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Finalmente si protesta in piazza S. Pietro contro l’omertà vaticana sulla scomparsa di Emanuela Orlandi. Proprio mentre dall’Olanda arriva l’ennesimo mega scandalo della pedofilia del clero e della annessa protezione vaticana

Un nuovo scandalo per la pedofilia di troppi sacerdoti scuote la Chiesa. Questa volta tocca all’Olanda, dove sotto la spinta dell’opinione pubblica, la Conferenza episcopale olandese l’anno scorso aveva deciso di istituire una commissione d’inchiesta sugli abusi commessi dai preti pedofili.  I sei membri della commissione includevano un ex magistrato, uno psicologo e doventi universitari. Presidente, l’ex ministro Wim Deetman. L’inchiesta ha riguardato oltre 800 sacerdoti  e ha indagato su quanto accaduto dal 1945 al 2000. Come già per gli Usa, Australia e Irlanda, la conclusione è agghiacciante: gli abusi si contano infatti a decine di migliaia, la Chiesa e il Vaticano li conoscevano bene, ma, come sempre, non hanno mai avuto nulla di ridire e non hanno mai preso iniziative per punire i responsabili degli abusi. Nel rapporto si legge tra l’altro:

- “Il problema degli abusi sessuali era ben noto agli ordini e nelle diocesi della Chiesa cattolica olandese, ma non furono prese le misure appropriate”;

- la Chiesa olandese e il Vaticano “pur sapendo non hanno aiutato le vittime”;

- degli oltre 800 autori di abusi “105 sono ancora vivi”.

Eppure in Italia lo spazio dedicato a questo nuovo orrore è minimo. In televisione non mi pare se ne sia parlato, e non è certo colpa di Minzolini. Nei giornali cartacei e nei loro siti online o non se n’è parlato o se ne è parlato poco e di sfuggita nelle pagine interne e nella loro parte bassa, mai in apertura. E’ interesante notare che si tratta di una omertà stranamente simile a quella che vige sempre riguardo gli abusi e i crimini di Israele contro i palestinesi.

Poco o nullo lo spazio dedicato anche a una iniziativa senza dubbio interessante, ma a mio avviso tardiva. Dopo avere raccolto via Internet oltre 40 mila firme a un appello che chiede la fine dell’omertà del Vaticano sulla scomparsa di sua sorella Emanuela, sparita a quasi 16 anni nel giugno del 1983, Pietro Orlandi ha dato appuntamento a tutti i firmatari per domenica, 18 dicembre, direttamente in piazza S. Pietro. Un gesto in apparenza talmente dirompente da apparire provocatorio. Fatto però con un ritardo di quasi 30 anni. Continua a leggere

Il capo del governo ha tuonato contro le continue protezioni del Vaticano ai sacerdoti pedofili, minacciando sanzioni. Non vi eccitate: non si tratta del capo del nostro governo, ma di quello dell’Irlanda. Che sarà anche cattolicisima, ma non è serva papalina come lo Strapaese del bunga bunga

Lo scandalo della pedofilia che mina il clero irlandese ha avuto una nuova fiammata, che in Italia è ovviamente passata inosservata e comunque spenta subito. Il primo ministro della cattolicissima Irlanda, Edna Kenny, dopo la pubblicazione del rapporto nazionale su decenni di abusi dei preti irlandesi sui minori non solo nella diocesi di Cloyne, che un paio di anni fa ha dato origine a una inchiesta su scala nazionale, ha accusato ad alta voce il Vaticano oltre che di non aver “debellato” la pedofilia, ma di non averla neppure combattuta.
E’ stato infatti assodato che quella che viene anche chiamata la Santa Sede ha coperto in modo sistematico i suoi violentatori di minori irlandesi anche in tempi recenti. “Questa è una Repubblica, non il Vaticano!”, ha tuonato Kenny chiedendo spiegazioni Oltretevere. Affermazione elementare, ma sicuramente inaudita per i nostri politici, quando invece l’Italia avrebbe proprio bisogno di meno acquiescenza e servilismo clericale. Oltretutto, come è noto, e come molti sanno per conoscenza diretta, i bambini e le bambine vengono insidiate anche in Italia. Continua a leggere

Sette giorni, una vita. Il Lingotto-Marchionne sancisce la fine delle conquiste civili e dello sviluppo dell’Italia iniziate col dopoguerra? E’ ormai più che assodato che siamo governati nell’interesse di una banda di malfattori. Per giunta benedetti da un Vaticano protettore dei bunga bunga dei preti pedofili

Qual è la notizia peggiore tra quelle dell’ultima settimana? Difficile dirlo, perché è stata una grandinata. Sono reduce dalla quattro giorni di congresso nazionale tenuto a Bergamo dalla Federazione nazionale della stampa italiana (Fnsi), cioè del sindacato nazionale federale dei giornalisti italiani, la cui prima giornata è stata occupata dai discorsi dei tre editori ospiti, Carlo De Benedetti del Gruppo L’Espresso, Fedele Confalonieri di Mediaset e Piergaetano Marchetti della RCS, cioè della Rizzoli-Corriere della Sera. Stendiamo un pietoso velo. Per ora. Armiamoci di coraggio e procediamo.

1) – Il caso Fiat-Marchionne. Che in realtà è il più importante di tutti dal punto di vista strutturale e dell’economia. Beh, sappiamo già di che si tratta, lo abbiamo detto alcune volte. In Italia sono in atto due cose: lo smantellamento di molti diritti conquistati con la lotta contro il fascismo e nel dopoguerra; la riduzione progressiva del cittadino in consumatore. In questo quadro c’è la tentazione di demolire anche la dignità professionale, riducendo il più possibile a forza lavoro un tanto al chilo, cioè all’ora o alla giornata, qualunque tipo di figura professionale subordinata. Quanto accade al Lingotto della Fiat non è che la conseguenza di tutto ciò, nonché la spallata definitiva. C’è la tendenza a rendere il lavoratore subordinato italiano sempre meno lavoratore professionale e cittadino e sempre più forza lavoro un tanto al chilo e consumatore. A pensarci bene non si tratta di ridurre i lavoratori italiani come fossero extracomunitari, ma come fossero palestinesi in Israele. L’extracomunitario infatti dopo alcuni gironi infernali può diventare cittadino italiano come gli altri, ma il palestinse d’Israele non potrà mai diventare un cittadino come gli altri alla stessa stregua dei lavoratori italiani che sempre meno potranno essere cittadini come quelli che campano del lavoro altrui anziché solo del proprio. Con l’aggravante che ai vari Elkan, che disgraziatamente hanno preso il posto degli Agnelli prematuramente scomparsi, Giovannino ed Edoardo, della Fiat “italiana” non gliene può fregare meno, se non per altri miliardi di euro regalati dallo Stato italiano ufficialmente “a favore dell’occupazione” (!), per il semplice motivo che hanno una mentalità quanto meno “internescional”, come dimostra l’incapacità di Lapo Elkan a parlare in italiano decente che è pari alla sua capacità di spendere – qualcuno forse direbbe scialacquare – quattrini in malo modo. Quattrini, non dimentichiamolo mai, che provengono in parte dalle nostre tasche, cioè dalle nostre tasse, e in massima parte dal sudore dei lavoratori. Continua a leggere

Non è imbarazzante che i due lord protettori vaticani di Berlusconi siano la strana coppia che a suo tempo ha ordinato l’omertà mondiale su tutti i casi di pedofilia del clero cattolico?

E dunque Berlusconi si dice sicuro che Ferdinando Casini finirà col correre in soccorso del suo governo mollando il cosiddetto terzo Polo, vale a dire Gianfranco Fini e Francesco Rutelli. La sicumera del Cavaliere deriva dall’insistenza del pressing del Vaticano su Casini, dato che questi è cattolico praticante e il Vaticano si sente sempre autorizzato a mettere i piedi nel piatto della politica italiana con la scusa del “dovere morale” di fare da guida ai credenti. Casini in effetti di recente a proposito delle “raccomandazioni” d’Oltretevere s’è lasciato sfuggire un ambiguo “ne terrò conto”. Il supporter principale della pressione pro Berlusconi, chiaramente in nome del papa, è il segretario di Stato vaticano cardinale Tarcisio Bertone, che negli ultimi tempi avrà anche cominciato a essere amato un po’ meno di prima da Ratzinger, ma usa comunque da sempre interferire pesantemente con la vita politica della Repubblica italiana. Lo scorso luglio il cardinale si è incontrato a cena a casa di Bruno Vespa con lo stesso Berlusconi e altri membri di peso del governo e delle istituzioni italiane. Una presenza, anzi una invadenza quella di Bertone particolarmente inopportuna a causa di una sua ben precisa grave pecca. E’ stato lui infatti a firmare nel giugno 2001, assieme all’allora cardinale Ratzinger, l’ordine scritto ai vescovi di tutto il mondo di nascondere alle autorità civili dei rispettivi Paesi qualunque caso di pedofilia nel clero e perfino qualunque caso di adescamento sessuale di maggiorenni avvenuto approfittando del sacramento della confessione. All’epoca l’attuale papa era il capo della Congregazione per la dottrina della fede, in precedenza chiamato Tribunale dell’Inquisizione, e Bertone era il suo vice. Il loro ordine parlava chiaro: intimava ai vescovi  il segreto sugli abusi sessuali di parte non trascurabile dell’intero clero del mondo cattolico e ordinava di segnalarli solo alla Congregazione dell’ex Inquisizione. Le conseguenze di quell’incredibile ordine scritto sono tristemente note, venute alla luce solo grazie a una lunga seri di scandali di pedofilia nel clero degli Usa, Austria, Irlanda, Australia, ecc. Continua a leggere

Meno akribeia e più oikonomia nella questione del celibato dei preti cattolici

Per attenuare il peso delle accuse che la stampa mondiale rivolge alla questione della pedofilia del clero cattolico, negli ambienti conservatori vaticani si va diffondendo l’idea che questo male sia più attinente all’omosessualità che non al celibato del clero. Come dire: vi sono più pedofili tra gli omosessuali in generale che non tra i preti cattolici in particolare.

Eppure i casi di pedofilia non riguardano i preti sposati. Perché dunque la chiesa romana è così restia a concedere il matrimonio ai preti? E’ l’unica chiesa al mondo che al clero secolare chiede l’assoluto celibato, salvo la dispensa che, obtorto collo ovvero per calcolo politico, concede a quei sacerdoti di rito bizantino o slavo che si dichiarano sottomessi al papa.

Nel nostro paese i preti cattolici sposati sono circa 10.000 (i celibi circa 35.000) e si riconoscono in varie associazioni (p.es. “Hoc Facite”, ma la più importante è “Vocatio” e il suo sito www.vocatio2008.it).

Ormai difendono la loro causa non solo autorevoli critici del Vaticano come p.es. Hans Küng (vedi il suo articolo su “La Repubblica” del 5/03/2010), ma anche esponenti di altissimo rilievo dello stesso mondo cattolico, come p.es. Schoenborn, Martini, Etchegaray, Hummes e altri cardinali, proprio alla luce dell’esperienza di oltre 100.000 preti che nel mondo hanno lasciato il sacerdozio a causa dell’atteggiamento ufficiale del papato verso la sessualità (e sono circa 1/4 di tutti i preti cattolici del mondo; negli ultimi 25 anni circa mille all’anno si sono spretati).

Perché continuare su questa assurda akribeia millenaria e non adottare invece il principio dell’oikonomia delle altre confessioni cristiane? Un principio che si basa sul noto assunto paolino secondo cui “è meglio sposarsi che bruciare”(1Cor 7,9).

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E’ dai tempi del Medioevo euroccidentale (ufficialmente dal 1139, col Concilio Lateranense II) che si avanti con questa storia del celibato dei preti. Ancora oggi, se si legge un qualunque manuale di storia medievale, là dove si parla di corruzione del clero, l’autore mette sullo stesso piano il clero simoniaco con quello concubinario, senza rendersi conto che i preti hanno potuto sposarsi per almeno un millennio (e quelli ortodossi lo possono ancora oggi).

E’ vero che col Concilio romano del 386 venne per la prima volta stabilito che vescovi e sacerdoti sposati non potevano più convivere con le proprie mogli, ma questa norma fu ampiamente disattesa durante tutto l’alto Medioevo. Tant’è che i preti (cattolici), ancor prima che venisse fuori il decreto ufficiale, si risolsero a ricorrere all’unione di fatto (concubinaggio o nicolaismo), proprio perché si vietava loro d’avere una moglie legittima. La concubina non era l’amante ma la donna con cui si conviveva senza legalizzare l’unione. Ebbene, ancora oggi questa cosa dagli storici viene considerata scandalosa, mentre appare loro del tutto normale che i vertici ecclesiastici impedissero al clero di sposarsi.

Forse pochi sanno che per la chiesa romana il matrimonio è diventato un sacramento, da celebrarsi obbligatoriamente dal sacerdote, solo col Concilio di Trento. Prima non era neppure considerato un “sacramento” o comunque per legalizzare l’unione in ambito cattolico era sufficiente il consenso libero degli sposi. Questo perché sin dai primi padri della chiesa cattolica (Agostino, Girolamo ecc.), il matrimonio è sempre stato visto come una sorta di “peccato”, per quanto veniale fosse. Figuriamoci se lo si poteva tollerare in ambito chiericale!

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E pensare che basterebbe rifarsi all’antica tradizione cristiana, sancita da vari documenti conciliari, per dirimere la controversia nella maniera più semplice possibile.

I canoni regolamentavano la cosa in maniera abbastanza precisa e nella sostanza, cioè nonostante alcune variazioni dovute allo scorrere del tempo, la chiesa ortodossa s’è mantenuta fedele ad essi.

Facciamo alcuni esempi. Il regolamento base (preso dal Nuovo Testamento) prevedeva l’accesso a qualsiasi grado dell’ordine sacro (diaconato, presbiterato e episcopato) da parte di chiunque avesse contratto un matrimonio legale una sola volta dopo essere stato battezzato (1Tim 3,2).

Si preferiva che i preti fossero sposati proprio per evitare eventuali usi impropri della sessualità, anche se la carriera episcopale, a partire dal VI Concilio ecumenico, si decise di riservarla soltanto ai monaci, che avevano l’obbligo della castità. Chi voleva diventare sacerdote restando celibe, non poteva più sposarsi, altrimenti sarebbe stato ridotto allo stato laicale. A dir il vero un prete poteva chiedere il divorzio per accedere alla carica episcopale, ma la moglie doveva essere consenziente e non poteva più risposarsi (poteva farlo solo se il marito sceglieva di diventare monaco).

Le uniche vere restrizioni (su cui oggi si potrebbe discutere), in campo matrimoniale, erano riservate più che altro alla donna, in quanto se uno voleva diventare sacerdote non poteva sposare una vedova o una ripudiata (che praticamente venivano considerate allo stesso livello), né una prostituta o una schiava (anche queste, grosso modo, messe sullo stesso piano) e neppure un’attrice, perché questa, esponendosi sulle scene, diveniva moralmente una donna di tutti. A meno che – beninteso – la donna non avesse cambiato completamente vita in virtù del battesimo, che quella volta veniva somministrato agli adulti, essendo una cosa seria e non, come oggi per la chiesa romana, uno strumento di rilevazione statistica.

La chiesa antica non impediva le nozze ai sacerdoti, però esigeva da parte loro una condotta irreprensibile. P.es. in caso di adulterio da parte della donna, questa, anche se si fosse pentita, era destinata a subire la separazione, oppure se fosse stata perdonata dal marito sacerdote, costui sarebbe stato ridotto allo stato laicale e all’interno della chiesa gli si sarebbe offerto un lavoro amministrativo. Lo stesso gli sarebbe successo se, in seguito a un’improvvisa vedovanza, avendo dei figli minori da accudire, avesse deciso di risposarsi. Inoltre era vietatissimo al prete sposare una propria nipote o, nel caso della propria moglie defunta, la sorella di lei.

Nella chiesa romana, a tutt’oggi, l’unica concessione che è stata fatta, oltre quella del matrimonio per i sacerdoti uniati, è stata l’abolizione del celibato obbligatorio per i diaconi non intenzionati a diventare sacerdoti.