato della quale fa parte, da quattro anni preferisce avere ai suoi confini sul territorio turcomanno della Siria i terroristi dell’Isis, senza mai disturbarli in modo credibile, anziché una presenza militare che quei terroristi combatta seriamente. Perché li preferisce? Per il semplice ed evidente motivo che la Turchia, anche per rafforzarsi contro la minoranza curda, ha da tempo già messo gli occhi su una “sua” fetta di Siria quando ANCHE la Siria sarà smembrata come già fatto con l’Iraq, la Libia e – non dimentichiamolo – con la Russia tramite la secessione dell’Ucraina, anch’essa voluta, finanziata e armata da Usa ed Europa.

La partita Usa in Ucraina. L’uomo forte, a Kiev, è in realtà il premier Arsenij Yatsenyuk, ferreo filo Nato, al quale gli Usa hanno “consigliato” di nominare ministro dell’Economia Natalia Jaresko, cittadina Usa con bella carriera al Dipartimento di Stato e all’ambasciata Usa in Ucraina, omaggiata della sua cittadinanza concessale nel tempo record di appena due ore, e hanno “consigliato” come ministro della Sanità Aleksander Kvitashvili.

Si tratta di un georgiano che ha collaborato strettamente con Mikhail Saakashvili, il quale quando era presidente della Georgia la precipitò, con tanto di aiuto della Nato, nella disastrosa guerra del 2008 contro la solita Russia. Saakashvili, anche lui omaggiato dal fulmineo regalo della cittadinanza ucraina, ha avuto come premio di consolazione il governatorato di Odessa, che il caso vuole confini con la Crimea. Proprio quella Crimea che si vuole strappare da Mosca per privare l’immenso territorio russo dell’accesso delle sue navi al mare Mediterraneo partendo dal mare d’Azov.

A conti fatti, si può legittimamente sospettare che gli Usa dopo avere voluto e ottenuto lo smembramento dell’Unione Sovietica puntino ora allo smembramento della Russia, lo Stato più grande esistente al mondo. Stato che, non dimentichiamolo, è una federazione di ben 84 entità federali, cioè singoli Stati federati, 22 delle quali sono repubbliche autonome. La tentazione di privare la Russia di alcuni “pezzi” è quindi inevitabile. Ci hanno già tentato i francesi con Napoleone e i tedeschi con Hitler.
Il ruolo di Arabia Saudita e Israele. Sul crollo della Siria scommette anche l’Arabia Saudita, non a caso grande finanziatrice dell’Isis, ruolo che ormai nessuno più osa negare, così come in passato è stata la grande finanziatrice del suo cittadino Bin Laden e dei suoi talebani, usati militarmente dagli Stati Uniti in Afganistan, all’epoca occupato dai sovietici, per spingere al crollo dell’Unione Sovietica come in effetti poi avvenuto (penultimo strascico prima della stagione talebana del “Grande gioco”, formula divenuta famosa grazie a Rudyard Kipling all’epoca della seconda guerra anglo-afghana).

Sul crollo della Siria scommette anche Israele, che, oltre ad essersi di recente alleata con l’Arabia Saudita in funzione anti Iran, ha già fatto sapere ad Obama che vista la riduzione della Siria a potenza zoppa avviata alla paralisi intende annettersi appena possibile l’intero Golan. Il che ovviamente porterà alla riesplosione del Libano, del quale Israele già occupa una piccola porzione, con annesse mire non solo israeliane di frantumazione anche della già difficile unità statale libanese.

Uso strumentale della guerra all’Isis. La prontezza con la quale la Turchia ha invocato una apposita riunione della Nato e la ridicola affermazione di Obama che “la Turchia ha il diritto di difendersi” – contro un singolo aereo impegnato a bombardare l’Isis! – confermano che la Nato è lo strumento politico-militare degli Usa anche per il progetto di spartizione della Siria. Spartizione voluta da Usa, Turchia e Arabia Saudita.
Tutto ciò dimostra che contro l’Isis in realtà non c’è nessuna guerra da parte del tandem Usa-Arabia Saudita e annessi e connessi: come è stato a suo tempo per Bin Laden e i talebani, c’è invece un uso strumentale dell’Isis e delle altre milizie islamiste per ridisegnare parte del Medio Oriente e annettersene porzioni di territorio – come puntano a fare Turchia, Arabia Saudita e Israele – oppure metterle sotto la propria sfera d’influenza, come puntano a fare Usa, Francia e, obtorto collo, anche la Russia.

Il tutto distruggendo centinaia di migliaia di vite umane, provocando distruzioni immani e provocando milioni di feriti, mutilati, profughi e migranti. Insomma, una sorta di 13 novembre parigino moltiplicato però per almeno 3-4 mila volte. Il tutto non solo nella più completa indifferenza dell’opinione pubblica occidentale, ma anzi col plauso di non piccoli suoi settori.

POST SCRIPTUM

1) – Gli Usa, con l’appoggio dell’Europa, negli ultimi decenni sono sempre stati pronti a “esportare la democrazia” e a “combattere il terrorismo” con interventi militari e anche con vere e proprie invasioni come quella dell’Iraq. Ma di “esportare la democrazia” e di “combattere il terrorismo” invadendo o intervenendo comunque militarmente contro l’Arabia Saudita non se ne parla proprio.
Eppure l’Arabia Saudita è la madre di tutti i terrorismi islamisti, che alimenta – oltre che con armi e soldi – col suo credo wahabita, il più arretrato di tutto l’Islam. Inoltre l’Arabia Saudita ha un regime feudale nel quale le donne non hanno diritti, sono poco più di oggetti col buco, e i diritti umani sono calpestati allegramente (150 decapitazioni in piazza per i motivi più disparati e abietti solo nell’ultimo anno). Per il petrolio dell’Arabia Saudita gli Usa e l’Europa hanno venduto l’anima.

2) – A suo tempo, nel 1991, gli Usa vollero e guidarono una coalizione militare, comprendente anche l’Italia, che fece guerra all’Iraq per “liberare” il Kuwait – piccolo Stato con una monarchia di fatto assoluta e retriva, ma ricco di petrolio – invaso dall’Iraq, peraltro con l’esplicito con l’esplicito consenso dell’ambasciatrice Usa April Gaspie. Per convincere l’opinione pubblica occidentale ad accettare di buon grado quella guerra venne detto e ripetuto in tutte le salse che il Kuwait sarebbe diventato se non proprio democratico almeno una monarchia meno retriva.
L’emiro del Kuwait si è limitato a qualche riforma, ha varato una monarchia costituzionale e un governo parlamentare, concedendo però il voto alle donne solo nel 2005. Su 3.100.000 abitanti, solo 960.000 sono cittadini kuwaitiani. E se fino al 2005 avevano diritto al volto solo 139 mila maschi adulti, con il voto alle donne tale diritto resta appannaggio del solo 10% della popolazione, costituita in gran parte da immigrati e discendenti, per i quali la cittadinanza resta un miraggio.
Quella del Kuwait sarà forse una monarchia costituzionale con sistema democratico parlamentare, sta di fatto che, senza forse, è ormai appurato da tempo che dà un non trascurabile appoggio all’Isis. E che lo ha dato e lo dà ancora anche ad Al Qaeda, uno degli eredi del terrorismo di Bin Laden e del fanatismo guerriero dei talebani.

Parigi brucia? I tragici errori dell’interventismo Usa e della Francia

La notizia mi è arrivata tramite messaggio whatsapp di una mia amica mentre a Milano ascoltavo un concerto di musica sacra nella chiesa di S. Maria dei Miracoli presso S. Celso: “Parigi, spari ed esplosioni in vari punti della città, almeno 18 morti”. Ho pensato a uno scherzo di pessimo gusto, ma il messaggio conteneva anche un link di Repubblica che parlava di un bilancio tanto catastrofico da parermi impossibile, irreale.
Sono uscito di corsa dalla chiesa e mi sono attaccato al telefono per cercare notizie di miei amici e amiche care con casa a Parigi. Non ho trovato nessuno e ho lasciato messaggi, rimasti senza risposta fino al pomeriggio del giorno dopo. Ho rivissuto così, ma molto ampliata, l’ansia provata lo scorso 26 giugno quando al computer ho letto del massacro di Sousse, in Tunisia: 38 morti e 36 feriti a soli 350 metri da dove abitano miei amici di quando ero adolescente, che per fortuna mi hanno richiamato dopo qualche minuto per tranquillizzarmi sulla loro sorte, non si erano accorti di niente ( http://www.blitzquotidiano.it/opinioni/nicotri-opinioni/terrorismo-italiani-di-tunisia-non-hanno-paura-sono-meglio-di-noi-tasse-solo-3-clima-per-pensionati-2221165/ ).

E m’è tornato il gelo alla schiena del 7 luglio 2005, quando mentre ero in auto per andare in vacanza mi ha raggiunto la telefonata di un mio amico medico che chiedeva con insistenza e voce preoccupata se un mio familiare era tornato in Italia o ancora a Londra. Seppi così dal mio amico che alle 8:50 di mattina c’era stata la strage alla metropolitana di Londra ( https://it.wikipedia.org/wiki/Attentati_del_7_luglio_2005_a_Londra ): tre bombe su altrettanti convogli che massacrarono 56 persone e ne ferirono ben 700. Un ordigno era esploso tra le stazioni di King’s Cross St. Pancras e Russell Square, e il mio familiare usava prendere il metrò a Russel Square. Seduto sui banchi di una scuola di lingua inglese, il mio familiare aveva il telefonino spento. Poté richiamarmi solo nel primo pomeriggio, quando ero ormai in paranoia. Seppi così che non gli era successo niente, ma l’aveva scampata per poco: aveva preso il metrò un quarto d’ora prima di quello fatale.

Tutto ciò premesso, veniamo al venerdì nero di Parigi, concluso con l’agghiacciante bilancio di 129 morti e 352 feriti. Oltre al dolore per la mattanza, c’è lo sbigottimento e l’incredulità per la strana e sensazionale inefficienza dei servizi di informazione e di sicurezza francesi e della Nato, tanto che credo proprio che il capo di Stato Hollande dovrebbe dimettersi e con lui qualche ministro e i vertici dei servizi. Come è possibile che dopo le stragi nella redazione del settimanale Charlie Hebdo a Parigi e nell’ipermercato kosher a Porte de Vincennes, fresche di sangue perché avvenute il 7 gennaio di quest’anno ( http://www.blitzquotidiano.it/cronaca-mondo/terrorismo-assalto-armato-a-parigi-charlie-hebdo-strage-10-morti-2066504/ ), nessuno degli addetti ai lavori abbia avuto notizia del nuovo pericolo? Come è possibile che nessuno si sia accorto di quanto stavano preparando non tre cani sciolti come quelli del 7 gennaio, ma un nutrito gruppo di persone? Persone che hanno potuto scegliere indisturbati i vari obiettivi dove seminare la morte. Come è possibile che la Francia, sapendo bene di essere molto implicata nel crollo del regime libico di Gheddafi, finito anche ammazzato come un cane, e quindi sapendo bene di essere sicuramente nel mirino di gruppi e bande assetate di vendetta, si sia fatta cogliere così impreparata?

I dubbi aumentano, legittimamente, visto che nessuno smentisce le notizie pubblicate dal giornale di Calais La Voix du Nord ( https://www.wsws.org/fr/articles/2015/oct2015/cach-o05.shtml ) riguardo il segreto di Stato opposto ai magistrati di Lille che volevano sapere come mai il terrorista Amedy Coulibaly, autore del massacro di cinque clienti dell’ipermercato, si trovasse in possesso di un mitra Skorpion, un fucile d’assalto vz 58 e due pistole Tokarev. Tutte armi da guerra prodotte in Cecoslovvachia. La Voix du Nord ha scritto che quelle armi, per comprare le quali Coulibaly ha dovuto chiedere un prestito di 6.000 euro ( http://www.lavoixdunord.fr/france-monde/amedy-coulibaly-avait-contracte-un-pret-de-6000-qui-ia0b0n2599793 ) arrivavano da “una rete costituita da forze dello Stato. Rete che le comprava dal mercato delle armi dismesse servendosi di intermediari malavitosi per farle avere in Siria ai ribelli jihadisti. Tradotto in italiano: la strage dell’ipermercato è stata perpetrata con armi procurate dallo Stato francese per supportare i terroristi impegnati in Siria contro Assad, terroristi dal cui bacino si sono materializzati sia i loro compari del 7 gennaio che quelli del 13 novembre.

E dire che Assad nella sua intervista del 5 dicembre 2014 a Paris Match ( http://www.statopotenza.eu/17130/assad-a-paris-match-mai-una-siria-giocattolo-delloccidente ) era stato chiaro:

“…Da 20 anni il terrorismo è stato esportato dalla nostra regione, in particolare dai paesi del Golfo come l’Arabia Saudita [ndr: Bin Laden era una creature dei sauditi, che finanziavano volentieri i suoi talebani] . Ora viene dall’Europa, specialmente dalla Francia. Il più grande contingente di terroristi occidentali in Siria è quello francese. Il terrorismo in Europa non sta dormendo, è sveglio….Siamo spiacenti di non vedere l’Occidente, che credevamo in grado di aiutare con l’apertura e lo sviluppo, prendere la direzione opposta. Peggio, i suoi alleati sono i paesi medievali del Golfo come l’Arabia Saudita…”.

E a proposito di Arabia Saudita, regno dal regime medioevale e con le donne prive del diritto perfino di poter guidare l’auto a piacimento, forse il nostro capo del governo poteva risparmiarsi la recente visita ( Renzi a Ryad: http://www.huffingtonpost.it/2015/11/07/matteo-renzi-viaggio-arabia-saudita_n_8499612.html ): certo, gli affari sono affari, ma in certi casi non è vero che i soldi non puzzano, e comunque per gli affari con i sauditi non c’è bisogno delle visite a Ryad di Renzi.

Riguardo gli errori commessi da Europa e Usa nel servirsi dei fanatici dell’Isis, così come a suo tempo gli Usa si servirono di Bin Laden e dei talebani, e riguardo le responsabilità, ormai ammesse dagli Usa e dall’Inghilterra, dell’avere fatto nascere e crescere l’Isis come a suo tempo Bin Laden e i talebani, e poi anche al Qaeda, per chi vuole approfondire l’argomento pripongo un’utile scelta di articoli e video:

http://www.corriere.it/esteri/15_luglio_26/curdi-pkk-amici-tempo-turchia-stati-uniti-iraq-iran-ambiguita-92115652-336c-11e5-b9cb-8f0de84308fe.shtml
http://www.piovegovernoladro.info/2015/08/16/quella-maledetta-profezia-di-gheddafi/
http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/Tony-Blair-chiede-scusa-ea200e11-119a-470a-bb1a-c72ae1c52fa1.html
http://nypost.com/2015/05/27/rand-paul-says-gop-hawks-created-isis/
http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/05/30/isis-chi-lo-finanzia-americani-e-alleati-naturalmente/1733028/
http://www.washingtontimes.com/news/2015/jun/9/bruce-fein-rand-paul-is-right-neocons-created-isis/?page=all
http://www.wallstreetitalia.com/john-mccain-un-uomo-pericoloso-il-suo-ruolo-nel-lancio-dell-isis/

http://www.thedailybeast.com/articles/2015/08/31/petraeus-use-al-qaeda-fighters-to-beat-isis.html

http://www.thedailybeast.com/articles/2015/08/31/petraeus-use-al-qaeda-fighters-to-beat-isis.html
http://theantimedia.org/john-mccain-admits-hes-intimate-with-isis/
http://www.pinonicotri.it/2015/01/larabia-saudita-finazia-il-terrorismo-compreso-l11-settembre-delle-twin-towers-di-new-york/

A conti fatti, non si può non essere d’accordo con quanto scritto da Famiglia Cristiana ( http://m.famigliacristiana.it/articolo/francia-almeno-smettiamola-con-le-chiacchiere.htm ):

“FRANCIA: ALMENO SMETTIAMOLA CON LE CHIACCHIERE
Da anni, ormai, si sa che cosa bisogna fare per fermare l’Isis e i suoi complici. Ma non abbiamo fatto nulla, e sono arrivate, oltre alle stragi in Siria e Iraq, anche quelle dell’aereo russo, del mercato di Beirut e di Parigi. La nostra specialità: pontificare sui giornali.
15/11/2015
di Fulvio Scaglione
E’ inevitabile, ma non per questo meno insopportabile, che dopo tragedie come quella di Parigi si sollevi una nuvola di facili sentenze destinate, in genere, a essere smentite dopo pochi giorni, se non ore, e utili soprattutto a confondere le idee ai lettori. E’ la nebbia di cui approfittano i politicanti da quattro soldi, i loro fiancheggiatori nei giornali, gli sciocchi che intasano i social network. Con i corpi dei morti ancora caldi, tutti sanno già tutto: anche se gli stessi inquirenti francesi ancora non si pronunciano, visto che l’ unico dei terroristi finora identificato, Omar Ismail Mostefai, 29 anni, francese, è stato “riconosciuto” dall’ impronta presa da un dito, l’ unica parte del corpo rimasta intatta dopo l’ esplosione della cintura da kamikaze che indossava.
Ancor meno sopportabile è il balbettamento ideologico sui colpevoli, i provvedimenti da prendere, il dovere di reagire. Non a caso risuscitano in queste ore le pagliacciate ideologiche della Fallaci, grande sostenitrice (come tutti quelli che ora la recuperano) delle guerre di George W. Bush, ormai riconosciute anche dagli americani per quello che in realtà furono: un cumulo di menzogne e di inefficienze che servì da innesco a molti degli attuali orrori del Medio Oriente.
Mentre gli intellettuali balbettano sui giornali e in Tv, la realtà fa il suo corso. Dell’ Isis e delle sue efferatezze sappiamo tutto da anni, non c’ è nulla da scoprire. E’ un movimento terroristico che ha sfruttato le repressioni del dittatore siriano Bashar al Assad per presentarsi sulla scena: armato, finanziato e organizzato dalle monarchie del Golfo (prima fra tutte l’ Arabia Saudita) con la compiacenza degli Stati Uniti e la colpevole indifferenza dell’ Europa.
Quando l’ Isis si è allargato troppo, i suoi mallevadori l’ hanno richiamato all’ ordine e hanno organizzato la coalizione americo-saudita che, con i bombardamenti, gli ha messo dei paletti: non più in là di tanto in Iraq, mano libera in Siria per far cadere Assad. Il tutto mentre da ogni parte, in Medio Oriente, si levava la richiesta di combatterlo seriamente, di eliminarlo, anche mandando truppe sul terreno. Innumerevoli in questo senso gli appelli dei vescovi e dei patriarchi cristiani, ormai chiamati a confrontarsi con la possibile estinzione delle loro comunità.
Abbiamo fatto qualcosa di tutto questo? No. La Nato, ovvero l’ alleanza militare che rappresenta l’ Occidente, si è mossa? Sì, ma al contrario. Ha assistito senza fiatare alle complicità con l’ Isis della Turchia di Erdogan, ma si è indignata quando la Russia è intervenuta a bombardare i ribelli islamisti di Al Nusra e delle altre formazioni.
Nel frattempo l’ Isis, grazie a Putin finalmente in difficoltà sul terreno, ha esportato il suo terrore. Ha abbattuto sul Sinai un aereo di turisti russi (224 morti, molti più di quelli di Parigi) ma a noi (che adesso diciamo che quelli di Parigi sono attacchi “conto l’ umanità”) è importato poco. Ha rivendicato una strage in un mercato di Beirut, in Libano, e ce n’ è importato ancor meno. E poi si è rivolto contro la Francia.
Abbiamo fatto qualcosa? No. Abbiamo provato a tagliare qualche canale tra l’ Isis e i suoi padrini? No. Abbiamo provato a svuotare il Medio Oriente di un po’ di armi? No, al contrario l’ abbiamo riempito, con l’ Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti ai primi posti nell’ importazione di armi, vendute (a loro e ad altri) dai cinque Paei che siedono nel Consiglio di Sicurezza (sicurezza?) dell’ Onu: Usa, Francia, Gran Bretagna, Cina e Russia.
Solo l’ altro giorno, il nostro premier Renzi (che come tutti ora parla di attacco all’ umanità) era in Arabia Saudita a celebrare gli appalti raccolti presso il regime islamico più integralista, più legato all’ Isis e più dedito al sostegno di tutte le forme di estremismo islamico del mondo. E nessuno, degli odierni balbettatori, ha speso una parola per ricordare (a Renzi come a tutti gli altri) che il denaro, a dispetto dei proverbi, qualche volta puzza.
Perché la verità è questa: se vogliamo eliminare l’ Isis, sappiamo benissimo quello che bisogna fare e a chi bisogna rivolgersi. Facciamoci piuttosto la domanda: vogliamo davvero eliminare l’ Isis? E’ la nostra priorità? Poi guardiamoci intorno e diamoci una risposta. Ma che sia sincera, per favore. Di chiacchiere e bugie non se ne può più”.

“Noi” e “Loro”: riusciremo mai a convivere pacificamente?

Oggi siamo soliti stupirci alquanto che ancora possano esistere confessioni religiose così fanatiche da provocare stragi, terrore e guerre a non finire.

Noi occidentali siamo però abituati da tempo a credere che dietro motivazioni religiose vi sono sempre motivazioni economiche. Gli stessi dell’Isis continuamente ci fanno capire che dietro le loro stragi in nome di Allah e del Corano vi è l’obiettivo di colpire gli occidentali, che loro equiparano agli “imperialisti”.

Essere islamico “moderato” sostanzialmente per loro significa stare dalla parte degli occidentali. Non si rendono conto che quanto più si comportano in maniera così estremistica e intollerante, tanto più, indirettamente, fanno un favore alle idee laicistiche.

Da un lato infatti il mondo laico si convince sempre più che la religione, vissuta in una certa maniera, può anche diventare molto pericolosa; dall’altro si va formando, tra gli stessi ambienti islamici più consapevoli, l’idea che sia giunta l’ora di svecchiarsi. Non si può continuare a essere “feudali” in un modo dominato dal globalismo del capitale. Se vi sono contraddizioni sociali da risolvere, non sarà certo col fanatismo religioso (islamico o ebraico o di altra religione) che lo si potrà fare.

È anche vero che questo fanatismo trova alimento proprio in quelle contraddizioni. Quanto più infatti il globalismo riesce a diffondersi, tanto più le aree geografiche caratterizzate da ampie sacche di povertà (materiale e culturale), pensano di trovare nel passato fondamentalismo islamico una valvola di sfogo. Essere islamici non vuol dire soltanto credere in un dio o in un testo sacro, ma anche essere anti-occidentali, e finché gli occidentali vogliono dominare il pianeta, vi sarà sempre qualche fanatico integralista disposto a tutto.

Sotto questo aspetto gli ebrei sionisti di Israele sono stati più furbi: anche loro vogliono essere fanatici e intolleranti, ma hanno preferito mettersi dalla parte degli occidentali, dicendo a più riprese che i loro nemici sono i palestinesi terroristi che non riconoscono il loro Stato. E la gran parte di noi non ha molto da obiettare né al loro fanatismo ideologico né al fatto che quando vogliono dare una “lezione” ai palestinesi, usino mezzi assolutamente sproporzionati e inumani. L’importante è che stiano dalla nostra parte.

Purtroppo però un atteggiamento del genere, da parte delle religioni integralistiche, fa male anche al laicismo. Infatti quando i laici vedono i credenti compiere atti così sconsiderati (p.es. sterminare dei tranquilli bagnanti in una spiaggia tunisina o dei devoti sciiti in una moschea yemenita), sono indotti a pensare che il loro laicismo sia vero in sé e per sé, a prescindere dai concreti comportamenti pratici. E, si sa, quando si estremizzano i comportamenti, si finisce col compiere cose insensate proprio in nome della “ragione” (quanti bombardamenti abbiamo già fatto in nome dei “diritti umani”? Afghanistan, Irak, Serbia, Libia…).

Quindi se fino adesso non abbiamo scatenato una guerra in piena regola, con l’uso di armi di sterminio (al fosforo, all’uranio impoverito…) contro l’Isis, non è detto che i prossimi mesi non ci venga voglia di farlo. In fondo i bagnanti nel golfo di Hammamet erano dell’Europa occidentale, come i turisti al museo tunisino del Bardo, come i redattori della rivista parigina Charlie Hebdo, come gli oltre 5000 morti delle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001, che ha dato il via a una guerra intermittente, con alti e bassi, tra “loro” e “noi”.

Stiamo cominciando a capire che ormai il conflitto non è più solo tra “islamici” ed “ebrei”, né all’interno del mondo musulmano (p.es. tra sciiti e sunniti), ma anche tra “loro” e “noi”. Questo schematismo geopolitico può scatenare reazioni imprevedibili, che faranno male non solo a “loro” ma anche a “noi”, soprattutto ai concetti di “democrazia” e di “pluralismo”.

Invece di prendere le cose sotto gamba, invece di metterci in condizioni tali per cui, ad un certo punto, l’ultima parola l’avranno i militari, gli affaristi e i loro politici ultraradicali, dovremmo, sin da adesso, mobilitare tutto l’armamentario diplomatico. Dovremmo formulare dichiarazioni pubbliche da parte di organismi internazionali a favore della convivenza pacifica tra etnie, culture, religioni diverse. Dovremmo organizzare conferenze internazionali per affrontare i problemi del Medio oriente, la fame in Africa, il sottosviluppo nel Terzo mondo. L’occidente però sembra essere preso da tutt’altre faccende, e non si può dire che Russia, Cina, India, America latina o Paesi arabi siano davvero interessati a svolgere un ruolo significativo per i valori umani fondamentali.

Il rischio è quello di finire in una guerra devastante senza davvero volerla. Qualche Stato forse voleva la prima guerra mondiale? O la seconda? Nessuno in particolare. Anche gli Stati più “estremisti” al massimo si sarebbero accontentati di colonie da sfruttare. Invece vi ci siamo infilati tutti in men che non si dica. In Europa si aveva l’impressione che solo con una gigantesca guerra si sarebbero potuti risolvere i problemi interni.

Oggi chi spinge a una soluzione del genere sembrano essere gli Stati Uniti, che non hanno avuto scrupoli a finanziare e armare prima i talebani contro i russi, poi gli islamisti del califfato contro la Siria, infine i neonazisti contro i filorussi nel Donbass. Salvo poi accorgersi che tutti questi “aiuti” potevano anche sfuggire di mano.

La retorica dello sdegno facile e a senso unico del vicepresidente del parlamento europeo, l’italiano David Sassoli, ha finito col fargli spacciare la profanazione di tombe islamiche per una profanazione di tombre ebraiche!

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Clamorosa e imbarazzante gaffe del vicepresidente del parlamento europeo eletto con il Partito Democratico, l’ex vice direttore del Tg1 David Sassoli. Nella sua pagina ufficiale su Facebook Sassoli alle 19:26 del 18 febbraio ha pubblicato il seguente stringatissimo post:

“Il cimitero ebraico profanato dai nazisti in Francia. Che schifo”.

E per sottolineare il suo schifo l’ha corredato con la foto di quello che avrebbe dovuto essere il cimitero ebraico profanato di fresco da neonazisti. I quali hanno avuto cura di disegnare su ogni tomba con vernice rossa un bel po’ di svastiche, simboli delle famigerate SS naziste e di gruppi neonazisti di oggi.

Peccato però che la foto ritraeva la porzione islamica di un cimitero profanato dai neonazisti e che la presenza di un paio di uomini in maniche di camicia, due dei quali a maniche corte, dimostrava in modo incontrovertibile che si tratta di una foto scatta d’estate e non nei giorni scorsi. Per l’esattezza, si tratta del cimitero militare di Notre Dame de Lorette, vicino Arras (Pas de Calais).

La foto è stata tratta da un articolo pubblicato l’8 dicembre 2008 ( http//www.20minutes.fr/france/279722-20081208-profanations-cimetieres-musulmans-france-depuis-cinq-ans ) che metteva in risalto come i profanatori di tombe musulmane fossero stati attivi in Francia più d’una volta ( http://www.20minutes.fr/france/279646-20081208-nouvelle-profanation-carre-musulman-cimetiere-notre-dame-de-lorette ). Per l’esattezza, erano già entrati in azione il 21 ottobre 2003, il 5 aprile, il 14 e il 24 giugno, e il 6 ottobre 2004, il 18-19 aprile 2007, il 5-6 aprile e il 7-8 ottobre 2008.

La cosa strana è che vari lettori della pagina Facebook di Sassoli si sono accorti dell’errore e lo hanno fatto rilevare in vari commenti, indicando anche la località del cimitero della foto. Niente da fare: ancora oggi la foto è inspiegabilmente al suo posto. Tant’è che un lettore della pagina ufficiale di Sassoli ha perso la pazienza e ha denunciato la gaffe direttamente alle autorità francesi:

“Di fronte alla disinformazione ed al silenzio inspiegabile del sig. Sassoli riguardo la foto della profanazione di un cimitero di guerra di soldati musulmani morti per la Francia, spacciata per cimitero ebraico, una copia del seguente post con lettera di protesta è stata inoltrata per informazione all’Union Nationale des Anciens Combattants Français Musulmans e al Ministère des Anciens Combattants Français”.

Evidentemente il prode Sassoli è troppo preso da chilate di altri sdegni facili e a senso unico per potersi accorgere della gaffe e per mettersi a leggere i commenti alle sue grida e ai suoi schifi.  Però con il grasso stipendio e con i bei altri quattrini intascati a vario titolo potrebbe almeno ingaggiare qualcuno che si prenda la briga di stare ad ascoltare i suoi lettori su Facebbok anziché lasciarli gabbati. Altrimenti la sua esclamazione “Che schifo” qualcuno potrebbe rivoltargliela contro. 

Da notare che un migliaio di persone hanno condiviso quella pagina con annessa foto e oltre mille persone hanno cliccato Mi piace. Ciò vuol dire che il falso è stato propagato alla velocità della luce nel vasto mare del web. Con danni enormi. Di chi la responsabilità, se non del prode Sassoli? 

Sorriso inossidabile a 32 denti, da pastore di anime benedicente,  Sassoli nella sua pagina Facebook è un orgoglioso specialista dello sdegno scontato: 

“120 cristiani sequestrati dall’Isis. Starebbero per essere mostrati in un video. E lo so che nessuno o quasi ne parla, che a questo punto la normalità dell’orrore, rischia di non fare notizia. Ma io a urlare il mio sdegno non rinuncio. Non possiamo restare insensibili a questo grido di dolore”.

Però si occupa anche di temi leggeri dal sapore buonista più veltroniano che deamicisiano:

“Debora Di Meo si è tuffata in acqua a Napoli per aiutare con le sue mani una balenottera rimasta incastrata tra gli scogli sotto un’antica villa romana. Debora adesso dice: “Amo troppo il mare, non potevo lasciarla morire””.

Nel frattempo il danno arrecato con il falso è enorme, è infatti andato in circolazione nel web come una tossina dell’odio: oltre mille “Mi piace” e un migliaio di condivisioni, cioè un migliaio di persone che su Facebook hanno pubblicato sul proprio profilo la grave panzana.

Certo è che se Sassoli fa politica e gestisce la vicepresidenza del parlamento europeo con la stessa disinvoltura dei suoi sdegni e dei suoi schifi, allora siamo proprio malmessi. Come sempre, “italiani brava gente”. Anche a Bruxelles.

Post scriptum – Col cavolo che Sassoli e i suoi oltre mille estimatori e i quasi mille condivisori Facebook esprimono o hanno mai espresso lo sdegno e lo schifo per le tombe islamiche violate! Siamo pertanto noi a poter dire a Sassoli e ai suoi fan “che schifo!”.