SOPRAVVISSUTO DI AUSCHWITZ: “POSSO IDENTIFICARMI CON I GIOVANI PALESTINESI”

E’ stata pubblicata nel 2009, ma si tratta purtroppo di un tema ancora attuale. Che resterà tale per chissà quanto tempo ancora.

Intervista a Hajo Meyer, ebreo antisionista

SOPRAVVISSUTO DI AUSCHWITZ: “POSSO IDENTIFICARMI CON I GIOVANI PALESTINESI”

Di Adri Nieuwhof, The Electronic Intifada, 2 Giugno 2009[1]

Hajo Meyer, autore del libro The End of Judaism [La fine del giudaismo], è nato a Bielefeld, in Germania, nel 1924. Nel 1939 fuggì da solo, all’età di 14 anni, in Olanda, per salvarsi dal regime nazista, e non potè andare a scuola. Un anno dopo, quando i tedeschi occuparono l’Olanda, visse in clandestinità con un documento di riconoscimento maldestramente contraffatto. Meyer venne catturato dalla Gestapo nel Marzo del 1944 e deportato ad Auschwitz una settimana dopo. E’ uno degli ultimi sopravvissuti di Auschwitz.

Adri Nieuwhof: Cosa vuol dire per presentarsi ai lettori di EI [Electronic Intifada]?

Hajo Meyer: Dovetti abbandonare la scuola secondaria a Bielefeld dopo la Notte dei Cristalli, nel Novembre del 1938. Per un bambino curioso come me e per i suoi genitori fu un’esperienza terribile. Perciò, posso pienamente identificarmi con i giovani palestinesi che vengono intralciati nei loro studi. E non posso identificarmi in alcun modo con i criminali che impediscono ai giovani palestinesi di studiare.

AN: Cosa l’ha spinta a scrivere il suo libro, La fine del giudaismo? Continua a leggere

Davvero le previsioni di Marx erano sbagliate?

È diventata ormai un refrain l’accusa, rivolta a Marx, di aver fallito completamente le sue previsioni scientifiche, tanto che lo si può constatare anche nelle pubblicazioni cosiddette di “sinistra”, come p.es. quelle di Costanzo Preve, recentemente scomparso.

Ma in che senso le previsioni di Marx possono essere considerate “fallite”? Una è la più evidente. Il socialismo non si afferma più facilmente là dove è più sviluppato il capitalismo. Questo già Lenin l’aveva capito e se ne servì per fare la rivoluzione nell’anello più debole del capitalismo mondiale. Viceversa, gli intellettuali marxisti del suo tempo (ma anche quelli di oggi) se ne servirono per dire che in Occidente i tempi non erano ancora maturi per una vera e propria rivoluzione e che quindi bisognava limitarsi a compiere progressive riforme. Una bella differenza tra i due atteggiamenti!

Ma perché Marx era arrivato a sostenere una tesi del genere, che i suoi detrattori, peraltro, definiscono ancora oggi di tipo para-teologico o messianico? I motivi sostanzialmente erano due, tra loro intrecciati. Marx è vissuto in un periodo in cui le contraddizioni del capitalismo erano, in Europa, molto più acute di oggi; egli era convinto che la competizione tra gli Stati non le avrebbe affatto risolte e che la divisione imperialistica del pianeta, che allora iniziava a imporsi, le avrebbe ancor più accentuate. Sia lui che Engels avevano già potuto constatare la regolare frequenza di crisi produttive, la cui intensità – secondo loro – andava aggravandosi.

In effetti, dopo un intenso sviluppo dell’economia europea negli anni 1850-73, vi era stata una grande depressione economica nel periodo successivo, dal 1873 al 1896, cui i paesi capitalisti europei tentarono di porre rimedio con la pratica dell’investimento all’estero (a Londra iniziò verso il 1870). Solo verso il periodo 1896-1914 si può parlare di trionfo dell’economia capitalistica mondiale, pur interrotta da altre due crisi cicliche, nel 1900-1903 e 1907-10. È in questo periodo che avviene la trasformazione del capitalismo in imperialismo, con tanto di trust, cartelli e monopoli internazionali.

Marx quindi si era trovato a vivere, sostanzialmente, nella fase concorrenziale del capitalismo, che in Europa aveva raggiunto il suo apogeo nel 1860-70 e stava iniziando a verificare quella di tipo monopolistico, che avrebbe dovuto peggiorare la situazione. Sia lui che Engels si aspettavano una catastrofe imminente, come p. es. un crollo di borsa, dei fallimenti aziendali e bancari, persino una guerra mondiale. In una situazione del genere – e qui veniamo al secondo motivo – era per loro del tutto naturale pensare che il soggetto più esposto ai colpi della crisi, quello meglio organizzato sindacalmente e più consapevole delle contraddizioni del sistema, e cioè il proletariato industriale, avrebbe reagito in maniera rivoluzionaria, non avendo assolutamente nulla da perdere.

Anche Lenin era convinto di questo, ma si stupiva che gli intellettuali marxisti della II Internazionale non facessero nulla per preparare la classe operaia per il momento decisivo della rivoluzione. Attribuiva questa incapacità organizzativa di tipo strategico (la lotta, secondo lui, si limitava alle rivendicazioni sindacali) a una sorta di “corruzione morale”, dovuta al fatto che gli intellettuali stavano beneficiando – grazie ai frutti dell’imperialismo – di uno stile di vita borghese, che inevitabilmente li portava a cercare dei compromessi col sistema.

Lenin non riteneva la classe operaia occidentale in grado di opporsi a questo progressivo “imborghesimento”, poiché la vedeva accontentarsi troppo facilmente di avere dei salari decenti. Ecco perché nel suo primo importante libro, Che fare?, ipotizzò l’idea che la coscienza rivoluzionaria gli operai dovessero riceverla dall’esterno, cioè da un partito politico di rivoluzionari di professione, che lottano quotidianamente per porre le condizioni di una insurrezione popolare contro il sistema.

Ora, per quale motivo Marx ed Engels non avrebbero dovuto approvare una cosa del genere? Non erano due docenti universitari o due parlamentari lautamente retribuiti: non erano neppure così schematici da sentirsi obbligati a credere in maniera cieca a qualcosa di particolare.

Certo, né Marx né Engels erano dei politici rivoluzionari di professione; semmai erano due teorici, due studiosi, due giornalisti, due organizzatori della I Internazionale, un’associazione pacifica che aveva il compito di coordinare l’attività dei vari movimenti socialcomunisti di tutta Europa e persino degli Usa.

Facevano questo lavoro in condizioni molto precarie e disagiate, soprattutto Marx, continuamente alle prese con una gravissima situazione familiare. Se fossero stati due politici di professione, Lenin non avrebbe dato un contributo teorico decisivo al marxismo, ma si sarebbe limitato a mettere in pratica le loro idee. Invece la diversità fu proprio in questo, che Lenin attribuì alla politica rivoluzionaria un primato decisivo rispetto all’analisi economica delle contraddizioni del capitale.

Lenin fece il critico teorico nella sua lotta contro il populismo e contro la II Internazionale, ma appena poté, volle mettere in piedi un movimento avente il preciso obiettivo di abbattere lo zarismo e di realizzare la transizione dal feudalesimo al socialismo, sfruttando, del capitalismo, soltanto le conquiste tecnico-scientifiche.

Chi non capisce questa sostanziale differenza tra Marx ed Engels, da un lato, e Lenin dall’altro, non è in grado di capire la storia del marxismo, che è anche storia del leninismo (tradite, entrambe, dalla storia dello stalinismo). Non è certamente un caso che chi accusa Marx d’essere stato un visionario utopista, si senta poi in dovere di accusare Lenin d’aver creato un partito “monolitico”, dittatoriale.

FELICE PASQUA! Occhio però alla nuova bolla dei mercati valutari e al Quantitative Easing europeo, che farà felici le banche



LA NUOVA BOLLA DEI MERCATI VALUTARI

Mario Lettieri* Paolo Raimondi**  *Sottosegretario all’Economia del governo Prodi **Economista

I mercati valutari, i cosiddetti mercati FX, sembrano vivere una strana e pericolosa euforia. Secondo le più recenti analisi dei principali istituti economici internazionali, quali la Banca dei Regolamenti Internazionali, nell’aprile 2013 il totale di tutte le operazioni giornaliere di questi mercati era pari a 5,3 trilioni di dollari, con un aumento del 35% rispetto ai livelli del 2010!

E’ necessario un metro di paragone con l’economia reale per comprendere meglio tale straordinaria dimensione. Nel 2013 il commercio annuale delle merci dei Paesi membri dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, cioè di tutto il pianeta, è stato di 17,3 trilioni di dollari. La differenza è enorme. Continua a leggere

Una lettura olistica della storia

Una lettura olistica della storia permette di assegnare a ogni avvenimento delle coordinate specifiche, che gli sono proprie e che non si ripetono mai in maniera identica, proprio perché la storia è soggetta a un movimento perenne, pur avendo a che fare con una medesima tipologia umana: essa ha la forma geometrica della spirale.

In tal senso lo schiavismo allestito dagli europei nelle loro colonie era sostanzialmente diverso da quello antico, e per almeno tre ragioni:

  1. gli schiavi greco-romani non lavoravano per un’esportazione di tipo capitalistico, in cui quello che conta è accumulare capitali. L’obiettivo era quello di far vivere nel lusso lo schiavista e i suoi parenti, che in genere sperperavano i loro capitali o ambivano ad avere cariche prestigiose e assai raramente si preoccupavano di migliorare le tecniche produttive. Viceversa sotto il capitalismo l’obiettivo finale della produzione non dipende neppure dalla volontà del singolo imprenditore;
  2. là dove è presente un rapporto di lavoro di tipo contrattuale, lo schiavismo viene considerato economicamente superato e politicamente viene combattuto (si veda p.es. la guerra civile tra nordisti e sudisti: gli americani poi si presenteranno in tutta l’America latina come “liberatori dallo schiavismo ispano-lusitano”);
  3. là dove è radicato il cristianesimo, il rapporto schiavistico è malvisto se lo stesso schiavo è un cristiano: di qui la sua trasformazione in servaggio, dove il lavoratore ha una parte di diritti. In America latina, dopo l’arrivo degli europei, si passò abbastanza facilmente, grazie agli statunitensi, dallo schiavismo rurale (impiantato da un cristianesimo para-feudale, col pretesto che gli indigeni non erano cristiani e che dall’Europa si faceva fatica a controllare l’operato di questi neo-schiavisti) al capitalismo vero e proprio, saltando la fase del feudalesimo. Infatti lo schiavismo delle colonie era già finalizzato a una produzione capitalistica (l’esportazione di materie prime: cotone, cacao, caffè, spezie, tabacco ecc.) verso i paesi capitalistici europei e verso gli stessi Usa. Quest’ultimi cioè non ebbero bisogno di dimostrare che l’operaio salariato era più libero del servo della gleba, ma che lo era molto di più nei confronti dello schiavo rurale creato dagli europei nelle colonie. E vi riuscirono molto facilmente proprio perché nella cultura urbanizzata si percepiva come intollerante (anche perché poco produttivo), quel tipo di rapporto di lavoro.

D’altro canto senza cristianesimo il capitalismo sarebbe impensabile. Il capitalismo non è altro che cristianesimo laicizzato, prima nella forma cattolica (1000-1500), poi in quella protestantica (1500-2000), e quest’ultima nelle colonie non ha ovviamente dovuto ripercorrere le stesse tappe emancipative dell’Europa occidentale, così come non fece la Russia, quando passò dal feudalesimo al socialismo di stato.

Il capitalismo calvinista è tuttora dominante nel mondo, benché in Cina si stia sviluppando una forma di capitalismo che non proviene direttamente dal calvinismo, ma da tradizioni culturali autoctone, che hanno assemblato lo stalinismo agrario chiamato maoismo, l’antico modo di produzione asiatico e le varie religioni che impongono il rispetto delle autorità. In un qualunque paese asiatico il capitalismo non deve comunque essere tenuto sotto il controllo di un’istanza politica superiore. Qui il concetto di “persona” è molto debole, ma in compenso è molto forte quello di Stato, che in genere è proprietario di tutta la terra. Questo tipo di capitalismo non è esportabile finché i governi dittatoriali non comprenderanno l’importanza della finzione giuridica che garantisce la libertà formale e quindi l’importanza della democrazia borghese come sistema politico. La Cina in futuro potrà davvero superare gli Usa solo quando l’uso della forza dello Stato sarà accompagnato da un uso spregiudicato del diritto e dei valori umani, che non potrà certo essere inferiore a quello delle attuali forze occidentali.

Ecco perché, se vogliamo davvero parlare di schiavismo in epoca moderna e contemporanea, dobbiamo intenderlo in maniera traslata, come “schiavitù salariata”, in cui la libertà formale giuridica è parte strutturale, organica a un rapporto di lavoro iniquo (cosa che nello schiavismo classico era impensabile, proprio perché non si aveva in alcun modo il concetto di “persona”, avente diritti inalienabili di natura).

Qualche nodo viene al pettine anche in Israele. Che con i palestinesi non cambia metodi

(Questa vignetta non c’entra nula con Toaff, l’ho inserita io)
Ariel Toaff sulla sua pagina Facebook

Poco fa alla televisione israeliana. Centinaia di coloni dell’insediamento di di Yizhar manifestano violentemente contro l’esercito lanciando pietre. Altri raggiungono la postazione dell’IDF (stabilita su una collina vicina per proteggerli), minacciano di picchiare i riservisti e li costringono alla fuga. Poi si danno alla distruzione completa della postazione, delle tende e dei depositi militari.
Netanyahu, Yaalon e gli altri esponenti del governo e tutti i partiti della Kenesset condannano la violenza dei coloni estremisti. Ma ormai le parole non bastano piu’ e bisogna correre ai ripari, prima che i coloni trascinino la societa’ israeliana verso una guerra civile. La strada che ha portato all’assassinio di Rabin e’ nuovamente percorsa dagli estremisti messianici e del sionismo biblico ormai senza piu’ freni.

Shimon Peres da Pechino: L’attacco dei coloni di Yizhar ai militari dell’IDF e’ un precedente gravissimo. Dalla fondazione dello Stato di Israele Zahal e’ stato un elemento unificatore, condiviso da tutti. Per la prima volta i coloni con le loro azioni inconsulte lo mettono in discussione.
La notizia, che riempie i giornali e i mass-media di Israele da due giorni, continua a essere ignorata dai siti internet delle sigle propagandistiche giudeo-italiane, che continuano a parlare dei bellissimi fiori delle serre di Ashdod e cdelle caprette di Sderot minacciate dai missili di Gaza.

Haaretz (video): La polizia militare arresta due palestinesi a Gerusalemme est. I metodi sono spicci e particolarmente violenti e provocano la frattura di entrambe le braccia di uno degli arrestati. Perche’ nell’insediamento di Yizhar la stessa polizia ha trattato la violenza dei coloni nei suoi confronti con i guanti di velluto e infinita sopportazione? Come sempre, due pesi e due misure.


La banalità del male

https://www.facebook.com/photo.php?v=625700660840172

Il video pare sia stato realizzato quattro anni fa, ma è bene guardarlo perché non è stato diffuso, comunque non ha avuto la diffusione che merita. Soldati israeliani armati di tutto punto come gorilla arrestano due bambini palestinesi piangenti. La città mi sembra Hebron, dove i coloni commettono abusi e violenze di tutti i tipi contro i palestinesi restando sempre impuniti.

Le vergogne supplementari sono due, anzi tre:

– ad arrestare i due bambini non sono poliziotti, ma soldati, cosa che nei Paesi civili NON accade. Anche se fosse vero che i due bambini avevano lanciato pietre contro un’auto ferendo il guidatore o un passeggero, bastava ovviamente identificarli, tramite la polizia e non tramite truppe di occupazione;

– quando a lanciare pietre, a bastonare, a distruggere coltivazioni e a sparare contro palestinesi sono gli israeliani, specie se coloni, NON accade MAI che i colpevoli vengano arrestati, specialmente se si tratta di bambini.

- Di bambini detenuti da anni nelle carceri israeliane mi dicono ce ne siano a centinaia. Per punirli meglio, gli israeliani hanno abbassato apposta per loro l’età in cui si diventa maggiorenni! Se un israeliano diventa maggiorenne a 18 anni, i palestinesi sono considerati maggiorenni già a 16 anni, così li possono chiudere nelle galere degli adulti, con evidente aggravio delle condizioni oggettive e soggettive della detenzione. E se non è razzismo questo della differenza di età nel diventare maggiorenni….

I coloni israeliani, e i governi che li appoggiano e usano, fanno rivivere concetti  di orribile memoria come il “Gott mit uns!” e il Lebensraum, il cui epilogo è stata l’immane tragedia della seconda guerra mondiale.

Non voglio fare paragoni assurdi, ma a più di una persona quei bambini sequestrati dai militari armati come gorilla fanno venire in mente il bambino ebreo polacco della Varsavia occupata dai tedeschi immortalato dalla foto con le braccia alzate, la coppola e il cappottino sui calzoni corti. Ci sono cose che nel mondo civile NON si possono e NON si debbono fare neppure se e quando si ha ragione. Se non si è in grado di capire questo, si rischia di far parte della banalità del male. denunciata dalla Arendt.

Alla mascalzonata dell’arresto dei bambini “vecchia” di quattro anni se ne aggiunge oggi una nuova di zecca e da perfetti imbecilli, che oltretutto calpesta perfino lo spirito della sport. Roba degna della peggiore Urss. Israele vieta al maratoneta Nadar al-Masri di uscire da Gaza per partecipare alla maratona di Betlemme. Al-Masri e’ un maratoneta assai noto, con un curriculum di oltre 50 gare e la partecipazione alle Olimpiadi di Pechino nel 2008 (Jerusalem Post).

http://www.jpost.com/Diplomacy-and-Politics/Israel-denies-exit-permit-to-Gazan-run-in-Bethlehem-marathon-347442